l nuovo Orto Botanico a Bor- deaux, ideato da Catherine Mos- bach, si impone all’attenzione per la carica innovativa con cui ven- gono affrontati i temi espositivi e pedagog- ici, intrinseci della tipologia. L’allestimento delle specie in mostra si dipana con un linguaggio morfologico basilare e comp- lesso nello stesso tempo, che coniuga in maniera molto singolare le esigenze di ricerca, di sperimentazione e di rassegna botanico-scientifica con quelle di verde di quartiere della nuova formazione urbana in cui è iscritto. La realizzazione della Mos- bach si impone, in effetti, all’attenzione per la carica innovativa con cui vengono affrontati i temi espositivi e pedagogici, in-
trinseci della tipologia. L’allestimento delle specie in mostra si dipana con un linguag- gio morfologico basilare e complesso nello stesso tempo, che coniuga in maniera molto singolare le esigenze di ricerca, di speri- mentazione e di rassegna botanico-scienti- fica con quelle di verde di quartiere della nuova formazione urbana in cui è iscritto. Il progetto si sviluppa in aree tematiche di cui sono già realizzate, in successione, il Gi- ardino acquatico, la Galleria degli Ambienti, i Campi di Colture e le due passeggiate laterali, quella delle Piante e quella delle Pioniere, mentre le ultime parti, i giardini urbano e comunitario, da coltivarsi da parte di un’associazione di abitanti del quartiere, sono in completamento. 1
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1 A cura di F. Bagliani, C. Cassatella, In ogni modo/ Allways/ De tout facon, Firenze: Alinea Editrice, 2005.
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Il Giardino acquatico, posto all’ingresso lungofiume, è un grande specchio dai pro- fili geometrici, su un lato del quale delle las- tre metalliche, radenti l’acqua, definiscono micro piscine da dove emergono piante in vaso, raggruppate per criteri ecologici o vocativi.
La Galleria degli Ambienti è una sequenza di undici macro carotaggi originali dei tipi paesaggistici che s’incontrano scendendo lungo le rive della Garonna, dove sono messi in scena, non solo lo strato superfi- ciale del terreno insieme alle specie vegetali che lo eleggono, ma anche quelli profondi, ai fini di una lettura scientifica e comple- ta delle relazioni geologiche, pedologiche e vegetazionali. I Campi di Colture sono un avvicendamento di quarantanove ret- tangoli con altrettante cisterne per la tec- nica d’irrigazione per infiltrazione, dove si mostrano piante utilizzate nell’agricoltura dei diversi Paesi del mondo.
Il Sentiero delle Pioniere e la Passeggiata delle Piante sono, rispettivamente, una se- rie di piante avventizie in un sottobosco di aceri e di cornioli e una rassegna di rampi- canti su supporti metallici, poste entrambe come cornici laterali.
Disegnare un orto botanico oggi pone il problema di pensare alla maniera in cui si propongono al pubblico le piante e le col- tivazioni.
Decaduto sicuramente il mero principio tassonomico, da lungi superato anche nelle collezioni museali, vale piuttosto il concetto di rappresentazione naturalistica, ovvero la ricostruzione di ambienti. Questa è la scelta della progettista e la Galleria degli Ambi- enti è un allestimento assiomatico di questo principio. La configurazione dell’orto bo- tanico della Mosbach presenta alcune af-
finità formali con i modelli storici. Il suo progetto è, in effetti, caratterizzato da una giacitura quasi interamente pianeggiante, dalle forme geometriche della planimetria e degli stessi spazi di coltivazione ed in- fine dalla presenza di elementi cui atting- ere l’acqua, tutti attributi degli impianti tradizionali. Le analogie, si può dire, si fer- mano qui. Esteticamente sembrano domin- are le esigenze convenzionali di uno spazio verde pubblico, se non fosse per il discreto apparato informativo che, con pannelli ab- bondantemente diffusi, rende consapevoli delle ragioni d’essere delle cose attorno. La composizione è dominata da segni oriz- zontali, un linguaggio che appartiene molto, fra l’altro, alla cultura dei giardini francese e solo i cancelli, gli alberi e gli Ambienti si elevano, mentre tutto il resto, dalla recin- zione, alle lastre della vasca, agli arredi e quant’altro, è giocato su elementi lineari e declinato in continue varianti materiche e cromatiche.
