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Come abbiamo detto finora, il linguaggio è un sistema complesso la cui elaborazione richiede il coinvolgimento di funzioni cognitive superiori. Tale visione è condivisa dalla maggior parte degli studiosi e numerose ricerche su bilinguismo e acquisizione hanno portato ad una generale convergenza nel considerare linguaggio e funzioni cognitive intimamente legati: come mostrano gli studi che passeremo in rassegna, l’impatto che il bilinguismo ha sulle funzioni esecutive fa sì che questa condizione sia un’innegabile opportunità favorevole per migliorare le competenze linguistiche e le abilità cognitive. Tuttavia, resta da chiarire in quali termini si debbano descrivere e lo sviluppo cognitivo e queste “migliori” capacità intellettuali: molti studiosi hanno quindi optato per una verifica della relazione tra bilinguismo e miglioramento delle strategie computazionali, indagando se tale miglioramento interessi l’elaborazione di materiale sia linguistico che non linguistico. I dati raccolti sono stati poi vagliati alla luce dei recenti modelli di controllo esecutivo. Tale approccio è adottato, ad esempio, da Polczynka-Fiszer & Mauzaux (2008) che scrivono chiaramente che l’apprendimento di una seconda lingua “è un processo cognitivo altamente complesso che si appoggia in maniera conseguente sulla quasi totalità delle funzioni cognitive, in particolare su quelle esecutive […]” (p. 1398). Sempre più autori, nella lettura dei risultati sperimentali riguardanti il bilinguismo, si servono della classificazione proposta da Miyake (2000; 2008) della quale è opportuno fornire una breve sintesi. Le funzioni esecutive sono definite come i processi che controllano e regolano le attività cognitive, specificamente l’esecuzione e il controllo dei

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comportamenti finalizzati nelle situazioni nuove e complesse (Norman & Shallice, 1986). Negli anni novanta Rabbit (1997) identificava sette funzioni definite da due criteri comuni:  Criterio di novità: formulazione di uno scopo, pianificazione, comparazione dei piani elaborati, messa in opera del piano selezionato fino al suo compimento finale e sua eventuale correzione in caso di fallimento.

 Criterio di metacognizione: ricerca deliberata o cosciente di informazioni in memoria, inibizione delle risposte in competizione, coordinazione della realizzazione simultanea di due obiettivi, individuazione e correzione degli errori per il mantenimento dell’attenzione sostenuta su dei lunghi periodi.

Più recentemente, come già detto, Miyake et al. (2000; 2008) hanno proposto un modello esecutivo composto di tre parti distinte.

1. Flessibilità: rinvia alla capacità di ragionamento e di problem-solving e più precisamente alla capacità di alternare e cambiare strategia cognitiva secondo i bisogni del compito in corso, quando il percorso intrapreso si rivela inefficace. 2. Inibizione: questa funzione consiste nell’evitare le informazioni estranee al target. 3. Aggiornamento: aggiornamento delle informazioni trattate nella memoria di

lavoro27, attraverso la soppressione di quelle divenute non pertinenti e obsolete per il compito in corso.

27 Prima di addentrarci oltre nei dettagli è necessario chiarire in quale modo la memoria venga utilizzata

nell’apprendimento e della rappresentazione del linguaggio, accennando brevemente alle distinzioni che concernono le componenti implicate nella ritenzione temporanea, in opposizione alla ritenzione duratura dell’informazione. Esse sono rispettivamente la memoria a breve termine (MBT), o memoria primaria, e la memoria a lungo termine (MLT), o secondaria.

