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CAPITOLO 4. IL MOVIMENTO IN ITALIA

4.2 Nascita e diffusione del Graffiti Writing in Italia I treni e le fanzine

Il Graffiti Writing è nato inizialmente in forma di Subway Art, negli anni Settanta a New York. Una volta giunto in Italia, il fenomeno ha dovuto cercare dei supporti corrispettivi ai vagoni della metropolitana. Fortunatamente per i writer, la penisola italiana vanta una fitta e vasta rete ferroviaria, con un gran numero di depositi, più o meno facilmente accessibili. I writer hanno visto nel trasporto ferroviario il veicolo più adatto alla diffusione del Graffiti Writing. Attraverso i treni, i

121   viaggiare con essi. Inizialmente, nell’era pre-internet, un writer diventava conosciuto nell’ambiente solamente grazie ai pezzi compiuti sui treni. Ad esempio, un pezzo partito la mattina dal sud Italia, poteva arrivare la sera a Milano e entrare in contatto con le crews locali. A metà degli anni Novanta, i treni delle Ferrovie Italiane erano completamente ricoperti di pezzi e quasi non esistevano writer che almeno una volta non avessero dipinto su di essi. Come afferma anche un writer di quel periodo: “Se non hai mai fatto i treni, sei un artista, un decoratore, non sei un writer.”195 Il fenomeno si è ampliato in maniera esponenziale negli anni, tanto da venire classificato come movimento a sé stante chiamato “trainbombing”196. Molti writer negli anni Novanta hanno deciso di concentrare il loro lavoro esclusivamente sui treni.

Il treno testimonia, più del muro, quanto il Graffiti Writing sia un’arte estremamente effimera. I pezzi su muro possono perdurare anche settimane, mesi, talvolta anni, se compiuti in maniera legale o in luoghi periferici o abbandonati, mentre il treno è un mezzo in continuo movimento e spesso i writer hanno la possibilità di godere della propria opera solo appena conclusa, prima che il treno parta per il suo viaggio. In questo caso, sono molto importanti le fotografie come strumento per testimoniare l’operato dei writer e delle loro crews.

In un primo momento, le Ferrovie Italiane non hanno preso provvedimenti, limitandosi a cancellare i pezzi solo sui finestrini, ma, dagli inizi degli anni Duemila, quando il fenomeno è iniziato a diventare sempre più inarrestabile e incontrollabile, le ferrovie hanno deciso di reagire, attivando azioni repressive molto simili a quelle della MTA newyorchese. Si è iniziato così a “buffare” totalmente i treni, ossia a cancellare i graffiti, ripulendo le carrozze con puliture ad acido e si è introdotta una pellicola particolare graffiti-repellente. Effettivamente, queste tecniche di ripulitura, associate ad un aumento dei controlli nei depositi, hanno sensibilmente diminuito il fenomeno del trainbombing e oggi risulta possibile osservare dei vagoni colpiti, solo imbattendosi nei treni più vecchi.

Le tecniche adottate per il trainbombing sono le stesse utilizzate dai “colleghi” newyorchesi, descritte nel primo capitolo: si può scegliere di dipingere un semplice pezzo, fino ad arrivare ad un end-to-end, un window-down, un top-to-bottom o un whole car. L’obiettivo finale è quello di realizzare un whole train, ossia un intero treno, dipinto nella totalità dei suoi vagoni. Non è quasi mai possibile realizzare un whole train in una singola seduta, a causa dei limiti di tempo, delle quantità di bombolette a disposizione e dei rischi legati ai controlli, è quindi molto probabile che i treni possano essere conclusi in diverse occasioni, da writer diversi.

                                                                                                               

195 Rae in Mininno A., op. cit. p. 72 196 Ibid.

Molto apprezzate dai writer sono state, nel corso degli anni, le linee ferroviarie locali, le quali compiono piccole tratte ed è quindi più probabile che un writer possa rivedere il proprio pezzo. Una delle ferrovie predilette dei writer era, ad esempio, Trenord, la linea ferroviaria regionale della Lombardia. Inoltre, il passaggio alle pellicole anti-graffito è stato successivo alle Ferrovie Italiane, quindi, per un certo periodo, quando la rete ferroviaria statale era diventata già inagibile, i writer hanno potuto godere delle ferrovie locali per le loro azioni. Al giorno d’oggi, anche le ferrovie regionali si sono convertite alle pellicole e solo poche realtà non hanno adottato questa pratica. Un esempio è la linea Circumvesuviana di Napoli, dove è possibile ancora osservare treni completamente colpiti e sostare in stazioni estremamente variopinte e decorate con pezzi, più o meno interessanti, di Graffiti Writing. [Figura 2]

