Illustrazione: I giardini di Babilonia
51 erché mai accontentarsi di far crescere le piante nella terra e in orizzontale? La natura non è così monotona. Basta pensare alle piante che, nel sottobosco delle foreste tropicali, vivono sui rami e sui tronchi degli alberi, oppure abbarbicate alle rocce. Non dobbiamo dimenticare che per la vita delle piante la presenza della terra non è in- dispensabile. Quello che conta è l’acqua, perché è lì che si trova tutto quello che serve alla loro sopravvivenza. I miei muri vegetali sono nati proprio dalla voglia di fare entrare nelle nostre case e nelle nos- tre città un po’ di questa verticalità esotica e inconsueta. E dalla voglia di far nascere superfici verdi anche in mezzo all’asfalto e al cemento. Perché queste pareti vegetali,
che non occupano spazio in orizzontale, possono trovar posto dappertutto, anche nelle metropoli più congestionate”. (Pat- rick Blanck)
I giardini verticali sono stati poi, e oggi sem- pre più, i segni di un’architettura innovativa; moderni sistemi di impianto che ricopren- do superfici verticali portano l’antico mito del giardino in vita, e collocano il verde nelle case, negli uffici e nelle strade domi- nate per lo più dal grigio del cemento. Prati e giardini dovrebbero essere, per i fautori di tali progetti, un tutt’uno con l’architettura, circondandola. E dal momento che non c’è spazio tra strade, parcheggi e alti palazzi, al- lora il verde lo si mette in verticale, vere e proprie piante che ricoprono la facciata degli edifici diventando un tutt’uno con
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essi. Le piante non hanno necessariamente bisogno di terreno per crescere, ma solo di acqua, ossigeno e anidride carbonica per la fotosintesi clorofilliana. Ne è una prova il fatto che in natura le piante sembrano prosperare nei luoghi più inospitali: i fiori alpini crescono nelle fessure, felci, muschi e licheni colonizzano i bordi delle cascate. Le alghe crescono anche dove non c’è ossigeno; le 8000 specie
che crescono in Malesia, in gra- do di sviluppar- si sulle rocce e tutte le altre va- rietà di piante che, anche nei climi tempera- ti, crescono su supporti rocci- osi. E da queste considerazioni che derivano le
facciate verdi. Uno studio parigino guidato da Patrik Blanc è stato pioniere di questi esperimenti, trovandosi anche di fronte al problema della potenza distruttiva delle radici delle piante che in alcuni interventi avevano danneggiato seriamente le strut- ture (ad esempio nel tempio di Angkor). Hanno notato quindi che, se le piante sono regolarmente bagnate dall’acqua, tendono a mantenere le proprie radici in superficie evitando così di penetrare nella profondità della struttura danneggiandola. E’ stato così che Blanc ha iniziato la realizzazione di fac- ciate verdi, un sistema leggero (meno di 30 kg per metro quadrato) e adattabile a sup- porti di qualsiasi dimensioni ed altezza. Il verde verticale si trova anche all’interno degli edifici in posti più o meno illuminati
naturalmente.
A seconda del clima del luogo dove lo si vuole installare, sono scelte per il giardino verticale, specie di piante differenti.
Se vivere nelle città ha fatto perdere il con- tatto con la natura, i giardini verticali rista- biliscono un contatto grazie ad ambientazi- oni naturali che riducono lo stress e aiutano l’aria a purificarsi dagli inquinanti. Una
facciata veg- etale isola l’edificio e pro- tegge gli interni dall’inquinamen to. C’è chi li chiama giardini verticali, chi green wall o pareti verdi, ma il succo – non- ostante le dif- ferenze tecniche – è sempre lo stesso: coprire una parete con delle piante che poggiano su un impianto sottostante, più o meno integrato con l’edificio.
Nell’ambito delle ricerche condotte dagli architetti contemporanei per coniugare la tutela dell’ambiente e produrre un habi- tat più confortevole s’inseriscono le speri- mentazioni su quello che è genericamente denominato verde verticale, che – seppur contraddistinto da molteplici definizio- ni terminologiche - s’identifica con una stratigrafia in cui le piante e i supporti che ne consentono la crescita e lo sviluppo, di- ventano parte integrante dell’involucro edi- lizio.
