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Per la sua costante presenza nel percorso di evoluzione cognitivo-culturale delle nostre società, è più che lecito pensare al racconto, in tutte le sue possibili declinazioni, come ad un paradigma fondamentale della condizione umana. Tuttavia, se è indubbio che le storie posseggano un carattere universale, altrettanto chiaramente il modo di tramandarle può variare notevolmente a seconda degli strumenti che si hanno a disposizione: ogni nuova tecnologia, cioè, condiziona fortemente i nostri comportamenti comunicativi, rendendo possibili svariate forme diegetiche di oralità, visualità, scrittura, multimedialità. Lo specifico intento di questo capitolo è di dare conto di come, nell’odierna era digitale, le frontiere della narrazione organizzativa si siano significativamente ampliate, perché, in considerazione della sua natura di linguaggio elastico ed inclusivo, essa si è aperta alla colonizzazione di spazi mediali nuovi, con caratteristiche del tutto peculiari; ciò ha reso possibile, di conseguenza, l’esplorazione di modalità espressive inedite, che verranno osservate con particolare attenzione alle loro manifestazioni nel contesto discorsivo di marca.

Come ogni forma di comunicazione mediata, anche i canali digitali non sono neutrali; essi rappresentano piuttosto veri e propri dispositivi di elaborazione culturale che ristrutturano e ri- codificano l’agire individuale e collettivo, e con esso le forme del racconto. Come è intuitivo, le caratteristiche intrinseche di un habitat mediatico determinano quelle che chiamiamo le sue affordances, ovvero “le cose che si possono fare con”. Ciò significa, in altre parole, che le proprietà di un medium ne indirizzano l’uso e ci impongono di considerare ogni mezzo di comunicazione da varie angolazioni interpretative: tecnologica, ma anche linguistica, simbolica, cognitiva, associando all’aspetto strumentale anche quello dei codici di fruizione.196 Basti pensare, per fare un

esempio, a come si è modificata la conversazione interpersonale con l’uso della messaggistica istantanea e delle chat, le quali, oltre ad aver introdotto un articolato sistema di codici paralinguistici quali sono le emoticon, hanno agevolato lo sviluppo di una forma discorsiva ibrida, che alla permanenza della testualità associa l’immediatezza dell’oralità, tanto da permetterci di introdurre il concetto di oralità scritta.

Nel complesso quindi, il rapporto esistente tra un medium ed il suo linguaggio naturale risulta un elemento decisivo per comprendere l’impatto delle innovazioni tecnologiche sui racconti delle imprese e delle istituzioni negli ultimi vent’anni, e per indagare le opportunità e i rischi che la comunicazione organizzativa si trova a fronteggiare in questo rinnovato contesto. Il tema è reso, se possibile, ancora più complesso dal fatto che, parlando di digitalsfera, non ci si riferisce ad un unico canale, quanto invece ad un’ampia costellazione mediatica con cui, a proposito di affordances, “si possono fare moltissime cose diverse”. A tale ecosistema appartiene infatti una estrema varietà di spazi non fisici indipendenti, accomunati tra loro da un singolo fattore di natura

196 CORRADO PETRUCCO,MARINA DE ROSSI, Narrare con il digital storytelling a scuola e nelle organizzazioni, Roma, Carocci Editore, 2009, p. 34.

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tecnologica: l’accessibilità al messaggio tramite un dispositivo elettronico connesso ad internet. Per la sua condizione plurale ed estremamente eterogenea, la rete può essere quindi considerata un vero e proprio hub mediatico in continua espansione e senza geo-limitazioni, perché raggiungibile nella stragrande parte del mondo civile. Oltre che essere iperdiffuso, il web è anche iperpopolato, come appare evidente consultando il sito www.internetlivestats.com, una piattaforma che raccoglie una grande quantità di indicatori statistici in grado di farci cogliere la dimensione macroscopica della digitalsfera: secondo le sue stime, ad esempio, nei soli venti secondi necessari per leggere questa frase sono stati creati 177.000 tweet, sono state effettuate 1.619.000 ricerche su Google e sono state ricevute 57.733.000 mail.

