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Dalla caduta dell’Impero romano, i centri di potere più consistenti erano localizzati nelle aree interne dell’Impero e da qui avevano cer-cato di espandersi e organizzare le zone più vicine al mare. Ancora tra Sei e Settecento i poteri giurisdizionali e il controllo delle vie di comunicazione, grazie alle dogane e ai dazi, erano in mano ai centri urbani posti tra la costa e Vienna e agli interessi localizzati in tali aree e nelle zone di produzione. In particolare, nevralgiche erano le vie di comunicazione che collegavano la costa a Stiria, Carinzia, Carniola e Ungheria, i poteri agrari localizzati in tali aree e centri urbani come Graz e Lubiana, ma anche Gorizia e Gradisca. Con la creazione del porto franco si fece più evidente il processo di scivolamento dei po-teri dall’interno verso il mare che trovò il suo completamento verso la metà del secolo quando, lo abbiamo già accennato, il principale organo di governo presente a Trieste era l’Intendenza Commercia-le. Questa, creata dal governo dell’Austria Interiore nel 1731, «come commissione economica indipendente», per sostituire il vuoto la-sciato dalla Compagnia Orientale, fu prima unita al Capitanato della Carniola e poi a quello di Gorizia, con sede prima a Lubiana e poi, appunto, a Gorizia e le fu affidato il compito di dirigere lo sviluppo di Trieste, del porto e dei traffici. In quegli anni in città c’era soltanto una cancelleria in rappresentanza dell’Intendenza, ma poi, nel 1739, la sede dell’Intendenza fu trasferita a Trieste e unita col Capitana-to della città. Con Maria Teresa l’Intendenza fu trasformata in una autorità dipendente direttamente dal sovrano e le venne assegnato gradualmente il governo dell’intero Litorale austriaco, l’unità ammi-nistrativa creata per organizzare le aree più prossime all’Adriatico e i porti in essa presenti, da Aquileia a Buccari, da Fiume a Segna (Senj). Come scrive Eva Faber, «l’intendenza era a tutti gli effetti un gover-no territoriale» e nel quadro della geografia istituzionale dell’Impero era, quindi, una magistratura di rilievo38. Inoltre, la sua comparsa non comportò frizioni solo con i poteri ‘interni’, ma anche con quelli anco-ra in mano alla Comunità cittadina, frizioni già iniziate al tempo dello stabilirsi in città della Compagnia Orientale, nel 1719, con la

ne, come accennato, della città in due distinte giurisdizioni, la Città nuova e quella vecchia, poi riunite in una, sottoposta all’Intendenza, nel 1739. Negli anni Cinquanta e Sessanta, la rivalità e il dualismo tra gli organi comunitari controllati dall’antico patriziato cittadino e l’Intendenza vissero, come vedremo più avanti, gli ultimi momenti a vantaggio di quest’ultima39.

Per quanto riguarda Trieste, le competenze dell’Intendenza erano fluide e mutavano nel tempo in seguito a un continuo lavorio norma-tivo non sempre lineare. Una situazione tipica nell’Antico Regime; un complicato sovrapporsi e accavallarsi di provvedimenti si confron-tavano con una realtà fattuale frutto di aggiustamenti empirici an-che nel rapporto tra le diverse magistrature. Aggiustamenti in parte determinati pure dalle capacità e risorse proprie degli officiali che detenevano le singole cariche. Così, facendo leva sulle diffuse pote-stà nel campo dell’economia, l’Intendenza interveniva in ogni aspet-to della vita cittadina, assumendo piena rilevanza politica. Tale rile-vanza era amplificata da due ulteriori fattori: il ruolo del Presidente dell’Intendenza che ricopriva anche le cariche di capitano civico e di comandante militare e la specificità del contesto triestino. Una città che stava rapidamente cambiando pelle e ruolo e una autorità cen-trale che, praticamente dal nulla, doveva creare nuovi strumenti per relazionarsi con lei e governarla. Infatti, i continui rimaneggiamenti riguardavano pure le magistrature superiori da cui dipendeva l’In-tendenza. Questa fu sottoposta, di regola, alla massima autorità che, di volta in volta, aveva competenze sul commercio e l’economia, in questi anni il Direttorio del Commercio. Tuttavia pure questo avve-niva in un quadro non lineare e caratterizzato da fluidità, dalla pre-senza di commissioni straordinarie e temporanee e dalla coesistenza di legami con altri offici, come quelli dell’Austria Interiore. Inoltre il personale che assumeva le cariche spesso era direttamente coinvolto nei progetti che di volta in volta erano portati avanti, in un confuso intreccio tra interessi privati e interessi pubblici che non è mai facile dipanare. Quindi, come accadeva solitamente nelle magistrature di Antico Regime, l’identità e la qualità degli uomini che la componeva-no avevacomponeva-no grande importanza nel suo funzionamento40.

