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La classe CAD plurilingue e multiculturale in contesto scolastico

3.2 Le caratteristiche specifiche della classe CAD plurilingue e multiculturale

3.2.3 I fattori linguistic

L‟identità linguistica della CAD non è data solamente dall‟italiano e dalle lingue

straniere parlate in classe ma è il risultato della commistione di più «repertori» linguistici e sociolinguistici (SANTIPOLO,2006: 17).

Dal punto di vista glottodidattico, promuovere l‟educazione linguistica di tutti e facilitare l‟apprendimento dell‟italiano, in un ambiente didattico caratterizzato per l‟appunto da diverse lingue, dialetti e varietà, che interagiscono e si contaminano reciprocamente, significa:

- indagare le tipologie linguistiche delle L1degli studenti;

- tener conto delle varietà socio-linguistiche delle lingue presenti in classe;

- ricostruire le biografie linguistiche degli apprendenti e raccogliere informazioni sull‟atteggiamento degli studenti nei confronti delle lingue studiate in precedenza e dell‟italiano;

- definire il profilo interlinguistico degli studenti migranti;

- tener conto dei tempi personali degli studenti necessari per l‟apprendimento delle competenze linguistiche utili per la comunicazione e per lo studio nella L2; i tempi di apprendimento

linguistico sono determinati, oltre che da fattori personali imputabili al soggetto apprendente, anche dalla minore o maggiore distanza tra la lingua materna e la lingua di arrivo: ci sono lingue che sono tipologicamente molto lontane (italiano-arabo; italiano-cinese, ad esempio) e altre che, al contrario, possono contare su «stretti rapporti di parentela» (le lingue romanze, ad esempio).

A questa «distanza oggettiva» può essere affiancata un altro tipo di distanza di natura psicologica ipotizzata da Kellerman (1979), secondo il quale l‟apprendente avrebbe una percezione personale e soggettiva della vicinanza o lontananza della L2 dalla sua lingua materna

indipendentemente dall‟effettivo grado di parentela, e, sulla base di tale percezione, sarebbe più o meno disponibile a trasferire alcuni elementi dalla L1 alla L2.

137 Come afferma Caon (2008: 142), pur non potendo contare sulla scientificità di questi studi, in quanto si basano sui giudizi ipotetici degli studenti e non su dati empirici ricavati dall‟osservazione delle loro produzioni linguistiche, è importante rilevare come elementi soggettivi quali intuizioni o ipotesi preliminari influiscano notevolmente sulle operazioni di transfer interlinguistico;

- prevedere, tenendo conto di questi fattori di variabilità, percorsi di apprendimento differenziati nei tempi, negli obiettivi e nei contenuti, per studenti provenienti da aree linguistiche diversamente distanti (o vicine) dall‟italiano.

a. Il concetto di interlingua

Il concetto di interlingua si è sviluppato a partire dalla metà degli anni Settanta, quando l‟interesse dei ricercatori che si occupavano di acquisizione linguistica, fino a quel momento rivolto principalmente ai sistemi linguistici della lingua di partenza o della lingua di arrivo, ha iniziato a focalizzarsi sull‟apprendente e sui suoi tentativi di ricostruzione del codice della L2.

Come ricorda Pallotti (1998) in questi anni si è iniziato a parlare di “competenza transitoria” (CORDER, 1967), di “dialetto idiosincratico” (CORDER,

1971), di “sistema approssimativo” (NEMSER, 1971) e infine di “interlingua”

(SELINKER 1969e 1972), termine quest‟ultimo che si è affermato ora nell‟uso

comune.

Tutte nozioni queste che miravano a sottolineare il carattere autonomo e indipendente delle produzioni degli apprendenti.

Negli anni Quaranta e Cinquanta, le teorie comportamentistiche dominavano le ricerche in ambito psicologico e linguistico.

Queste teorie attribuivano un‟importanza centrale alla formazione di “abitudini” nel processo di apprendimento.

