Trieste era incuneata nel continente europeo, alla fine dell’Adriatico e prossima ai Balcani, ricoprendo una posizione di intermediazione tra diverse aree climatiche e produttive e tra il mare e la terra. Questo gli consentiva di sfruttare i diversi tempi dei raccolti e le diverse qualità delle annate, le differenze di regimi agricoli, rapporti sociali, modelli di consumo e, infine, le diversità dei prezzi prodotte da tali fattori. Tuttavia, a fronte di questo, i regimi dei venti, la qualità delle coste dell’Adriatico nord-orientale e la lontananza dalle foci dei principali fiumi che sboccavano in Adriatico, il Po e l’Adige capaci di connet-tere, per via d’acqua, il mare alle Alpi, avevano favorito altri concor-renti: Aquileia prima e la Repubblica Serenissima di Venezia dopo. Soprattutto quest’ultima aveva assunto il controllo sul Centro-Nord Adriatico e sulle vie fluviali, imponendo la propria supremazia e le proprie regole sui flussi commerciali. Trieste era così stata inserita nei circuiti di approvvigionamento incentrati su Venezia, ai quali, in modo in parte marginale e informale, contribuiva, ed era anche pun-to di passaggio del bestiame che, proveniente dall’Europa dell’Est e dai Balcani, si dirigeva verso la penisola italiana. In questo quadro, già almeno nel XVII secolo, Trieste era, pur priva di una produzione propria, piazza di approvvigionamento dei cereali per le città della Penisola italiana in congiunture di scarsa produzione. Nel porto, in-fatti, arrivava frumento dalle altre aree produttive cui era collegata, in particolare dall’Europa continentale e orientale: Stiria, Carinzia, Carniola, Ungheria e Balcani. Se, quindi il commercio dei cerali era una costante nei traffici di Trieste e vi erano stati diversi tentativi nel corso dei primi decenni del Settecento per svilupparlo, attorno alla metà del secolo venne interessato da un profondo mutamento. Allora, le spie veneziane lo descrivevano ancora come discontinuo e dipen-dente dalle congiunture e, quindi, di fatto, nel quadro dei traffici di
20 Su Wenzel Anton Kaunitz (1711-1794), conte di Rietberg e dal 1764 principe dell’Impero, vedi Szabo 1994; su Zinzendorf, Adler 2020 e Lebeau 1996.
prodotti dell’agricoltura, era stato significativo ma non determinante per la vita del porto. Tuttavia, se la discontinuità e la dipendenza dalle congiunture erano un dato strutturale del commercio dei cere-ali, tale descrizione divenne presto inattuale e velocemente i cerecere-ali, nei meccanismi del porto, assunsero le funzioni proprie delle merci pesanti, diventando fattore centrale del processo che, come abbiamo accennato, fece di Trieste uno dei più grandi empori mediterranei. Tale sviluppo fu strettamente legato alle dinamiche dei commerci che legavano la città al Banato di Timişoara e quelli dei grani di Ungheria, come venivano chiamati i cereali che arrivavano da quella zona21. Nei primi decenni del XVIII secolo esponenti del governo e dell’a-ristocrazia imperiali avevano ideato progetti volti al popolamento del Banato, entrato nei domini dell’Impero asburgico con la Pace di Passarowitz e oggi diviso tra Serbia, Ungheria e Romania, e alla commercializzazione della sua produzione agricola. In quel tempo, il marchese di Rialp, Ramon Frederic di Vilana Perlas, che era sta-to uno dei principali consiglieri dell’Imperasta-tore Carlo VI d’Asburgo ricoprendo, tra le altre, la carica di segretario di Stato per gli affari di Spagna, aveva a lungo cercato di avviare traffici commerciali tra Fiume e l’Ungheria e il Banato, dove aveva rilevanti interessi perso-nali e dove, in seguito alla Guerra di successione spagnola, era stata fondata una colonia di esuli provenienti dalla penisola iberica, Nuo-va Barcellona. Dopo la sua morte, nel 1741, i progetti furono ripresi dal suo discendente conte Francesco di Vilana Perlas che nel 1753 assunse la carica di governatore civile del Banato proprio quando a Vienna si era deciso di rilanciare la colonizzazione, creando una mi-lizia contadina posta a difesa dei confini con l’Impero ottomano e finanziata dalla vendita di quanto prodotto sulle terre dei nuovi abi-tanti, soprattutto cereali esportati per la via del mare. A tal fine venne fondata la Compagnia privilegiata di Timișoara e furono ipotizzate due vie: quella del Danubio-Mar Nero, che a lungo, anche per motivi
21 ASV, IS, 628, 1 giugno 1754. Sulla continuità della questione della comunicazione tra le due valli, padana e danubiana, Petracco 1997, 329-336. Sui commerci dei cere-ali Andreozzi 2019, 53-71.
geopolitici, dette scarsi risultati, e quella adriatica, attraverso Trieste e gli altri porti del Litorale22.