Non vi è rischio tuttavia di banalizzazione percettiva, perché l’orizzontalità accentuata è dissimulata dalla presenza centrale della Galleria: da qualunque cancello si acceda, le concrezioni rocciose negano la possibilità di cogliere il tutto con un solo sguardo e il giardino si palesa solo percorrendolo. Viene così introdotto un tema, quello dello spazio-tempo, molto caro alla Mosbach, un’applicazione foriera di spunti interes- santi. Entrando dall’ingresso principale, quello lungofiume, la prima impressione è di osservare uno spazio concluso ed im- mediatamente decifrabile, dove l’occhio scivola veloce sopra la vasca e viene arr- estato dalla Galleria ed i passi vagano senza vincoli sopra un’indifferenziata spianata polverosa. Solo dalla Galleria si comin-
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cia da avvertire la profondità del giardino ed è in prossimità dei Campi che il regis- tro si muta ed allarga: improvvisamente si perde lo sterile suolo e si cammina circon- dati dall’erba, un piano verde e grasso, dove in un subito si smarriscono le dimensioni d’ammaestramento, di distanza e contem- plazione per acquistare quella di parco ur- bano. Il necessario effetto di dilatazione fisi- ca è stato ottenuto frammentando i Campi in rettangoli reiterati: ne consegue una dis- tesa caleidoscopica, un’esplosione di colore, un’allegria ventosa.
La conoscenza spaziale è, da qui in poi, affi- data ai percorsi, che, da assenti o traccia con- tinua e zigzagante nella Galleria, diventano sentieri di pietre fra l’erba dei Campi e tra- ma di lastre nella Passeggiata delle Piante. Si fanno talmente esigui, discontinui, spesso interrotti o cambiati di direzione, da ricord- are a chi scrive quelli dei roji giapponesi, sui quali si deve fare altrettanta attenzione a dove si mettono i piedi: vi si va muovendosi con ritmo lento, il giardino si scopre poco a poco, si è guidati ad inoltrarsi in settori forse altrimenti trascurati o comunque ad osservarli da angolature diverse, fino a toc- care tutte le parti e a ritrovarsi a ricomporne mentalmente la logica. L’orto botanico di Bordeaux non conquista a colpo d’occhio, bensì nel suo paziente svelarsi, nel suo im- primersi piano nella memoria, nel suo di- venire, di conseguenza, lezione ben appresa. Mentre gli ambiti fluiscono l’uno nell’altro morbidamente, vi si può imparare e con- oscere senza pesantezza ed, al contempo, ri- lassarsi e vivere i benefici di un parco.
Il modo in cui combinare la doppia fun- zione del giardino è stato uno dei punti di riflessione più importanti per la Mosbach, tanto che ella più volte ha definito questo progetto una chiavedi svolta del suo lavo- ro. “[…] the real challenge was to trigger an emotion: people must be able to feel a physical relationship with a landscape de- livered in exstracts” 2 . Apparentemente, nell’orto botanico di Bordeaux sembra tut- to tenuto sotto controllo. Niente può essere più sbagliato di questa impressione.
La Mosbach, infatti, può a ragione essere iscritta nella corrente paesaggistica che pone come argomento centrale del pro- getto l’evoluzione della natura, scuola di cui sono illustri esponenti Gilles Clément e Desvigne & Dalnoky. In questa visione, dove l’atteggiamento architettonico passa in ultimo piano, le trasformazioni dovute al processo temporale non sono soltanto messe in conto, quanto ricercate ricono- scendone la capacità di apportare bellezza e il valore in sé.
