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Ricci dichiarò di aver fortemente voluto il processo anche, e soprat-tutto, per allontanare da sé ogni sospetto di negligenza, connivenza e favoritismo nei confronti della Privativa del pane. Per sostenere le proprie posizioni, fu molto attivo nel corso del procedimento e cercò di controllarne l’iter, producendo una notevole quantità di memorie giustificative, esibendo numerose dichiarazioni giurate che egli stes-so aveva stes-sollecitato e fatto rogare a un notaio di sua fiducia, France-sco Antonio Guadagnini, e ricorrendo a numerosi testimoni tra cui altri membri dell’Intendenza Commerciale, fra i quali, per lo zelo, spiccò il conte de Raab. Infatti, per provare la veridicità e l’esattezza dei propri ricordi e affermazioni, Pasquale ricorreva a racconti fatti, nell’immediatezza degli avvenimenti, al collega e da costui, in una sorta di circolo vizioso, confermati. Inoltre la foga difensiva lo portò a discolparsi di accuse di cui non si trova riscontro nelle testimonianze e

45 Sullo scambio di doni anche, per la sua rilevanza, OeStA, K, 1081, 4 gennaio 1759, testimonianza di Giambattista Gasparutti che attesta anche l’esistenza di relazioni non ufficiali tra Ricci e Brentano Cimaroli.

negli atti del processo, nemmeno nelle memorie che, in misura molto minore rispetto a quanto fatto da Ricci, risultano presentate da Pirona che si lamentò di non aver potuto preparare adeguatamente la pro-pria difesa poiché non era stato informato nei tempi dovuti. Riguardo a questa ‘ipertrofia’ difensiva si possono avanzare due ipotesi: o non disponiamo di qualche elemento chiave del processo, oppure Ricci si cautelò contro le voci che circolavano sul suo conto e contro quanto il Veneziano poteva sapere non potendo conoscere, nel momento in cui scrisse le sue memorie, cosa avesse rivelato l’avversario e cosa avreb-bero deposto i testi. Così, leggendo le carte processuali non si riesce a ignorare il sospetto, basato sulla saggezza popolare, che ‘scusa non richiesta’ sia ‘accusa manifesta’. In ogni caso, pur non raggiungendo l’evidenza della prova, i molti indizi che si ricavano consentono di delineare il quadro ‘ambientale’, il contesto, in cui situare tali vicen-de rese ancora più vicen-delicate dal vicen-decreto che, come abbiamo visto, era stato approvato pochi mesi prima e vietava agli officiali l’accettare regali. In tale ottica, riassumiamo le posizioni di Ricci46.

Negli anni precedenti al litigio non aveva mai dato troppa confidenza a Mattio, trattandolo sempre con «superiorità» e, nel parlargli, usan-do «l’articolo personale voi», e, quanusan-do il Veneziano si era rivolto a lui per chiedere consigli riguardo all’Impresa del pane, la sua ri-sposta era stata sempre inequivocabile: «nelle cose eque e giuste vi sarò padre e nelle ingiuste tiranno». Quindi era una falsità l’affer-mazione che avesse fatto un improvviso voltafaccia, perché, fin dai primi momenti, aveva seguito con attenzione e apprensione l’evol-versi della vicenda e le lamentele del «popolo», essendo preoccupato per la «persona», la personalità, del Veneziano. Tuttavia non era mai potuto intervenire in alcun modo dato che i rapporti del direttore cer-tificavano la buona qualità del pane e così i giudizi espressi da molti altri membri dell’Intendenza. Se questo poteva essere un avvertimen-to a colleghi e superiori che rischiavano di venir trascinati dentro la contesa e a loro volta subire le accuse di favoritismo nei confronti di Pirona, era subito stemperato dall’affermazione che tali giudizi potevano essere dovuti al fatto che il pane prodotto era di qualità

46 Le argomentazioni di Ricci in OeStA, K, 1081, Siccome non mi basta di dementire il

Pirona… (suddivisa in quattro parti) e Nell’inquisizioni a mia istanza intrapresa…, en-trambe senza data e a firma di Pasquale Ricci.