La memoria a lungo termine può ritenere una grande quantità di informazioni per un tempo anche molto lungo (anni) e la codificazione prevalente è quella semantica, cioè quella che fa riferimento al significato dello stimolo. Una prima distinzione interna alla MLT chiama in causa il concetto di consapevolezza: la memoria dichiarativa (o esplicita) comprende l’insieme delle conoscenze a cui si ha accesso consapevolmente, mentre nella memoria non dichiarativa sono comprese le abilità motorie, percettive e cognitive, il priming e i comportamenti derivati dal condizionamento, il cui ricordo dell’avvenuto apprendimento è dato da una modificazione del comportamento. Altre distinzioni devono essere prese in considerazione all’interno di questi due gruppi:

1. Memoria dichiarativa.

a. Memoria episodica: eventi datati temporalmente, contesto spazio-temporale ben definito ed avvenimenti di cui il soggetto può essere stato protagonista (memoria autobiografica).

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Questo modello sembra al momento rendere conto della diversità delle funzioni esecutive e del contributo che esse danno nel corso dell’esecuzione di compiti complessi. Una delle abilità bilingui gestite dalle funzioni superiori è la capacità di switching, cioè di scegliere la lingua in funzione del proprio interlocutore. Secondo Kutzuki (2006) essa si mette in atto fin dalla più tenera età, poiché i bambini bilingui prendono coscienza già ai primi stadi dello sviluppo della necessità di passare da una lingua all’altra, grazie alla consapevolezza del contesto nel quale si trovano; non solo, essi riescono ovviamente a padroneggiare la modalità di inibizione di fronte a due sistemi di lingue attivate simultaneamente, funzione considerata come una delle più complesse a realizzarsi a causa dello sforzo costante che richiede in termini di controllo, inibizione e aggiornamento. Quindi, l’idea generale è quindi che più le informazioni da trattare sono complesse, come nel caso dello switching, maggiore sarà l’intervento delle funzioni esecutive. I primi studi sullo switching hanno dunque sollevato numerosi interrogativi relativamente agli atteggiamenti particolari del bilingue rispetto al monolingue, poiché l’idea generale che sembra emergere è che i primi siano più “performanti” dei secondi in certi compiti che necessitano dell’intervento delle funzioni esecutive, poiché esse saranno

b. Memoria semantica: conoscenze generali relative al linguaggio, come il significato delle parole, e conoscenze più generali riguardo il mondo. Non hanno una precisa connotazione spazio-temporale.

2. Memoria non dichiarativa.

a. Memoria procedurale: apprendimento di abilità motorie, percettive e cognitive.

b. Priming: facilità maggiore a produrre una risposta se si è stati precedentemente espost ad essa.

c. Condizionamento classico e apprendimento non associativo. Nel primo, uno stimolo neutro per l’organismo è associato a uno stimolo che evoca una certa risposta, fino a quando lo stimolo neutro sarà capace, da solo, a produrre la stessa risposta. Il secondo consiste nella diminuzione o nell’aumento di una risposta dopo ripetute presentazioni di uno stimolo.

Nell’ambito della memoria a breve termine, nel 1974 Baddeley & Hitch hanno introdotto il concetto di memoria di lavoro: si tratta di un magazzino a capacità limitata che serve a trattenere le informazioni per breve tempo e a eseguire operazioni mentali sui contenuti di questo magazzino. Contiene, infatti, informazioni passibili di elaborazione da parte dei processi cognitivi. La memoria di lavoro comprende un meccanismo di controllo, l’esecutivo centrale, che supervisiona due sistemi subordinati che riflettono il codice specifico usato: il circuito fonologico (MBT verbale) e il taccuino visuo-spaziale (MBT visuo-spaziale). L’esecutivo centrale coordina l’attività dei due sistemi e l’interazione con la con la MLT, distribuendo le risorse attentive sui vari compiti da svolgere. Il correlato neurale di questo sistema è localizzato a livello del lobo frontale, deputato anche alla pianificazione e ai meccanismi di problem solving.

