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5.3 – GLOCAL STORYLAB RACCONTARE LA MOBILITÀ STUDENTESCA NELL’UNIVERSITÀ DEL PIEMONTE ORIENTALE

3 Bilancio Sintesi diegetica e tematica; performance del narratore 48 second

Copertina di uscita Culmine del climax musicale; scomparsa del gomitolo con informazioni relative al capitolo (nome e numero) 4 Outro Sigla di chiusura con performance dello storytaker e

overview bacheca

40 secondi

Il modello qui presentato, che potremmo considerare una sorta di storyboard testuale, descrive alcuni blocchi narrativi, indicati con una progressione numerica e divisi tra loro da alcuni separatori di natura visiva e/o sonora. La copertina, sia in entrata sia in uscita, è stata affidata ad uno degli esistenti diegetici più rappresentativi del progetto, il gomitolo rosso; all’inizio, subito dopo l’intro caratterizzata da una dimensione da “dietro le quinte”, si vede una mano posizionarlo su un tavolo, a significare l’avvio del discorso narrativo e, accanto ad esso, appare un’intestazione ad informare essenzialmente il destinatario su ciò che lo attende. Specularmente, in conclusione di capitolo, la stessa mano toglie il gomitolo dal tavolo, ad indicare la fine del racconto. Tra le due copertine, le parole dello storyteller delineano lo sviluppo della narrazione vera e propria: partendo da una presentazione del protagonista (primo blocco), si attraversano le più significative esperienze da lui vissute nel periodo di mobilità (secondo blocco), fino a giungere ad un momento di sintesi tematica e valoriale (bilancio) che, partendo da una dimensione individuale e personale, giunge a riflessioni valide ad un livello generale e collettivo. In questa sezione, è visivamente presentata la performance del narratore, il quale, ricordiamo, sceglie la polaroid più rappresentativa della propria storia, la firma e la consegna allo storytaker.

Da un punto di vista sonoro, invece, l’ingresso nella fase di bilancio è identificato dall’inizio della colonna sonora che, in lento crescendo, prende progressivamente il sopravvento sul parlato. La

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musica procede secondo un climax emotivo ascendente, culminante nell’apparizione del gomitolo e della copertina di uscita; proprio per questo, il bilancio è l’unico dei tre blocchi narrativi ad essere caratterizzato da una durata temporale esatta, i 48 secondi che intercorrono tra l’inizio della colonna sonora e la sua definitiva “esplosione”. Allo stesso modo, anche l’outro possiede una lunghezza non modificabile (40 secondi), che va, in questo caso, dalla stessa esplosione alla lenta conclusione della melodia. In questa ultima sezione, che possiamo considerare una vera e propria sigla di chiusura, lo storytaker completa il momento performativo, appendendo la fotografia ricevuta alla bacheca progettuale. L’ultima sequenza è infine dedicata ai credits di progetto, con l’indicazione dei due principali attori coinvolti nell’iniziativa, UPO e Noise+.

Per quanto riguarda invece gli aspetti più strettamente produttivi, ovvero l’organizzazione delle riprese, si è già data indicazione circa le questioni relative allo svolgimento dell’evento-intervista e alla gestione del rapporto con i narratori (5.3.5), e circa le questioni logistiche, relative alle scelte di location e di set (5.3.6). Non ancora, tuttavia, si è dedicato il giusto spazio al funzionamento tecnico ed organizzativo delle singole sessioni di videoregistrazione. Ad ogni narratore (o coppia di narratori) è stata dedicata una sola unità di ripresa, durante la quale si sono raccolti tutti i materiali audio e video ritenuti funzionali alla costruzione del relativo capitolo. Mediamente, una sessione tipica non ha superato le due ore, articolandosi in tre fasi in successione: accoglienza, dedicata ad una chiacchierata informale per mettere il narratore a proprio agio, svolta a microfono e camere già accese, in modo da raccogliere materiale “backstage” già potenzialmente utile per il videoracconto; intervista vera e propria, la conversazione orientata allo sviluppo narrativo, secondo lo schema suggerito dalle domande-guida; performance e riprese di copertura, durante cui lo storyteller compie le azioni performative indicate e vengono utilizzate inquadrature alternative a quelle standard (dettagli, ecc), necessarie per mettere a disposizione del successivo montaggio una maggiore varietà di scelta. A queste fasi si aggiunge la registrazione del momento di performance del narratore, raccontata nell’outro, che però, non richiedendo la presenza dello storyteller, avviene dopo il congedo di quest’ultimo.