diseguale, che mutava nel tempo, non solo di settimana in settimana o di giorno in giorno, ma anche di ora in ora e nella stessa partita se ne trovava di differente bontà. In tal modo, inoltre, le difformità di pareri e comportamenti trovavano una giustificazione accettabile per tutti, vantaggiosa anche per lo stesso Ricci, e che non richiedeva ulte-riori scomode spiegazioni. In ogni caso, le eccessive variazioni della qualità del pane lo avevano esasperato e una volta era sbottato di-cendo che avrebbe pagato cento fiorini pur di far abolire la privativa, senza gridare, però, perché tale comportamento non gli apparteneva. Tale cenno alla sua buona creanza, un po’ fuori posto, poteva esse-re un modo per costruiesse-re un’immagine ‘onorata’ di sé, ma anche lo metteva al riparo qualora gli inquirenti non fossero riusciti a trovare conferme dell’accaduto dato che, per il tono basso della voce, non sarebbe stata una stranezza se nessuno lo avesse sentito. In ogni caso, Ricci cominciò a consigliare gli altri soci della Privativa alla cautela e continuamente sgridava Pirona che, grazie ai suoi rimproveri e in-sistenze, aveva accettato la nomina di Richter, appunto proposta per controllare la qualità del pane prodotto. Tuttavia il provvedimento si era rivelato insufficiente e Ricci aveva iniziato a sospettare che tra i due ci fosse un accordo segreto anche se non era mai riuscito a trova-re prove di tale fatto. Così aveva dovuto sopportatrova-re Mattio che, con «l’alta idea che aveva di sé stesso e della sua testa», «non rispettava né parole, né persone», convinto di riuscire in tutto con «le sottigliez-ze», ma la pazienza avrebbe avuto termine perché, il Livornese ne era convinto, il Veneziano alla fine sarebbe caduto in «un precipizio». Si trattava di una profezia o una minaccia? Certo è che, secondo Ricci, quanto avvenuto a dicembre trovava radici in tutto questo pregresso. Nella difesa di Ricci, però, le parti dedicate alla confutazione di fatti precisi e specifici si mostravano più deboli e andavano un po’ a coz-zare con il quadro che lui stesso aveva delineato.

Innanzitutto, dai suoi tentativi di discolparsi emergeva la familiarità che aveva avuto con Pirona e sorgevano contraddizioni inattese. Il Livornese, era lui stesso ad affermarlo, aveva rifiutato che Mattio gli versasse un interesse superiore al tasso d’usura, allora fissato al 6%, nonostante costui si offrisse di pagarlo, celandolo sotto la veste di un profitto del traffico dei cereali. Se in tal modo si giustificava rispetto a eventuali accuse di praticare l’usura, questo rivela un fatto inaspettato. Se Pirona era tenuto a versargli un interesse doveva aver ricevuto da

Ricci un prestito, ma nella documentazione non ve ne è traccia, né mai qualcuno vi fa cenno. Quindi il riferimento fatto da Pasquale rimane oscuro e sappiamo solo, è ancora lui stesso a dirlo, che si era rifiutato di entrare direttamente come socio nella Privativa. Dopo questa ennesima affermazione che rivelava che tra i due contendenti era avvenuta una trattativa privata avente per oggetto l’affare del pane, Ricci si occupava anche dei continui favori e regali vicendevolmente scambiati e anche riguardo a ciò, nel farlo, svelava particolari inediti. Ad esempio, Mattio gli aveva portato mille fiaschi di vetro da Venezia, caricati su un’im-barcazione usata per il traffico di legname, e siccome si era rifiutato di accettare il pagamento Pasquale non li aveva mai usati nonostante fossero in parola che a fine anno gli sarebbe stato presentato il conto47. Lo stesso valeva anche per gli altri doni cui abbiamo già accennato: liquori, vini pregiati, legna, farina ecc. O erano stati respinti, o ricevuti contro la volontà di Ricci, o non erano stati utilizzati, oppure erano sta-ti ripagasta-ti con altri regali di valore eguale o superiore, per educazione; ad esempio la legna con cioccolata. Sempre per gli stessi motivi erano stati mandati a Pirona i diavolini.

Alcuni punti erano ancora più difficili da spiegare, come gli orecchi-ni riguardo ai quali le memorie processuali di Ricci fororecchi-nivano due versioni un po’ contrastanti tra loro. La prima, che non entrava nei dettagli dell’accaduto, era assai dura nei confronti della moglie cui era addossata tutta la responsabilità: sostanzialmente Pasquale soste-neva che Pirona li aveva dati a lei e che quindi era la moglie a dover spiegare. La seconda, più sfumata riguardo al ruolo della donna e nel contempo più dettagliata, che contraddiceva quelle emerse nel pro-cesso attribuite a Mattio e a Marianna. Seguiamo quanto affermato da Pasquale che sembra confermare l’impressione che, nel racconto che avrebbe fatto la donna, si cercasse di sminuire e cancellare la pre-senza e il ruolo di Ricci. Costui era nella sua abitazione, seduto a una scrivania e intento a lavorare, e alle insistenze di Mattio con la moglie per l’acquisto degli orecchini aveva esclamato di non volere «spese