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più allenate rispetto ai soggetti monolingui. Per esempio, secondo uno studio elettrofisiologico, con fRMI e con potenziali evocati, condotto da Rodriguez-Fornells et al. (2002), i bilingui sembrano sollecitare maggiormente le loro funzioni esecutive in numerosi compiti, come quelli di inibizione linguistica del tipo GO/noGO che poggiano su differenti livelli di analisi (fonologico, lessicale, semantico-sintattico). Gli autori ipotizzano che il soggetto bilingue, al fine di gestire lo “switch” e i processi di inibizione che permettono di evitare un’eventuale interferenza della seconda lingua, compia un allenamento specifico di certe funzioni esecutive che lo porta ad un vantaggio cognitivo. Autori come Bialystok & Craig (2004; 2006) hanno condotto varie ricerche sull’effetto del bilinguismo sul controllo cognitivo dei soggetti anziani, le quali hanno mostrato che 1) i soggetti bilingui hanno un vantaggio nei compiti non linguistici, nello specifico in quelli visuo-spaziali come la Simon Task28 o l’Antisaccade Task29, 2) gli effetti negativi dell’età su certe funzioni esecutive come la memoria di lavoro, l’inibizione o l’attenzione sono attenuati. Come approfondiremo in seguito, da questo tipo di studio sono emersi dati che suffragano l’idea che il bilinguismo possa avere un effetto neuroprotettore contro l’invecchiamento cerebrale e i suoi sintomi, nonché contro vari tipi di demenza: il soggetto bilingue tenderebbe, infatti, a preservare il vantaggio dato dal meccanismo di controllo delle funzioni cognitive, il quale sarà stato particolarmente esercitato, stimolato e rinforzato dalla necessità di gestire due lingue.

Vediamo nello specifico in quale modo si declina questo vantaggio. Un numero crescente di esperimenti ha suggerito che i bilingui hanno dei vantaggi cognitivi ed esecutivi nei compiti che implicano la risoluzione dei conflitti, la flessibilità e lo switching; ciò riguarda sia bambini che adulti (Abutalebi & Costa, 2008; Bialystok 2001; 2004; Bialystok et al. 2004, 2006, 2007). Nel 2008 l’équipe di Costa, Herdandez & Sebastian-Galles ha dimostrato che, poiché obbligati in modo continuativo a controllare due lingue, i bilingui

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La Simon Task è un compito di inibizione che implica la percezione visuale e il controllo motorio. Vengono presentati dei quadrati rossi o blu su uno schermo ed è chiesto al soggetto di premere il tasto X della tastiera quando vede apparire un quadrato blu e il tasto Y quando appare un quadrato rosso. Può venire inoltre richiesto non premere alcun stato se lo stimolo visivo è preceduto da uno sonoro (un leggero bip).

29 L’Antisaccade Task permette di valutare determinati processi esecutivi (l’inibizione nello specifico).

Vengono presentati sullo schermo dei bersagli, alla destra o alla sinistra del partecipante e gli viene domandato di compiere un movimento oculare nella direzione opposta (o di premere un tasto prefissato del computer) agli stimoli presentati, ogni volta che appare un oggetto.

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risultano più veloci dei monolingui nei compiti attentivi, e che il loro network di controllo esecutivo è più efficace; inoltre, un eventuale segnale d’allerta a inizio del test pare agevolarli. I bilingui sono anche riusciti a risolvere meglio le informazioni conflittuali proposte nello Stroop Test30, dove il soggetto deve leggere a voce alta il colore scritto, il quale differisce da quello in cui la parola è stampata (Bialystok et al. 2008).

Il costo cognitivo nel passare da una lingua all’altra varia in funzione dei diversi tipi di procedura utilizzata, diminuendo se la domanda attentiva si fa più elevata. Il fatto che il vantaggio dei bilingui sia maggiore all’inizio della prova che alla fine suggerisce che gli effetti del bilinguismo siano ridotti quando una prova è eseguita in maniera ripetuta o, meglio, che i monolingui affrontino più efficacemente questo tipo di prove dopo un piccolo allenamento (non necessario per i bilingui).

Figura 2: Aspetto della terza tavola dello Stroop Test.