Già nel marzo del 1750 a Vienna si accarezzava l’idea di commercia-lizzare per la via di Trieste cereali, minerali, metalli, bestiame e cere di Ungheria ed effettivamente sulle banchine del porto imbarcazioni venivano caricate con grani da lì provenienti. A sostenere lo sviluppo del Banato, infatti, accanto alla potente famiglia dei Perlas, connessa pure a Fiume, vi erano anche altri influenti ministri presenti a corte, tra cui proprio il conte Chotek, coinvolto sia per gli interessi personali nella Compagnia privilegiata di Trieste e Fiume, sia per le politiche miranti allo sviluppo dei traffici e sia perché parte dei proventi ri-cavati dal Banato erano assegnati alla Banca di Vienna a copertura dei debiti statali23. Così, tra 1753 e 1754, il Direttorio del Commercio elaborò vari progetti per lo sviluppo delle relazioni commerciali tra l’Ungheria, Trieste e Fiume. Si pensava di costruire una via di comu-nicazione tra quei luoghi e fu proposto alla ditta commerciale triesti-na Rocci e Balletti, di cui era socio Giacomo, di importare 10.000 staia di frumento dall’Ungheria, ma questa rifiutò. Se in tali anni le spie veneziane attestavano l’esistenza di flussi commerciali tra Trieste e l’Ungheria – dall’Ungheria arrivavano cenere di potassa, susine, vini, cuoio, rami e carni salate e da Trieste partivano olio, mandorle, uva passa, caffè, droghe, coloranti, carube, fichi, aringhe e baccalà, for-maggio e sete lavorate – tuttavia tali progetti non trovarono completa realizzazione e, anche se vi furono scambi saltuari, il commercio dei cereali non decollò24.
Invece, maggior successo ebbe un’altra iniziativa di Chotek che, nel gennaio 1752 e come direttore della Banca di Vienna, si espresse, in contrasto con altri ministri, in favore del conio di una nuova moneta, il
22 Klinger 2014, 63-85; sulla colonizzazione del Banato anche Alcoberro 2002b, 93-112 e Thomas 1983-84, 3-22. Sul Mar Nero Luca 2010a, 112-120; Gutmeyr e Kaser 2018 e Katsiardi-Hering e Stassinopoulou 2016.
23 ASV, IS, 1265, 14 marzo 1750 e Dickson 1987, II, 34 e 92-93.
24 ASV, SD, Germania, 260, 17 marzo e 1 giugno 1753, SM, 843, s.d., IS, 616, 17 otto-bre 1756. Esempi di tali traffici e dei soggetti coinvolti in AST, N, Gabiatti, 263, 10 febbraio 1750 e Gabiatti, 1751-59, 8 febbraio e 21 agosto 1752. Come abbiamo visto, alla metà degli anni ’50 pure la ditta Brentano Cimaroli e Venino commercializzava cereali dell’Ungheria (Panariti 2012, 41-45). Nel 1753 la direzione della Compagnia di Trieste e Fiume fu trasferita proprio a Fiume (ASV, SM, 763, 16 settembre 1753).
tallero d’argento di Maria Teresa. Siccome le esportazioni asburgiche verso l’Impero ottomano erano molto più esigue rispetto alle importa-zioni, si ritenne che il solo modo per rendere possibile tale commercio fosse quello di consentire che il metallo prezioso, sotto forma di mo-neta, uscisse dai confini imperiali dato che i «Turchi» e i «Greci» erano disposti ad accettare tali monete come se fossero una merce, pagando un prezzo superiore al loro valore. Venne così deciso di coniare il talle-ro destinato solo all’esportazione, un «objectum commercii», e nacque uno dei più importanti ‘trade dollar’ d’argento mai coniati al mondo. Dalla metà del secolo il tallero si diffuse, iniziando a circolare nell’Im-pero ottomano, nell’Africa del Nord, nel Mar Rosso e in Asia. Solo tra il 1751 e il 1760 ne furono coniati circa nove milioni di pezzi e oltre dicias-sette dal 1761 al 1766. Inoltre, dato che per la loro produzione l’argen-to estratl’argen-to dalle miniere asburgiche non era sufficiente, quesl’argen-to influì anche sui circuiti internazionali dei metalli preziosi e furono utilizzate monete di altri Stati fuse e riconiate. La superiorità dei talleri, più che sull’intrinseco, si basava sul gradimento che incontravano presso il gusto dei consumatori «sudditi ottomani». I «Turchi» e i «Levantini» rifiutavano quelli su cui era effigiata la «maestà dell’Imperatore» o con l’«Immacolata concezione con la luna sotto i piedi attesa la veneratione che hanno a quest’ultimo geroglifico» e quelli che nello stemma impe-riale avevano spada e scettro. Accettavano, invece, «solamente» quel-li con l’effigie di Maria Teresa senza scettro e spada. Su taquel-li motivi si fondò la capacità del tallero di Maria Teresa di imporsi come standard riconosciuto nel Levante25.