Paradossalmente, questi dati appaiono così sorprendenti da rendere difficile cogliere l’effettiva consistenza del fenomeno, ma restituiscono comunque la percezione che la fruizione digitale sia ormai una condizione del tutto generalizzata nelle prassi comunicative umane. Al consolidamento del web ha contribuito senz’altro la progressiva semplificazione dell’utilizzo dei suoi strumenti d’accesso, e una complessiva naturalizzazione della tecnologia che ha reso possibile la gestione dei contenuti entro perimetri sempre più alla portata di tutti. In quest’ottica, appare del tutto condivisibile l’affermazione per cui “le persone percepiscono ormai internet come il più essenziale di tutti i media”197. Pur in considerazione di questa pressoché illimitata diffusione, non appare

comunque del tutto appropriato attribuire ai media digitali (e in particolare ai social media), come è stato talvolta proposto, la qualifica di “nuovi media di massa”; come risulterà più esplicitamente nel paragrafo successivo, infatti, le discontinuità attestabili, in termini ad esempio di strutture comunicative e di frammentazione discorsiva, appaiono tali da rendere, a mio parere, l’associazione concettualmente discutibile.

È poi fin da subito necessario premettere come la facilità di accesso ad uno spazio discorsivo così ricco di opportunità (ma, allo stesso tempo, così poco monitorabile) non corrisponda necessariamente ad un uso adeguato da parte degli utenti che vi si affacciano. Come è evidente a tutti, sono anzi quotidianamente attestabili in rete comportamenti indisciplinati, con una verificata esplosione di atteggiamenti di scarsa collaborazione e di scontro, fino al palesarsi di volontarie o involontarie situazioni di incomunicabilità: volendone trovare un primo aspetto di criticità quindi, come ha notoriamente condensato Umberto Eco, internet appare aver dato “diritto di parola a legioni di imbecilli”198. In altri termini, l’attualissima questione dell’alfabetizzazione digitale non

può risolversi nella sola padronanza tecnica degli strumenti, ma deve anche comprendere la conoscenza dei codici adeguati al nuovo contesto espressivo; da questo punto di vista, è giusto dire che di media literacy si parla ormai con insistenza, riconoscendo la necessità di proporre un’educazione ai canali digitali che sia aderente al contesto socio-culturale di riferimento e che abbia delle finalità reali di decodifica199.

Senza poter approfondire oltre questioni che appaiono di maggior interesse in chiave socio- educativa, la necessità di un approccio critico e consapevole alla digitalsfera appare comunque

197 TRACY TUTEN,MICHAEL SOLOMON, Social media Marketing. Post-consumo, innovazione collaborativa e valore condiviso, a cura di Luciano Pilotti, Alessandra Tedeschi Toschi, Milano-Torino, Pearson Italia, 2014, p. 81.

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essere un tema di dibattito ormai consolidato. A questo proposito, per quanto riguarda la più pertinente prospettiva della comunicazione organizzativa, l’impegno interpretativo ed editoriale di questi anni sembra aver reso disponibili contributi che affrontano i processi e le dinamiche del web e dei social media soprattutto da un punto di vista tecnico, commerciale o analitico, senza particolare attenzione alla dimensione della creatività, e in particolare della narratività200. È apparso

quindi opportuno focalizzare l’attenzione su alcuni dei caratteri fondamentali del digital storytelling, anche e soprattutto come presupposto teorico alla descrizione dei casi operativi presentati nei capitoli successivi; casi che, come vedremo, proprio nel digitale hanno trovato una collocazione privilegiata. Le operazioni di comunicazione narrativa condotte nel contesto della rete appaiono infatti basarsi su strumenti, competenze tecnico-strategiche e, più in generale, su logiche discorsive per certi versi inedite, di cui può essere utile proporre una sistematizzazione, evidenziandone le potenzialità e le discontinuità in relazione ai media più tradizionali.

Come si presentano quindi le storie digitali? Tenendo conto delle svariate possibilità di diversificazione, i racconti sul web offrono spunti interpretativi comuni: appaiono più facilmente accessibili, archiviabili, riformulabili; hanno maggiore potenziale di diffusione e sembrano prediligere la multimedialità, intesa come integrazione di immagini, musica e verbalità, estendendosi per durate tendenzialmente più sintetiche. Nel complesso, si potrebbe dire che tale ecosistema mediatico offre l’opportunità di trattare gli elementi narrativi in modo più elastico. La relativa facilità di utilizzo degli strumenti creativi, i costi di produzione e distribuzione sempre più alla portata, la semplicità di trasformazione e modifica dei contenuti sono alcune delle condizioni che permettono l’accesso a molteplici modalità espressive per la costruzione ed il racconto del sé; sia in quanto soggetti individuali, sia, com’è più interessante nella prospettiva interpretativa di questa tesi, in quanto realtà organizzative.