39 Gatti 2003, 359-371 e Bussolin 1882.

Nell’arco temporale in cui si svolse la nostra storia presidente dell’Intendenza fu, come già scritto, il conte Nicolò Hamilton, «si-gnore di Dürenkrut, Liechtenstein, Hunshüz e Radllovicz», «intimo consigliere di Stato» e «cavaliere della chiave d’oro», «titolo onorifico concesso dalla corte asburgica caratterizzato da una chiave attaccata alla cintura che concedeva il privilegio di accedere agli appartamenti reali»41. Al momento della sua nomina, nel 1750, l’ambasciatore ve-neziano, Andrea Tron, lo descriveva come un «cavaliere di gran na-scita» e «giovane di altissima aspettativa» e «di molto talento»; era «assai amato dalla stessa Imperatrice» ed era stato scelto nel corso di un «consiglio segreto» presieduto dal conte Chotek42. A comporre l’Intendenza in quegli anni, poi, un numero variabile di consiglieri, tutti appartenenti alla nobiltà dell’Impero – il conte Philipp Zinzen-dorf, il barone Francesco Carlo de Fin, il barone Giangiorgio Man-nagetta, il conte Sigismondo de Sarau, il nobile Francesco Antonio de Raab ecc. – con la sola eccezione di Pasquale Ricci. La loro durata in carica era assai diseguale, gli avvicendamenti erano frequenti e non per tutti la presenza a Trieste era una costante. I giudizi sul loro operato non furono mai molto lusinghieri, né quelli espressi dagli informatori, consoli e ambasciatori di Venezia, né quelli che circo-lavano tra gli abitanti della stessa Trieste. Molto giovani – nel 1754 il più vecchio non doveva superare i trentatrè anni –, ritenuti «poco esperti», divisi sulle decisioni da prendere, di scarsa competenza sui traffici commerciali e sull’arte di governo, si pensava fossero «più portati ai divertimenti che all’applicazione dei loro impieghi»43. Nel novembre del 1754 l’Intendenza fece arrivare una compagnia teatrale specializzata in «parti buffe» e con «intermezzi di balli e gioco aper-to ogni sera». La prima era prevista per sabaaper-to 9. Non sappiamo se Pirona, da pochi mesi giunto in città, avesse partecipato alla serata, ma non è improbabile. Un’altra compagnia era stata scritturata per il successivo carnevale ed entrambe le iniziative erano finanziate con denari pubblici44. Si può capire come, nel ristretto ambiente triestino,

41 Memorie 1914, 1 e Antonelli 2012, 295. Nelle Memorie è scritto che Hamilton era un «gran signore che potava spendere […] 40.000 fiorini annui per fare vita lieta». Su di lui si può vedere anche Kenneth 1982.

42 ASV, IS, 1265, 14 marzo e 11 aprile 1750 e Mainati 1818, 272.

43 ASV, IS, 903, 1754 e 1 giugno 1754.

fosse facile che si creasse, attorno ai giovani nobili, un ambiente di conoscenze e relazioni e che queste influissero sul comportamento e le scelte degli officiali asburgici.

Infatti, l’attenzione al divertimento non era l’accusa principale. Ad esempio, nel 1759 in città si diceva pubblicamente che «la metà e forse più» dei finanziamenti inviati da Vienna erano «mangiati» e si sperava che a corte si aprissero «gli occhi», anche se era ritenuto poco probabile perché il presidente dell’Intendenza, il conte Hamilton, era ritenuto coinvolto. Voci su malversazioni e corruzione furono, infatti, espresse con continuità, voci che non risparmiavano neppure Cho-tek, ritenuto, come già scritto, direttamente partecipe ai traffici e le-gato a diversi mercanti e ditte commerciali45.

Proprio l’anno dell’arrivo di Pirona uno scandalo rischiò di travolge-re l’Intendenza. Philipp Zinzendorf, ptravolge-residente della Commissione che sovraintendeva alle opere infrastrutturali condotte per conto del-lo Stato, fece bdel-loccare le imbarcazioni che portavano le pietre con cui si stava costruendo il nuovo molo e le fece controllare, rilevando che il peso del carico era circa la metà di quello dichiarato. Il colpevole venne individuato nel triestino capitano Antonio Conti, proprieta-rio delle imbarcazioni e titolare dell’appalto, arrestato e accusato di un illecito ricavo di 30.000 fiorini per aver fatto pagare più pietre di quelle effettivamente consegnate. Questo provocò un acceso contra-sto tra Hamilton e Zinzendorf che si recò a Vienna per raccontare quanto stava avvenendo, rinunciando a tutte le cariche e venendo sostituito da un nipote di Chotek. L’azione di Philipp presso la corte fu sul punto di concretizzarsi nell’invio di un «commissario rigoro-so» incaricato di processare quelli che avevano gestito i lavori. Era-no tutti sospettati – e «mortificati» –, compreso il Presidente e il solo Zinzendorf appariva come un ‘moralizzatore’. Venne mandato, in segreto, un «colonnello olandese» a valutare quanto stava avvenen-do e in città si mormorava che se l’inchiesta fosse stata affidata a un soggetto «amante di giustizia» se ne sarebbero viste delle belle e gli informatori della Serenissima alludevano a «ministri infedeli» perché non era possibile che fossero stati spesi tanti soldi «in fabbriche e ruo-li [stipendi] e scavo del canale». Chotek scrisse all’Intendenza

nendoli a comportarsi meglio e a preparare «una valida difesa» e il segretario della magistratura fu convocato a Vienna con tutte le carte e i documenti concernenti i lavori. L’inchiesta, che riguardava pure lo scavo del canale che Pirona stava portando avanti, però, terminò in nulla e anche attraverso tale evento il Veneziano fece conoscenza con l’Intendenza e la realtà triestina46.