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Come sottolinea Favaro (2007, 2009, 2011), l‟apprendimento e l‟insegnamento dell‟italiano come L2è un percorso, allo stesso tempo, specifico, in transizione

e variabile. Specifico perché costituisce un campo di intervento che si differenzia, quanto a tempi, metodi, bisogni e modalità di valutazione, sia

39 dell‟apprendimento della lingua materna che da quello della lingua straniera; in transizione perché è destinato a risolversi e ad esaurirsi in tempi più o meno rapidi man mano che gli apprendenti diventano sufficientemente italofoni e in grado di accostarsi e di seguire i contenuti del curricolo comune; variabile in quanto, come precisa Vedovelli (2002)

“tra i principali elementi di difficoltà nella gestione didattica del processo di apprendimento è da ricordare l‟intrinseca variabilità dello stesso, causata da fattori interni all‟apprendente - gli allievi di cittadinanza non italiana differiscono tra loro in maniera significativa per storia personale e implicazioni psicologiche legate alla condizione di migrazione, biografia linguistica, cultura di appartenenza, età al momento dell‟ingresso nella scuola italiana, scolarità pregressa, bisogni e ritmi di apprendimento – sia esterni ad esso, e tale da prendere le forme, da un lato, dell‟incontrollabilità di un processo imprevedibile nella sua individualità, dall‟altro quello della creatività nell‟elaborazione delle strade e dei prodotti nell‟apprendimento”.

Vediamo alcuni aspetti di questa variabilità secondo le analisi effettuate da Favaro (2011: 70-72):

a. le biografie degli apprendenti sono molto variegate per luogo di nascita, cultura di provenienza, età al momento dell‟arrivo, situazione familiare e condizioni di vita, modalità di inserimento scolastico e motivazioni rispetto alla nuova lingua e al nuovo contesto di apprendimento e di vita. Come abbiamo visto, accanto ai discenti non italiani nati in Italia o qui arrivati in età prescolare, vi sono i ragazzi e le ragazze che hanno condotto parte della loro vita nel paese di origine e che hanno vissuto con maggiore consapevolezza il viaggio di migrazione e le difficoltà emotive ed affettive che esso può aver comportato;

b. le situazioni linguistiche differiscono notevolmente. Sempre in relazione all‟età di arrivo nel paese accogliente, vi possono essere minori che padroneggiano solo oralmente la lingua d‟origine; ragazzi che possono saper sia leggere che scrivere nella propria L1 o che possono essere già bilingui conoscendo una lingua orale e familiare e una lingua scritta, nazionale e di scolarità; inoltre le lingue di origine possono essere tipologicamente vicine o distanti rispetto alla lingua di

40 arrivo e questo può comportare una acquisizione della L2più rapida o,

al contrario, richiedere tempi più lunghi e maggiore esposizione a un input graduale, mediato e quindi più accessibile. Sulla questione della lingua materna dell‟apprendente e il ruolo della distanza tra questa e l‟italiano L2, risulta, a nostro avviso, significativa la casistica proposta

in merito da Chini (2009: 196-197):

