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CAPITOLO 3. LA STREET ART ENTRA NEI MUSEI E NEI VARI MERCAT

3.3 La brandizzazione della Street Art

Si è già parlato di come la figura dell’artista contemporaneo sia mutata e sia in continua evoluzione, non fossilizzandosi in un unico ambito, ma espandendo la propria ricerca artistica anche in altri settori. Molti artisti prestano la loro arte a favore di marchi commerciali, inserendosi così in operazioni di marketing di notevole impatto sia per l’immagine dell’artista che per il brand. Tra le partecipazioni più significative degli ultimi anni si ricordano la collaborazione nel 2013 di Jeff Koons con la marca di champagne Dom Pérignon, per la quale ha creato una riproduzione in miniatura di una sua scultura della serie Balloon Venus (2008-2012), contenente al suo interno una bottiglia di Rosé Vintage del 2003.183 La casa di moda Louis Vuitton è da sempre attenta al mondo dell’arte: ha infatti istituito importanti spazi culturali in tutto il mondo per la promozione dei nuovi talenti dell’arte contemporanea. Nel corso degli anni Louis Vuitton ha collaborato con gli artisti giapponesi Takashi Murakami nel 2003 e Yayoi Kusama nel 2012, i quali hanno creato un’intera collezione, rivisitando lo storico monogramma della maison francese e aggiungendo decorazioni e immagini con il loro stile inconfondibile. La collaborazione più significativa, però, è quella di Louis Vuitton con il compianto designer Stephen Sprouse (1953-2004), avvenuta in diverse occasioni, dato il successo delle sue collezioni. Il designer ha portato i graffiti nell’alta moda, rivoluzionando e “svecchiando” un marchio, rinomato per la sua eleganza e il suo stile altolocato. La casa di moda è conscia dell’impatto che hanno avuto i graffiti e la Urban Culture nella cultura dominante e così ha ingaggiato colui che per primo ha portato lo stile urbano e metropolitano in passerella, il quale ha rinnovato lo stile della griffe, attraverso delle edizioni limitate, reinventando il monogramma con una calligrafia derivante dalla tradizione dei graffiti urbani e utilizzando colori fluo. [Figura 8]

Il primo artista a sconfinare nel settore più prettamente commerciale è stato però Keith Haring, che nel 1986 ha aperto il suo primo Pop Shop a New York, al numero 292 di Lafayette street, subito seguito da uno a Tokyo. I Pop Shop hanno attualmente cessato l’attività, ma è ancora possibile fare acquisti sul sito internet (www.pop-shop.com) gestito dalla Keith Haring Foundation.                                                                                                                

183 L’opera, in acciaio color magenta, rievoca la statuetta paleolitica della Venere di Willendorf.

Come una moderna Dea dell’amore e della fertilità, sinuosa e accogliente, la scultura abbraccia al suo interno la pregiata bottiglia di champagne. L’opera è stata messa in vendita nel 2013 con una tiratura limitata di 650 pezzi, a quindicimila euro l’una. Fonte: http://www.artemagazine.it/arte- contemporanea/17384/lo-champagne-di-koons-costa-15-mila-euro/

Il negozio si occupava di vendere prodotti (che andavano dagli abiti, a mobili, ai gadget, all’oggettistica più varia) decorati con lo stile unico ed iconico di Keith Haring. Haring vedeva il Pop Shop come un’estensione del suo lavoro, una boutique divertente, dove la sua arte poteva essere accessibile a chiunque.184 Le pareti del negozio, dai pavimenti al soffitto erano state interamente decorate dall’artista ed è stato per anni una grande attrattiva turistica del Downtown di New York. Keith Haring nel corso della sua carriera ha collaborato con grandi firme: la serie di orologi Swatch, ad esempio, disegnati da lui per la stagione primavera/estate del 1986, sono ormai pezzi da collezione. [Figura 9]

Il binomio arte-moda non è quindi così recente, né così inusuale e il legame si stringe ancora di più quando si parla di Street Art. Le prime mostre sulla Street Art e sulla Urban Culture erano destinate a esporre opere di giovani artisti appartenenti a sotto-culture, che conoscevano e indossavano brand di street wear e personalizzavano prodotti, come tavole da skate:

“Non è quindi un caso che molti degli spazi espositivi sorti in quel lasso di tempo fossero direttamente fondati, o comunque promossi e finanziariamente apppoggiati, da un discreto numero di brand, per lo più legati allo street-wear. Brand il cui target era specificamente quello dei giovani che praticavano lo

skateboard o facevano graffiti, poco conosciuti al grande pubblico per via dei canali promozionali di

nicchia utilizzati per comunicare con i propri acquirenti, ma capaci di realizzare, da un punto di vista commerciale, una mole di introiti tali da renderle vere e proprie potenze economiche.”185