L‟apprendimento linguistico, in particolare, era concepito come il risultato dell‟abitudine a riprodurre, per imitazione, i modelli linguistici dati e a ripetere, in modo meccanico, le sequenze linguistiche che dovevano essere apprese fino a renderle automatiche ed a interiorizzarle.

138 I ricercatori aderenti al filone di studi comportamentista spiegavano, in questi termini, l‟acquisizione della lingua materna e di tutte le abilità ad essa correlate.

Per quanto riguarda l‟apprendimento linguistico delle lingue seconde, i comportamentisti consideravano le abitudini linguistiche precedentemente apprese come un ostacolo per l‟apprendimento di nuove lingue, a causa delle possibilità di interferenza tra i diversi codici linguistici che ne potevano derivare.

Da qui, la necessità di mettere a confronto i due sistemi linguistici, di partenza e di arrivo, in modo da identificare gli aspetti linguistici sui quali gli apprendenti avrebbero potuto avere maggiori difficoltà e sui quali, pertanto, focalizzare l‟azione didattica.

Si sviluppa così in quegli anni, il filone di ricerche denominato di analisi contrastiva, il quale concepiva l‟apprendimento di una lingua come il risultato del confronto tra due serie di abitudini linguistiche, quelle già interiorizzate e quelle da acquisire.

Una svolta importante nelle teorie di acquisizione linguistica avviene negli anni Sessanta con la linguistica chomskiana e la psicologia cognitiva.

Secondo Chomsky, l‟apprendente non acquisisce una lingua rendendo automatici i comportamenti linguistici osservati e, a lungo, praticati, ma l‟acquisizione si concretizza attraverso la scoperta di regole.

Questa scoperta delle regole non avviene solo induttivamente, attraverso l‟osservazione della lingua alla quale l‟apprendente è esposto, ma richiede uno sforzo creativo dell‟apprendente.

Chomsky ipotizza allora l‟esistenza di una facoltà di linguaggio innata, il cui compito è quello di fornire all‟apprendente solo un insieme molto ridotto di ipotesi possibili sulle regole grammaticali della lingua che deve acquisire. Gli studi di Chomsky portano allo sviluppo della psicologia cognitiva che, studiando i fenomeni della memoria, dell‟attenzione, della percezione e della capacità di risoluzione dei problemi, contribuisce a modificare in modo significativo la concezione di apprendente: se per i comportamentisti, l‟apprendente era considerato come una tabula rasa, quasi completamente passivo e in balia di stimoli esterni, per la psicologia cognitiva lo studente è

139 ritenuto “un agente attivo, alla ricerca di dati per confermare ipotesi che formula autonomamente” (PALLOTTI, 1998: 19).

In quegli anni, si afferma un nuovo modo di concepire l‟errore, che sarà poi alla base del concetto di interlingua; “commettere errori è un modo per l‟apprendente di mettere alla prova le sue ipotesi sulla lingua che sta imparando” (CORDER,1967).

Interessante ciò che scrive Pallotti (1998: 19) rispetto alla nuova concezione che emerge da quanto affermato da Corder:

“l‟accento è ora tutto sull‟apprendente, sulle sue nuove strategie di ricostruzione del nuovo codice che appaiono come una dotazione innata; gli errori devono essere spiegati e previsti a partire da queste strategie e non mettendo semplicemente a confronto i sistemi linguistici di partenza e di arrivo. Naturalmente, questo spostamento di enfasi non porta a negare del tutto che almeno alcuni errori siano riconducibili all‟interferenza di un sistema linguistico con l‟altro: l‟influenza della madrelingua, però, viene fortemente ridimensionata e, soprattutto, riconcettualizzata come una strategia tra le tante che l‟apprendente impiega per nel compito di ricostruire la L2”.

In quegli anni, Selinker (1972) elabora il concetto di interlingua come “un sistema linguistico separato […] che risulta da tentativi, da parte di un apprendente, di produrre una norma della lingua d‟arrivo” (SELINKER, 1972:

214).