“la ricerca dice che il divario fra la L1 e la L2 può avere risvolti importanti sulla velocità e sulle strategie acquisizionali (Odlin, 1989, Giacalone Ramat, 1994), differenziando in parte, fra di loro, i bisogni linguistici degli alunni alloglotti, richiedendo strategie e modalità di intervento diverse non solo in riferimento al livello di sviluppo dell‟interlingua, ma anche in relazione alla diversa marcatezza che le strutture grammaticali e i fonemi dell‟italiano presentano a soggetti con diversa L1. […] In generale si possono presentare alcuni casi specifici: la L1 possiede una categoria (fonologica, morfologica, sintattica, lessicale) che l‟italiano non conosce. In tal caso l‟italiano si presenta come più semplice, in un certo senso più povero, meno marcato della L1. Di norma questo caso non genera problemi. Pensiamo, ad esempio, ad alunni slavofoni che conoscono la categoria del caso nella loro L1, ma non lo ritrovano in italiano, oppure ad alunni che conoscono in L1 le fricative interdentali e non le ritrovano in italiano; talora, al contrario, l‟italiano L2 possiede una categoria (fonologica, morfologica, sintattica o lessicale) che la L1 non conosce (per esempio il genere e il suo accordo per turchi e cinesi, le affricate, per esempio palatali, come la c di cena, per gli arabofoni; le consonanti intense o doppie per gli albanofoni). In tal caso, in cui L2 è più marcata della L1, ci possono essere difficoltà acquisizionali e semplificazioni; l‟insegnamento dovrà quindi prima aiutare a cogliere la categoria e le sue manifestazioni nell‟input, poi a produrle correttamente; talora italiano e L1 posseggono la stessa categoria, ma con alcune differenze distribuzionali, morfologiche o altre che possono generare problemi (per esempio, pure l‟arabo ha l‟articolo determinativo, ma non si flette per genere e numero e ha distribuzione in parte diversa: al-kitab „il libro‟, con l‟articolo pronominale al- invariabile; l‟albanese ha l‟articolo determinativo variabile, ma posposto:

burr-i „l‟uomo‟; fik-u „il fico‟ […]; lo spagnolo ha articoli pronominali

variabili simili all‟italiano, a parte quelli elisi che non conosce, ma il genere dei sostantivi può divergere: la leche f. „il latte‟; la sal f. „il sale‟;

el bistec m. „la bistecca‟; el domingo m. „la domenica‟; in generale

comunque va detto che non tutte le differenze fra L1 e L2 causano difficoltà, di solito sono problematiche solo quelle che comportano un più alto grado di marcatezza tipologica e complessità in L2 rispetto a L1; nel corso dell‟apprendimento, nelle interlingue, si manifestano preferenze per strutture meno marcate, più naturali, trasparenti, univoche, unifunzionali,

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isomorfe, documentate anche nelle lingue naturali pienamente sviluppate e spesso nelle varietà infantili (Eckman, 1991); molti esempi sull‟italiano L2 in Giacalone Ramat, 2003).”

c. i tempi e i ritmi di apprendimento che, pur considerando le significative ricorrenze che si possono osservare nelle modalità di passaggio attraverso i diversi stadi interlinguistici, sono estremamente diversi. Essi dipendono, oltre che da motivi psicologici e cognitivi, anche, come abbiamo visto, dalla maggiore o minore distanza tra lingua di partenza e di arrivo; riguardano la durata della fase di silenzio iniziale, il tempo necessario per interagire con i pari ed acquisire le tecniche di lettura e scrittura, l‟avvento di una partecipazione attiva e autonoma negli apprendimenti comuni;

d. il contesto di apprendimento della L2che può variare da città a città e da scuola a scuola. Vi sono aree e regioni che assicurano agli apprendenti di cittadinanza non italiana specifici dispositivi nella fase di accoglienza e di acquisizione iniziale della lingua italiana e altre situazioni in cui invece gli alunni di recente immigrazione sono, da subito, immersi nell‟italiano senza poter contare su attenzioni specifiche, almeno nella prima fase;

e. i bisogni di apprendimento che possono essere più o meno complessi e che dipendono dall‟età dei discenti e dal contesto scolastico: i bambini più piccoli necessitano soprattutto di acquisire la lingua per comunicare e soddisfare i bisogni più immediati e l‟acquisizione avviene soprattutto in modo spontaneo, ludico e attraverso l‟azione (imparare facendo); per i ragazzi invece il bisogno di comunicare si intreccia con il bisogno di studiare nella L2 e quindi di recepire e riformulare concetti, idee,

astrazioni e contenuti. In questo caso prevale la dimensione cognitiva rispetto a quella linguistico-comunicativa.