Di conseguenza, molti street artist, una volta raggiunto un discreto successo in ambito artistico, hanno iniziato a dedicarsi al settore dell’abbigliamento e degli accessori, poiché come già asserito, l’artista contemporaneo tende ad espandere i suoi orizzonti e gli ambiti di azione. L’esempio più rimarchevole e già citato, è quello di Obey Clothing, brand d’abbigliamento fondato da Shepard Fairey nel 2001, in collaborazione con i fashion designers Mike Ternosky e Erin Wignall. Obey utilizza la moda come ulteriore strumento per diffondere la sua arte e la sua visione estetica. Le stampe dei suoi abiti spesso riproducono sue opere più o meno celebri, compreso il suo lavoro più famoso, il ritratto di André the Giant o l’altrettanto conosciuta scritta “Obey”. Diverse collezioni sono state lanciate sul mercato a scopo benefico e parte dei proventi vanno a cause filantropiche, come le campagne a favore delle popolazioni del Darfur o delle vittime del disastroso terremoto di Haiti del 2010. Le collezioni Obey possiedono tutte uno stile casual, il cui target è da cercare tra quei segmenti di mercato popolati dai ragazzi più giovani, appartenenti, o semplicemnente attratti,

111   indossati da giovani street artist, writer, skater o musicisti punk, ma con il passare degli anni, i capi sono stati sdoganati e indossati da ragazzi di ogni categoria sociale, diventando un marchio attuale e ricercato dai giovani di tutte le nazionalità.

Obey utilizza l’abbigliamento come veicolo delle sue idee e della sua propaganda. Su ogni etichetta appare il viso di André the giant e una sintesi del suo manifesto. Come afferma egli stesso: “La mia linea d’abbigliamento è disegnata per diffondere le mie idee ed essere irriverente in modo intelligente […] e non ho alcuna remora perché continuo ad essere molto attivo nelle strade. Mi sento bene a fare cose commerciali fintanto che esiste un collegamento contestuale con il mio lavoro.”186 I tessuti, quindi, sono visti come un’altra tipologia di tela, dove poter esprimere la sua

arte. [Figura 10]

Un altro brillante writer/imprenditore è Marc Ecko, proprietario dell’omonimo brand di street-wear e autore di uno dei video virali più d’impatto degli ultimi anni riguardanti la Street Art. Sebbene Ecko non abbia incentrato la sua carriera sulle arti visive, limitandosi a compiere graffiti giovanili durante gli anni del college, il suo legame con il mondo del Graffiti Writing e della Street Art rimane indissolubile. Ecko fonda la sua linea di abbigliamento, la Eckō unltd, nel 1993 non appena ventenne, vendendo inizialmente t-shirt con la sua tag “Ecko”. Vent’anni dopo, la sua azienda multinazionale vanta un fatturato di oltre un miliardo di dollari annuo, dodici linee tra abbigliamento e accessori, la rivista maschile “Complex” e una casa produttrice di videogiochi.187 Il suo stile è sempre ispirato allo stile urbano, ai graffiti e all’Hip Hop e Ecko si è sempre battuto a favore di questo movimento. L’esempio più sensazionale risale a quando Marc Ecko ha pubblicato su internet un video fasullo che mostrava l’azione di due writer – uno dei quali doveva essere lo stesso Ecko – intenti a taggare l’Air Force One, l’aereo presidenziale statunitense, con la scritta “Still free” (sempre liberi). Dovuto in buona parte a motivi promozionali e di marketing, ma anche pensato e diffuso per manifestare apertamente il suo appoggio al mondo del Graffiti Writing, il video venne realizzato con il supporto di una celebre agenzia pubblicitaria, la Droga5. Per l’occasione venne affittato un boeing 747 riverniciato come l’Air Force One; fu preparato un set che ricreasse perfettamente l’ambiente dell’aeroporto militare presidenziale, aggiungendo le stesse recinzioni e gli stessi edifici; infine, l’azione venne filmata e diffusa sul web. Il video, che si può vedere sul sito internet www.stillfree.com, è diventato virale in pochissimo tempo, raggiungendo 114 milioni di visualizzazioni. Tutti i media americani si sono occupati della notizia e il pentagono ha dovuto smentire per ben tre volte che tutto ciò fosse realmente accaduto. Sul sito internet                                                                                                                

186 De Gregori S., Shepard Fairey in arte Obey: La vita e le opere del re della poster art, cit.,

pp.100-101.

