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CAPITOLO 2. DAL GRAFFITI WRITING ALLA STREET ART

2.3 Poster Art

La Street Art per mezzo di poster è una pratica molto diffusa, poiché comodamente sviluppabile in studio, d’impatto e duratura. Tra le pratiche di Street Art, la Poster Art è quella più longeva, probabilmente per il fatto che le persone sono abituate a vedere decine di poster, per strada, ogni giorno e la consuetudine non spaventa o crea scalpore. Inoltre, il poster, nonostante sia attaccato spesso illegalmente, viene considerato meno invasivo, poiché destinato a scomparire a breve. Ogni giorno siamo bombardati da immagini pubblicitarie, cartelloni dalle dimensioni più disparate, segnaletica e messaggi di ogni tipo e quando si nota un poster fine a se stesso, che vuole unicamente testimoniare la sua presenza ed esprimere un messaggio estetico-artistico, viene accolto senza livore.

La rivoluzione dei poster avviene durante gli anni Sessanta, con la diffusione sul mercato delle fotocopiatrici, attraverso le quali ognuno ha la possibilità di stampare i propri fogli, volantini e poster, a casa, individualmente.

                                                                                                               

Nel già citato manuale sulle tecniche e i materiali per la Street Art, viene analizzato anche il procedimento per la Poster Art. Per prima cosa è necessario scegliere un soggetto, che può essere realizzato attraverso varie tecniche: serigrafia, stampa, fotocopie, stencil o dipinto direttamente sulla carta da poster. È necessaria una carta specifica per il poster, che deve essere molto sottile, poiché più la carta è sottile, più durerà sul muro, ma non lo deve essere troppo, altrimenti c’è il rischio che si strappi nel momento dell’incollatura. Lo spessore perfetto è quello della carta da gioranle. Una volta stampato o dipinto il soggetto del poster (si raccomanda di usare una vernice idrorepellente), si passa al taglio e infine all’azione su strada. Per incollare il poster è consigliata una colla per carta da parati o per il legno e come strumento si può utilizzare un pennello o un rullo. La colla impiegherà alcune ore per asciugarsi. Nonostante il lungo procedimento preparatorio in studio, l’azione in strada dura pochi minuti e non è necessario alcun aiuto da parte di terzi.

Ernest Pignon-Ernest (Nizza, 1942) può essere considerato il precursore della Poster Art. Dagli anni Sessanta crea immagini serigrafate, dipinte o disegnate e le dissemina per le città. Per Pignon-Ernest l’immagine e il luogo dove essa va applicata sono strettamente collegati: l’immagine deve integrarsi perfettamente con l’architettura urbana. Immagine e ambiente devono amalgamarsi fino a diventare una cosa sola. Per ottenere questo risultato, entra in gioco un altro elemento essenziale per tutta l’opera di Pignon-Ernest, ossia il deterioramento dell’immagine. Così come il luogo muta e si deteriora con il tempo, anche la figura deve subire lo stesso trattamento. Per Pignon-Ernest la fragilità del foglio assurge al ruolo di memento mori e particolarmente propedeutica a questo concetto, è la serie di opere che l’artista compie a Napoli tra il 1988 e il 1995. Nei vicoli napoletani Pignon-Ernest incolla di notte immagini dei grandi maestri italiani, in particolare Caravaggio e le figure, che si fondono magistralmente con i muri antichi della città, sembrano erompere da essi, come per riportare alla luce la storia e le memorie della gente. [Figura 9]

Tra i nuovi artisti contemporanei aderenti alla corrente della Poster Art, Swoon (vero nome: Caledonia Dance Curry, nata a New London, in Connecticut, nel 1978) può essere considerata una dei più promettenti. Si avvicina alla Street Art all’età di diciannove anni e la sua arte si caratterizza per le stampe di figure umane a grandezza naturale. Particolarmente raffinati sono i suoi lavori ispirati al teatro delle ombre indonesiano. Sul lavoro di strada Swoon dichiara: “I love the layers, the natural beauty of a thousand coincidental markings and factors. At the time it seemed like the street was the only place where real beauty was occurring. The only place open to spontaneity.”126