L’estetica del progetto è assoggettata a questa variabile, il tempo. La consapev- olezza di quanto il trascorrere del tempo sia necessario porta la progettista a definire caricaturale l’aspetto del giardino agli inizi, troppo innaturale ancora, troppo astratto. 3 “I am waiting for only one thing, for all these ingredients to blend with time, through the action of rain and erosion, and for everything to take its place at last and to enter into relation with the various elements”4. Ognuna delle aree tematiche
2 Pages paysages, 9, From Nature to Culture, Association Paysage & Diffusion, Versailles 2002, pag. 60. citato in I. Cacciolli, Quaderni della Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio, Firenze: University Press, 2006
3 I. Cacciolli, Quaderni della Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio, op.cit.
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partecipa, a suo modo, di questa situazi- one di aspettativa. Nella Galleria, le piante messe a dimora devono maturare e relazio- narsi fra loro e con eventuali e benvenuti nuovi ospiti portati dal vento. La crescita e l’alterazione sono ivi cumulative. Nei Campi, l’avvicendarsi delle colture, la loro ciclicità, scomparsa o ri-proposizione è una mutazione dinamica, che porta a non avere mai una medesima esperienza sensoriale e spaziale. La stessa scelta di non chiudere il giardino, ma di lasciare una recinzione di tavole di quercia, un elemento naturale, che si modificherà nel futuro, che diverrà mo- tivo d’accrescimento di specie vegetali, che lascia interagire il sistema interno-esterno e consente di oltrepassare sensazionalmente i perimetri, rientra nell’atteggiamento eco- logico evolutivo che plasma il progetto. Il colore e la luce sono altri due aspetti fondamentali di questo tipo di ricerca e a Bordeaux non sono espletati soltanto nelle variazioni stagionali e nelle stesse diversità delle specie vegetali, ma anche nelle am- pie gamme di colore dei suoli aquitani in mostra nella Galleria, che comprendono toni sfumati di blu, ocra, grigi, rossi ed an- cora, cangianti con il mutevolissimo tempo atlantico, dalla luminosità sempre diversa, ampliata dall’umidità costante.
“The garden exist then only in the eyes of the different people who will freeze it in their minds, each in a different moment, in a different personal contest.
I am astonished and deligthed and feel that I have achieved an essential aim whenever people discover something that I hadn’t
seen”5.
L’opera è interessante per aver applicato ad un giardino scientifico, con esigenze di ricerca e conservazione, la concezione paes- aggistica di tempo e spazio, dove il tempo del movimento guida alla comprensione della lezione botanica e dell’unitarietà spa- ziale, mentre quello stagionale e atmosferi- co introduce la misura naturale nell’artificio cittadino.
Altrettanto interessante è l’uso dello spazio a disposizione. L’area, in sé piuttosto ridotta, viene dilatata tramite una creativa plasticità dei linguaggi naturali. Le piante non sono mai usate o presentate nello stesso modo e neppure seguendo le gerarchie invalse negli orti botanici, bensì a volte ne viene perseguito l’effetto collettivo di massa, a volte enfatizzato il loro essere parti fisiche di un paesaggio o, altre ancora, esaltata la loro singolarità e sono mostrate, isolate, nel loro sforzo di adattamento e sviluppo. L’inventiva colta e appassionata dell’autrice ha portato ad un progetto che può essere con soddisfazione visitato e vissuto sia al livello sapiente degli specialisti che a quello inesperto del pubblico.
5 Pages paysages, 9, From Nature to Culture, Association Paysage & Diffusion, Versailles 2002, pag. 61, citato in I. Cacciolli, Quaderni della Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio, op. cit.
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5 Pages paysages, 9, From Nature to Culture, Association Paysage & Diffusion, Versailles 2002, pag. 61, citato in I. Cacciolli, Quaderni della Ri-Vista Ricerche per la progettazione del paesaggio, op. cit.
Taylor Cullity Lethlean, 2006