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StoryLab nasce da un’iniziativa spontaneamente sviluppata all’interno di Noise+, e successivamente formalizzata per essere proposta a soggetti istituzionali come progetto coordinato di comunicazione ad approccio narrativo. Da un lato, quindi, risponde al desiderio di testare il patrimonio di conoscenze accumulate, attraverso quella che si potrebbe definire un complesso ed articolato esercizio di verifica; dall’altro, vuole offrire alle università coinvolte uno strumento non convenzionale di relazione con i propri pubblici, sperimentando forme di dialogo non abituali e fornendo un format discorsivo potenzialmente replicabile. Per queste ragioni, il rapporto tra gli attori di volta in volta interessati ha assecondato i tempi e i modi di una collaborazione professionale. L’intero processo è stato quindi gestito secondo le prassi di una campagna di comunicazione ad approccio narrativo, nel rispetto dei rispettivi ruoli e delle fasi operative previste, così come esplicitate nel modello di storytelling operation complessivamente formalizzato nel cap. 2. Oltre ad una serie di piccoli prodotti una tantum e di operazioni che, allo stato attuale, sono ancora in fase di trattativa e/o di definizione, il progetto ha avuto, sostanzialmente, due declinazioni principali: Glocal StoryLab, l’iniziativa originaria sviluppata all’interno dei confini dell’Università del Piemonte Orientale, e Unisi StoryLab, attraverso cui il modello è stato esportato e ricodificato per dell’Università degli Studi di Siena. In entrambi i casi, lo svolgimento ha tentato di rispettare la sistematizzazione indicata nello schema in 2.4.3, pur nel rispetto delle esigenze specifiche delle singole realtà. Si è partiti quindi da una fase di progettazione strategica, in cui è stato identificato il team gestionale e quello operativo, sono stati stabiliti i ruoli e le competenze, sono stati definiti gli obiettivi e i risultati attesi, in considerazione delle risorse e degli strumenti a disposizione. Solo dopo aver analizzato i destinatari del discorso organizzativo e aver concordato una timeline con le tempistiche e le scadenze, si è passati all’ideazione del piano narrativo. A questa fase più strettamente creativa appartengono la stesura della mappa dei significati e della struttura valoriale da

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comunicare, la progettazione della core-story e dello storyworld, ovvero la trama basica e l’universo del racconto da animare di eventi e da popolare di esistenti. Nel momento ideativo sono incluse anche le operazioni – fondamentali e complementari – delle scelte stilistico-espressive e di definizione degli habitat mediatici in cui il la narrazione troverà residenza.

Solo in seguito a queste attività, è possibile passare consapevolmente allo sviluppo operativo, che comprende tutte le attività di produzione e distribuzione del racconto istituzionale. Centrale in questa fase è, naturalmente, la realizzazione dei singoli output progettuali, che, come approfondirò nella descrizione del format, nel caso di Storylab consistono prevalentemente in prodotti audiovisivi seriali di breve durata. La realizzazione dei videoracconti ha necessitato un articolato lavoro di ideazione, produzione e postproduzione, che ha coinvolto risorse diverse e ha richiesto la padronanza di strumenti tecnico-creativi di varia natura. Gli output sono stati poi resi pubblici coerentemente ad un prestabilito piano editoriale di diffusione, durante la quale sono state previste forme di monitoraggio della ricezione, con attività di moderazione, interazione e, in generale, controllo della conversazione. Infine, giunto al termine il periodo di distribuzione e conclusa, di fatto, la performance narrativa, ogni storytelling operation prevede comunque una fase di analisi dei risultati; ad essa corrisponde un’attività di interpretazione qualitativo-quantitativa del lavoro svolto, anche in considerazione di eventuali feedback raccolti tra i destinatari della campagna comunicativa e tra gli attori in essa direttamente coinvolti. I dati raccolti vengono così confrontati con gli obiettivi preventivati, in modo da ottenere un riscontro sugli aspetti positivi del metodo e anche su quelli, viceversa, perfezionabili in un’ottica futura.

