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2.3.1 – Racconti personali come nuclei di cultura organizzativa

Come anticipato, uno dei due possibili approcci all’uso della narrazione all’interno di un’impresa o di un’istituzione è quello che interpreta le storie come prodotti creativi e cognitivi di singoli individui; ad esso abbiamo attribuito la definizione di storytelling nell’organizzazione, per distinguerlo dalle strategie comunicative predisposte dalle imprese e dalle istituzioni in modo programmatico, strutturato e consapevole, ovvero lo storytelling dell’organizzazione. La prima di queste due prospettive analitiche, meritevole di attento interesse per quanto in profondità è in grado di descrivere la realtà organizzativa, si fonda su un prerequisito che potremmo definire di onnipresenza narrativa, che vede nel racconto un modello primario di lettura dell’esistenza: in qualità di homini narrantes, secondo modalità narrative siamo indotti a ricordare, progettare, imparare, immaginare e, in generale, pianificare la nostra esperienza umana. La premessa concettuale di questo capitolo, quindi, è che, nelle organizzazioni complesse come in altre forme di aggregazione umana, le storie esistono a prescindere da una esplicita volontà diegetica e si diffondono in modo spontaneo, inevitabile e continuativo.

Per dare agli eventi della vita coerenza e comprensibilità, gli individui articolano storie come cornici di riferimento in cui trovare il senso della propria esperienza, partecipando in prima persona al processo di generazione dei significati. In quest’ottica, storificare significa quindi “applicare un modo induttivo di sapere che consiste nel collegare un evento a un progetto umano.”97 Questo

vale tanto a livello personale quanto a livello professionale. Infatti, a partire dagli anni ’90 (gli stessi, non causalmente, a cui abbiamo ricondotto il fenomeno del narrative turn) si è visto affermare il paradigma dell’impresa-persona; grazie all’attività di una corrente eterogenea di scrittori e ricercatori accademici,98 è emersa un’area degli studi d’impresa che vede le organizzazioni non solo

e non tanto sotto i tradizionali aspetti strutturali, orientati al processo e basati sul profitto, ma anche e soprattutto come sistemi viventi e fluenti, nei quali poter pensare, sognare, sentirsi esseri umani che lavorano, giocano, parlano, ridono e scherzano tra loro.99 In questo contesto

97 BARBARA CZARNIAWSKA, Narrare l’organizzazione: la costruzione dell’identità istituzionale, Torino, Edizioni di comunità, 2000, p. 27.

98 Cfr. MATS ALVESSON, PER O.BERG, L’organizzazione e i suoi simboli, Milano, Raffaello Cortina Editore, 1993. PASQUALE GAGLIARDI (a cura di), Le imprese come culture, Torino, Isedi, 1995. DAVID BOJE, Narrative Methods for

Organizational and Communication Research, London, Sage, 2001. STEPHEN DENNING, The Springboard: how storytelling ignites

action in knowledge-era organizations, Boston, Butterworth-Heinemann, 2001.

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interpretativo, il modello dell’impresa virtuosa ha accantonato la cultura del silenzio tipica dell’azienda taylorista e fordista, tradizionalmente associata a qualità come la modestia, il rispetto, la prudenza, per lasciare spazio alla cultura della loquacità.

In ogni impresa o istituzione, a tutti i livelli gerarchici, ci sono storie interessanti da raccontare; ciascuna di queste storie personali riguarda l’organizzazione, ed è proprio lì che si deposita per frammenti la sua anima più autentica: il racconto consegna umanità alla vita organizzativa, restituendole spessore e dignità. In altre parole, miti, cerimoniali e pettegolezzi possono – o meglio, devono – essere considerati espressioni del nucleo profondo di una cultura organizzativa: un’impresa aperta all’ascolto delle narrazioni che circolano al suo interno fa emergere i conflitti nascosti o latenti, alimenta il sistema di valori, diffonde le tradizioni e le prassi comportamentali; coltiva, in sostanza, il suo patrimonio identitario, che si manifesta in un sistema condiviso di credenze, principi, valori, regole e soluzioni.100 La cultura organizzativa, in altre parole, è un fattore a sviluppo

dinamico, che non è possibile sospendere o fermare:

un gruppo sociale ha sempre una dimensione culturale, anche se non esplicita e dichiarata. Nessuno membro del gruppo è neutro rispetto alla cultura del gruppo a cui appartiene: o è positivo o è negativo. Non è possibile sospendere o fermare la cultura.101