Una pianificazione preliminare delle attività così rigorosa ha permesso di gestire in modo ordinato il processo di produzione, che è stato perciò possibile affidare ad un team operativo molto essenziale, composto da due soli operatori in aggiunta allo storytaker. A costoro, erano ogni volta affidati l’allestimento e la supervisione del set e, durante l’evento-intervista, il controllo dei mezzi di ripresa in azione. La strumentazione tecnica a disposizione ha incluso:

- una videocamera Canon EOS Mark III, con obiettivo Canon 70-200mm;

- una videocamera Canon EOS Mark II, con obiettivo Tamron 24-70mm;

- una Action Cam HD Polaroid Cube+;

- un microfono a pulce Sennheiser, con collegamento wireless ad una camera, per le interviste singole;

- un microfono ambientale Tascam non sincronizzato, per le interviste collettive; - due luci da set fotografico Neewer, a supporto dell’illuminazione artificiale e naturale. La presenza di tre camere contemporaneamente attive per l’intera durata dell’intervista, installate con ottiche molto diverse tra di loro, ha permesso di disporre di tre diversi piani fotografici, che nell’insieme andavano a comporre il seguente schema di ripresa.

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Il mezzobusto (MB), quasi frontale, è ampio a sufficienza da far intravedere, a volte, lo storytaker

seduto di fronte al protagonista; sullo sfondo invece, la profondità di inquadratura rende visibili le polaroid appese e, in un secondo piano, il gomitolo, illuminato da una luce di set. Il primo piano (PP), riprende il narratore a circa 45° e mostra fuori fuoco altri esistenti dello storyworld,

rappresentativi dell’identità progettuale. L’Action Cam, infine, offre un’inquadratura grandangolare, dal basso e perfettamente frontale, che mette in evidenza la gestualità dello storyteller e aggiunge una quota informale e laboratoriale alla dimensione visiva del racconto. La scelta tra una e l’altra di queste tre alternative prospettiche a seconda dei diversi momenti dello sviluppo narrativo diviene, in un momento successivo, pertinenza del montaggio. Tuttavia, la selezione delle immagini è solo una delle attività che possono essere ricondotte a questa fase immediatamente successiva alle riprese: più in generale, dobbiamo infatti considerare la post- produzione dei videoracconti un decisivo passaggio di interpretazione e rielaborazione dell’intervista, nel quale i materiali grezzi raccolti vengono condotti alla forma narrativa e comunicativa prevista. Da un punto di vista tecnico, il processo è svolto all’interno di un programma di video-editing chiamato Premiere Pro, appartenente alla Creative Suite Adobe e considerato, con tutta probabilità, il software professionale di riferimento per questo tipo di attività. Ogni capitolo è gestito attraverso uno specifico progetto di Premiere (estensione del file .prj), al cui interno vengono importati i filmati (footage) relativi a quel determinato videoracconto. La prassi prevede che essi vengano organizzati in cartelle per tipologia di contenuto (PP, MB, Action, dettagli del

narratore, performance...) e successivamente stesi su una timeline (o sequenza), dove, per prima cosa, avviene la sincronizzazione audio-visiva.

A questo proposito, è giusto chiarire che quello dei videoracconti è un linguaggio articolato, composto da due codici espressivi distinti e complementari, a cui corrispondono altrettante dimensioni narrative: il codice degli stimoli sonori e quello degli stimoli visivi. A loro volta, essi sono internamente scomponibili in una pluralità di livelli differenti: al linguaggio audio appartiene il parlato dei protagonisti, ma anche diversi enunciati non verbali, spesso compresenti, tra cui il più rilevante è senz’altro la musica della colonna sonora; anche nel linguaggio video la diversificazione appare notevole, se consideriamo non solo i tre piani dell’intervista, ma anche tutte diverse tipologie di immagini di copertura, relative al narratore, agli esistenti, allo storyworld. A tale stratificazione dello schema espressivo corrisponde quindi una stratificazione nell’organizzazione dell’editing e nella disposizione della timeline, che Premiere struttura a livelli sovrapposti, chiamati tracce. Le tracce video dei tre piani vengono così sincronizzate, sia tra di loro sia con la traccia audio, come riprodotto nella sequenza di esempio seguente.