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Il linguaggio nel processo di invecchiamento non patologico

Nell’analizzare le diverse tendenze degli studi sulle ripercussioni dell’invecchiamento cognitivo nella competenza linguistica, non si può non rimarcare come, negli ultimi

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L’instabilità dei radicali liberi (o ROS, Reactive oxygen species), è dovuta alla presenza di un elettrone spaiato sull’orbitale più esterno, il quale tende a interagire con elettroni di altre molecole.

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trent’anni di ricerca, l’attenzione degli studiosi si sia orientata verso l’asimmetricità delle componenti della competenza linguistica e, di conseguenza, del cambiamento cognitivo che agisce su essa con l’età. Nello specifico, lo schema che emerge dalle evidenze empiriche mostra come la distinzione tra processi linguistici di input e processi linguistici di output si riveli decisiva nella valutazione degli effetti dell’invecchiamento sul linguaggio.

Con input ci riferiamo alla capacità di discriminazione fonetica e fonologica, che permettono di riconoscere i suoni che formano le parole, di recuperare dati semantici e sintattici di parole e frasi: in generale, ci riferiamo a tutto ciò che è classificato come “comprensione”. I dati raccolti grazie a vari compiti che mettono in luce i processi di comprensione, come ad esempio i test di cultura generale e di competenza lessicale, autorizzano a pensare che la comprensione linguistica rimanga stabile anche in età avanzata e che il suo status resti quindi indipendente dal declino delle abilità sensoriali e della memoria dichiarativa che invece s verificano a causa dell’età.

Parlando di fenomeni di output, ci si concentra invece sul recupero delle componenti fonologiche e/o ortografiche delle parole e sulla loro produzione orale o scritta, cioè le competenze legate alla “produzione linguistica”. Al contrario di quanto accade con la comprensione, secondo il maggior numero di studi pare che le performance nella produzione subiscano un declino correlato all’invecchiamento. L’interpretazione di questi dati resta tuttavia complessa.

Dunque, come è stato ricordato, dai risultati dei compiti di associazione di parole e di strutturazione di categorie tassonomiche si è portati a ritenere che l’invecchiamento in condizioni non patologiche ha un effetto molto limitato sulla rappresentazione della conoscenza semantica. Giacché il processo di comprensione prevede che gli elementi della lingua target siano associati alle strutture conoscitive preesistenti, la natura di queste deve rimanere costante nel tempo, al fine di preservare questa capacità anche durante la vecchiaia. In realtà bisogna tenere conto anche del vantaggio che i lettori più anziani ricavano dall’esperienza. Al fine di ridurre l’influenza dei processi top-down Burke et al. (2000) si sono serviti in primo luogo di misurazioni effettuate per mezzo di tecniche

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senza dubbio l’effetto priming semantico38, la quale prevede, allo scopo di ottenere una riduzione del tempo richiesto per identificare una parola target, che questa, ad esempio GATTO, segua direttamente un altro termine a essa semanticamente legato, come CANE, piuttosto che uno completamente avulso da essa (come potrebbe essere COMPUTER). Poiché l’intervallo di tempo tra l’apparizione del prime e il target è troppo ridotto per permettere ai soggetti l’attivazione dei processi attentivi, gli effetti che derivano dal

priming semantico sono attribuibili all’attivazione automatica del significato durante la