Compagno di avventura di Chotek nella creazione del tallero fu il banchiere alsaziano Johann Fries, che abbiamo già incontrato. Fries proveniva da una famiglia patrizia di Muhlhouse e, dopo essersi occupato dell’approvvigionamento dell’esercito imperiale nel corso degli anni Quaranta, all’età di ventinove anni si fece carico con suc-cesso di una complessa operazione finanziaria concernente il trasferi-mento di centomila sterline d’oro inglesi a Vienna. Come ricompensa
25 Salvo diversa indicazione, ricostruiamo le vicende dei talleri da Fischel 1912, An-dreozzi 2018b, Peer e Raudnitz 1898 e Tschoegl 2001, 443-461. Come vedremo più avanti, con moneta merce non si intende qui una moneta dotata di valore intrin-seco, ma una moneta coniata per l’esportazione, che di fatto era trattata come una merce e commerciata come tale a un prezzo superiore al suo valore.
ottenne la cittadinanza imperiale, cittadinanza che precedentemente gli era stata rifiutata in quanto calvinista, e diventò un esponente di primo piano della piazza finanziaria di Vienna, banchiere – aveva fondato la banca Fries & Company considerata una tra le principali di tale piazza –, imprenditore manifatturiero e impegnato nel mondo dei commerci. Nominato barone, ricevette anche il titolo di conte. La burocrazia della Repubblica di Venezia lo qualificava come «cambi-sta», come allora era definito chi si occupava di traffici internaziona-li di monete. Inoltre, gran parte dei suoi guadagni derivavano dalla gestione del debito pubblico e dai rifornimenti all’esercito e nel corso della sua vita arrivò a essere considerato «l’uomo più ricco del mon-do». Fries, definito da Dicksom «a man accustomed to baking win-ners», oltre che con Chotek, faceva affari pure con Kaunitz, Brentano Cimaroli e Venino e i Proli26.
Al momento della nascita del tallero, venne stabilito che l’unica via di esportazione autorizzata fosse Trieste, dove Pasquale Ricci era impli-cato, come membro dell’Intendenza, nella gestione del traffico, men-tre lo smercio delle monete per le vie di terra, il Danubio o tramite altri scali venne vietato e ritenuto contrabbando. Proprio a Fries, cui era affidato pure il compito di reperire l’argento necessario a produr-re le monete, venne assegnato il monopolio del commercio del tallero con l’Impero ottomano attraverso il porto adriatico. Tale moneta non incise sull’economia della città solamente sostenendone il ruolo quale piazza finanziaria e rendendo possibili gli scambi commerciali con il Levante, ma anche, combinandosi con il traffico dei cereali, contri-buendo ai modi di funzionamento del porto. Come abbiamo scrit-to, i cereali erano fondamentali per attirare le imbarcazioni e servire come merce di ricarico e, come scrisse l’economista del ’700 Ferdi-nando Galiani nei suoi Dialogues sur le commerce du blés, garantivano la sicurezza del trasporto di merci leggere e preziose sia rispetto agli attacchi dei criminali, sia rispetto alle pretese degli Stati27. Se queste potevano essere celate a bordo e confuse con le altre merci, il compor-si delle varie tipologie di mercanzie, con i loro divercompor-si valori, aveva effetti positivi sui costi complessivi dei viaggi e quindi sui ricavi. Per
26 ASV, SM, I s., 757, 14 luglio 1781; Journal Politique, ou Gazette des Gazettes1785, 22-23; Dickson 1987, I, 140-141, 158 e 172-189 (per la citazione 172).
tali motivi, molti attori tra quelli connessi con l’esportazione dei tal-leri erano legati al commercio dei cereali. Inoltre, i traffici di monete inserirono Trieste nei circuiti internazionali di argento e fecero afflu-ire molti attori di tali commerci, compresi i «cambisti» dal Levante e dall’Impero ottomano28.