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Illustrazione: Anonimo Giardino del paradiso Francoforte, Museum Städe

153 l primo giardino è quello dell’uomo che ha scelto di interrompere le proprie peregrinazioni. Non c’è un tempo giusto per questa tappa, nella vita di un uomo o di una società. Il primo giardino è alimentare. L’orto è il primo giardino” 1 Abbiamo ancora una volta fatto riferimento alle parole del paesaggista Gilles Clement, già citato nelle pagine precedenti , per introdurre all’argomento relativo all’orto. L’orto nasce come prima attività di approvvigionamento dell’uomo sedentario non più nomade, secondo Clement, nasce come giardino, non come un giardino votato all’estetica e al “piacere dei sensi”, ma come nutrimento.

“I

1 G. Clement, breve storia del giardino, Traduzione di M. Balmelli, Macerata, Quodlibet 2012, p. 10

Come già detto in precedenza l’uomo ha perso la sua identità e il suo rapporto con la natura, e li ricerca oggi nella città come nella campagna. Si ricercano valori identitari spesso legati all’atto della coltivazione, al lavoro della terra, come atti fondamentali dell’abitare.

Nel corso del XX secolo la città si è allontanata sempre più dalla campagna, l’industrializzazione ha marcato il divario tra queste due realtà, rendendone impossibile l’integrazione, ma è davvero così? negli ultimi anni si stanno sviluppando dei fenomeni che cercano invece di riavvicinare le due realtà, fenomeni che nascono autonomamente dalla volontà dei cittadini e dal loro bisogno di campagna. Si parla oggi di agricoltura urbana

espressione che designa il diffondersi in molte città di aree coltivate da city farmer. Il movimento nato per rispondere a un insieme di esigenze reali è diventato un fenomeno globale ed è presente in forma organizzata in diverse città: da Mumbai, a Pechino, Londra, New York, Detroit, San Paolo, Rosario, Vancouver, Tokyo, San Francisco, ecc.

Nonostante ora questo fenomeno sia di gran voga, gli orti urbani iniziarono a nascere ai margini delle città dei paesi industrializzati già alla fine del XVIII secolo. La coltivazione in città è una realtà che accompagna l’uomo da quando il suo mondo assume connotazioni urbane, alternando, nel corso della storia, una vocazione produttiva, quella dell’orto, con una ricreativa, ossia il giardino, come luogo di riposo e di “tregua” dal resto del mondo. Prima della diffusione degli orti urbani il tessuto urbano della maggior parte delle città preindustriali comprendeva piccoli appezzamenti agricoli, all’interno o in prossimità dei nuclei storici. Circondati dai campi coltivati i cittadini mantenevano un contatto visivo diretto con l’origine del cibo che arrivava sulla loro tavola. Dalla fine del XVII secolo in avanti, le città europee divennero sempre più lontane dai luoghi di produzione dei loro approvvigionamenti alimentari. Alcune città europee non persero mai del tutto la tradizione dell’agricoltura urbana, ma il vero e proprio revival delle

coltivazioni all’interno delle città fu una reazione al degrado ambientale e umano associato all’industrializzazione.

Nel medioevo e nella prima età moderna gli ordini religiosi crearono, nei monasteri e nei conventi, gli orti urbani più formali e in genere più produttivi. A partire dal tipo dell’ hortus conclusus, i monaci coltivavano filari di alberi da frutta e ortaggi disposti secondo regolari figure geometriche. Se si osservano le mappe delle città europee fondate nel XVI e XVII secolo, come Bruges o Lione, si scopre che ai giardini monastici e agli orti botanici, si aggiungeva una miriade di piccoli orti e frutteti. Nel XX secolo, tuttavia, la maggior parte di questi piccoli appezzamenti agricoli urbani erano stati trasformati in terreni edificabili.2

L’orto urbano come realtà utopica

Oggi è la Germania a ospitare il più grande numero di orti urbani per abitante, con oltre 1.400.000 appezzamenti, per una superficie complessiva di circa 500 km quadrati. Nelle regione europee di lingua tedesca questi giardini sono comunemente noti come Schrebergartne.3 Nei primi anni del XX secolo, fu il tedesco Leberecht Migge (1881-1935), a promuovere gli orti urbani con zelo da utopista, aveva l’ambizione di rendere autosufficiente ogni abitante della città e dare ad ogni casa un pezzo di terra da coltivare.4 Nel suo progetto ideale per “la casa che cresce”5 , teorizzava

2 Cfr. R. Incgrsoll, Urban Agricolture, il paesaggio degli orti urbani, « Lotus », MMXII (2012), 149 (Lotus in the fields) 3 Dal nome del dottor Moritz Schreber (1808-1861) medico e docente, orientato alla promozione di un miglior stato di salute pubblica: egli comprovò come semplici esercizi quotidiani all’aria aperta potessero migliorare straordinariamente lo stato di salute di una persona. L’apporto di tali studi diede slancio all’estensione del fenomeno dei piccoli giardini. 4 M. De Michelis, La rivoluzione verde. Leberecht Migge e la riforma del giardino nella Germania modernista, in l’architettura dei giardini d’Occidente: dal rinascimento al Novecento, a cura di M. Mosser, G. Teyssot, Milano, Electa 1990 5 Pubblicata verso la fine della sua vita in Die Waschsende Siedlung nel 1932