Questa definizione proposta da Selinker riconosce a pieno titolo la creatività dell‟apprendente che, per tentativi, si avvicina alla L2,costruendo un sistema

linguistico vero e proprio, dotato di regole precise.

Secondo questa impostazione, riprendendo le parole di Pallotti (1998:47), la lingua dovrebbe essere considerata “una continua costruzione e ristrutturazione di un sistema con funzioni comunicative precise”.

Gli studi sull‟acquisizione linguistica hanno dimostrato, che, all‟interno di questo continuo processo di costruzione e di ristrutturazione:

- esistono delle sequenze di apprendimento naturali che possono essere considerate universali perché comuni a tutte le persone indipendentemente dalla lingua di origine, dall‟età e dal contesto di apprendimento. Tali sequenze possono essere universali in quanto, come

140 ipotizzato da Chomsky, ciascun individuo è dotato di un dispositivo innato per l‟acquisizione linguistica, definito LAD (Language Acquisition

Device) che permette all‟apprendente di acquisire la lingua materna e le altre lingue imparate successivamente.

- il tempo necessario per passare da una sequenza all‟altra, ovvero da una fase dell‟interlingua a quella successiva, dipende da fattori personali legati al soggetto apprendente e da fattori sociali relativi all‟ambiente che lo circonda. Per questo motivo, l‟acquisizione della L2“non è mani

uniforme né prevedibile perché non è mai allo stesso modo che si arriva ad acquisire una L2”(TOSI, 1995: 50).

b. La Teoria della processabilità

Nel continuum interlinguistico, ossia in quello spazio ideale contenuto tra la madrelingua e la L2, si possono collocare diverse tappe dell‟interlingua

ciascuna caratterizzata da sistematicità, instabilità e varietà (PALLOTTI,1998).

Sintetizzando, l‟interlingua di ciascun apprendente può essere concepita come un insieme di regole che costruisce per scoperte graduali e continue, regole che in parte coincidono con quelle della L2,in parte sono riconducibili alla L1 e in

parte sono indipendenti da entrambe.

Secondo la Teoria della processabilità (Pienemann, 1998), che è stata formulata specificatamente per dare conto delle sequenze di sviluppo grammaticale dell‟interlingua in diverse L2, questi insiemi di regole in

costruzione, e che potremo definire «di passaggio», corrispondono a precise sequenze di apprendimento della seconda lingua che si evolvono in fasi che vengono comunemente definite prebasica, basica e postbasica.

Citando Lo Duca, la fase prebasica

“è caratterizzata dalla preferenza per mezzi pragmatici di comunicazione, il cosiddetto pragmatic mode che sfrutta e amplia le risorse linguistiche elementari possedute in L2 facendo ricorso a varie strategie: l‟uso della gestualità […]richiesta di cooperazione attiva e ricostruttiva […] ripetizione di una o più parole dell‟interlocutore come segnali di partecipazione o tentativi di memorizzazione “ (LO DUCA, 2003: 232)

141 La lingua appresa in questa prima fase è costituita da quelle espressioni che Pallotti definisce «moduli prefabbricati di linguaggio» (PALLOTTI, 1998: 25)

ossia espressioni per richiamare l‟attenzione, per regolare interazione, per indicare cose e persone, per descrivere.

A questo primo stadio linguistico segue la fase basica in cui il pragmatic mode non scompare totalmente anche se viene in parte sostituito da una modalità più grammaticale che Lo Duca nomina syntatic mode (2003: 232).

Questa fase è caratterizzata da alcune forme verbali che spesso però non vengono ancora flesse; da uno stile elementare privo di congiunzioni, di preposizioni, di declinazioni morfologiche che definiscono numero e genere. Infine, succede la fase postbasica, in cui i verbi sono flessi, compaiono le desinenze, le concordanze, gli articoli e le preposizioni, i verbi ausiliari; la sintassi diventa più complessa poiché, oltre alle frasi coordinate, iniziano ad essere presenti le proposizioni subordinate, dapprima causali e temporali e solo successivamente quelle finali, relative, soggettive e oggettive.