67   Nel 2009, durante la Biennale di Venezia, Swoon ha messo in atto un progetto dal nome Swimming Cities of Serenissima in cui lei, insieme ad altri trenta artisti di strada specializzati nel recupero e nel riciclo degli oggetti, sono sbarcati all’Arsenale su tre zattere costruite con i rifiuti della città di New York. La ciurma è partita dalla Slovenia, per attraccare infine all’isola di Certosa, fermandosi di volta in volta in vari punti della laguna, con l’obiettivo di entrare in contatto con la gente e l’artigianato locale. [Figura 10]

Una tecnica abbastanza comune utilizzata dai poster artist è quella del collage. Judith Supine è un artista che vive e lavora a New York. Il suo nome è un nome d’arte, quello di sua madre più precisamente, poiché egli ha deciso di rimanere anonimo. I suoi particolari lavori sono dei collage surreali dai colori acidi, di immagini riciclate, in particolare di volti pubblicitari, che l’artista trova in vecchi libri o giornali, provenienti da magazzini o direttamente dalla spazzatura. Supine assembla le immagini, le fotocopia, le colora, alterando la veridicità delle immagini e creando un effetto lisergico, per poi incollarle sui muri della città. Inconfondibili sono i suoi visi giallo-verde acido. Il risultato finale sono volti grotteschi e psichedelici, “figure perverse e sporche, come i suoi metodi di produzione.”127 Tra le sue fonti di ispirazione sono evidenti le caricature di George Grosz e i collage e i fotomontaggi del Dada berlinese. É possibile sfruttare anche per Supine, il commento che Barilli rivolge ai collage di Schwitters: “i singoli elementi ritagliati, benché ricavati con procedimento non-artistico, entrano in un contesto artistico, venendo armonizzati tra loro (anche se attraverso accostamenti arditi) e sfruttati nel loro potenziale “estetico”, cioè nella sensuosità di colore e materia.”128 Notevoli e di forte impatto sono le installazioni che Judith Supine ha posizionato – illegalmente – nel corso degli anni, sui vari ponti della città di New York. Nel 2007 prese d’assalto il Manhattan Bridge, nel 2009 il Williamsburg bridge e infine, nel 2014 il Queensboro bridge. [Figura 11]

La Poster Art si presta molto bene alla già citata missione del Subvertising (o Adbusting), ossia la rivolta contro i cartelloni pubblicitari. Anche se il Subvertising si avvicina più ad un forma di attivismo politico-sociale, piuttosto che ad una espressione artistica, molti street artist hanno donato il loro contributo per la causa. Il poster è il medium più utilizzato, poiché utilizzando lo stesso strumento dell’annuncio pubblicitario, quest’ultimo risulta più facile da modificare e stravolgere, mantenendo un effetto veritiero. Il movimento del Subvertising si sviluppa negli anni Settanta e da allora, periodicamente nuovi gruppi nascono e si battono per lottare contro l’usurpazione del territorio urbano e la liberazione dei cartelloni da parte dei messaggi pubblicitari. I precursori di questo movimento sono i membri del Billboard Liberation Front, con base a San                                                                                                                

127 Lewishon C., op. cit., p.143

Francisco, mentre tra le organizzazioni più attive si trova Adbusters, fondata in Canada nel 1989, con all’attivo decine di campagne per il boicottaggio della pubblicità e per la sensibilizzazione dei cittadini, come ad esempio il Buy Nothing Day o il TV Turnoff Week. Ron English (Dallas, 1966), artista pop contemporaneo, ha basato gran parte del sua attività artistica sul Subvertising, creando cartelloni di protesta decisamente poco politically-correct, creando molto scalpore. In un’intervista ha dichiarato che il messaggio che vuole mandare è quello di libertà di parola. Lo spazio pubblico è un diritto umano e se la pubblicità è accettata, allora lo deve essere anche la contro-pubblicità129. Lavora con gli stessi materiali dei cartelloni pubblicitari e lavora di giorno, così da non creare sospetto. I loghi e le immagini utilizzate dai subvertisers sono uguali o molto simili a quelli delle campagne pubblicitarie originali, quindi di primo impatto pare di trovarsi davanti al solito messaggio pubblicitario, ma a un secondo sguardo, si nota che il messaggio o parte dell’immagine sono stati modificati e il concetto rivoluzionato, creando un effetto di spaesamento e confusione. Per compiere questi atti sovversivi si possono scegliere due modalità: creare un manifesto ex novo del tutto simile a quello originario, con la stessa grafica e gli stessi colori, ma con il messaggio modificato – come, ad esempio, il poster realizzato da Ron English con la dicitura Diabetic Coke, invece di Diet Coke – oppure è possibile modificare un manifesto pre-esistente. Un esempio recente di questa seconda modalità d’azione è quello di Daniel Soares, un giovane creativo tedesco- portoghese, che ha affisso sui cartelloni della campagna pubblicitaria di costumi di H&M, colosso della moda svedese, dei poster raffiguranti la barra degli strumenti di Photoshop, come denuncia all’uso smodato del foto-ritocco nelle pubblicità.