Ovviamente, nelle grandi città (in particolare Roma e Milano), anche i vagoni della metropolitana non sono esenti da graffiti. I pezzi dipinti sui treni metropolitani sono leggermente diversi da quelli dipinti sui treni ferroviari, principalmente a causa della scarsità di tempo e del maggior pericolo in cui si incorre colpendo i primi. Il gesto è più veloce, le cromie si riducono (a volte sono sufficienti un paio di colori) e, essendo le carrozze in minor numero rispetto ai treni ferroviari, spesso i pezzi vengono creati uno sopra l’altro. Come asserisce Mininno in riguardo al trainbombing sui treni della metropolitana di Roma:

“il risultato è un disordine visivo che lascia perplessi molti turisti, ma che caratterizza in maniera particolare i trasporti pubblici della capitale. Basta sostare per qualche ora nella stazione Ostiense per veder scorrere davanti ai propri occhi una buona parte della storia del writing capitolino.”197

A Milano i controlli e le pulizie dei vagoni sono più consistenti ed è quindi più raro vedere le carrozze interamente colpite. Ad ogni modo, il fenomeno del trainbombing delle metropolitane ha pervaso anche l’Italia e almeno finchè persisterà il Graffiti Writing, esisterà anche il trainbombing.

Il treno è stato un mezzo di diffusione del Graffiti Writing, non solo nel territorio italiano, ma anche in Europa. Sui treni non viaggiavano solo i pezzi, ma anche i loro creatori. Negli anni Novanta, infatti, era molto comune tra i writer, la pratica dell’Inter-rail, attraverso la quale i giovani writer potevano viaggiare in tutta Europa, per entrare in contatto con i graffiti e le crews straniere e praticare trainbombing nelle maggiori capitali europee. Questa pratica ha creato un network di scambio e confronto tra i giovani writer di tutto il continente e sono nate perfino crews internazionali costituite da elementi di diversa provenienza. Tra gli esempi di crews internazionali

123   di stanza a Londra, e la Bomb Squad a Parigi. Grazie all’Inter-rail è avvenuta una reciproca influenza tra i vari writer e si è creata una contaminazione di stili che ha arricchito il fenomeno del Graffiti Writing, creando uno stile propriamente europeo, staccandosi così dal modello americano.

Il secondo indispensabile strumento di diffusione dei graffiti, nell’era pre-internet, erano le fanzine. Il nome fanzine è l’abbreviazione di fanatic magazine e rappresenta una rivista amatoriale, di nicchia, gestita e seguita dagli appassionati di uno specifico argomento. Attraverso queste riviste indipendenti e autoprodotte, colme di fotografie dei pezzi sparsi per tutta Europa, i giovani writer venivano a conoscenza delle ultime tendenze, delle città più all’avanguardia, delle crews più attive e di tutte le notizie relative alla disciplina del Writing. Quando i writer partivano per un viaggio all’estero, era necessario poi tornare con quante più fanzine possibili, in modo da tener aggiornati i vari membri della crew, sugli stili dei kings dei vari paesi. È per merito delle fotografie e delle fanzine che un genere precario e transitorio come il Graffiti Writing è sopravvissuto fino ad oggi e le testimonianze delle prime generazioni di writer non sono andate perdute. Una delle prime fanzine apparse in circolazione è “Impatto Nitro”, realizzata a Milano dalla crew TDK nel 1992. Inizialmente le fanzine erano costituite da una ventina di pagine fotocopiate in bianco e nero, realizzate artigianalmente, ritagliando e incollando fotografie e fogli di carta, con copertine realizzate a mano dagli stessi writer. Dato l’enorme successo e la massiccia diffusione, col tempo nacquero vere e proprie riviste specializzate. In questi magazine si trovavano notizie riguardanti tutta la cultura Hip Hop: dalle interviste ai protagonisti della musica rap, a fotografie di pezzi di Aerosol Art, alle notizie sullo stato dell’arte della cultura Hip Hop. Le riviste principali a livello italiano erano “Tribe Magazine” fondata dai writer milanesi Airone e KayOne e “Aelle” (divenuto poi “AL Magazine”) pubblicata a Genova, da Claudio Brignole. Entrambe le riviste sono state pubblicate dal 1991 al 2000 (il primo numero in edicola di “Aelle” è uscito nel settembre del 1995). [Figura 3]

I magazine e le fanzine italiane possedevano un alto livello di contenuti. I servizi erano accurati e stimolanti, dal momento che venivano realizzati da estimatori e dagli stessi protagonisti del movimento. Proprio per il loro alto standard qualitativo, le fanzine e i magazine italiani si sono diffusi anche all’estero, parallelamente a quelli stranieri che venivano importati in Italia, creando un movimento sempre più globale.