percezione della parola-prime, durante la quale una certa quantità di energia viene messa in azione e messa a disposizione per l’elaborazione linguistica generale. Tale attivazione si diffonde all'interno del sistema lessicale rendendo più veloce l’elaborazione di tutte le unità linguistiche connesse al target (Collins & Loftus, 1975). Inoltre, pare che questi effetti della stimolazione semantica siano equivalenti negli adulti, più giovani o più anziani. La stessa dinamica vale anche per gli effetti priming mediati, che si osservano quando un prime è collegato al target da una parola di mediazione correlata a entrambi che, però, non viene sottoposta al soggetto. Un esempio può essere dato dalla sequenza nella quale LEONE è il prime correlato alla parola di mediazione TIGRE, a sua volta correlata al target STRISCE. Sia gli adulti giovani sia gli anziani riconoscono più velocemente la parola STRISCE se segue LEONE piuttosto che una parola che ne è totalmente indipendente dal punto di vista semantico, effetto attribuito al priming innescato dall’attivazione di LEONE e trasmesso tramite TIGRE a STRISCE. Questi effetti mediati indicano quanto estesa possa essere la diffusione delle reti semantiche. Fornisce anche la prova che l’età è un fattore irrilevante per la trasmissione di una stimolazione semantica nella rete (Burke et al. 2000). Meno omogenei sembrano, ad ogni modo, i dati e le conclusioni che concernono la questione dei processi di attivazione e inibizione lessicale di tipo ortografico e fonologico. Al fine di ottenere una visione d’insieme più precisa su queste tematiche è necessario indagare sugli effetti significativi nel riconoscimento delle parole, dei fattori frequenza e somiglianza lessicale, e cercare di stabilirne l’evoluzione attraverso il passare degli anni prendendo in esame giovani adulti e soggetti anziani.

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Effetto priming: effetto psicologico per il quale l’esposizione a uno stimolo influenza la risposta agli stimoli successivi.

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La frequenza lessicale può essere descritta come un concetto generale che indica il numero di occorrenze delle parole in un sistema linguistico. Gli studi su questo argomento distinguono di solito frequenza lessicale oggettiva e frequenza lessicale soggettiva. La prima designa il numero di occorrenze di una data voce lessicale calcolate su un vasto campione di testi scritti; accessibile in molte banche dati informatizzate, ha valenza d’indicatore statistico e fornisce una misura obiettiva della frequenza utilizzata nella maggior parte delle realizzazioni linguistiche. Durante il compito di decisione lessicale, il più utilizzato nell'ambito dello studio del riconoscimento visivo delle parole, il partecipante deve decidere il più velocemente possibile se lo stimolo che appare al centro dello schermo è una parola o una non-parola. A ciascun partecipante sono presentate parole e pseudo-parole possibili (ad esempio CRURIVERE) in numero equivalente e in ordine casuale. Si registrano i tempi di risposta e la correttezza. L’utilizzo di pseudo-parole garantisce l’accesso al lessico mentale, poiché il lettore, per poter rispondere, deve “cercare” ogni volta lo stimolo, all’interno del magazzino lessicale. Se quindi consideriamo le risposte una sorta di spia dei processi di accesso al lessico mentale, i risultati mostrano che le parole frequenti sono identificate più rapidamente e più correttamente delle parole rare; ciò vale per gli adulti sia giovani che anziani. Tali risultati non evidenziano alcuna netta relazione tra l’effetto frequenza e l’età. Solo pochi studi sull’argomento hanno però preso in considerazione la familiarità delle parole, una misura strettamente correlata con quella oggettiva ma fondata sulla valutazione dei partecipanti. La maggiore pertinenza di quest’ultima rispetto alla frequenza lessicale tout court è garantita dalla varietà di età dei soggetti presi in esame, come dimostrato da Balota et al. (2004). Nel corso di studi che indagano la regressione linguistica, le cui analisi sono state condotte su dati raccolti tramite compiti di decisione lessicale e di denominazione, questi studiosi hanno, infatti, dissociato gli effetti della frequenza oggettiva da quelli della familiarità, osservando che gli adulti anziani (73.5 anni) erano più influenzati dalla frequenza oggettiva rispetto ai giovani (21.5 anni) che presentano invece un andamento speculare. Gli autori hanno interpretato tali dati in termini di effetto coorte39 fondato sulla

39 L’effetto di coorte riguarda le differenze tra popolazioni di studio comparate, che se soggette a tappe di

sviluppo tra loro vicine, saranno dovute al gruppo di appartenenza, mentre influenzate da tappe di sviluppo lontane, saranno dovute a fattori culturali.