2.3.1 Shepard Fairey

Shepard Fairey, nato in South Carolina nel 1970 e conosciuto al grande pubblico con lo pseudonimo di “Obey”, è street artist, graphic designer, imprenditore, pubblicitario, illustratore e racchiude nella sua figura tutto lo spirito dell’artista contemporaneo. Molti artisti contemporanei, in particolar modo gli street artist, non limitano la loro esperienza professionale nelle arti visive, ma cercano di diffondere la loro arte e la loro esperienza anche in vari ambiti, che vanno dal design, all’abbigliamento.

Durante i suoi studi alla Rhode Island school of Design, Fairey entra in contatto con artisti e movimenti che influenzeranno fortemente il suo lavoro. Rodčenko e i costruttivisti russi sono le sue

69   sono dei veri e propri omaggi ai manifesti costruttivisti russi. [Figura 12] Inoltre, così come i costruttivisti, Obey “sceglie di utilizzare l’arte come messaggio sociale e come veicolo di contenuti per le masse.”130 L’arte quindi non deve essere fine a se stessa, ma deve essere di aiuto e a servizio della società. Un’ulteriore evidente fonte di ispirazione per Obey è l’arte di Barbara Kruger, artista concettuale statunitense che basa la sua opera sulla ricerca di immagini di riciclo, in particolar modo immagini o fotografie pubblicitarie trovate su riviste e giornali, aggiungendo però degli slogan sovversivi che ne ribaltano il senso. I suoi manifesti e i suoi slogan contro il consumismo, come l’emblematico I shop, therefore i am, hanno ispirato l’opera di Fairey e della corrente Subvertising. Fairey si è ispirato alla Kruger soprattutto per la scelta cromatica, dal momento che anche la Kruger utilizza solo le fotografie in bianco e nero, sulle quali sovrascrive, con scritte bianche su sfondo rosso (quest’ultimo diventato poi un trademark chiamato Kruger red). Inoltre, anche la scelta dei manifesti e dei poster come supporto, assieme all’intenzione di creare una sensazione di spaesamento e di detournèment nell’osservatore, sono ulteriori caratteristiche che accomunano i due artisti.

L’ascesa di Shepard Fairey avviene nel 1989, quando, insieme a dei suoi compagni di college, crea quella che poi diventerà la sua cifra caratteristica e che gli varrà anche come pseudonimo. Fairey decide di riprodurre su poster e sticker, l’immagine del wrestler francese André René Roussimoff, detto anche André the Giant, per via della sua stazza. L’immagine, trovata su una vecchia rivista, é in bianco e nero e sotto di essa Fairey aggiunge la frase André the Giant has a posse131. In poco tempo, la campagna André the Giant has a posse diventa virale e poster e sticker con il volto di André the Giant si spargono per tutti gli Stati Uniti, anche grazie al contributo della gente comune. Fairey pubblica delle inserzioni su riviste di skateboard, musica, o cultura underground, postando l’immagine di André e comunicando che per 5 centesimi avrebbe spedito gli adesivi a casa.

Inizialmente questa immagine non ha un significato preciso, Fairey afferma che ognuno può vederci il significato che vuole, in base alla propria sensibilità. Come afferma in una sua intervista, nell’immagine di André “c’è l’aspetto del test di Rorschach: ogni interpretazione di un’immagine ambigua, che sia una macchia d’inchiostro o un lottatore professionista è una riflessione della personalità di qualcuno. Ad esempio: osservando André da una certa prospettiva potrebbe risultare sinistro, timoroso e inquietante, mentre da un’altra benevolo, buono e sciocco.132”

                                                                                                               

130 De Gregori S., Shepard Fairey in arte Obey: La vita e le opere del re della poster art, Roma,

Castelvecchi, 2011, p.9.

