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Si può supporre che quanti arrivassero a Trieste da Venezia o da al-tre grandi città europee trovassero il tutto un po’ angusto e dimesso. Tuttavia non sappiamo cosa avevano pensato Pirona e Caparozzolo quando vi giunsero. Possiamo soltanto cercare di descrivere la scena che si parò loro davanti arrivando dal mare. Forse, se non li esaltò, apprezzarono quelle promesse di libertà e di successo che la rendeva-no attraente ai protagonisti dell’Adriatico.

Il nucleo urbano era composto da due parti, la Città vecchia e la Città nuova, frutto dei modi dell’espansione e della organizzazione spa-ziale e giurisdizionale successivi alla proclamazione del porto franco e che da qualche anno, come si scriverà più avanti, avevano trova-to una sistemazione più unitaria. Nel 1754 gli abitanti complessivi erano, secondo un calcolo approssimativo fornito dagli informatori veneziani, cinquemila «triestini naturali», cinquemila «forestieri per-manenti» e duemila tra lavoratori impiegati nelle costruzioni e perso-ne che traevano il loro sostentamento dalle attività marinare29. Questi ultimi, però, fluttuavano a seconda dell’offerta di lavoro e dell’arrivo delle navi. Il loro risiedere era quindi instabile e probabilmente ri-correvano pure ad alloggi di fortuna, dormendo a bordo delle im-barcazioni o in baracche. La Città vecchia, circondata da mura, saliva sulle prime pendici del Carso, stretta attorno al castello di San Giusto che la sovrastava. Nel 1754, era composta da 535 case e otto chiese, gli affitti erano carissimi e la densità assai elevata. Gran parte della

28 Per le relazioni col mondo ottomano Faroqhi e Veinstein 2008, Schmidt-Haber-kamp 2011 e Do Paço 2020, 1-19.

29 ASV, SM, 843, 17 marzo 1754. Sulla evoluzione demografica di Trieste Gatti 2005, 35-72 e Breschi, Kalc, Navarra 2001, 69-237.

popolazione, soprattutto quella più stabile, abitava qui, gremendola, anche se questa non esauriva l’abitato30.

Attorno agli anni Venti, appunto, era stata fondata la Città nuova, poi Città teresiana, posta al di fuori delle mura urbane e localizzata in un’area precedentemente occupata dalle saline che, in modo non solo fisico, si frapponevano tra il mare e il centro abitato: fuori della porta delle mura chiamata Riborgo e da lì fino a Val di Rivo. Le saline furono acquistate dallo Stato che ne avviò la bonifica. Il waterfront, situato dove si trovava il vecchio porto, il mandracchio, e lungo la riva che da questo andava verso est fino al vecchio porto romano, era dedicato alle infrastrutture necessarie alla navigazione e ai traf-fici e il nuovo borgo alle attività commerciali e manifatturiere e pure alle abitazioni che dovevano sorgere a uso di quanti sarebbero giunti per partecipare ad esse. Lo sviluppo di entrambi, però, era stato assai lento. Dopo il primo slancio iniziale, di cui frutto principale fu il laz-zaretto terminato nel 1723 e situato in prossimità del porto romano, arrivando dal mare alla destra dell’abitato, poco altro era stato fatto. Erano stati costruiti qualche magazzino, alcune botteghe e abitazioni, con fortune alterne era stato scavato il fondale del mandracchio ed era stata avviata la costruzione di un nuovo molo, di fronte al lazza-retto, sfruttando le rovine del porto romano e uno scoglio, lo Zucco, che lì si trovava, quello oggi detto della Sacchetta. Poi, nel sito ricava-to dalle prime saline interrate, dove negli anni Venti era staricava-to edifica-to l’arsenale e che negli anni Trenta era staedifica-to utilizzaedifica-to per svolgere la fiera annuale ideata per trainare lo sviluppo della città, nel corso degli anni Quaranta era stata creata una piazza, col fondo di terra e assai irregolare, per dare ricovero ai carri che provenivano dalle aree interne dell’Impero carichi, soprattutto, di prodotti di ferro e rame, di legname, mercurio e tele31.

Nel 1749, quando fu rilanciata l’idea dello sviluppo di Trieste e Cho-tek fu posto alla guida di tale impresa, dalla prospettiva della crescita urbana e portuale le priorità da affrontare erano ancora quelle con-nesse alla dotazione infrastrutturale e all’offerta abitativa. La piazza, spazio che fisicamente e idealmente congiungeva la Città nuova a quella vecchia, diventò il polo su cui si addensò la nuova fase

costrut-30 ASV, SM, 843, 28 marzo 1754. La Città nuova era detta anche Borgo nuovo.

tiva. Qui si avviò l’edificazione di una dogana, una fontana, con re-lativa conduttura, per fornire di acqua potabile il borgo e una statua celebrativa dell’Imperatore. Non lontano, intanto, la nazione greca, sotto l’impulso dell’abate Omero Damasceno e del mercante Pietro Cornioli, di Cipro e residente a Trieste, stava innalzando una chiesa ortodossa e nel mentre continuavano i lavori al molo. Cinque anni dopo le opere realizzate dallo Stato consistevano soltanto nel com-pletamento dei lavori al molo, nella dogana e in un cavafango, una macchina utilizzata per lo scavo dei fondali. La riva era poco più di una spiaggia, soggetta ai venti di Levante, Bora e Tramontana, dove le imbarcazioni attraccavano come potevano, con il piccolo mandrac-chio, in posizione centrale32.