Detto del modello d’intervento che si è tentato di seguire nel modo più rispettoso possibile, è però importante notare che, per ogni singola declinazione progettuale, è stata decisiva la capacità di adattare lo schema teorico alle circostanze di applicazione. Come è intuibile, si è cioè rivelato necessario tenere in considerazione le specificità caratterizzanti i singoli contesti organizzativi; ogni realtà accademica possiede infatti peculiarità tali da richiedere, di volta in volta, comportamenti operativi inediti, ritagliati a seconda delle situazioni e delle esigenze. Questo è stato possibile grazie ad un’interpretazione del modello aperta ed elastica, in cui spesso la teoria si è adattata alla praticità dell’occasione. Per rendere sostenibile il processo, si è quindi cercato di centralizzare, laddove possibile, lo sforzo produttivo, affidando la responsabilità operativa e gestionale ad un team estremamente compatto; questo, in modo tale da ottimizzare i tempi e da non disperdere energie, anche in rapporto alle risorse di tempo ed energie a disposizione di un format di institutional storytelling di cui è il momento di cominciare ad esplicitare le caratteristiche fondamentali.

5.2.1 – Il format e la dimensione diegetica

Si potrebbe descrivere StoryLab come un progetto di comunicazione istituzionale ad approccio narrativo, di tipo audiovisivo e seriale, fondato sulle logiche dell’infotainment. La sua missione fondamentale è infatti quella di costruire e distribuire contenuti in cui coesistono una componente informativa ed una componente narrativa, bilanciate all’interno di una cornice di intrattenimento. Il format si fonda sostanzialmente su una serie di prodotti audiovisivi brevi, in cui i protagonisti condividono esperienze personali autentiche, situazioni e momenti di vita vissuta. Fulcro

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dell’iniziativa sono infatti dei videoracconti di durata oscillante tra i 4 e gli 8 minuti, e prevalentemente destinati ad una diffusione online, su canali istituzionali già esistenti e/o su altri appositamente creati. Tali docu-racconti sono stati realizzati in un numero prestabilito di 10 per l’Università del Piemonte Orientale, nel numero di 5 per l’Università degli Studi di Siena e in singoli output unitari per le declinazioni secondarie del format.

Si tratta fondamentalmente di una collezione di vicende individuali esemplari, riconducibili per ogni progetto ad una matrice tematica comune, che ciascuno dei personaggi coinvolti è stato chiamato a sviluppare a partire dalla sua specifica prospettiva esistenziale. Il processo di significazione narrativa procede dunque in modo induttivo: le storie particolari agiscono cioè come spunto di riflessione per considerazioni di carattere generale, istituendo un legame tra una dimensione individuale e una dimensione collettiva. In quest’ottica, si potrebbe dire che StoryLab aspiri a rappresentare un tentativo di sintesi tra le due distinte modalità in cui la narrazione trova manifestazione in un contesto organizzativo: lo storytelling nell’organizzazione e lo storytelling dell’organizzazione. Infatti, riprendendo queste due categorie introdotte in 2.1.2, le testimonianze soggettive dei protagonisti potrebbero essere a pieno titolo considerate micronarrazioni, perché sono i singoli individui organizzativi a detenere il capitale narrativo di partenza, permettendo così di interpretare l’istituzione come un contenitore di storie. Allo stesso tempo però, l’università è da considerarsi anche un produttore-distributore di storie, perché questo capitale narrativo diventa parte di un racconto coerente ed unitario, costruito dall’organizzazione stessa in modo consapevole e programmatico.

Le distinte micronarrazioni convergono così ad alimentare il medesimo sistema di senso, la mappa di significati che appartiene all’istituzione e la descrive nel suo insieme. Il momento fondamentale di questo percorso di sensemaking è rappresentato da una performance di conversazione orale registrata svolta tra un enunciatore ed un enunciatario, impostata secondo la metodologia dell’intervista narrativa. Si tratta di un modello di dialogo “sbilanciato”, tra due interlocutori (lo storyteller e lo storytaker) che condividono una esplicita intenzionalità diegetica: l’interazione è infatti consapevolmente orientata alla raccolta di materiale narrativo, da rintracciare nella vicenda umana del soggetto parlante. In altre parole, lo storyteller esplicita il ricordo di alcune parti o alcuni aspetti della propria vita, per i quali è possibile giungere, come detto, ad un’attribuzione di significato generale. Questo, sotto la guida discreta dello storytaker, in modo che l’empatia della conversazione faccia emergere in modo spontaneo le trame ed i temi più validi. Al momento del dialogo segue una fase di interpretazione e rielaborazione, ma le modalità di svolgimento dell’intervista narrativa sono già di per sé un aspetto molto delicato, perché la raccolta dei contenuti rappresenta un momento chiaramente decisivo dell’intera storytelling operation. Per questo, si è cercato di seguire un metodo rigoroso ed attendibile, alla cui descrizione ho dedicato il paragrafo immediatamente seguente.