4.3 I luoghi

Per quanto ridimensionato, il fenomeno del trainbombing non ha mai cessato del tutto di esistere ed ha sempre continuato il suo lavoro di diffusione del movimento. Parallelamente ai treni, il Graffiti

Writing si espande anche sui muri delle città, sia illegalmente, sia attraverso le Hall of Fame autorizzate. Con il passare degli anni, si accostano al Graffiti Writing anche le opere di Street Art, completando così il quadro dell’Arte Urbana. Le prime città in cui si diffonde maggiormente il movimento sono Milano, Bologna e Roma, che negli anni sono diventate un punto di riferimento per i writer, anche a livello internazionale. Oltre a queste grandi realtà, anche molti altri centri possiedono una scena attiva e prolifica, come, ad esempio, Torino, Napoli, Padova e la costa Adriatica con Rimini, Pesaro, Ancona e Pescara.

4.3.1 Milano

La città di Milano, con il suo imponente sviluppo urbano, gli innumerevoli edifici dell’hinterland ed i centri sociali molto attivi, negli anni hanno portato ad un naturale sviluppo del Graffiti Writing. Dato il proverbiale grigiore di Milano, i giovani writer non hanno potuto rinunciare a tentare di donare un po’ di colore e vivacità alla città e, dalla fine degli anni Ottanta, hanno portato avanti una sorta di progetto di riscrittura estetica metropolitana.

Così Lucchetti descrive la scena del Graffiti Writing milanese:

“Milano offre una scena particolare rispetto a tutte le altre città italiane, in essa il writing ha raggiunto un notevolissimo grado di complessità, si passa dal semplice bombing ai veri e propri masterpieces e tutte le forme espressive dell’aerosol culture convivono e condividono, più o meno, gli stessi spazi. Lo studio del lettering ha raggiunto un notevole stadio di evoluzione anche se, forse, una buona parte degli stili più nuovi, che si possono ammirare nelle zone ancora attive di Milano, sono decisamente simili agli stili di writer degli anni passati. Tutto questo, però, non fa che aumentare la ricchezza della scena e l’impressione che essa si muova, all’interno della metropoli, con pesanti passi di ribellione.”198

Uno dei punti di riferimento del Writing milanese è lo spazio pubblico autogestito Leoncavallo, attivo dal 1975. Dopo diversi sfratti e sgomberi forzati, nel 1994 il centro sociale si trasferisce in via Watteau, scegliendo come sede una ex-cartiera. Nel corso degli anni i muri del centro sociale si sono arricchiti di graffiti, creando una Hall of Fame estremamente variegata e densa, che racchiude la storia del Writing della città. Attualmente, tutto il perimetro del centro sociale è invaso di graffiti, e non si riesce a trovare nemmeno uno spazio senza colore, creando così un effetto di horror vacui contemporaneo. Il Leoncavallo è meta di pellegrinaggio per writer italiani e stranieri, ma i continui

125   5pointz a New York. Tra gli artisti che hanno realizzato opere al Leoncavallo si annoverano: Ozmo, Santa Crew, THP crew, Mr Wany, Zed1, Blu, Tv Boy, Bros, Pao, Tawa e Zibe.