Il molo, di ottima fattura e molto largo, era costato moltissimo, ma non era funzionale poiché non si trovava sottovento, bensì sopra. Quando la bora soffiava impetuosa l’acqua non trovava più sfogo e rimaneva imprigionata, creando forti onde di risacca che mettevano in pericolo le imbarcazioni. Così il porto, invece di essere protetto, era reso ancora più insicuro e dei pericoli che ciò comportava si era avuta chiara dimostrazione nel febbraio del 1754. I dispacci delle spie veneziane ci consentono di ricostruire i drammatici avvenimenti. Un vascello olandese, che stava caricando cenere di potassa, spezzò le gomene andando a sbattere contro il molo e, in seguito all’urto, colò a picco mentre due marinai perirono. Un pinco inglese perse tutta l’alberatura. Le corde che tenevano assicurate altre due imbarcazioni si spezzarono e queste urtarono contro un natante il cui ormeggio aveva resistito. Le imbarcazioni furono salvate, ma a loro volta perse-ro gli alberi. Due pieleghi e una peota colaperse-rono a picco a causa delle onde che, sospinte dal vento, si infrangevano contro il molo provo-cando risacca e tre marinai affogarono. Altre imbarcazioni subirono danni minori. L’accaduto provocò le immediate e veementi proteste dei capitani delle navi, tra i quali avevano particolare rilevanza quelli delle potenze oceaniche, strategici, agli occhi delle autorità imperiali, nel momento in cui si cercava il rilancio del porto. Costoro chiesero il rimborso dei danni, sostenendo che l’Imperatore non aveva costruito un molo sicuro, ma solo un molo che appariva bello, un «bel vedere»,

32 ASV, SM, 843, 17 marzo 1754, IS, 903, Descrizione di Trieste, 1754 e 618, Nicolò Moro, 1 giugno 1754.

e minacciavano di non attraccare più a Trieste. Il porto correva il ri-schio di rimanere deserto33.

Per i fautori dello sviluppo di Trieste un intervento immediato per risolvere le mancanze infrastrutturali appariva ineludibile, non solo per evitare il blocco dei traffici, ma anche perché Maria Teresa aveva espresso l’intenzione di visitare la città e il suo arrivo era previsto per il vicino 1755. Era di estrema importanza mostrarle qualche risultato per non deluderne le aspettative e rischiare di perdere il suo favore. Così, due mesi prima dell’arrivo di Pirona, mercoledì 24 aprile 1754, Chotek giunse a Trieste in visita ufficiale. Hamilton, il presidente dell’Intendenza, accompagnato dai consiglieri e dai rappresentanti della Comunità cittadina, gli andò incontro fuori delle porte della città e poi, insieme, entrarono a piedi, mentre i cannoni della fortez-za e quelli delle imbarcazioni in rada sparavano a salve. Subito ispe-zionò il molo, che definì «bello, ma di troppa spesa», e il lazzaretto e dopo si recò nelle stanze che erano state destinate al suo soggiorno e qui esaminò i progetti dei lavori pubblici che si volevano avviare. Il giorno successivo incontrò i cittadini, i consoli degli Stati esteri presenti nel porto e infine i mercanti e poi uscì per visitare il resto della Città nuova, il mandracchio, «che molto li» piacque, e la fonta-na, appena edificata, di cui assaggiò l’acqua. Nell’occasione impartì pubblicamente alcuni ordini: l’abbattimento delle mura urbane tra la Città vecchia e il nuovo insediamento e l’interramento di un cana-le che lo circondava e che raccoglieva cana-le acque di scolo provenienti dal Carso il cui odore definì «pessimo». Dopo fece una riunione a cui parteciparono il direttore della Compagnia di Trieste e Fiume, Urban Arndol, il conte Charles Proli e il barone de Fin. La mattina del 26, invece, si confrontò con i capitani delle navi presenti in porto che suggerirono l’immediata costruzione di un nuovo molo e, su richiesta del Conte, «prontamente» ne fecero un disegno, indicando anche il punto in cui collocarlo. Chotek approvò la proposta, ordi-nando subito l’avvio dei lavori, poi fece loro «bei discorsi» e li invitò tutti a pranzo. Nel pomeriggio, assieme, si recarono sulla spiaggia

33 ASV, IS, 618, Nicolò Moro, 9 febbraio e 1 giugno 1754. Un pinco poteva essere lun-go fino a ventitré metri per sette di larghezza e avere una portata compresa tra le cinquanta e le centocinquanta tonnellate ed era munito di vela latina. I velieri atlan-tici, definiti nelle fonti ‘navi’, avevano una portata di alcune centinaia di tonnellate.

nel punto dove si era ipotizzato di edificare il molo, l’attuale molo Audace, con l’idea di utilizzare il relitto della Carlo VI, una nave costruita a Trieste e da tempo affondata che lì giaceva, per facilitare i lavori. Utilizzando alcuni legni, i capitani ne fecero una sorta di modello, stabilendone le dimensioni34.