Nella convinzione che lo spirito più autentico di un’organizzazione si manifesti nelle esperienze dirette delle persone che la vivono in prima persona ogni giorno, i soggetti coinvolti come narratori sono stati, nella quasi totalità dei casi, studenti universitari. Da un punto di vista formale, si è scelto di compiere un’identificazione tra enunciatori e destinatari del racconto di marca-università; trattandosi di un progetto di storytelling istituzionale destinato alla comunità studentesca, di fatto,

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la responsabilità enunciativa è stata delegata agli stessi studenti, con l’obiettivo di superare la distanza percepita tra istituzione che comunica e destinatari del suo discorso. Nel concreto quindi, gli output fondamentali del progetto StoryLab consistano in storie di vita universitaria raccontate dalla viva voce degli studenti che ne sono stati protagonisti, e destinate prevalentemente ad un pubblico di pari.

Anche la dimensione del linguaggio non può che essere coerente ad una prospettiva comunicativa che potremmo definire da studenti a studenti. Come detto, le scelte espressive sono ricadute sul codice del racconto audiovisivo, anche in considerazione del core business di Noise+, dell’orientamento del mio percorso formativo in azienda e del sistema di competenze che è stato ritenuto strategico sviluppare. In più, oltre a essere sembrato il più adatto alle caratteristiche degli habitat mediatici scelti per il contatto con i destinatari, il linguaggio audiovisivo è anche quello che meglio si presta a forme di “sperimentazione controllata”. Nel rispetto della sua vocazione laboratoriale, il progetto si è infatti aperto a soluzioni creative non convenzionali, ad uno sviluppo distributivo transmediale (online e offline) ed ad una mescolanza di tecniche, di linguaggi e persino di lingue storico-naturali (italiano e inglese). La conversazione si è mantenuta su un registro informale e social-friendly, e la varietà di narratori coinvolti ha permesso la moltiplicazione dei punti di vista e dei possibili percorsi di significazione. Ai diversi narratori corrispondono infatti altrettante prospettive interpretative, che donano al discorso istituzionale una dimensione polifonica, eterogenea, co-partecipativa.

Ad ogni modo, la caratteristica più distintiva del format, comune a tutte le sue declinazioni e necessaria per poter inquadrare StoryLab come iniziativa storytelling-oriented, rimane la sua narratività, ovvero la densità di elementi diegetici presenti. In 2.2.3 ho formalizzato una proposta interpretativa che identifica due opposte tendenze nella comunicazione ad approccio narrativo, distinte, appunto, dalla più o meno marcata presenza di istanze tipicamente riconducibili alle scienze del racconto: hard storytelling e soft storytelling. Per quanto non si possano considerare come due orientamenti nettamente separabili, in un progetto appartenente al primo gruppo, dovrebbero essere riconoscibili un numero maggiore di marcatori diegetici che in un progetto appartenente al secondo. Da questo punto di vista, StoryLab è stato progettato partendo dalla volontà programmatica di strutturare un format comunicativo che fosse il più narrativo possibile, e che potesse quindi essere inquadrato nella categoria dello storytelling organizzativo propriamente detto (hard storytelling). Ma quali sono i caratteri contenutistici, formali e strutturali che ci permettono di affermarlo?

In modo più o meno evidente, è possibile riconoscere nel progetto una stratificazione diegetica su più livelli. Come detto, i materiali di partenza possono essere accolti sotto la definizione di micronarrazioni, e, in quest’ottica, rappresentano già di per sé delle storie. Le interviste possiedono infatti una esplicita intenzionalità diegetica, che viene condivisa a priori dagli attori partecipanti alla conversazione: per questo, le testimonianze raccolte dalla voce dei protagonisti vengono da loro presentate in una forma che possiamo già considerare protonarrativa. Nella fase di postproduzione poi, un’attività di interpretazione e rielaborazione porta i videoracconti ad una versione organica, idonea alla distribuzione secondo gli scopi e le modalità prestabilite del discorso istituzionale. All’interno dei singoli episodi sono poi riscontrabili diversi esistenti che si prestano ad una chiave