Gli autori formulano quindi l’ipotesi che i bilingui abbiano un vantaggio osservabile soprattutto nei compiti che richiedono un controllo attentivo elevato, la cui entità crescerebbe in rapporto all’aumento di difficoltà del compito di switch.

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Il famoso Stroop Test valuta l’attenzione selettiva e si articola in tre tavole. Nella prima viene richiesto di leggere semplicemente ciò che è scritto, ossia nomi di colori scritti tutti in nero. Nella seconda si chiede di dire il colore delle figure geometriche e, nella terza, il colore con cui è scritto ciascun nome. Tuttavia, nell’ultima tavola il colore da pronunciare è incongruente con il nome del colore scritto (es. giallo,

verde, rosso). Nel frattempo sono misurati i tempi di adempimento dello scopo prefissato. Ovviamente, ci si aspetta che il tempo per completare la terza tavola sia superiore al tempo richiesto per le prime due, incappando in quello che è definito effetto Stroop: ci viene, infatti, richiesto di svolgere un compito di selezione non solo dello stimolo (parola o colore), ma anche della risposta dadare, poiché ènecessario fare un’operazione non usuale come scindere la parola scritta dal suo significato.

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Nel 2009, Costa et al. hanno anche mostrato che il fatto di essere bilingue si ripercuote sui processi di sorveglianza coinvolti nel controllo esecutivo. Secondo gli autori, nonostante sia difficile ottenere dei pareri unanimi sulle capacità dei bilingui, in un gran numero di studi si evidenzia che essi ottengono tempi di risposta migliori dei monolingui, soprattutto quando i compiti richiedono un aggiustamento continuo alle differenti esigenze o domande associate ai diversi tipi di sotto-compiti nella stessa prova. Oltre a quanto già detto prima, più l’informazione da elaborare è complessa, migliori sono i risultati e i tempi di risposta dei bilingui: essi sono, secondo gli autori, avvantaggiati nei processi di gestione dei conflitti o di risoluzione di problemi complessi.

Le conclusioni di quest’ultima ricerca sono state confermate da altri studi, tra i quali quello di Moreno, Bialystok, Wodniecka & Alain (2010), basato su due prove di giudizio in termini di accettabilità e di grammaticalità. I soggetti dovevano determinare se le frasi proposte erano accettabili dal punto di vista del senso e se erano sintatticamente corrette. I soggetti bilingui adulti, risultati meno precisi di quelli monolingui nel compito di decisione semantica, hanno invece avuto un risultato identico in quello di valutazione di grammaticalità (che implica maggiormente la partecipazione delle funzioni esecutive), coinvolgendo meno substrato cerebrale ai fini dell'elaborazione, a testimoniare un minore sforzo cognitivo. Tra le altre cose, l’attivazione neuronale rilevata durante l’esecuzione dei compiti linguistici assegnati è distribuita bilateralmente nei due emisferi, portando gli autori a concludere che a) tale elaborazione, meno esigente in termini di sforzo, sarebbe il riflesso di una migliore efficacia nel gestire informazioni complesse tra opzioni competitive e b) il bilinguismo influenzerebbe quindi il sistema neuronale coinvolto nell’elaborazione linguistica.

In conclusione, dai compiti non verbali emerge che i bilingui riescono meglio nelle prove più complicate, si concentrano con meno sforzo cognitivo sull’attenzione selettiva e sulla risoluzione dei problemi complessi; questo dato emerge anche nei compiti verbali per i quali la loro capacità di elaborazione globale è meno efficace o meno automatica. I soggetti bilingui ottengono risultati migliori nelle prove complesse che implicano una partecipazione più importante delle funzioni esecutive, mentre portare a termine le prove che sono più semplici per i monolingui, come quelle lessicali, costa loro uno sforzo

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maggiore, probabilmente a causa del costante conflitto tra le possibili scelte lessicali che hanno a disposizione.

1.5 Differenze nella rappresentazione neuroanatomica e funzionale