Un altro luogo significativo per il Graffiti Writing milanese, anche da un punto di vista sociale e di riqualificazione urbana è la Hall of Fame di viale Caprilli, in zona San Siro. Lungo la via si trova un muro di un chilometro che costeggia l’Ippodromo del Galoppo. La zona residenziale risulta anonima e poco frequentata, se non in occasione delle partite di calcio a cadenza settimanale. Così, nel 2011, l’associazione “Stradedarts” fondata da KayOne, uno dei primi storici writer milanesi, ha deciso di organizzare un evento per cercare di rivitalizzare il quartiere, almeno a livello artistico- culturale. L’associazione ha invitato duecentocinquanta writer a realizzare opere aventi come tema lo sport, sul muro che costeggia l’ippodromo, creando così la più grande jam199 di Graffiti Writing italiana. Inoltre, alcune crews milanesi storiche, tra le quali THP, CKC e 16 K, hanno dipinto i dodici ingressi dello stadio San Siro, mentre all’interno del museo dello stadio è stata realizzata una mostra, curata da Alessandro Mantovani, dal titolo “Stadio Street Players”, in cui sono state esposte opere su tela di ventidue artisti (undici milanisti e undici interisti) in cui vengono omaggiate le due squadre. Nel 2013 è stato riproposto l’evento e il muro chilometrico è stato imbiancato per fare posto ad altri quasi duecento writer, che hanno realizzato opere riguardanti il tema dell’ippica e dei cavalli. Ogni intervento di Street Art raccoglie sostenitori e detrattori e, anche in questo caso, non sono mancati commenti negativi. Nel documentario Street art: graffiti a Milano, realizzato nel 2013 in co-produzione da Sky Arte e dall’Accademia di Belle Arti di Brescia, vengono mostrate anche le reazioni dei cittadini, non sempre positive. C’è, ad esempio, chi afferma che via Caprilli “l’hanno rovinata”, che così facendo si è perso “il fascino del grigio di Milano”. Nonostante qualche commento negativo però, la maggioranza degli abitanti della zona si è mostrata aperta e benevolente nei confronti dei graffiti.

Un esempio di quanto, talvolta, la Street Art si integri nella comunità è dato dalla maestosa e raggiante Vergine di Guadalupe realizzata dallo street artist Ozmo, sita sulla facciata di un autoricambi in via Pollaiuolo, nel quartiere Isola, ora diventato un vero e proprio santuario per i Sudamericani del quartiere. L’opera di Ozmo non è l’unica opera che si trova sulla facciata dell’autoricambi, infatti, il proprietario della struttura ha commissionato diverse opere di Street Art per il suo stabile e ad oggi affiancano la vergine di Guadalupe anche un angelo di Ryan Spring Dooley, il viso di Arnold, inconfondibile cifra stilistica dello street artist Zibe e opere di Moneyless, Microbo, Bo 130 e altri. [Figura 4] Poco distante dall’autoricambi, in piazza Tinniti, si trova un oratorio, le cui mura sono state rinnovate da opere di Microbo e Bo 130. Tutto il quartiere Isola è                                                                                                                

199 In questo caso per Jam si indica un incontro tra writer, breaker e musicisti che agiscono e

costellato da opere di Graffiti Writing e Street Art ed è sicuramente la zona più colorata di Milano. Anche le saracinesce delle attività commerciali sono dipinte da graffiti e opere di Street Art e nel 2011 è sorto il progetto “EscoAdIsola”, per la riqualificazione del sottopasso che collega il quartiere alla stazione di porta Garibaldi, attraverso la sua decorazione con opere di Arte Urbana.

Disseminate nel quartiere Isola si possono trovare opere di Ozmo, Ron English Microbo, Bo 130, Moneyless, Rendo, Zibe, M.T. Crushler, Endone, 66T, 2501 e El Gatto Chimney.

L’evento che ha sancito l’ingresso del Graffiti Writing e della Street Art nell’ambiente dell’arte “ufficiale” è stata la mostra Street Art. Sweet Art. Dalla cultura hip hop alla generazione pop up, al Pac (Padiglione d’Arte Contemporanea) di Milano, curata da Alessandro Riva, tenutasi dal 7 marzo al 25 aprile 2007. Per poco più di un mese sono state esposte le opere di più di trenta artisti, provenienti da tutta Italia e appartenenti a vari stili di Arte Urbana. Alla mostra hanno esposto dai writer della prima generazione, come: Kayone, Airone, Atomo, Rendo, Joys, Mambo e Rae Martini, agli street artist che utilizzano le tecniche più svariate e innovative come Abbominevole, Basik, Blu, Ericailcane, Dado & Stefy, Ozmo, Joys, Microbo, Bo 130, Dem, Eron, Pao e Tv Boy, solo per citarne alcuni.