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di lettura di tipo narrativo. Innanzitutto, dei personaggi riconoscibili come tali ed in interazione tra di loro: parlo ovviamente degli storyteller, ma anche dello storytaker, una presenza visibile all’interno del racconto e costante in tutti i capitoli, con il quale ogni narratore-protagonista interagisce, intrattenendo quella che può essere interpretata come una vera e propria relazione intradiegetica. Inoltre, sia per il progetto UPO sia per il progetto Unisi, si è deciso di articolare uno storyworld coerente,

ovvero uno spazio del racconto dalla caratteristiche riconoscibili che, oltre ad accogliere i personaggi, è popolato da elementi identitari ricorrenti (taccuini, gomitoli, aeroplanini di carta, lavagne…) che partecipano alla definizione e alla circoscrizione dell’universo diegetico. Secondo un’impostazione narratologica assodata, oltre che dalla presenza di esistenti, una storia è identificabile come tale dallo svolgersi di eventi che ne determinano un andamento evolutivo- trasformativo: quella che possiamo chiamare trama. Per questo, all’interno di ogni output del progetto StoryLab è stata prevista una performance, un momento di azione rappresentata nel quale si compie un passaggio da uno stato diegetico ad un altro. A questo proposito, è interessante osservare come lo storyteller abbia quindi una doppia responsabilità narrativa, in quanto protagonista non solo di ciò che dice, ma anche di ciò che fa. In quest’ottica, il programma narrativo appare così strutturata su due livelli distinti: il livello di ciò che il narratore racconta, appartenente al suo passato, più o meno recente, e veicolato attraverso il linguaggio audio; e il livello di ciò che il narratore svolge in scena mentre racconta, appartenente al presente della rappresentazione e veicolato attraverso il linguaggio video.

Da un punto di vista strutturale, un’ulteriore caratteristica che ci permette di considerare il progetto come storytelling-oriented è la dimensione della serialità. All’interno di ogni specifica declinazione istituzionale, i singoli videoracconti sono stati concepiti in modo da avere tra loro elementi di continuità tali da trasmettere la percezione di un'unica storia polifonica, divisa in più capitoli tra loro sequenziali. Oltre alla presenza, come detto, di esistenti, ambienti e personaggi riconoscibili, l’intenzione seriale è esplicitata nell’organizzazione nominale dei videoracconti, che sono stati ordinati come fossero capitoli di una stessa serie o stagione. È però soprattutto nel momento performativo che emerge il tentativo di condurre gli output verso un punto di convergenza comune, ad una dimensione di continuità e consequenzialità che sarà più concretamente comprensibile quando affronterò la descrizione dei singoli casi.

In quest’ottica, diventa argomento interessante e, allo stesso tempo, complesso, definire la tipologia di serialità che caratterizza questo progetto di comunicazione ad approccio narrativo. Come già accennato in precedenza, nelle scienze della narrazione tradizionali è diffusa una distinzione tra serial endoforici e serial esoforici; per definizione, nei primi, l’unità diegetica corrisponde all’unità strutturale, a differenza dei secondi, nei quali la trama oltrepassa la suddivisione organizzativa e si sviluppa attraverso una pluralità di episodi consequenziali. Dire con quale dei due casi abbiamo a che fare nel caso di StoryLab risulta, in realtà, non del tutto scontato; se da un lato infatti, ad ogni capitolo corrisponde una storia che si apre e si chiude, dall’altro, nei momenti performativi sembra essere suggerita l’idea di una continuità diegetica che attraversa i diversi episodi. La situazione non è, in sostanza, inopinabile; ci si potrebbe quindi azzardare a definire StoryLab una storytelling operation a serialità eso-endoforica.

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Infine, tra gli elementi diegetici riscontrabili si può indicare l’uso nel discorso progettuale di una terminologia esplicitamente ispirata alla prassi del racconto (“Let the story begin”, per fare un esempio). Nel complesso, in base a quanto elencato, è condivisibile sostenere la presenza nel format di indicatori di narratività piuttosto numerosi ed evidenti; nonostante quindi una eventfulness non elevata, data da una trama non particolarmente elaborata, si potrebbe affermare che in StoryLab vi sia una densità diegetica sufficiente per poter parlare di ipernarrazione e di hard storytelling. Al di là delle catalogazioni formali comunque, ciò che rende tale iniziativa un’operazione di comunicazione narrativa propriamente detta è il rispetto quanto più rigoroso possibile del modello d’intervento formalizzato, la cui affidabilità è messa alla prova in ciascuna fase operativa del processo, a partire da quella della raccolta dei contenuti narrativi.