Ma come considerare quei contributi individuali e soggettivi che, come singole unità di contenuto, partecipano alla costruzione di una cultura condivisa? Come definire in sostanza quelle che chiamiamo storie nelle organizzazioni? Riprendendo le parole di Claudio Cortese, ciascuna di queste manifestazioni discorsive è da considerarsi “la ricostruzione resa in forma di racconto soggettivo dei fatti, episodi e avvenimenti che, nella rappresentazione di un dato individuo, hanno costituito altrettanti momenti significativi della storia organizzativa.”102 Si tratta cioè di resoconti personali

strutturalmente riconducibili al paradigma della narrazione, e relativi ad uno o più eventi passati in qualche modo “connessi ad una problematica rilevante” o che comunque “consentono di pervenire ad un’attribuzione di significato.”103 Da un punto di vista formale poi, i racconti

spontaneamente circolanti nelle imprese e nelle istituzioni sarebbero poi caratterizzati da non- linearità, frammentazione e, spesso, incoerenza; peculiarità che David Boje, notevole teorico dell’organizzazione postmoderna, riassume con l’interessante categoria di antenarrative.104

Le storie diffuse nelle organizzazioni sarebbero cioè “prenarrative”, ovvero grezze, molto vicine al flusso dell’esperienza individuale, caratterizzate da un interesse estetico non primario e da una limitata cura espressiva. Accogliendo, pur reinterpretandola, questa categoria, possiamo quindi definire le storie individuali che si producono e si diffondono all’interno delle organizzazioni come prenarrazioni o, ancora meglio, micronarrazioni, distinguendole, da un lato, dalla cronaca organizzativa ufficiale e certificata, priva di sostanza diegetica, e dall’altro, dallo storytelling dell’organizzazione, quei prodotti di narrazione strategica che affronteremo nel prossimo capitolo. Con il concetto di micronarrazione, si vorrebbe quindi valorizzare la componente spontanea e

100 Cfr. P. GAGLIARDI, Verso una nuova consapevolezza della cultura organizzativa, in P. GAGLIARDI (a cura di), Le imprese

come culture, op. cit., pp. 395-415.

101 L. ANGELINI, Storytelling: il potere delle storie d’impresa, op. cit., p. 45. 102 C. CORTESE, L’organizzazione si racconta, op. cit., p. 158.

103 Ivi, p. 55.

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soggettiva di queste storie e, allo stesso tempo, tutelarne la legittimità come strumento interpretativo, sottraendole al rischio di inciampare nel trascurabile e nell’inaffidabile, dovuto alla loro natura di prodotti soggettivi.

2.3.2 – Ricerca organizzativa, dimensione soggettiva e polifonia

Considerando quanto possa essere potenzialmente abbondante tale patrimonio contenutistico, ogni organizzazione si afferma senza dubbio come un complesso universo di senso, alimentato da numerosi processi di significazione soggettiva. In quest’ottica, le storie personali sono quindi da considerarsi un punto di vista privilegiato sulla vita organizzativa e sulle dinamiche relazionali che la attraversano: le micronarrazioni rappresentano cioè un metodo di ricerca non tradizionale al servizio degli studi organizzativi, un vero e proprio strumento di osservazione per comprendere in profondità le logiche interne alle imprese e alle istituzioni. Bisogna tuttavia precisare che l’efficacia di un’analisi del genere dipende dall’attenzione riservata al paradigma della soggettività. In un processo di storyfication, infatti, ogni evento viene concatenato ad altri secondo il principio di causalità, prendendo parte ad un meccanismo di interpretazione della realtà che deve tenere conto dell’impatto personale, dato dalla posizione dell’attore organizzativo rispetto agli eventi, anche in relazione al suo status umano, professionale, emotivo.

Storie individuali generano significati soggettivi: la quotidianità dell’organizzazione, i momenti eccezionali, i comportamenti ritualizzati sono raccolti in storie personali che non esprimono mai registrazioni fattuali neutrali; sono, viceversa, ricostruzioni creative (si potrebbe dire “drammatizzazioni”) che emergono a seguito di “un processo che coinvolge attività di descrizione, ordinamento, interpretazione e immaginazione compiute dal narratore”105, in base agli elementi