47 L’importazione di fiaschi di vetro di Venezia era considerata contrabbando perché le-siva della produzione della Boemia. Tuttavia, i produttori di rosolio ne importavano grandi quantità per il loro prezzo conveniente e, addirittura, i fabbricanti veneziani, nel quadro degli accordi con i produttori triestini, favorivano l’emigrazione di donne da Murano, isola lagunare, per impagliare fiaschi (Andreozzi 2003a, 570).

in casa» e ammonito Pirona di «non mettere simili grilli in testa» a Marianna, ma la risposta del Veneziano fu un invito a «non entrare in queste cose da donna». Poi, di fronte ai suoi occhi, nella stanza, era avvenuta tutta la scena, compresi gli strattoni al mantello, e alla fine Pirona aveva lasciato gli orecchini dietro uno specchio fuggendo via. Al che Ricci aveva ordinato che venissero messi in una scatola, poi sigillata, e che fossero immediatamente restituiti. Pertanto non erano mai stati indossati.

Inoltre, la strategia di Ricci, mirante a una difesa ad ampio raggio, lo portava a giustificare anche episodi che non riguardavano solo Piro-na, ma delineavano il contesto ambientale in cui si collocavano le sue relazioni con il Veneziano. In tale modo svelava ulteriori particolari non emersi nelle testimonianze e la fama che, nelle voci diffuse per la città, circolava sul suo conto. Durante l’interrogatorio, il mercante Marco Blanchenai, come abbiamo visto uno dei soci della Privativa e vicino a Pirona, in risposta a una precisa domanda e solo nella sua seconda testimonianza, aveva ricordato l’interessamento di Ricci nel-la disavventura in cui era incorsa una sua nave, facendo solo cenno all’avviso dato dell’accaduto a Pasquale e al dialogo che ne era segui-to; invece la ricostruzione fatta dal Livornese fu molto più articolata. Una sera, al teatro, aveva avvisato Blanchenai del rischio che corre-va perché il capitano di una sua nave avecorre-va abusato della bandiera imperiale48. Ricci era stato informato di questo per dovere di ufficio, avendo avuto il compito di investigare, aveva allertato il mercante dell’inchiesta in corso solo per gentilezza e nel farlo gli aveva det-to: «Caro Signor Blanchenai non vi inganno, voi siete compromesso, né io, né il signor Presidente, né l’Intendenza vi possono salvare. Il solo signor conte Chotek puole liberarvi con sopprimere l’affare». Non sappiamo come fu che la vicenda si risolse senza strascichi per il mercante; forse si era rivolto direttamente a Vienna come consigliato, forse grazie all’operato di Ricci riuscì a evitare il peggio. Tuttavia, il richiamo al nome del potente Cothek sembra l’ennesimo tentativo del Livornese di costruirsi saldi appoggi, facendo intravedere quali po-tenti fossero coinvolti nell’affare, o di avvertire avversari del pericolo

48 Probabilmente con questo intendeva che Blanchenai avesse coperto con ban-diera imperiale una imbarcazione appartenente a un altro Stato per godere di qualche privilegio.

che correvano a mettersi contro di lui. In ogni caso Pasquale negò risolutamente di aver ricevuto da Blanchenai, per il suo intervento, centocinquanta zecchini d’oro, versati attraverso la mediazione di Pi-rona. Negò anche che Pirona, in quattro diverse circostanze, gli aves-se dato novanteaves-sei zecchini per ringraziarlo di alcuni interventi che Ricci aveva fatto in favore della sua Impresa, lasciando i denari, ce-lati in una busta, sul tavolo dell’ufficio o di casa quando nella stanza non vi era nessuno. Aggiunse anche che tutte le eventuali accuse che Mattio avrebbe potuto fargli erano maldicenze, frutto della «lingua» del vicebargello che aveva raccontato al Veneziano cose «sporche» concernenti Pasquale.