5.2.2 – La raccolta dei contenuti. Metodologia e caratteristiche dell’intervista narrativa

L’intervista audio-videoregistrata rappresenta uno strumento analitico polivalente, disponibile a diversi ambiti di applicazione, che spaziano dalla ricerca sociologica a quella antropologica, da quella psicologica a quella linguistico-letteraria. In un contesto di storytelling organizzativo, è naturalmente la sua versione ad orientamento narrativo ad offrire maggiori possibilità di sviluppo operativo, soprattutto a livello di quella che, ricorrendo ad una terminologia classica, potremmo chiamare inventio, ovvero la ricerca e selezione degli argomenti da trattare nel racconto istituzionale. Nel complesso, si potrebbe considerare l’intervista narrativa come un’interazione comunicativa orale tra un soggetto intervistatore ed un soggetto intervistato, il cui obiettivo è la generazione di conoscenza; a tutti gli effetti quindi, la relazione tra lo storyteller e lo storytaker risponde ad un’esigenza creativa, orientata alla raccolta di informazioni disponibili ad un trattamento di rielaborazione ed interpretazione a fini diegetici. Una performance discorsiva di questo tipo diventa, in quest’ottica, un contenitore di senso allo stato grezzo, dal quale attingere contenuti da integrare all’interno di una medesima semiosfera.

È giusto premettere che, trattandosi di una metodologia di tipo qualitativo, essa implica una certa dose di soggettività e persino, con la dovuta cautela, di imprevedibilità. Ciò non significa ovviamente che l’intervista narrativa sia un’attività del tutto casuale, ma senza dubbio si tratta di un processo aperto e non sempre lineare, al cui interno possono intervenire diverse variabili. La conversazione non deve essere affrontata come un tentativo di ricostruzione storico-cronachistico, bensì come una finestra che i soggetti intervistati aprono sulla percezione di sé e del proprio mondo. Non solo quindi l’intervistatore-guida non può mantenere il pieno e costante controllo della performance discorsiva ma, per certi versi, non deve: secondo Robert Atkinson, che all’intervista narrativa ha dedicato un notevole sforzo di formalizzazione, “la chiave per realizzare l’intervista ideale sta nella flessibilità e nella capacità di adattarsi a circostanze specifiche”273. Proprio a causa

dell’elevata elasticità del metodo generale, è però importante stabilire un modello operativo di riferimento, al cui interno siano ammissibili variazioni ed eccezioni, mantenendo tuttavia uno

273 ROBERT ATKINSON, L’intervista narrativa. Raccontare la storia di sé nella ricerca formativa, organizzativa e sociale, Milano, Cortina Editore, 2002, p. 34.

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standard di affidabilità soddisfacente. Quali sono quindi le caratteristiche metodologiche fondamentali di questo strumento, così come utilizzato nel progetto StoryLab?

Secondo Claudio Cortese, che del volume di Atkinson ha curato la prefazione, è possibile fare una distinzione sulla natura del materiale raccolto a seconda del contenuto della conversazione; l’autore divide le stories, brevi racconti in prima persona di un’esperienza temporalmente circoscritta, dalle life stories, lunghi racconti autobiografici in prima persona, e dalle histories, che egli descrive come cronache rielaborate in terza persona.274 Un’ulteriore valutazione preliminare riguarda le modalità

di raccolta delle testimonianze, la cui articolazione può essere stimolata attraverso un’intervista strutturata o un’intervista non strutturata. Nel primo caso viene condiviso con tutti i soggetti partecipanti un elenco standardizzato di domande e di possibili risposte, in un questionario che permette di disporre di dati restituiti in una forma piuttosto aggregata; nel secondo invece, sono concesse maggiore libertà ed improvvisazione durante la performance discorsiva, scelta che, da un lato permette di accedere con più profondità alla dimensione della soggettività, ma dall’altro richiede uno sforzo di successiva interpretazione più articolato. Ad un livello intermedio di rigore troviamo l’intervista semi-strutturata. Volendo collocare l’approccio seguito per StoryLab all’interno di questa formalizzazione, si potrebbe sostenere che la scelta metodologica seguita consiste nella