cognitivi in suo possesso in termini di informazioni, percezioni, giudizi. Una micronarrazione, nella prospettiva degli studi organizzativi, è quindi un prodotto carico di soggettività che non accetta o rifiuta a priori la realtà, ma le attribuisce il senso più vicino ai propri bisogni esistenziali. Compito ed interesse di un eventuale ricercatore è indagare questi singoli processi di sensemaking, facendo luce sui significati delle storie per ciascuno dei membri della comunità organizzativa, perché l’aggregazione e la sintesi di tali significati, come detto, costituisce la cultura stessa della comunità. Nel complesso quindi, ciò che appare caratterizzare in modo più evidente le imprese e le istituzioni è la loro natura di spazio polifonico. Da questo punto di vista, il discorso organizzativo, più che di un monologo, ha l’aspetto di un dialogo: essendo infatti composta da individui cognitivamente indipendenti, da insiemi di soggetti diversi (ed in costante interazione tra loro), l’organizzazione accoglie e raccoglie una molteplicità di storie in cui si mescolano differenti linguaggi, registri, contenuti, temi e punti di vista. Le micronarrazioni, espressione della viva voce dei protagonisti della vita organizzativa, portano alla luce un complesso intreccio di eventi ed interpretazioni che si confrontano, si scambiano, si contraddicono. Il coro unitario lascia spazio ad una pluralità di voci alternative e di trame contrastanti:” emergono narrazioni parallele, diverse ed alternative rispetto a

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quelle canoniche: tracce, rumori di fondo, materiali di scarto, frammenti, nei quali si depositano le vite personali […] e in cui si annida la storia profonda dell’organizzazione.”106

Da queste parole di Gabriele Qualizza emerge come una delle caratteristiche più significative dello storytelling nelle organizzazioni sia la sua circolazione sotterranea. La diffusione ed il trattamento delle storie nelle imprese-persona hanno infatti momenti e spazi privilegiati per lo svolgimento delle performance narrative. Tali occasioni si verificano tendenzialmente in quei luoghi in cui la gestione organizzativa appare più rilassata, le prassi comportamentali non sono più quelle standardizzate e l’allineamento cede così il passo all’espressione della soggettività: situazioni di stacco come le pause pranzo, o luoghi informali come i corridoi, in cui la sospensione momentanea delle regole di controllo emotivo permette agli attori di concedersi momenti di confidenza, spontaneità, confessione. È proprio di questi luoghi ed occasioni di elasticità organizzativa che parla Yannis Gabriel a proposito di organizzazione non gestita:

within every organization there is an uncolonized terrain, a terrain which is not and cannot be managed, in which people, both individually and in groups, can engage in all kinds of unsupervised, spontaneous activities. 107

Questo spazio non colonizzato e non controllabile diventa così un terreno da esplorare a fondo per delineare la mappa culturale di un’impresa o di un’istituzione; una condizione che rende le micronarrazioni degli strumenti di assoluta equità, perché capaci di dare voce a tutti gli attori coinvolti a vario titolo e a vario livello nella comunità: “chi è abitualmente vincolato ad un ruolo di comparsa può divenire protagonista, chi viene percepito ai confini può rivendicare la propria presenza”108. C’è tuttavia da dire che, come vedremo, accade inevitabilmente che all’interno dei

confini organizzativi alcune voci emergano con più vigore ed efficacia di altre.

2.3.3 – Dimensione intersoggettiva, dimensione comunitaria, dimensione ufficiale

Tra i più precoci e consapevoli ricercatori che si sono occupati di organizzazioni come comunità polifoniche di pratiche e discorsi, troviamo senza dubbio David Boje. Nella sua lettura, l’impresa postmoderna ha come principale caratteristica quella di essere un contenitore e distributore di un flusso continuo, spontaneo ed inarrestabile di micronarrazioni personali: queste rappresentano la materia prima che, elaborata e codificata, dà vita ad una miscela di intrecci e di trame che si aggregano in un unico inestricabile tessuto, specchio ed espressione della rete di ruoli presente nell’organizzazione. Ne propone una dimostrazione in The storytelling organization: a study of storytelling performance in an office-supply firm, un testo in cui analizza le performance narrative individuali all’interno di un’impresa di forniture per uffici. 109 Dopo aver accumulato ed interpretato un

centinaio di ore di registrazione, ha mostrato come sia sostanzialmente possibile ricondurre le

106 G. QUALIZZA, Lo storytelling nella comunicazione d’impresa, op. cit., p. 6.

107 “In ogni organizzazione c’è un territorio non colonizzato, un terreno che non può essere controllato, in cui gli individui, sia singolarmente sia in gruppo, possono coinvolgersi in attività non supervisionate e spontanee”. YIANNIS

GABRIEL, The unmanaged organization: stories, fantasies and subjectivity, in Organization studies, 16 (3), 1995, p. 478. 108 C. CORTESE, L’organizzazione si racconta, op. cit., p. 59.