Forse la paura di tali racconti e delle voci che circolavano fu la causa che spinse Ricci a raccogliere numerose dichiarazioni giurate in pro-pria difesa. Tra fine dicembre e i primi di gennaio un gran numero di persone sfilò davanti al notaio Guadagnini a giurare l’onestà di Ric-ci. Quattro macellai affermavano che pagava la carne che acquistava e che non usava le sue cariche per ottenere quella di migliore qualità e i fanti dipendenti dalla Commissione di polizia testimoniarono di essere stati pagati direttamente da Pasquale quando impiegati in sue faccende personali, di averlo visto respingere regali e di averne, a vol-te, restituiti loro stessi per suo conto. Proprio il tema dei regali, offerti, ricevuti e rimandati al mittente, fu uno dei più presenti nelle dichiara-zioni. Appariva nelle testimonianze di chi era stato autore di offerte di doni, ovviamente rifiutate, come, ad esempio, in quelle di un oste che aspirava all’appalto della fornitura di candele, di trafficanti di carne veneziani, di un mercante. Vi era anche chi negava di aver fatto regali a Ricci, come il direttore Richter, altri officiali e addirittura alcuni che avevano lavorato alle dipendenze di Pirona, assistendo all’andirivieni dei doni che il Livornese aveva restituito al loro datore di lavoro. Di fronte a Guadagnini si presentò anche Anna Maria Knilt che, «in dia-letto cragnolino», aveva dichiarato di essere la sventurata cui era stato donato il pane sequestrato negando ogni interesse privato di Pasquale nella cosa e attestando il proprio misero stato49.

49 OeStA, K, 1081, deposizioni giurate fatte su richiesta di Ricci il 30 dicembre 1758 da Valerio Pellegrini, Giacomo Bischioch, Giovanni Sfittina, Giorgio Bosieglau e Andrea Michelavez, macellai della città di Trieste; Simone Hadel, commissario di piazza incaricato della provvista di carne; Valentino Chervin, scopapiazza e cioè

La memoria presentata al giudice da Pirona, invece, era molto più stringata. In essa sosteneva di non essere stato informato adeguata-mente e quindi di non aver potuto produrne una più puntuale, ri-vendicava le infrastrutture costruite, le minori spese – 50.000 fiorini – che, nell’eseguirle, aveva garantito rispetto ad altri preventivi pre-sentati e i guadagni conseguiti dall’Imperatrice grazie alle sue opere. Inoltre si appellava al sacrificio fatto abbandonando la patria per «ri-nascere» sotto il «cielo» imperiale e sosteneva che nei giorni succes-sivi al sequestro del pane aveva agito in quei modi e proferito quelle parole sotto l’impulso della rabbia causata dall’«ingiustizia» ricevuta e dall’«ingratitudine» di Ricci che non si tratteneva dal gettare «in discredito un onorato galantuomo» e «infamare un commerciante». Concludeva precisando che mai aveva affermato di aver corrotto l’In-tendenza Commerciale50.

A febbraio Pirona era stato scarcerato e il processo venne trasferito a Vienna, alla «Gran Giustizia», dove probabilmente si arenò, rima-nendo sospeso, perché per lungo tempo non se ne seppe più nulla, né ebbe ulteriori conseguenze51. Nel frattempo, liberato il campo dalle accuse di calunnia, con una supplica inviata alla Sacra Cesarea Reale Apostolica Maestà di Maria Teresa Imperatrice, Mattio tornò a chie-dere che Ricci pagasse per il pane sequestrato «non tanto per refu-sione del […] ingiusto danno quanto in risarcimento del vilipendio ingiustamente sofferto»52.

Verso luglio Pirona venne nuovamente arrestato a Trieste, ma que-sto accadde per una faccenda del tutto diversa. Gli informatori ve-neziani, riguardo a tale episodio, scrissero che, diventato di «tanta superbia» da credere di non dover sottostare a nessuna legge, aveva abbattuto la porta di una camera dove erano custoditi beni e oggetti

netturbino; Giuseppe Frenetich e Fabrizio Pedone; il 31 dicembre da Giovanni Bat-tista Gasparutto, facchino di Mattio Pirona; il 2 gennaio 1759 da Luca Corioncich, fante dell’Intendenza Commerciale; Biagio Crescnech, fante della Commissione di polizia e pubblica sicurezza e Francesco Richter, direttore dei forni; Giovanni Bat-tista Tassara, fante addetto alle patenti dei bastimenti; il 5 gennaio da Giuseppe Francol, Giovanni Prandiz e Giovanni de Rupfersen, impresari del teatro; Davide Luzzato e Mandolin Luzzati; l’8 gennaio daAntonio Mezzodì, veneziano appalta-tore dei macelli di Trieste e 10 gennaio da Anna Maria Knilt.

50 OeStA, K, 1081, 19 gennaio 1759, memoria presentata da Mattio Pirona.

51 OeStA, K, 1081, 15 febbraio 1759, supplica di Mattio Pirona.

sequestrati dalla «giustizia» a una donna con cui aveva una relazione e che ‘manteneva’. La stanza era chiusa con un sigillo che, per spre-gio, aveva lacerato53. Una vicenda oscura di cui non sappiamo altro, ma la cui eco circolò a lungo in città dove le persone erano molto più informate dell’accaduto di quanto siamo noi. Anche stavolta, però, l’arresto fu breve.