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che la geometria di un orto in continua espansione riassume la crescita della casa, che inizia da un piccolo nucleo e cresce con l’aggiunta delle case. Dal 1913 in avanti, nei suoi numerosi testi propagandistici, Migge riconosce il valore degli Schrebergartne, che chiama “corone d’alloro” di una bella città e nel 1929, pubblica l’articolo La forma degli orti urbani nella rivista del Werkbund.6 Migge probabilmente è stato il primo architetto professionista a usare il termine “verde” nel senso contemporaneo di sinonimo di “ecologico”. Nel suo manifesto verde del 1919, proclamava: “La città è morta[…] è chiamata città un’idea ormai vecchia. L’idea nuova è viva, l’idea nuova del XX secolo, è: terra” un concetto che più tardi definisce Stadt Land.7

Per combattere l’avanzare del mercato immobiliare che metteva a rischio gli orti urbani, l’architetto propose anche l’idea degli “orti volanti”. La visione utopica di Migge si trovò presto in forte contrapposizione con le teorie naziste, che sostenevano invece l’avvento di una nuova classe contadina, mentre la sua idea urbana e progressista, interessata alle comunità locali, ma lontana da posizioni nazionaliste.

Orti urbani contemporanei

La differenza principale degli orti urbani contemporanei rispetto ai loro precedenti storici implica un cambiamento nello status sociale. Fino a tempi recenti l’agricoltura urbana aveva lo stigma delle condizioni di miseria dei lavoratori o la scarsità di cibo in tempi di guerra.

Leberecht Migge, prospettiva di un giardino autosufficiente che mostra il muro divisorio, 1919

Lebrecht Migge, Foto: giardino autosufficiente per una sola famiglia, 1925

Leberecht Migge, prospettiva di un giardino autosufficiente, 1919

6 Haney, 2010, pubblicato in tedesco come Form de Kleingärten, su Die Form, 3, 1928,

Per quanto molti orti urbani ancora oggi costituiscano una risorsa supplementare per l’economia delle classi più deboli, questo genere di coltivazione ha suscitato l’interesse di un movimento sempre più ampio, grazie ai benefici che comporta per l’ambiente, la società, la salute e la città. Molti si dedicano alla coltivazione degli orti urbani spinti dalla preoccupazioni per l’ambiente, per produrre ortaggi senza prodotti chimici o coltivare specie rare. I differenti tipi di appezzamenti coltivati nelle città hanno il potenziale di legare al pubblico le aree a parco e contribuire al miglioramento ambientale della città.

L’esempio migliore di integrazione tra orti privati e parco pubblico è il giardino di Naerum (1948) realizzato a nord di Copenhagen da Carl Theodor Sørensen (1893-1979). Si tratta di un complesso di 40 lotti ovali che coprono un sito collinoso adiacente ad un complesso residenziale. L’insieme di grande rigore formale, è un giardino partecipato a gestione mista, infatti gli spazi erbosi tra un campo e l’altro sono uno spazio pubblico di passaggio aperto a tutti. Ogni orto-giardino è circondato da una siepe ad altezza occhio in modo da avere la visione degli altri giardini presenti.8 In molte città tedesche, in particolare Monaco e Berlino, la richiesta di orti urbani supera in gran lunga l’offerta.

A Berlino si sono formate associazioni come Nomadisch Grun che portano avanti una strategia di orti- giardini mobili. I fondatori nel 2009 hanno

creato il Prinzessinnengärten, un giardino Carl Theodor Sørensen, Giardino di Naerum, Copenhagen, 1948

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temporaneo nel sito abbandonato di Kreuzberg, vicino a Moritz Platz, usando per far crescere le piante pile di casse di birra di plastica, sacchi di tela cerata e cartoni del latte riempiti di terra. Il giardino non è più legato al terreno da coltivare e quindi, se necessario, si può spostare facilmente in un altro posto. Nei freddi mesi invernali i giardinieri nomadi spostano le loro attività nel mercato coperto.

La maggior parte delle città europee contiene grandi estensioni di aree industriali dismesse. In qualche caso il paesaggio di questi luoghi abbandonati è stato trasformato in modo significativo dall’agricoltura urbana. A Bordeaux Catherine Mosbach ha progettato un grande parco pubblico, Il giardino botanico La Bastide, per coprire la banchina lunga un kilometro dei vecchi scambi ferroviari. Il giardino botanico comprende anche un orto cittadino curato dai volontari e dagli studenti della vicina scuola agraria, pur non costituendo la parte più rilevante, l’uso di elementi agricoli dà il senso del ciclo delle stagioni e ispira la consapevolezza nell’uso delle risorse culinarie.

Nell’ Europa meridionale, dato il perdurare delle attività agricole, il movimento degli orti urbani sembra molto meno apparente, anche se diverse città del mediterraneo, tra cui Barcellona, Pamplona e Milano, hanno pianificato una cintura verde che aspira a diventare parco agricolo a livello territoriale, con una combinazione di agricoltura tradizionale e orti-giardino. L’idea fu lanciata la prima volta a Milano

associazione Nomadisch Grun Prinzessinnengärten Kreuz- berg, Moritzplatz, 2009

negli anni settanta, quando gruppi di studiosi analizzarono le risorse geografiche e idriche di sessanta comuni della cintura urbana e ne catalogarono collocazione e dimensioni delle aziende agricole. L’obiettivo diventa la creazione di un’area, dove far coesistere sviluppo agricolo e attività del tempo libero. Nel 1983, con legge regionale, il Parco Agricolo Sud Milano viene alla luce, identificato come area di rilevanza ambientale prima e come parco di cintura metropolitana e parco agricolo poi. Nel 1990, grazie a un “comitato di proposta” costituito dai comuni interessati, viene approvata ed entra in vigore la legge regionale che sancisce la nascita ufficiale del Parco Agricolo Sud Milano.

Se è vero che storicamente gli orti urbani sono stati emarginati dalla spinta dell’urbanizzazione, oggi, avvertiamo invece l’opposto, infatti la battuta d’arresto dello sviluppo edilizio e la crisi economica ha in qualche modo invertito la tendenza. Detroit, un tempo uno dei centri industriali più importanti degli stati uniti, dagli anni Sessanta sta subendo una grave crisi e ha perso più di metà della popolazione. I grandi quartieri abbandonati, sono stati ripuliti e molti sono stati riconvertiti all’agricoltura urbana. Nel 2005 a Detroit è nata un organizzazione chiamata Urban Farming che poi si è diffusa in altre città, spesso vicino ad università. 9

Dagli anni Ottanta, con la crescente attenzione per l’ecologia, l’agricoltura urbana ha iniziato ad acquisire una nuova

dimensione culturale . sostenibilità, salute Work AC L, Alice Waters ,edible Schoolyard, Martin Luter King Middle School a Berkley, California, 2005

9 Cfr. a cura di D. Marino,C. Cicatiello, I farmers’ market: la mano visibile del mercato. Aspetti economici, sociali e ambi- entali delle filiere corte, Milano, Franco Angeli, 2012

Orto urbano a Detroit, in un spazio abbandonato tra gli edifici. foto: Andy McGlashen

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e responsabilità sociale spesso ispirano i giardinieri urbani a coltivare frutta e ortaggi. Gli orti urbani hanno anche funzione d’integrazione culturale.

L edible Schoolyard fondata da Alice Waters alla Martin Luter King Middle School a Berkley, California, dal 2005 coinvolge ragazzi e genitori nella coltivazione e nella preparazione di cibi genuini ed è diventata un modello per le scuole di tutto il mondo. L’orto serve sia come aula scolastica e sia come rifornimento per la cucina della scuola.

A Berlino e Amsterdam hanno iniziato a comparire orti-giardino di autoraccolto come il Krautgärten di Monaco, dove i cittadini che pagano un piccolo canone possono raccogliere quello che vogliono da un orto o frutteto vicino a casa.

Attualmente esiste l’inequivocabile domanda da parte di persone provenienti da qualsiasi ceto sociale di coltivare il proprio cibo. Le motivazioni possono essere diverse, economiche, salutistiche, educative, terapeutiche o estetiche, ma il risultato contribuisce a rendere i lotti urbani in disuso un mosaico di piccoli orti-giardino densamente coltivati, che arricchiscono il tessuto sociale e urbano e offrono la promessa che un giorno l’intera città sarà trattata con la cura che si dedica a un giardino.

Sisha Ortuzar, Riverpark Farm, New York, 2011

City farmer, Chicago

l lotto al numero 100 di Union Street è stato trasformato in un orto urbano e giardino collettivo in occasione del London Festival of Architecture del 2010, allo scopo di rigen- erare un sito in disuso e creare un luogo di incontro tra i residenti del luogo e i visitatori del festival. L’Union Street Urban Orchard è stato concepito per integrarsi con il progetto di Bankside Urban Forest, una visione ideata da Witherford Watson Mann Architects che propone la creazi- one di una “foresta urbana” all’interno di quest’area londinese. E’ stato progettato e realizzato da Wayward Plants, un collet- tivo di designer, artisti e coltivatori urbani sotto la direzione creativa dell’architetto del paesaggio Heather Ring. Il progetto si pone l’obiettivo di alimentare e di stimo- lare la diffusione di comportamenti eco- logici e di creare un luogo di scambio e incontro per i city users e i residenti locali. Una serie di eventi e attività di workshop si sono tenute in questo spazio nei mesi di apertura al pubblico, dall’inizio dell’estate e sono proseguite fino all’autunno, quando il giardino è stato smantellato e gli alberi sono stati donati ad altri giardini collettivi.

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Wayward Plants, Londra, 2010

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