187 Mason M., Punk capitalismo. Come e perché la pirateria crea innovazione, Milano, Feltrinelli

dedicato all’azione, denominata “Still free”, si legge un disclaimer di Ecko: “Marc Ecko Enterprises non approva attività illegali, atti di vandalismo o la distruzione della proprietà altrui. Ad ogni modo, sosteniamo la libertà di espressione, i graffiti come forma d’arte e la protezione dei diritti dei consumatori indipendentemente dall’età, la razza, la religione o dall’affiliazione politica.”188

Si denota quindi quanto il Graffiti Writing, l’Hip Hop, lo stile urbano e di strada, siano diventati rilevanti se non addirittura parte integrante della cultura dominante, mantenendo sempre il loro stile irriverente e contraddittorio. Infatti, se è lecito vedere graffiti stampati su abiti, accessori o gadget, non sono ancora accettati sui muri delle città. Nonostante il considerevole numero di pubblicazioni a riguardo, spesso è vista come un’arte minore. Mentre le gallerie curano decine di mostre all’anno sul Graffiti Writing e sulla Street Art e alcune opere sono vendute a cifre astronomiche, talvolta non viene neanche riconosciuta come arte. In realtà, la cultura di strada, con la sua arte in tutte le sue declinazioni – dalla musica, alla danza, alle arti visive – è forse il movimento più influente degli anni Duemila. In questi anni, la Street Culture ha invaso e dominanto tutto l’ambiente del vivere umano. La musica rap è ancora in testa alle classifiche, le ultime generazioni emulano gli artisti di questa sotto-cultura e dopo anni di elitarismo, finalmente la quotidianità si riprende possesso dell’arte. Questa arte è onesta, universale, esce dalle gallerie e dai musei per poter essere goduta e condivisa da tutti. Anche lavorando indoor, lo street artist mantiene sempre il contatto con il suo ambiente di provenienza, la strada e non perde mai di vista il suo obiettivo principale, ossia mandare un messaggio: lo spazio urbano appartiene a tutti e l’arte è per tutti. Che poi sia un’arte effimera e talvota duri il tempo di una fotografia poco importa, gli artisti ci mettono il massimo impegno per trasformare le città in delle gallerie a cielo aperto. Un’arte generosa.

113   [Figura 1] La facciata del condominio al quartiere Garbatella, realizzata utilizzando la tecnica da loro definita: “Stencil Poster”. Il finanziamento dell’opera è avvenuto tramite crowdfunding. Roma, 2013.

(Fonte: stenlex.net)

[Figura 2] Banksy. “This is my New York accent…normally i write like this.” Vernice Spray. Westside, New York, ottobre 2013. (Fonte: www.streetartnews.net)

[Figura 3] Banksy, stencil e bomboletta spray. Leake street, Londra, 2008. Stencil realizzato in occasione del Cans Festival. (Fonte: www.woostercollective.com)

[Figura 4] L’artista di Amburgo Low bros nell’ingresso di un condominio. Bomboletta spray. St. Pauli, Amburgo. 2014

[Figura 5] In basso. 5pointz. (Fonte: 5pointz.com)

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a b

[Figura 6. a e b.] Gli esterni di La Tour 13. A sinistra la facciata decorata dallo street artist El Seed e a destra quella decorata da Stew. Il terzo piano, costituito da quattro appartamenti e decorato interamente da artisti italiani è stato interamente “salvato” ed è quindi possibile osservare le opere, compiendo un tour virtuale sul sito www.tourparis13. (Fonte: www.tourparis13)

[Figura 7] Uno degli ultimi murales apparsi sull’Houston Bowery Wall, ad opera degli street artist Revok e Pose. Luglio 2013. Il murale rende omaggio ai grandi maestri scomparsi dei graffiti, come Rammellzee, Dondi e Case2 e racchiude tutta la storia del Graffiti Writing dalla nascita del movimento, ai giorni nostri.

 

[Figura   8] e [Figura 9] Due esempi del connubio tra arte e graffiti. A sinistra la collezione di Louis Vuitton ispirata ai graffiti, del designer Stephen Sprouse. A destra la collaborazione tra Swatch e Keith Haring per la collezione primavera/estate del 1986.

(Fonte: www.louisvuitton.com; www.swatch.com)

[Figura 10] Modello della collezione primavera/estate 2014 della linea Obey Clothing. Fonte: www.obeyclothing.com

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