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CAPITOLO I La media literacy in Europa

2. Breve storia della media education.

Il termine media education è composto da una coppia semantica: la parola media rimanda alla comunicazione, categoria epocale (Cambi, 2006). La media education è un’area di studi che si colloca tra il terreno della comunicazione e quello dell’educazione. A cavallo tra la ricerca in campo comunicativo e pedagogico, la media education si occupa di studiare come le tecnologie e nuovi media possano incidere sui sistemi formativi, influenzando le modalità di insegnamento/apprendimento e riorientando la didattica. Le competenze in materia di media e tecnologie non si possono fermare al livello di un’alfabetizzazione di base ma occorre procedere oltre, “nella direzione di una cultura tecnologica grazie alla quale «aprire» la didattica” (Rivoltella, 2009, p.33). Competenza mediale, competenza digitale, approccio critico al sapere e alla cultura tecnologica, capacità creativa di innovazione didattica sono le dimensioni fondamentali di quell’educazione mediale che trova il suo senso nel “fare mediale” (Rivoltella, 2009, p.25).

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L’esigenza di una riflessione pedagogica attenta su questi temi oggi è affrontata nell’ambito degli studi di media education intesa come area di “confine tra le scienze dell’educazione e della comunicazione, mutuando temi, metodologie e strumenti dalle une e dalle altre” (Rivoltella, 2001, p.53). Per ripercorrere le tappe salienti della storia della media education riprendiamo il testo di Rivoltella (2001) Media education. Modelli, esperienze e profilo disciplinare. La prima definizione ufficiale risale al 1973 nel documento del Conseil Internationl du Cìnema et de la Télévision (CICT) un’organizzazione legata all’UNESCO. La media education come lo studio, l’insegnamento e l’apprendimento dei moderni mezzi di comunicazione e di espressione; in opposizione all’uso di questi mezzi come semplici sussidi didattici di alcune aree del sapere (matematica, scienze e geografia). Già in questa prima definizione alla scuola viene riconosciuto il compito di “insegnare” i media: l’educazione intesa sia come teaching about the media (intorno ai media) sia intesa come teaching with or through the media (con i media). Si susseguono altre definizioni: quella del 1979 sempre ad opera del CICT; quella del 1982 nella Dichiarazione di Grunwald sulla Media Education, stilata da educatori e ricercatori di 19 paesi convenuti in Germania per discutere di media education; e quella del 1990 elaborata durante la Conferenza mondiale di Toulouse. In estrema sintesi queste definizioni contribuiscono a:

 ripensare la media education non solo come disciplina scolastica nell’ambito dell’istruzione primaria e secondaria, ma anche come aspetto rilevante della formazione post-secondaria e dell’educazione degli adulti in genere;

 estendere la responsabilità educativa dagli insegnanti anche a genitori, professionisti dei media, decision-makers;

 abbandonare un approccio “difensivo” e moralistico per un atteggiamento più aperto costruito sull’idea di un partecipazione attiva dello spettatore alla costruzione del senso dei messaggi mediali;

 promuovere il valore “democratizzante” della ME, rintracciato nella sua capacità di eliminare il gap di potere tra insegnante e allievi attraverso il ripensamento della funzione di entrambi quali co-investigatori e co- partecipanti della stesso processo di ricerca e di formazione.

Nel 1985 Len Masterman pubblica un volume Theaching the Media ritenuto il manifesto della media education. E’ stato il primo libro che ha sostenuto una “media education across the curriculum”, come una forma sistematica di studio. Masterman è considerato uno tra gli ispiratori della media education e i suoi 18

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Principles of Media Education, un sorta di documento programmatico. Nel secondo principio sono presenti le premesse fondamentali della media education:

“The central unifying concept of media educationis that of representation. The media mediate. They do not reflect reality but re-present it. The media are symbolic or sign system” 33.