Questi stadi di apprendimento sono tra loro interconnessi, ciò significa che, nella produzione interlinguistica dello studente, possono „entrare‟ elementi linguistici propri della fase postbasica solo se sono già apparse le forme proprie delle fasi prebasica e basica.

Gli studi dimostrano che, per quanto riguarda la lingua italiana, la successione temporale di acquisizione degli elementi linguistici (teoria della processabilità) è la seguente:

Verbi

a. Acquisizione della terza persona singolare dell‟indicativo presente indipendentemente dal contesto di riferimento (persona, tempo), il riferimento temporale è spesso affidato a elementi lessicali (es. avverbi); b. acquisizione della forma del participio passato che viene utilizzato per

indicare un tempo passato, in contrapposizione al presente. Solo in un secondo momento, compare l‟uso dell‟ausiliare accanto al participio passato per formare la forma del passato prossimo;

142 c. acquisizione dell‟imperfetto che viene usato in opposizione al passato

prossimo per esprimere un aspetto non compiuto del verbo al passato; d. solo successivamente, vi è la comparsa del futuro, del congiuntivo e del

condizionale. Concordanze

a. Nel primo stadio linguistico di apprendimento, il genere non viene preso in considerazione;

b. nella fase basica l‟apprendente inizia ad accordare l‟articolo con il nome, mettendo in atto strategie legate alla rima e all‟assonanza; appaiono in questa fase espressioni come la matita, il banco e anche errori di concordanza come ad esempio la tema, la problema poiché, facilmente, l‟uso dell‟articolo determinati „la‟ viene esteso a tutti i nomi che terminano in „a‟;

c. successivamente, l‟apprendente è „pronto‟ per accordare l‟aggettivo con valore di attributo al sostantivo, impiegando le stesse strategie attuate per accordare articolo-nome, per cui accanto a libro nuovo sarà possibile incontrare nelle produzioni degli apprendente anche libro interessanto; d. l‟apprendente riesce a fare l‟accordo tra il sostantivo con il participio

passato (es. sono partiti/sono partite). Struttura dei testi

All‟inizio l‟organizzazione testuale sarà lineare o comunque poco complessa con propensione all‟uso della paratassi in cui sono favoriti la successione cronologica degli eventi, l‟uso dei sintagmi nominali pieni; il ricorso ai pronomi topici; successivamente la sintassi si fa più complessa con ricorso all‟ipotassi.

143 Uso di connettivi

I connettivi vengono acquisiti in una fase molto avanzata secondo questa sequenza: 0, e, poi, perché > quando, se (ipotetico) > però, come >che (relativo) > allora, così, che (completivo), anche se, quindi > dove (relativo) > dove (interrogativo), chi (interrogativo), prima che (di), dopo (che) > appena, ogni volta che, quello che, comunque, invece, solo che > dato che, visto che > se (interrogativo), siccome, perciò, senza, cui (CHINI, FERRARIS, VALENTINI, BUSINARO,2003).

Da un punto di vista glottodidattico, in un contesto CAD plurilingue, i contributi

e le riflessioni della linguistica acquisizionale sono importanti perché portano a concepire gli errori degli apprendenti quali strumenti diagnostici che consentono al docente di individuare lo stadio linguistico in cui si trova l‟apprendente nel momento in cui viene osservato e, sulla base di tali rilevazioni, di progettare e proporre dei percorsi linguistici ad hoc, attenti alla successione delle fasi interlinguistiche.

Inoltre, le osservazioni sullo sviluppo interlinguistico dei discenti favorisce nell‟insegnante lo sviluppo della consapevolezza della necessità di usare un linguaggio sorvegliato in classe e adeguati strumenti di facilitazione linguistica per permettere una maggiore comprensione e, una conseguente maggiore partecipazione in classe degli apprendenti migranti.

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CAPITOLO 4

La glottodidattica nella classe

CAD

plurilingue e multiculturale: