Mentre la contesa che riguardava l’onore dei due contendenti venne trasferita a Vienna, a Trieste il conflitto, in un clima teso, continuò a incentrarsi sul pane. Non è semplice dare conto di quello che accadde e delle complesse strategie messe in campo nei tribunali e fuori, in un accumularsi di processi, accuse, difese, accordi, cavilli e litiganti. Frizioni, a volte apparentemente a sé stanti, trovavano la loro collo-cazione nel contesto complessivo dello scontro scoppiato tra Ricci e Pirona, coinvolgendo tutta la città e i villaggi vicini e da questi allar-gandosi a Vienna e ai territori dell’Impero. Infatti, se nel corso del 1759 epicentro del conflitto furono le relazioni che collegavano i tre poli del triangolo formato da Fondaco, Privativa e breschizze, le ten-sioni avvolsero l’Intendenza Commerciale, che, a fronte di una unità formale, era lacerata in parti contrapposte, la città, il ceto mercantile e le reti che raccordavano la società locale con il centro, mentre nuovi protagonisti si affacciavano sulla scena.
In questo contesto la prima mossa fu fatta dal Fondaco di cui nel frattempo Francesco Antonio de Raab era stato nominato presidente, assumendo la guida della Commissione che lo dirigeva e somman-do tale incarico a quello di consigliere dell’Intendenza. Infatti, somman-dopo che il nuovo mulino aveva iniziato la produzione, il 10 gennaio di quell’anno, l’Intendenza Commerciale, su richiesta del Fondaco e con la motivazione che l’attività di questo era «ridotta a puro negozio di farina», ordinò che le trentadue breschizze di Servola fossero obbliga-te a ritirarvi non più frumento, bensì farina nella misura di 126 chilo-grammi al mese. Le donne erano tenute a «levare» la farina assegnata in una sola volta e alle «contumaci» sarebbe stata consegnata a casa
«a proprie loro spese»54. Così, a detta di Francol, si sarebbero anche evitati i disordini che nascevano dai contrabbandi di pane perché le donne, comunque, avrebbero dovuto pagare la loro porzione di fa-rina55. Le proteste furono immediate e, in febbraio, «tutto il comune dell’obbediente villa di Servola» si rivolse all’Intendenza chiedendo che rimanessero in vigore i precedenti usi.A motivarli il fatto che «il nostro doloroso stato, malgrado le nostre infelicità, è giunto a passi tanto veloci, che non avremo più modo di vivere con le nostre lacri-mevoli famiglie». Soprattutto si lamentavano per l’alto prezzo delle farine che, sommato all’alto costo della legna da ardere, non lasciava loro alcun margine di guadagno e perché non avrebbero più potuto usare quanto ricevuto dal Fondaco per il loro sostentamento poiché erano soliti cibarsi solamente con il «pane bruno» fatto impiegando gli scarti della prima macinatura56.
Nella situazione creatasi, la linea di condotta dell’Intendenza do-veva essere dettata dai rapporti di forza tra i suoi componenti e le questioni venivano demandate a chi ne aveva la responsabilità individuale e che poi doveva seguirle. Anche se controfirmati dal presidente Hamilton tutti gli atti concernenti i cereali e il pane erano stilati e firmati da de Raab e Ricci. Anche questa volta, la questione fu nuovamente sottoposta a Geremia, a cui fu chiesta una relazione sulla materia. Naturalmente la relazione fu contraria alle breschizze e volta a mettere in cattiva luce tutti i servolani. Non solo il loro ope-rato era dipinto come pernicioso per il Fondaco e contrario all’utili-tà di tutti, ma si cercava di indebolirne l’onore e la credibiliall’utili-tà. Infatti Francol affermava che era «notorio che tra tutti i villani delle ville di Trieste, li servolani erano li più benestanti e facoltosi». «Coloni perpetui ereditari dei fondi episcopali», per i quali pagavano solo
54 AST, IC, 50, 3 gennaio 1759. La farina prodotta era di tipo Semmelmehl, cioè fior di farina: farina fina di segale adatta a fare pane bianco (Molnar 1708, 312).
55 AST, IC, 50, s.d., Circa l’esercizio del pubblico Fondaco. In passato erano avvenuti mol-ti «pregiudizi» – nel senso di disordini e delitmol-ti che provocavano ‘danni’ al Fondaco – perché «lo sbirro non trova diverse volte le breschizze, le quali hanno la sorte di vendere il pane clandestinamente senza comparire in piazza, o che il sbirro stesso sia per amicizia, sia per regalo di qualche grosso [cioè moneta]» le lascia indisturba-te. Il privilegio di vendere pane, inoltre, era stato tolto alle breschizze di Brech, che identifichiamo nel villaggio di Brech, presso Medana, oggi in Slovenia.
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la decima, avevano terre di proprietà, pescavano e il pane era solo un guadagno «in sovrappiù»57. Tuttavia, se l’Intendenza, eviden-temente convinta da Francol, non tolse l’appoggio alle ragioni del Fondaco, le breschizze non si arresero e, «ammutinate», cessarono «di portar a vendere il pane in piazza di Trieste piuttosto che prov-vedersi nel Fondaco di quella farina» e iniziarono a vendere il pane «clandestinamente […] in città, portandone in luoghi remoti ed in case remote, come tutti li sanno». Nel continuare della protesta, il 20 maggio, sette donne, «a nome anche di tutta la villa di Servola», presentarono a Geremia una proposta di mediazione: per i primi cinque mesi dell’anno volevano essere libere da ogni addebito per la farina che si erano rifiutate di prendere, mentre si dichiaravano disposte, da giugno, ad accettarne quattro chilogrammi e mezzo al giorno, che avrebbero ritirato in un’unica soluzione per ogni mese58. Continuavano pure le frizioni tra Impresa del pane venale e Fondaco, con l’Intendenza che, sollecitata da entrambe le parti a dirimere un contrasto sorto per il prezzo delle farine, cercò di mediare, tra la pri-ma, rappresentata da Pirona e Bonomo, che agivano a nome di tutti gli interessati, e il secondo, rappresentato da de Raab, ed «appianare tutte le discrepanze senza strepito giudiziale» e così, il 19 maggio, i contendenti stipularono un accordo in cui rinunciavano a qualsiasi «ricorso, azione e eccezione». Nel quadro del contratto della conces-sione della privativa, furono stabiliti i prezzi delle farine e, soprattut-to, si raggiunse un accordo sui modi di certificazione della qualità, eliminando il timore che ne venisse fornita di pessima. Ne dovevano essere prodotti alcuni campioni, che sarebbero stati posti in tre sca-tole chiuse con il sigillo di ambo le parti. Il Fondaco si impegnò a comprare ogni anno 1.500 staia di frumento dall’Impresa per produr-re le farine, pagandolo, sia in tempo di «caprodur-restia» che di «abbondan-za», dodici fiorini e quattro carantani a staio. Anche in questo caso la qualità era garantita dal deposito di campioni sigillati. Stabilita tale questione, centrale perché rimandava direttamente alla lite sulla qua-lità del pane, si passò a un altro punto spinoso, quello dei rapporti
fi-57 AST, IC, 50, Sopra il ricorso del Suppano Antonio Sancin e comune della villa di Servola.
58 BCH, AD, 11 B 1, s.d., supplica dei soci della Privativa del pane e AST, IC, 50, 20 maggio 1759. Le donne erano Marincha Sancin, Mariuzza Sancin, Lena Sancin, Ma-rina Sancin e Lena Sidarizza.
nanziari, attorno al quale le tensioni erano molte anche perché Mattio sosteneva che, nel 1758, la Privativa del pane aveva chiuso il bilancio con un saldo negativo, tra ricavi e spese, di 1.766 fiorini, asserendo di non dovere nulla al Fondaco. Pertanto gli era stato ingiunto di pre-sentare il rendiconto59. Alla fine dei conteggi, Pirona fu ritenuto de-bitore di ottocento fiorini, tenendo conto anche dei «contratti vocali» stipulati, a prova che, come abbiamo già scritto, l’anno precedente il clima doveva essere stato ben diverso, mentre, per evitare possibili futuri attriti, venne stabilito che, invece della dodicesima parte degli utili, gli impresari avrebbero dovuto versare ogni anno al Fondaco un importo fisso di cento fiorini e venti carantani60.
Tuttavia, nonostante gli impegni assunti, l’equilibrio raggiunto durò poco più di un mese. Infatti, già a giugno la Commissione di polizia rinnovò le accuse alla Privativa mettendo in discussione la sua pro-duzione, il Fondaco tornò ad attaccare i privilegi delle breschizze con la motivazione ufficiale di voler mettere fine alla loro disobbedienza e le due questioni si intrecciarono ancora più densamente. L’acca-vallarsi degli episodi e il coincidere dei tempi, che indica la stretta relazione tra quanto avveniva sui diversi fronti aperti, ci obbligano ancora alla pignoleria61.
Il 18 giugno, a causa dei crescenti «orribili lamenti di tutto il popolo per la cattiva qualità del pane e per il peso esorbitamente calante» dei pani e, quindi, per l’aumento dei prezzi effettivi, le autorità, a mez-zogiorno e nel pomeriggio, ne fecero controllare il peso, trovandone 299 non conformi. Questi furono sequestrati e consegnati a Ricci che, essendo impegnato in altro – immaginiamo non casualmente – non poté ascoltare le proteste di Pirona che sosteneva che il sequestro era
59 AST, IC, 50, 20 aprile 1759. Secondo i calcoli di Mattio, a fronte di 13.214 fiorini di uscita dovuti soprattutto agli acquisti di farina (12.764 fiorini), le entrate erano state di 11.448 fiorini (la voce più consistente risultava dagli acquisti di frumento fatta dal Fondaco per un ammontare di 7.955 fiorini).
60 AST, IC, 50, 3 maggio 1759. Per la farina di prima qualità venne stabilito un prezzo di otto fiorini e mezzo per centenaro, per quella di seconda qualità di cinque fiorini e per quella di terza di tre fiorini. In precedenza il prezzo della farina era fissato «con contratti vocali» stipulati tra de Raab e Pirona (ivi, 6 aprile 1759).
61 Il fatto che tale conflitto è unitario ma frammentato su fronti diversi, è forse il moti-vo per cui le fonti che lo ricostruiscono sono depositate in diversi archivi tra Trieste e Vienna. Il che rende ancora più complesso descrivere la trama comune.
illegittimo e che il pane in precedenza era stato dichiarato idoneo dal direttore dei forni, il solito Richter. I giorni successivi l’Intendenza dichiarò che il sequestro era legittimo – per questa irregolarità era prevista una multa di un fiorino a pane – e sottopose l’affare all’avvo-cato fiscale, Tommaso Ustia, che a sua volta decretò la colpa di Pirona e, il 24 luglio, inviò la questione all’«Eccelso Consesso in Causis Sum-mi Principis», che altro non era che il titolo assunto dall’Intendenza quando si riuniva in tribunale ed esaminava i casi più delicati62. In aggiunta a questo, qualche giorno prima, era stato fatto un altro se-questro per saggiare nuovamente la qualità del pane, ma questa volta l’Intendenza, con un decreto a firma del presidente Hamilton, aveva dichiarato di aver trovato tutto a norma63.
Nel frattempo, il 29 giugno, Pirona aveva inviato una protesta, sem-pre all’Intendenza, riguardo alle voci che circolavano in città attorno alla presunta intenzione del Fondaco di iniziare a cuocere e vendere il pane per proprio conto. In effetti le voci erano vere e, a partire da luglio, cominciò a commercializzare in Trieste, «nella piazza ed in casa» del panettiere che lavorava al suo servizio, quanto produceva in proprio, mentre le ripetute proteste di Mattio – ne inviò anche il 21 luglio e il 4 agosto – non trovarono ascolto. Seguiamo tale ulteriore scontro proprio utilizzando queste64. Il cavafango si rivolse all’Inten-denza anche a nome dei soci, lamentando i danni e rivendicando il rispetto del contratto «che ferma per noi legge positiva e che deve per pubblica fede e fede inviolabile essere sostenuto senza riserve», garantito «con tutte le solennità legali» e con articoli per «natura in-violabili nel loro chiaro tenore». La risposta fu di pazientare perché il provvedimento, che per altro non doveva essere stato formalizzato legalmente e che era motivato come strumento utile per vincere la resistenza delle donne, sarebbe durato solo finché queste non fosse-ro tornate in obbedienza e, alla minaccia dei titolari della privativa che affermavano di voler recedere dal contratto qualora la decisione dell’Intendenza fosse stata loro avversa, fu obiettato che in ogni caso non era loro diritto abbandonare l’Impresa65.
62 OeStA, K, 1081, 28 luglio 1759.
63 BCH, 11 B 1, 17 luglio 1759.
64 OeStA, K, 1081, 29 giugno e 4 agosto 1759 e BCH, 11 B 1, 24 agosto 1759.
Dopo questo, dato che il Fondaco per il terzo mese di fila continuava a cuocere e vendere il pane, il 24 agosto Pirona si rivolse direttamente a Maria Teresa, «Signora Sovrana Clementissima». In tutte le petizioni il cavafango aveva sostenuto che a danneggiare l’Impresa non erano le breschizze perché la loro attività non era continua, intervallata da altre occupazioni come la vendemmia e interrotta da maltempo, piogge e ghiacci, e controllabile, perché portavano la merce entro la città a dorso di animali e questo rendeva possibile sorvegliare che non abusassero dei propri privilegi. Poi, vendevano il cosiddetto «pane di breschizze», di «tutt’altra manipolazione e cottura» rispetto a quello dei panettieri, e quindi destinato a un pubblico diverso. Invece, quello prodotto dal Fondaco era dello stesso tipo di quello commercializzato dai deten-tori della privativa di cui era concorrente diretto e in più l’attività del Fondaco era continua e, essendo localizzata in città, non controllabile. L’accusa di frodare, superando la quota di produzione stabilita nei pri-vilegi delle donne, infatti, era soltanto mascherata da un sottile velo di rispetto formale: «si dirà forse non essere presumibile ch’un fondaco e chi lo regge sia capace d’eccedere nella quantità suddetta, ma non siamo tenuti però di credere alli pistori [i panettieri] ed alli subalter-ni». Poi, dichiarando di essere disposti a comprare la quota di farina destinata alle breschizze e allo stesso esorbitante prezzo imposto alle donne, si chiedeva di mettere fine a tale innovazione, nata inizialmente dalla volontà di smerciare la costosissima farina prodotta nel nuovo mulino, che produceva gravi danni all’Impresa e faceva sì che la quan-tità di pane venduta da questa andasse «giornalmente diminuendo». Tuttavia, la chiamata in causa dell’Imperatrice, segnava una svolta nel-la strategia di Pirona e un netto salto di qualità, alnel-largando il conflitto fuori dall’arena urbana66.
Infatti, proprio in quei giorni Pirona aveva fatto una mossa che aveva senz’altro ampliato gli appoggi di cui godeva nella corte di Vienna, nei territori imperiali e pure nell’Intendenza. Il 20 di quel mese, aveva stipulato un contratto, a nome della Privativa, con il capitano Teo-doro Schley che, come rappresentante della Compagnia privilegiata di Timișoara, si impegnava a consegnargli 30.000 staia di frumento, 6.000 all’anno che sarebbero state portate a Fiume tra maggio e
vembre, al prezzo di venticinque lire a staio. I tentativi di Schley di trovare in Trieste dei mercanti che volessero intraprendere tale traffi-co finalmente avevano avuto successo tramite la mediazione di For-tunato Heller, un mercante e finanziere di Vienna, e in tale modo Pi-rona legava ancora più strettamente le sue sorti a quelle dei progetti mercantilisti asburgici, alle necessità finanziarie e militari dell’Impe-ro, allo sviluppo del Banato e agli interessi di quanti erano coinvolti direttamente a tale commercio67.
Adesso intralciare il Veneziano nelle sue imprese mercantili era senz’altro più difficile e il suo prestigio, in città e fuori, non dipen-deva più solo dal ruolo rivestito nel settore delle costruzioni. Non sappiamo con esattezza le motivazioni dell’improvvisa rivalità scop-piata tra Ricci e Pirona – su di esse abbiamo avanzato alcune ipotesi in precedenza – e neppure sappiamo se avesse per oggetto soltanto quanto stava accadendo nel teatro urbano o se tra i nodi del conten-dere ci fosse già il controllo dei circuiti commerciali dei grani. In ogni caso l’ipotesi, avanzata da Pirona, di un suo disimpegno dalla forni-tura del pane, non era stata ritenuta una condizione sufficiente dal Livornese per risolvere la questione e costui sembrava mirare a un più netto ridimensionamento di Mattio. Comunque fosse, all’inter-no di questa contesa, i cereali del Banato e dell’Ungheria entraroall’inter-no come protagonisti nel sistema economico e nei meccanismi del porto diventando, poi, uno dei fattori fondamentali della crescita che alla fine del secolo, come abbiamo già sottolineato, fece di Trieste uno dei principali empori del Mediterraneo.
Infatti, qualche giorno dopo, Ricci avvisò il capitano del porto, Giu-seppe Maria Vitali, che il Fondaco aveva deciso di rifornirsi con 1.700 staia di «formento d’Ongheria» per la via di Fiume e che le imbarca-zioni che fossero da lì giunte con un simile carico, accompagnate da missive di de Raab, dovevano essere esentate dal pagamento di tutti i diritti portuali68. Anche se la circolazione delle informazioni tra gli opposti schieramenti doveva essere assai rapida dati gli intrecci
esi-67 ATS, IC, 357, 20 agosto 1759. Tramiti del contratto erano stati Marco Blanchenai per Pirona e Heller. Le misure dei cereali e l’unità di conto monetaria utilizzate a Trieste erano quelle in vigore a Venezia. 30.000 staia praticamente erano uguali a 2.500.000 litri di cereale, 6.000 a 500.000.
stenti tra loro e la ‘ristrettezza’ dell’ambiente triestino, non sappiamo in che misura e con che tempistica i due avversari fossero informati delle rispettive mosse e quindi non possiamo valutare se la scelta di puntare su quei grani fosse stata presa in autonomia. Comunque, la mossa di Ricci aveva una valenza minore rispetto a quella di Pirona, sia per la quantità, sia per gli attori direttamente coinvolti. Intanto, proprio il 20 agosto, de Raab si era recato alla bottega che la Privativa aveva in piazza grande e aveva fatto sequestrare altri 128 pani con la motivazione che erano di peso inferiore al dovuto. Tutto venne distribuito ai poveri69.