Si tratta di soluzioni più o meno complesse, che prendono ispirazione dalla capacità delle piante di non aver bisogno della terra
53 e che variano dai tradizionali rampicanti, ai parametri più artefatti rifiniti di vegetazi- one in grado di crescere in totale assenza di terra. In questi casi la natura non è con- cepita come sfondo dell’architettura, ma di- venta vero e proprio materiale costruttivo, elemento in grado di assumere forma di un involucro o di una pelle la cui utilità si pone a cavallo tra semplice moda e virtuosismo decorativo, oppure, diventa il mezzo per assecondare le istanze e i principi della sostenibilità ambientale, miglio- rando la qualità abitativa. Questo fenomeno sembra anticipare un nuova utopia disciplin- are, una rivoluzi- one verde che non può essere liquidata
come semplice tendenza o nostalgico ri- torno al passato, ma richiede riflessioni che ci spingono a meditare sull’attuale tentativo dell’architettura di ricollocarsi cultural- mente dopo gli esiti fallimentari vissuti con le nostalgie post-moderne e le elucu- brazioni de-costruttiviste,prima e con la salvifica e libertaria esaltazione high-tech, poi. Le molteplici tipologie paesaggistiche e architettoniche che si celano attualmente dietro questo fenomeno e i cui esiti non sono ancora del tutto chiari, sembrano sor-
rette da numerosi atteggiamenti e differenti motivazioni di ordine ideologico tanto da delineare una nuova etica “verdolatrica”1
, fusione dei termini “verde” e “idolatria”. Un “neo naturalismo”, insomma, che, come asserisce Peter Cook2 , va ben al di
là del fenomeno in quanto tale e testimonia di una nuova dimensione culturale la cui origine non si deve valutare come semplice
manifestazione di at- tualità.
Agli estremi di ques- ta ricerca si trovano due atteggiamenti. Da un alto, le artifici- ose soluzioni a verde proposte da Patrick Blanc, interpreta- bili come maschere contemporanee che attraverso soffici e variopinti manti vegetali, propongo- no dei giardini verticali che ne esaltano il ruolo decorativo e ornamentale. Dall’altro lato, si hanno i contribuiti della biomimet- ica quale ricerca consapevole dei processi biologici e biomeccanici della natura, che diventano fonti primarie d’ispirazione per il miglioramento delle attività e delle tec- nologie umane. 3
Il verde verticale rappresenta uno scarto concettuale significativo verso una sintesi fra paesaggio ed architettura. Una prima categoria può essere sintetizzata con l’idea
1 cft. F. Rapishi, green Architecture.Oltre la metafora. Le avventurre della metafora verdolatrica, Lotus International, n.135, 2007, pp. 34-41 citato in O.E. Bellini, L. Daglio, verde verticale aspetti figurativi, ragioni funzionali e soluzioni tecniche nella realizzazione di living walls e green facades, Santarcangelo di Romagna : Maggioli, 2009, p.16
2 P. Cook, Sowing the seeds for a new wave of vegetation on buildings, Architectural Review, n.1328, 2007, p.38 citato in O.E. Bellini, L. Daglio, verde verticale aspetti figurativi, ragioni funzionali e soluzioni tecniche nella realizzazione di living walls e green facades, op.cit , p.16
del “rivestimento”. In questi casi è trattata per realizzare una superficie piana attraver- so sistemi di tasca o modulari con coltura idroponica o con maglie di supporto per rampicanti, diventa una pelle aggiuntiva che fascia in aderenza l’edificio ed è puro elemento di finitura esterna della parete. Non a caso è stato già adottato il termine carterizzazione 4 , che rimanda, nel disegno
industriale, all’uso di un involucro aggiun- tivo, che nasconde e protegge la tecnolo- gia che sta sotto, rendendo l’oggetto più neutro, familiare, meno impattante per chi lo usa. Proprio in questo concetto sono sintetizzati i ruoli che la parete verde può assumere in quanto veste dell’edificio: da un lato mimetico, dall’altro decorativo. In primo luogo il manufatto edilizio, pro- dotto artificiale e simbolo per eccellenza dell’intervento dell’uomo sull’ambiente viene riscattato attraverso un travestimento naturale che è un palliativo a fronte della moderna e condivisa morale ecologista. Questo camouflage, in quanto tale, ha una doppia valenza: consente di accostare il volume costruito a paesaggi naturali con una blanda azione mimetica che mimetizza il segno sul territorio, ma anche di celare oggetti esteticamente e eticamente ingom- branti come impianti tecnici o industriali e infrastrutture. L’inevitabile impatto delle aree industriali sul territorio a fronte di una sempre più sensibile tutela e valorizzazione dei beni paesaggistici e ambientali, anche quale risorsa economica, rappresentano un