109 D. BOJE, The storytelling organization: a study of storytelling performance in an office-supply firm, in Administrative Science Quarterly, 36 (1), 1991, pp. 106-126.

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storie emerse ad undici intrecci-tipo, sceneggiature ricorrenti caratterizzate da schemi interpretativi simili e convergenti.

D’altro canto, dalla riflessione di Boje emerge anche come la cultura narrativa di un’impresa si costituisca di frammenti non sempre allineati – talvolta in aperta contraddizione tra loro – e si esprima nelle divergenze e nelle dissonanze più di quanto faccia nella storia ufficiale. In un successivo lavoro, per esempio, ritorna sulla polifonia delle organizzazioni narranti, con particolare attenzione agli aspetti conflittuali che le caratterizzano. 110 Nell’articolo, Boje descrive la struttura

culturale e valoriale della Walt Disney Company così come si configura nelle micronarrazioni che la attraversano: da esse emerge un sistema di significati complesso, in cui alla storia ortodossa si aggiungono pressoché infinite storie apocrife, sfidanti o semplicemente non convergenti. Il discorso narrativo pubblicamente diffuso e solitamente accettato, fatto di felicità, speranza e divertimento magico, è affiancato da numerose voci fuori dal coro, marginalizzate ed isolate perché in contrasto con l’immagine ufficialmente comunicata. Generalizzando queste considerazioni, diventa possibile estendere la situazione descritta da Boje relativamente alla Disney ad ogni realtà organizzativa standard, permettendo di leggerne le dinamiche strutturali alla luce di un’articolata dialettica tra individuale e collettivo.

In sostanza, i racconti che attraversano l’organizzazione si prestano a descrivere tanto la vicenda personale dei singoli soggetti, quanto la vicenda complessiva dell’organizzazione stessa. Per certi versi, gli attori organizzativi appaiono infatti sempre in equilibrio tra il desiderio di appartenenza alla comunità di riferimento e la tendenza ad emanciparsene: si riconoscono in schemi interpretativi già presenti e diffusi, ma allo stesso tempo si ri-posizionano rispetto ad essi e li re-interpretano. Le storie nell’organizzazione si configurano così come elemento di mediazione culturale su tre livelli: la dimensione soggettiva, la dimensione intersoggettiva e la dimensione istituzionale. Se quest’ultimo è il livello delle narrazioni ufficiali, egemoni ed imposte dall’alto, è nel livello di mezzo, quello in cui si costituiscono sia i gruppi formali sia quelli informali, che emerge realmente la polifonia di significati dell’organizzazione. Accanto alle narrazioni canoniche, allineate a quelle ufficiali, esiste infatti un sottobosco di contronarrazioni, racconti apocrifi che rilevano la presenza di diverse sub-culture alternative (con relativi sistemi di valori, leader locali, eroi ed antieroi) che investono di ambiguità ed interrogativi la cultura dominante. L’impresa diventa così “una vera e propria arena, nella quale i diversi gruppi che portano interessi particolari e specifici negoziano, si confrontano, entrano in conflitto anche attraverso la produzione di storie.”111

A saperle ben interpretare quindi, le micronarrazioni diventano uno dei più efficaci strumenti per analizzare i rapporti intersoggettivi e le dinamiche di gruppo all’interno di un’organizzazione: fanno emergere le alleanze, circoscrivono le coalizioni, portano alla luce i conflitti, in un modo che rimane di norma conflittuale. Si potrebbe aggiungere che ogni tribù organizzativa presenta i propri temi preferiti e le proprie trame consolidate; le ripetizioni si sommano, perché gli attori della medesima sub-cultura tendono a ritornare spesso agli stessi episodi ed aneddoti costitutivi dell’identità comune. Questo non vale soltanto a livello di contenuti, ma anche a livello strutturale, con il ricorso

110 Id., Stories of the Storytelling Organization: A Postmodern Analysis of Disney as “Tamara-land”, in Academy of Management Journal, 38 (4), 1995, pp. 997-1035.

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a percorsi narrativi standard: schemi sedimentati, indipendenti dai contenuti specifici e riconducibili piuttosto alla medesima visione dell’organizzazione e del mondo. Per esempio, il romanzo di formazione ed il mito delle origini sono i generi più praticati dal management, che spesso tende ad attribuire ad un personaggio pseudoerorico (il fondatore o figure affini) un ruolo di fulcro valoriale e al suo percorso di crescita professionale-esistenziale una giustificazione dei successi del presente, o una garanzia per quelli del futuro.