Sabato mattina si confrontò a lungo con l’Intendenza Commerciale, discutendo di commercio, e alla fine dell’incontro ordinò la costru-zione di una nuova pesa pubblica, di una dogana e di magazzini per il sale, nel sito in precedenza occupato dallo squero, e l’abbattimento di due case, una delle quali era stata appena costruita per l’uso del capitano del porto, al fine di ingrandire la piazza. Per far vedere la serietà delle sue intenzioni e di quelle della corte e sopire gli eventua-li dubbi di capitani e mercanti, consegnò all’Intendenza cento borse ognuna contenente mille ongari d’oro, con i quali avrebbero dovuto essere finanziati i lavori, anche quelli del già progettato canale. Dopo pranzo, si recò in direzione del lazzaretto e ispezionò i conventi di cappuccini e francescani e i magazzini che lì erano stati costruiti, co-mandando che venissero sistemati e spostati di modo che le strade potessero correre dritte. Domenica incontrò la Comunità cittadina che presentò lamentele riguardo ai debiti e alle cariche di sua spettanza, poi andò a pranzo dal Vescovo. Nel pomeriggio passeggiò lungo la spiaggia e la sera assistette alla «commedia». Il 29 si riunì nuovamen-te con l’Innuovamen-tendenza per analizzare il funzionamento del Tribunale mercantile e stabilì che, una volta ultimati i nuovi magazzini, quello «grande», utilizzato in quel momento per il sale, diventasse un teatro. Successivamente ricevette l’omaggio della comunità ebraica. Martedì invitò a pranzo i consoli, comunicando la decisione di Maria Teresa di venire a Trieste nel maggio 1755. La stessa sera voleva partire per Vienna, ma doveva aver mangiato troppo e così, per la «pienezza di stomaco», sospese il viaggio. Il primo maggio gli fu somministrato un «purgante leggero di rabarbaro». Sentendosi meglio, alle due del pomeriggio partì. Durante la visita Chotek sembrò prefigurare molto del panorama della città che oggi conosciamo35.

34 La descrizione della visita di Chotek in ASV, IS, 618, Nicolò Moro, 11 maggio 1754.

35 A maggio la Banca di Vienna aveva prestato alla Comunità cittadina 10.000 fiorini, con interesse annuo del 5%, per costruire i magazzini e l’«osteria grande» del porto (AST, IC, 40/2, 2 maggio 1754).

Se tutto doveva essere pronto per l’arrivo dell’Imperatrice, in otto-bre, alcuni mesi dopo la visita di Chotek e quando Pirona era già impegnato nello scavo del Canal Grande, un osservatore veneziano descrisse la situazione di città e porto, registrando scarsi progressi. I lavori del secondo molo non erano ancora cominciati e l'edificio de-stinato a dogana, situato, spalle al mare, a sinistra del mandracchio nell’area dove era stata ricavata la piazza per i carri, era utilizzato come sede dell’Intendenza Commerciale e abitazione del Presiden-te; aveva le sembianze di «palazzo» e al suo ingresso era stata posta la pesa pubblica per le merci. Nella Città nuova, dove il fondo per costruire era concesso a titolo gratuito per dieci anni, vi erano poi le case dei bottai che erano stati costretti a spostare la loro attività fuori dalla Città vecchia. Avevano costruito le case «alla meglio», spendendo il meno possibile e senza un piano preciso: alcune erano alte, altre basse. Il terreno non era stato livellato e il farlo, per evita-re che l’acqua piovana ristagnasse, avevita-rebbe comportato la chiusura definitiva delle porte di più della metà di esse. Inoltre, erano state edificate tre osterie, lo stabile della saponeria e la fabbrica di rosolio appartenenti a Giacomo Balletti e le case e botteghe di due fabbri, un mercante e un cordaio. Altre sette case erano in costruzione per opera di quattro mercanti, intenzionati ad abitarvi e affittarle. La Comunità cittadina stava facendo costruire, di fronte al casello di sanità, sette piccole case, di tre stanze e con una cucina, alcune di un piano e altre di due, e, presso il mandracchio, l’autorità imperiale era impegnata nella costruzione di un edificio per il capitano del porto e di altre due case da dare in affitto. Inoltre si stava ultimando la statua del defunto imperatore Carlo VI36.

Si progettava anche di organizzare magnifici festeggiamenti in oc-casione della visita di Maria Teresa, forse per distrarla dalle opere incompiute, con «macchine illuminate e con musiche virtuose d’in-strumenti, opera in musica ed una splendida regata di barche», ma presto giunse la notizia che l’Imperatrice non sarebbe venuta37.

36 ASV, IS, 619, Paolo Moro, 19 ottobre 1754 e 903, 11 ottobre 1754.