131 “Posse” può essere considerato sinonimo di crew, gang, gruppo di amici.

La campagna di André the Giant prende un’implicazione politica, quando Fairey decide di inserire degli slogan nelle immagini. Fairey era rimasto colpito dal film di John Carpenter del 1988 They live, un film di orwelliana memoria, in cui si narra di una Los Angeles distopica, apparentemente normale, in cui il protagonista della storia (interpretato da un famoso lottatore di wrestling del periodo, Roddy Piper) trova degli occhiali particolari e indossandoli, scopre che la realtà non è quella che sembra. Attraverso queste lenti particolari infatti, si scopre che gran parte della popolazione mondiale è in realtà una razza aliena camuffata, intenta a conquistare la terra, attraverso messaggi pubblicitari subliminali. Dietro i normali cartelloni pubblicitari, si celano messaggi propagandistici come obey, consume, reproduce. Il messaggio del film, una dichiarata protesta contro il consumismo e la politica reaganiana, viene ripreso da Shepard Fairey, che inserisce la scritta Obey con lo stesso font della pellicola, sull’immagine di André the giant, tramutando la sua campagna in: Obey the giant. Da allora, l’artista Shepard Fairey prende lo pseudonimo Obey133. Obey si batte contro la manipolazione dei mezzi di comunicazione, il consumismo, l’impoverimento morale delle masse e porta avanti la sua lotta attraverso la sua arte, con tutti i mezzi possibili: poster, sticker e stencil. Come viene ribadito anche da De Gregori: “La strada non ammette censure, non c’è un comitato che decide cosa si può esporre e cosa no, offre una totale libertà di espressione e Fairey ne ha fatto il suo strumento, mostrando così di non volersi sottomettere al sistema.”134 [Figura 13]

Come già anticipato, Obey non può essere considerato semplicemente uno street artist, poiché concentra la sua attività in vari campi. Il suo legame con la musica è fortissimo, nel corso degli anni ha realizzato decine di ritratti di icone musicali, da John Lennon, a Jimi Hendrix e si è prestato a creare cover dei dischi di numerosi gruppi musicali. Inoltre, egli stesso si diletta come dj musicale. Il suo studio di grafica e pubblicità, Number One, aperto insieme alla moglie, è attualmente uno degli studi più importanti negli Stati Uniti e vanta clienti come Pepsi, Adidas, Apple, Sony e altri ancora. All’interno dello studio, ha sede anche la galleria Subliminal Projects, specializzata in tutte le espressioni artistiche (fotografia, pittura, grafica, illustrazioni, Street Art) legate alla cultura urbana. Nel 2004 ha fondato una rivista trimestrale “Swindle”, uscita fino al 2009, che trattava di cultura pop e attualità, concentrandosi in particolar modo sulla Street Art e le culture underground.

71   Nel 2001 è nata la linea di abbigliamento Obey Clothing venduta in tutto il mondo e diventata uno status symbol per tutti i giovani. Come descrive anche nel suo sito, Obey considera l’abbigliamento un’ulteriore tela per diffondere la sua arte e i suoi messaggi alle persone135.

Obey è molto impegnato nel sociale. Tra le numerose attività benefiche che organizza e a cui partecipa e le organizzazioni no-profit con cui collabora, rimarchevole è il contributo di Obey alla città di Venezia. Nel 2009 ha partecipato al progetto “SMS Venice” (Saint Mark’s Square Venezia)136 per la tutela e la conservazione dei beni artistici e architettonici della città. Durante la sua permanenza di due settimane, Obey ha realizzato duecento serigrafie su Venezia e i proventi sono andati al finanziamento per il restauro di alcuni dei più importanti monumenti dell’isola, come il ponte di Rialto e la chiesa di San Giorgio maggiore. Inoltre, ha creato delle installazioni esposte in Piazza San Marco, a Ca’ Corner della Regina, in campo Santa Margherita, a palazzo Querini Dubois e ai magazzini Ligabue e vendute poi all’asta. Infine ha tenuto anche un workshop all’Accademia di Belle Arti.