È senz’altro vero però, la categoria dell’epica autocelebrativa rischia di cedere il passo a modelli alternativi, soprattutto in quei gruppi organizzativi che, in eventuali momenti di difficoltà, pagano il prezzo più altro in termini emotivi, economici o genericamente umani: nei contesti di dissenso e interferenza avviene che siano molti meno gli eroismi raccontati e molte più le storie di frustrazione, paura, tensione, ingratitudine... In queste forme di contronarrazione, quando la speranza è sostituita dallo sconforto prevale il genere della tragedia; quando a prevalere è invece il disinteresse, ecco emergere trame più disimpegnate caratterizzate dall’ironia, dalla satira, dal melodramma. Manifestazioni privilegiate di micronarrazioni apocrife sono infatti la caricatura, il soprannome, lo scherzo, il pettegolezzo; storie di questo tipo diventano uno strumento efficace per unire quegli attori che condividono ansie e preoccupazioni, permettendo loro di dare sfogo alle pressioni che li riguardano, e portando così alla luce le dinamiche conflittuali con la classe dirigente. I fatti organizzativi quindi si prestano sempre a processi di storificazione (e quindi di sensemaking) diversi a seconda della prospettiva gerarchica da cui si osservano, delineando così trame differenti che contribuiscono alla co-creazione di un sistema di significati complesso, plurale e polivalente. Di questo processo interpretativo può essere opportuno fare ora un esempio.

2.3.4 – Supremazia narrativa, gerarchie e strategie di controllo

Era stata convocata una riunione per i dirigenti a Milano, in un bell’albergo. Lo avevo saputo con un certo anticipo perché era indispensabile essere presenti. Il nuovo direttore vendite, che aveva anche assunto l’incarico di amministratore delegato con la convention di Torremolinos era arrivato in azienda da qualche settimana e aveva già presentato i suoi progetti per il futuro in un precedente incontro, ma voleva ancora mettere in evidenza alcuni punti. Il messaggio era chiaro: “O con me o contro di me; chi mi segue resta, chi non mi segue, va.” Io ero infastidito da questo atteggiamento di chi si confronta solo con sé stesso: a sentire lui sembrava che negli ultimi anni nessuno avesse fatto nulla, che in azienda nessuno capisse niente. Eppure le cose, fino ad un certo punto, erano andate bene anche senza di lui. Come tanti colleghi pensavo: “ma cosa vuoi, sei appena arrivato; cerca prima di capire come funziona l’azienda, poi parli”. Un uomo proprio arrogante, che non annovera tra le sue armi la diplomazia. Comunque, se guardo gli utili, tanto di cappello, è bravo. Ha un modo di lavorare un po’ freddo, senza tanti bla-bla, ma i risultati ci sono.112

Questa testimonianza aziendale raccolta in uno studio di Claudio Cortese sembra presentare tutti i caratteri di spontaneità, informalità e soggettività di quei prodotti comunicativi che abbiamo voluto chiamare micronarrazioni. Il tema del rinnovamento della classe dirigente sembra realizzarsi nel classico confronto-scontro generazionale, delineando la presenza di due schieramenti: il vecchio management del passato contro il “nuovo che avanza” che, negli anni, ha saputo ritagliarsi uno spazio sempre più centrale nelle dinamiche aziendali, passando dal ruolo di alternativa interna

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a quello di fulcro strategico. Dalla prospettiva emergente nella citazione, il rinnovamento, incarnato nella persona del nuovo CEO, è visto con scetticismo, ostilità e preoccupazione, e lo stesso

cambiamento di rotta nella gestione dei rapporti interpersonali provoca un certa perplessità. Nell’interpretazione a cui questa situazione organizzativa si presta, bisogna tuttavia considerare la presenza di almeno un punto di vista speculare e complementare (quello che possiamo attribuire al rinnovato management), per cui gli stessi eventi si incastrano a formare una trama necessariamente diversa, fatta di fiducia, entusiasmo e speranza per il futuro; “l’arroganza” del nuovo corso diventerà così, in un’ottica del tutto ribaltata, efficace decisionismo, premiato tra l’altro dai risultati. In quest’ottica, si affermano cioè almeno due possibili sistemi di valori a cui far aderire l’evento-convention ed altrettanti percorsi di significazione che esso può generare. Non solo: come verrà percepita e raccontata la medesima situazione aziendale da gruppi o sottogruppi posizionati ad altri livelli e con altri ruoli strategici?

È verosimile pensare che esisteranno n versioni dello stesso evento da cui emergeranno significati diversi a seconda del programma narrativo in cui quei racconti verranno orientati. Le