La particolarità di questi artisti è data dal fatto che ognuno spazia liberamente nel proprio universo artistico, non sottostando a schemi predefiniti e il risultato della mostra è stato un’ampia retrospettiva del panorama dell’arte iper-contemporanea italiana. Blu, Ericailcane e Ozmo, ad esempio, spiccano per le loro grandi opere figurative; Microbo, Bo130 e Dem si caratterizzano per la commistione di stili e di media, utilizzando spray, pennelli, video e stampa; Abbominevole si concentra sulla Poster Art, con i suoi volti grotteschi e dissacranti; le opere di Cano, Pho e Rae Martini si avvicinano all’arte astratta; mentre writer come Joys e Dado & Stefy allargano i loro orizzonti, sperimentando con la loro arte e creando vere e proprie sculture di graffiti.

Tra gli street artist milanesi che più hanno contribiuito alla trasformazione e alla “decorazione” del tessuto urbano meneghino si trovano Bros, già citato per la storica assoluzione in tribunale, e Pao, conosciuto da molti cittadini per il suo stile ironico e colorato. Bros (1981) colpisce per la sua irriverenza. Nel gennaio 2007, ad esempio, ha deciso di riformulare la toponomastica milanese, reintitolando una via a suo nome. Lo street artist ha installato una targa all’inizio di una via di Milano, identica a quelle utilizzate per la toponomastica della città, intitolandola “Via Bros. Artista contemporaneo 1981 - ?”, probabilmente per commentare in maniera sarcastica e ironica alle polemiche sorte tra le varie forze politiche comunali, a seguito

127   Pao (1977), milanese, è uno degli street artist più benvoluti dalla cittadinanza, poiché le sue opere sono di immediata comprensione ed egli è in grado di calibrare la giusta dose di ironia e sagacia. Pao mette in atto un processo di vera riappropiazione della struttura urbana, poiché non si limita ad intervenire sui muri, ma sfrutta ogni tipo di supporto, dalle colonnine dell’energia elettrica ai famosi “panettoni”, ossia i paracarri, che a Milano assumono una forma tondeggiante. Pao è venuto alla ribalta reinterpretando queste architetture, trasformandole, con l’uso della bomboletta spray, in personaggi della cultura popolare e in animali di ogni sorta, tra i quali spicca quello che poi diventerà la sua cifra caratteristica: il pinguino. Il suo stile è immediatamente riconoscibile e per merito del suo stile riconducibile al mondo dei fumetti e dei cartoni animati, la sua arte risulta accettata e apprezzata da ogni membro della comunità, dai bambini agli adulti. I suoi animali irriverenti e divertenti, provenienti da un immaginario infantile, sembrano emergere dall’asfalto della città per soprendere e stupire positivamente i passanti, i quali a stento potranno trattenere un sorriso. Sulla sua operazione di decontestualizzazione e ri-trasformazione di elementi pre-esistenti del tessuto urbano, Pao afferma:

“Decontestualizzando elementi pre-esistenti, cerco di creare un effetto di straniamento nel passante, la realtà assume caratteri magici, il ragionamento logico perde di importanza per fare spazio al comportamento istintivo. In questo senso il mio stile è molto ludico e ha molti richiami al mondo dell’infanzia. Utilizzare elementi tridimensionali fa sì che l’opera sia un tutt’uno con lo spazio circostante; lo spazio urbano si trasforma, diventando il palcoscenico in cui i miei personaggi agiscono, interagendo con lo “spettatore” che diventa parte attiva. […] Intervenire nello spazio pubblico per me vuol dire avere bene in mente che ti confronti con la collettività. […] Mi piace creare divertimento, reinterpretando angoli grigi della città, ma al tempo stesso mi piace spiazzare i benpensanti, portando avanti un’arte fatta in segreto pre la gente, un’arte che si suppone non debba esistere.”200

L’abilità tecnica di Pao sta nell’essere in grado di dipingere su un supporto tridimensionale e spesso non lineare, ma ricurvo. Inoltre, l’artista realizza anche opere su tela, nelle quali è riconoscibile il passaggio dalla bomboletta spray a colori acrilici e l’aggiunta di materiali di diversa natura. I temi e i soggetti rimangono di natura fantastica e briosa. [Figura 5]

Orticanoodles è lo pseudonimo di Wally e Alita, due street artist con base a Milano (Ortica è il nome del quartiere in cui si trova il loro studio) che fanno coppia sia sul lavoro che nella vita. Orticanoodles hanno iniziato la loro attività agli inizi degli anni Duemila, invadendo la città di Milano con poster e sticker raffiguranti il loro logo: L’immagine del volto stereotipato di Cristo,                                                                                                                

200 Riva, A. (a cura di), Street Art Art Sweet Art. Dalla cultura hip hop alla generazione pop up,