Con la sua arte e le sue campagne, Obey ha raggiunto un successo planetario e ottenuto consensi dalla critica e dal pubblico. Nel 2010 Jeffrey Deitch (attuale direttore del MOCA, Museum Of Contemporary Art di Los Angeles) e Antonino d’Ambrosio hanno curato una personale di Obey alla galleria di Jeffrey Deitch, a New York. La mostra, dal titolo MayDay, volto a rappresentare sia la festa internazionale dei lavoratori, sia il codice d’aiuto da utilizzare in caso di emergenze, ha avuto un successo senza precedenti. Come racconta Deitch nell’introduzione del catalogo della mostra, il giorno dell’inaugurazione, le persone iniziarono a fare la fila dalle 6 del mattino, alle 10 del mattino c’erano già più di 100 persone ad attendere e alle 18.30, ora di apertura della galleria, interi isolati erano invasi dalla folla, tanto da dover deviare il traffico stradale. Un evento unico nell’ambito artistico newyorchese137. La mostra presentava lavori inediti su tela, su carta, serigrafie, stencil e copertine di dischi e Obey non si limitò ad esporre le sue opere in galleria, ma durante il mese di apertura della mostra, andò in giro per la città con la sua crew a bombardare i quartieri con i suoi poster. Per il gioco di parole del titolo della mostra (May day e Mayday) la mostra era sia una celebrazione dei grandi personaggi rivoluzionari e delle contro-culture, che un monito sull’ingiustizia sociale, la guerra e la distruzione ambientale. La mostra iniziava con bandiere e bersagli, con tanto di ritratto di Jasper Johns, come da ammissione di Obey, il suo più grande esempio e fonte di ispirazione, per poi proseguire con paesaggi urbani orwelliani o malinconici                                                                                                                

135 http://www.obeyclothing.com/about/

136 Sms Venice è un progetto nato nel 2008 come campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi per

la tutela e la conservazione di Piazza San Marco.

137 Deitch J., D’Ambrosio A., Mayday, The art of Shepard Fairey, Berkley, Gingko Press Inc.,

(notevole America’s Favorite, un’immagine di una stazione di benzina, omaggio all’opera di Ed Ruscha: Twentysix Gasoline Stations), per finire con ritratti del Dalai Lama, il subcomandante Marcos o Aung San Suu Kyi.

Per Deitch, il successo di Obey sta nel grande senso della scelta del luogo, in una notevole abilità nella creazione dell’immagine e in un’intuitiva comprensione della semiotica, associata ad un forte istinto commerciale138.

La consacrazione di Obey avviene infine con l’ormai celebre poster realizzato per la campagna presidenziale di Barack Obama del 2008. Il richiamo alle serigrafie di Warhol è immediato, il volto di Obama è altamente compatibile con le icone pop come Marylin Monroe o Mao Tze Tung e come dichiara anche il critico Peter Schjedahl in un articolo sul New Yorker del 23 febbraio 2009: “Shepard Fairey created the most efficacious American political illustration since “Uncle Sam Wants You.”139 Il ritratto originale di Obama si trova ora alla National Potrait Gallery

di Washington.

Obey è uno dei più quotati street artist a livello mondiale, ma nonostante questo cerca ancora di lavorare sui muri delle città. Nel 2009, mentre si stava dirigendo all’inaugurazione di una sua retrospettiva all’Institute of Contemporary Art di Boston, per festeggiare il ventennale della sua carriera, è stato arrestato. Il tribunale di Boston aveva ben dodici capi d’accusa contro di lui eppure il fascino di agire nelle strade non è mai diminuito. Come dichiara in una sua intervista:

“C’è qualcosa di potente nel contemplare l’arte negli spazi pubblici al posto delle pubblicità. Una delle cose che più mi piace è stare in mezzo alle persone, perché l’arte di strada non è come quella nelle gallerie in cui la gente cammina e dice: so che questo lavoro è bello perché è esposto in una galleria, per la strada le persone si vergognano di meno nel mostrare quello che pensano veramente, senza clichè.”140

La figura unica e innovativa di Shepard Fairey, che partendo dalla decorazione di skateboard e dalla creazione di volantini per le band musicali della sua zona, è arrivato ai più alti livelli dell’arte contemporanea è da esempio per tutti gli altri giovani street artist. La filosofia, l’etica e l’arte di