ambito di ricerca ed intervento privilegiati dal punto di vista delle soluzioni tecniche e normative. I vantaggi delle vegetazione in termini microclimatici e di qualità dell’aria, soprattutto la capacità di colture idropon- iche di “digerire” le emissioni nocive gi- ocano indubbiamente un ruolo altrettanto rilevante. In secondo luogo, prendendo in considerazione l’accezione decorativa del rivestimento, la superficie verde diventa occasione per una rinnovata ricomparsa dell’ornamento in architettura. Riman- gono tuttavia un orpello decorativo ed es- tetizzante che non è in grado di alludere ad un’idea costruttiva o geometrica con l’eccezione dei sistemi a moduli e pannelli. Questo millenario rapporto tra natura ver- ticalizzata e mondo artificiale è databile, simbolicamente, a aprire dai mitici giardini pensili di Babilonia, fatti costruire ne VI secolo a.c da Nabuccodonosor II per la moglie, nel tentativo di simulare delle vere e proprie montagne inverdite. D’altronde per interpretare il fenomeno dei paesaggi ver- ticali come terza via possibile, mediazione fra l’esaltazione e la devastazione della mac- china e la nostalgia del paradiso perduto, occorre fare piazza pulita di una concezi- one convenzionale della natura che natu- ralmente si manifesta e confidare, invece, in un alleanza con la tecnologia, in una sua ibridazione.
Questa rincorsa al verde parietale sembra, in parte, giustificata da quello che Gilles Clement definisce “il terzo paesaggio” 5 e 3 J.m Benyus, Biomimicry:Innovation Inspired by nature, Harper Collins, . New York :Publishers Inc, 1997, citato in O.E. Bellini, L. Daglio, Verde verticale aspetti figurativi, ragioni funzionali e soluzioni tecniche nella realizzazione di living walls e green facades, op. cit., p. 16
4 F. Rephisti, Green architecture. Oltre la metafora, Lotus International, n.135, 2008,p.36 citato in O.E. Bellini, L. Daglio, verde verticale aspetti figurativi, ragioni funzionali e soluzioni tecniche nella realizzazione di living walls e green facades, op. cit., p.314 6 G. Clèment, Manifesto del terzo paesaggio, Macerata:Qhodlibet,2006
55 che nelle teorie di Rem Koolhaas è indi- cato come “junkspace”6 .
Questa tendenza verso il naturale è certa- mente vecchia quanto l’homo habilis e da sempre nasconde l’aspirazione collettiva a risolvere la violenza intrinseca che ogni artificio materiale produce sulla natura e sull’ambiente, attraverso un’alternativa con- vincente. Il manto di vegetazione che oggi ricopre moltissime costruzioni può essere quindi interpretato come una modalità per sedare il senso di colpa provocato dalla ma- nipolazione della natura e dell’ineludibile violenza prodotta su di essa dai continui processi di antropizzazione planetaria. Tutto ciò inquadra il verde verticale in una prospettiva eterogenea e instabile, il cui svi- luppo appare, in qualche modo, incerto ed imprevedibile.
5 G.Clement, Manifesto del terzo paesaggio, a cura di F. De Pieri, Macerata : Quodlibet, 2005
6 R. Koolhaas, junkspace, Macerata:Quodlibet, 2006 citato in O.E. Bellini, L. Daglio, verde verticale aspetti figurativi, ragioni funzionali e soluzioni tecniche nella realizzazione di living walls e green facades, op. cit., p.24
a mia teoria è che piante ed ar- chitettura devono essere inte- grate in un tutt’uno, solo così le città possono assumere un nu- ovo punto di vista. Parcheggi, stazioni fer- roviarie, metropolitane, in tutti quei difficili spazi dove non ci si aspetta vedere un an- golo verde, quella è la mia reale sfida, dove la Natura è in grado di poter “riprendersi” un a piccola parte di terra. Viviamo sempre più in città dove gli unici spazi accessibili alla vegetazione sono le pareti verticali e questo può creare un piccolo benessere per le nostre città.” tupiscono non solo per la loro dimensione, è un nuovo concetto di fare architettura spiega, “La città e i suoi abitanti non possono trarne che beneficio da una creazione come questa e la nuova
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Patrik Blanc, Herzog & de Meuron, Madrid, 2001
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