Questi elementi incidono in modo determinante sull‟apprendimento linguistico e disciplinare dei discenti non italiani e richiedono, da parte dei docenti, interventi didattici adeguati, calibrati sulla base della specifica situazione linguistica, familiare, sociale e psicologica degli studenti. Infatti, come ricorda

42 Balboni (2002), “insegnare e imparare l‟italiano come seconda lingua significa avere a che fare e gestire la diversità dei tragitti e delle storie che connota fortemente il processo di acquisizione”.

Il processo di acquisizione della seconda lingua nell‟attuale situazione educativa e scolastica potrebbe pertanto essere esemplificata secondo la seguente metafora proposta da Favaro (2007: 111)

“un viaggio segnato da molte variabili, che hanno certamente a che fare con la fisionomia del viaggiatore, la sua carta d‟identità e „il bagaglio‟ che porta con sé, ma che hanno a che fare anche con la meta, più o meno distante, remota, impervia: con le tappe del cammino, le possibili acquisizioni/conquiste o, viceversa, gli inciampi e gli smacchi; con le guide più o meno esperte e consapevoli che ne accompagnano il tragitto”.

È necessario tener conto di queste premesse nel considerare i bisogni linguistici, comunicativi, relazionali ed affettivi degli allievi stranieri presenti nelle scuole ai fini di “impostare una didattica realistica e rispettosa del discente” (CHINI,2009: 185).

Una concettualizzazione completa di bisogno linguistico è insita nell‟approccio umanistico-affettivo all‟insegnamento linguistico che “tiene in considerazione non solo i bisogni comunicativi immediati e superficiali dell‟alunno ma anche quanto delle sue motivazioni profonde, dei suoi interessi, della sua affettività e della sua storia personale è legato alla lingua, o meglio, alle lingue conosciute” (Freddi, 1994: 187-191). Questa concezione „umanistica‟ di bisogno linguistico risulta essere in linea con l‟attenzione alla persona del discente sollecitata nei molti documenti, decreti ministeriali e leggi circolari sul tema che, come abbiamo visto, sono stati emanati nel corso degli anni.

In sostanza, come sottolinea Chini (2009: 188),

“ il bisogno linguistico, nell‟alunno nativo e in quello immigrato, in realtà si coniuga con una serie di altri bisogni, di natura relazionale e affettiva, ma anche identitaria e psicologica (Valtolina, 2006), oltre che cognitiva, che non possono essere trascurati, pena la banalizzazione dell‟approccio stesso di bisogno linguistico. È compito della scuola fornire e potenziare il mezzo linguistico (L1, L2, altre lingue) per consentire all‟alunno di soddisfare tali bisogni, sia immediati che profondi, o almeno per aiutarlo ad esprimerli più chiaramente a

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sé e agli altri, ponendo, tra l‟altro, le premesse perché un educatore attento possa contribuire a rispondervi”.

Sulla base del periodo di tempo trascorso nella scuola e nel paese di arrivo possiamo individuare quattro tipologie di studenti con relative caratteristiche e bisogni:

a. gli studenti neo-arrivati in Italia (NAI);

b. gli studenti arrivati in Italia nell‟anno precedente, di solito ancora poco italofoni e con basse competenze linguistiche;

c. gli studenti che frequentano la scuola italiana da due o tre anni, che sono in genere italofoni pur avendo ancora la necessità di dover contare su interventi di facilitazione e sostegno soprattutto nelle attività di studio disciplinare;

d. gli studenti stranieri nati e scolarizzati in Italia (la seconda generazione di tipo 2 vista sopra).

Lo studente appena arrivato non ha nessuna o ha una scarsa competenza nelle diverse funzioni orali e scritte in italiano mentre presenta una maggiore o minore conoscenza della sua lingua materna, a livello orale e scritto, in modo proporzionale all‟età e al periodo di frequenza della scuola nel proprio paese, una conoscenza delle eventuali altre lingue parlate sia in casa, a scuola o nell‟ambiente extrascolastico e infine, sempre se ha frequentato la scuola, una conoscenza delle lingue straniere presenti nel curricolo scolastico.

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