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frequenza delle parole utilizzate. Uno studio recente ha confermato che la diminuzione dell’effetto frequenza nei compiti di decisione lessicale in base all’età (gruppo dei soggetti dai 18 ai 31 anni a confronto con quello dai 60 agli 83) dipende, considerato che le parole rare sono particolarmente sensibili per la popolazione di studio, dalla corrispondenza tra i due indicatori di frequenza, oggettiva e soggettiva. La loro interpretazione vede il rallentamento della velocità di elaborazione, che spiega i tempi di reazione degli adulti anziani più lunghi rispetto ai giovani, integrabile con l’ipotesi di una modificazione della soglia di attivazione delle parole a riposo, cioè non sollecitate.La teoria del rallentamento della velocità di elaborazione non permette, tuttavia, di spiegare di per sé la diminuzione dell’effetto frequenza osservata nei test: per rendere conto dei dati, tornano utili le ipotesi supplementari formulate nell’ambito dei modelli di riconoscimento lessicale.Nel quadro di un modello di attivazione interattiva40, la velocità di attivazione lessicale è fortemente determinata dal livello di attivazione delle parole a riposo. Benché questo modello non permetta all’origine di rendere conto degli effetti legati all’età, si può ipotizzare una modifica del livello di attivazione di base delle parole legato all’utilizzo ininterrotto del linguaggio lungo l’arco della vita e all’aumento della dimensione del lessico mentale (che, come è noto, è in continua espansione). Ciò non sembra tuttavia sufficiente per spiegare una diminuzione dell’effetto frequenza per le parole conosciute dai partecipanti. Nell’insieme, questi dati sottolineano quindi la necessità di considerare le caratteristiche peculiari delle popolazioni studiate, anche relativamente al materiale lessicale testato e alla necessità di adattare le teorie di riconoscimento delle parole all’invecchiamento.

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Secondo i modelli ad attivazione interattiva (McClellande e Rumelhart, 1981; Bell, 1990), le parole sono rappresentate a tre livelli distinti: tratti ortografici di base (per esempio segmenti), lettere e parole. I tratti di base sono elaborati per primi e quelli riconosciuti nello stimolo trasmettono la loro attivazione al livello di rappresentazione superiore (lettere); a loro volta, le lettere inviano un’attivazione alle parole con esse compatibili. Il riconoscimento avviene al livello delle parole, la parola che ha accumulato il più alto grado d’attivazione è riconosciuta come target. L’attivazione può inoltre fluire sia dal basso verso l’alto (dai tratti ortografici alle parole), sia dall’alto verso il basso (dalle parole ai tratti ortografici), e possono avvenire processi d’attivazione e d’inibizione tra parole alternative o fra tratti e lettere non compatibili. I concetti corrispondenti alle parole sono rappresentati come nodi di una rete; i legami tra i nodi corrispondono a vari tipi di relazione semantica. Una volta attivato un nodo, l’attivazione si propaga attraverso la rete ai nodi vicini.

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Numerosi studi sperimentali realizzati nel dominio dell’attenzione selettiva e che prendono in considerazione la similarità lessicale suggeriscono che l’inibizione sia interessata da un deficit connesso all’invecchiamento o che esistano effetti sottesi all’inibizione che sono sensibili al deterioramento cognitivo. Un mezzo di indagine interessante è quello fornito dall’effetto inibitore della vicinanza ortografica: le parole che possiedono un vicino ortografico rendono, infatti, più complicato il loro riconoscimento durante i compiti di decisione lessicale. Questo effetto è interpretabile in termini di inibizione lessicale, poiché, quando viene presentata una parola scritta, la sua attivazione si propaga dalle rappresentazioni delle caratteristiche delle lettere che la compongono alla sua rappresentazione lessicale; l’intermediazione grafica funziona come mezzo di interconnessione e decreta l’attivazione simultanea delle parole formalmente vicine alla parola-target. La diminuzione di questo effetto di vicinanza nei soggetti anziani, testato ad esempio da Robert, Dirk & Mathey (2010) è interpretabile alla luce di un declino del processo di inibizione lessicale dovuto all’età o di un declino combinato di attivazione e inibizione. L’aumento dei tempi di reazione si spiegherebbe in termini di rallentamento della velocità di elaborazione. L’evoluzione degli effetti dovuti alla somiglianza lessicale in concomitanza con il procedere dell’età differisce in funzione dei compiti proposti: I) l’effetto inibitore della frequenza con cui si verifica la vicinanza ortografica e l’effetto inibitore della frequenza sillabica diminuiscono durante il riconoscimento visivo delle parole, mentre II) l’effetto inibitore della vicinanza fonologica aumenta durante l’identificazione uditiva.