La tesi sostenuta da Masterman, ormai diventata centrale nell’ambito degli studi della media education, è che i media non sono semplici canali di trasferimento di messaggi, non sono canali privi di connotati comunicativi o neutri, ma costituiscono dei sistemi di rappresentazione simbolica della realtà. Famoso la sua definizione dei media come “industria della coscienza”. Il potere dei media consiste proprio nella loro capacità di orientare le scelte dell’utente, di presentargli la loro interpretazione del mondo come se fosse la realtà delle cose. Si capisce come la capacità di comprendere i messaggi rappresenta una strategia di emancipazione da possibili situazioni di “subalternità” dai significati ideologici che veicolano i più comuni messaggi mediatici. La capacità di decodificare e decostruire i messaggi attraverso l’analisi dei testi mediatici costituisce un’opportunità per formare una mente critica, per offrire quei “transferable analytical tools” attraverso i quali affinare la capacità di analisi critica per applicarla a situazioni sempre nuove. La novità sta proprio nel tentativo di tenere insieme l’alfabetizzazione (media litercy) e la critica, l’educazione del soggetto come fruitore e come produttore di messaggi. La competenza mediale, fin dalle origini, si configura come capacità di comprendere e decostruire i messaggi mediatici acquisendo una capacità espressiva e produttiva che accompagna necessariamente la capacità di lettura.

David Backingham (2006) nel suo testo Media education. Alfabetizzazione, apprendimento e cultura contemporanea definisce la media education (educazione ai media) come il processo di insegnamento e apprendimento centrato sui media. L’autore, inoltre, considera la media literacy (alfabetizzazione ai media) come l’esito, il risultato di percorsi di media education che promuovono la conoscenza e le competenze in tema di mezzi di comunicazione (p.22). La media literacy implica necessariamente il saper “leggere” e “scrivere” i media. La media education, dunque, si pone come obiettivo lo sviluppo di due capacità: la capacità critica che chiama in causa abilità di lettura e quindi d’interpretazione e la capacità creativa

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I 18 principi base della media education sono pubblicati al link: http://www.medialit.org/reading- room/media-awareness-education-eighteen-basic-principles

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intesa come abilità di scrittura e quindi di produzione di contenuti mediali. Entrambe le capacità servono a promuovere la partecipazione attiva in vista di un esercizio attivo e produttivo della cittadinanza. La finalità della media educationè dunque sia di sviluppare la comprensione critica dei media, sia di promuovere la partecipazione attiva dei giovani alla cultura mediatica che li circonda. In questo senso la media education va vista come parte di una più ampia forma di “cittadinanza democratica”.

Potenzialità critiche e creative, quindi, da rafforzare attraverso percorsi di media education. Soltanto, infatti, il saper “leggere” e “scrivere” i media, gli studenti delle nuove generazioni potranno diventare “critici” e “creativi”.

Il “nuovo paradigma” che David Buckingham propone è di tipo partecipativo: assumendo il presupposto che il pubblico dei giovani sia molto più attivo, critico e autonomo di quanto non si creda normalmente; quindi propone una prospettiva rovesciata rispetto al passato, caratterizzata da un atteggiamento difensivo e paternalistico degli insegnanti.

La media education non viene opposta all’esperienza che i giovani hanno dei media, non parte dall’idea che i media siano pericolosi o che i giovani ne siano le vittime. Al contrario, egli crede necessaria una prospettiva centrata sul soggetto, che parta dalla conoscenza e dall’esperienza che i giovani hanno dei media. La media education viene vista dunque non tanto come forma di protezione, ma come forma di preparazione.

Nell’ambito di quest’area della ricerca educativa che si occupa di problematiche educative connesse all’uso dei media, in Italia, già dai primi anni settanta, si propongono specifici percorsi educativi e didattici di integrazione dei media all’interno del normale curricolo scolastico. Si discute anche in Italia (Rivoltella 2001; Morcellini 2004) sulla necessità di sviluppare un approccio pedagogico specifico ai nuovi media e all’opportunità di ripensare gli stessi fondamenti metodologici della didattica. Tra gli obiettivi primari della media education c’è sempre stato quello di sviluppare le “abilità critiche” degli studenti (Buckingham, 2006). Rivoltella (2007) recupera la sollecitazione di Buckingham individuando nella lettura critica una delle linee di ricerca della new media education.

“Tradizionalmente educare ai media ha sempre significato creare le condizioni perché il ragazzo sviluppasse competenze di lettura intelligente e consapevole dei media” (Ivi, p. 52).

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In questo senso la semiotica e le tecniche di analisi testuale rappresentano uno strumento prezioso per la media education.

“La ME viene intesa come quel particolare ambito delle scienze dell’educazione e del lavoro educativo che consiste nel produrre riflessione e strategie operative in ordine ai media intesi come risorsa integrale per l’intervento formativo” (Rivoltella, 2001, p. 37).

Un aspetto sottolineato con forza da Rivoltella è la necessità di integrare (e non contrapporre) l’approccio strumentale (educare con i media) con quello rivolto ai contenuti (educare ai media).