Al fine di osservare le modificazioni delle prestazioni cognitive nella vecchiaia sono state proposte tre teorie esplicative non computazionali:

1) Rallentamento cognitivo. Salthouse (1996) attribuisce l’abbassamento della qualità delle performance a una diminuzione della velocità di elaborazione delle informazioni. Tale diminuita velocità provocherebbe un’elaborazione accurata solo delle prime operazioni cognitive richieste dal compito. Queste, essendo eseguite troppo lentamente, non lascerebbero tempo sufficiente per eseguire le successive, rischiando come conseguenza, di essere realizzate in modo impreciso (meccanismo del tempo limitato) ed essere elaborate sempre più superficialmente a mano a mano che il tempo passa

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(meccanismo della simultaneità). Applicata all’elaborazione linguistica si traduce in un rallentamento a livello globale e in un aumento dei tempi di reazione nei compiti di decisione lessicale. A livello sopra-lessicale la velocità di lettura appare ridotta, specialmente in frasi complesse.

2) Diminuzione dei processi inibitori. Secondo Hasher e Zacks (1988), invece, a causa della progressiva riduzione delle abilità inibitorie nell’invecchiamento si assisterebbe a una saturazione dello spazio disponibile nella memoria di lavoro, a causa della presenza di una grande quantità di informazioni non rilevanti.

3) Deficit sensoriali. Baltes e Lindenberger (1997) hanno ipotizzato una stretta relazione tra deterioramento delle capacità sensoriali e cognitive, sostenendo che potrebbe essere il declino dell'acuità visiva e uditiva a influenzare la prestazione in compiti cognitivi complessi, danneggiando il messaggio sensorialmente percepito. Questa ipotesi non appare tuttavia sufficiente per spiegare i dati che testimoniano produzioni modificate anche laddove il livello percettivo sia stato controllato preliminarmente, o laddove i compiti proposti (come quelli di produzione) non richiedono input sensoriali.

Burke et al. (2004) hanno suggerito un quadro interpretativo degli effetti dell’invecchiamento specifici del dominio linguistico, ipotizzando l’esistenza di un deficit di trasmissione dell’attivazione. Questa insufficienza della diffusione dell’attivazione è stata testata tramite protocolli sperimentali che mirano a valutare i processi linguistici messi in campo nel dominio della produzione lessicale. Gli studi sulle parole “sulla punta della lingua” (tip-of-the-tongue phenomenon, TOT) sono particolarmente illustrativi a riguardo, poiché portano ad attribuire le prestazioni deficitarie delle persone anziane nel risolvere queste situazioni a una diminuzione della trasmissione di attivazione a livello semantico e fonologico, che danneggia dapprima le parole con meno interconnessioni con altri concetti in memoria come i nomi propri, ad esempio.

Tutte le teorie e i dati raccolti, in qualunque modo siano affrontati, evocano la diminuzione delle risorse con l’avanzamento dell’età e ci fanno capire che è indispensabile considerare le specificità dei processi e delle rappresentazioni implicate nell’attività linguistica da valutare. La tendenza è quindi quella di integrare teorie

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dell’invecchiamento cognitivo e quelle del linguaggio con quella del rallentamento e del danneggiamento specifico dei processi.

La questione della dissociazione dei processi soggiacenti alle performance linguistiche è centrale, se indaghiamo il campo dell’invecchiamento cognitivo: prestazioni stabili in relazione all’età possono riflettere una preservazione dei processi oppure modifiche, simultanee o di senso inverso, dei processi cognitivi. Inoltre, un declino dei processi guidati dai dati sensoriali (bottom-up) e un rinforzo dei processi guidati dalle conoscenze

(top-down), allo scopo di compensare il deficit che interessa i primi, si rivelerebbe

caratteristica peculiare dell’età avanzata e ci spinge a ribadire l’importanza dell’elaborazione di modelli linguistici specifici per analizzare le performance dei soggetti anziani.

2.3 Demenza di Alzheimer: manifestazione sintomatica ed evidenze