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CAPITOLO II Il digital storytelling: studio delle competenze e delle diete mediali giovanil

1.3 Le storie di vita

Le storie di vita sono uno dei metodi più tradizionali dell’etnografia sociale: basti pensare ad alcune delle opere più famose della Scuola di Chicago, come lo studio di Thomas e Znaniecki (1968) sui migranti polacchi negli Stati Uniti 47, che hanno fatto largo uso delle storie di vita e dell’approccio biografico decretandone il successo. Il metodo autobiografico si è affermato, nel corso degli anni, in numerosi campi

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Pier Cesare Rivoltella nel suo blog Medialog in un post datato 12 maggio 2012 “Narrazioni digitali e Media Literacy” a proposito della relazione tra narrazione neomediale e media literacy sostiene il “materializzarsi di alcune esigenze che assumono le forme di altrettante frontiere”. Link:

http://piercesare.blogspot.it/2012/05/narrazioni-digitali-e-media-literacy.html.

47 Thomas e Znaniecki studiarono il mutamento sociale sia all’interno della società polacca, sia tra i

polacchi immigrati in America. Il metodo usato per condurre la ricerca è quella delle “storie di vita” che consiste nel raccogliere qualsiasi documento indiretto (es. lettere) e diretto (biografie fatte scrivere appositamente).

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dell’etnografia sociale. Pensiamo ad esempio all’utilizzo diffuso delle storie di vita per l’analisi etnografica del consumo dei media. È importante sottolineare il carattere di “costruzione narrativa” della ricerca etnografica in campo mediale. L’etnografo, con le storie di vita, chiede agli individui di raccontare la loro esistenza con particolare riferimento al consumo mediale. Con questo strumento

“non si ottiene semplicemente il resoconto di come l’individuo percepisce i mezzi di comunicazione che usa quotidianamente o delle dinamiche che vengono messe in atto nei contesti sociali di fruizione, ma – questa è una peculiarità delle storie di vita rispetto ad altri strumenti – anche una visione diacronica (<<storica>>) di come sono cambiate le modalità di utilizzo nel tempo.” (Boni, 2006, p. 97) 48

La storia di vita, insomma, come rappresentazione del contrasto tra il sociale e l’individuale, tra l’ambiente esterno in cui ci troviamo e la realtà che noi stessi costruiamo sulla base dei nostri desideri.

Le storie di vita, e in particolare l’affermarsi di una produzione di narrazioni digitali di natura autobiografica, ricadono nell’ambito di ricerca del digital storytelling. Ohler (2008) distingue le storie in due tipologie: le storie personali e le storie “accademiche”. Tra le storie personali rientrano le storie che riguardano un cambiamento o un percorso di realizzazione personale. In questa categoria Ohler fa rientrare anche le storie familiari e le storie sui ricordi dell’infanzia. Nelle storie “accademiche” o che riguardano specifiche unità di apprendimento rientrano le storie basate su un concetto o un’idea o un’unità di apprendimento inseriti in un curriculum scolastico. Ohler consiglia di sfruttare il potenziale emozionale delle storie personali per trasformarle, poi, in storie “accademiche”. Le storie personali come punti di partenza in un percorso di formazione sul digital storytelling 49.

Vanno ricondotte, in questa categoria di storie personali, anche le ricerche sulle home page personali, da molti studiosi considerate forme di narrazione del sé e modalità di costruzione della propria rappresentazione (Sorice, 2011, p. 282). Ciò che accomuna il digital storytelling alle più comuni home page personali (ad es. un profilo di Facebook) è il fenomeno di appropriazione di materiali già disponibili e

48 Una ricerca piuttosto nota, in questo senso, è quella realizzata da Ann Gray nel 1992 sull’impiego

del videoregistratore da parte di utenti donne, effettuata su un campione di 30 intervistate residenti nello Yorkshire. La ricercatrice raccoglie informazioni non solo sulle modalità di fruizione femminile del videoregistratore, ma anche sulla maniera in cui tali modalità vengono percepite.

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A questo proposito Ohler (2008) fornisce due esempi: uno di storia personale “A Good Dad” (link: https://www.youtube.com/watch?v=nSPlflmRqnk) e uno di storia “accademica” “How to Make a Ball Roll” (link: https://www.youtube.com/watch?v=cgbLAreElNI)

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realizzati da altri che è presente anche nel processo di produzione di una narrazione digitale. L’appropriazione di materiali “altri” rispetto a materiali “originali” si riscontra anche in altri ambiti della produzione culturale, soprattutto quella in cui i protagonisti si connotano come “alternativi” alle dinamiche mainstream della stessa produzione culturale.

Ellis et al. (2010) descrivono il processo dell’ autoetnografia come una combinazione di “autobiografia” e “etnografia”. La combinazione dell’esperienza individuale con l’esperienza culturale risulta cruciale nel processo di costruzione di un’ autoetnografia, intesa come forma di percezione personale del modo particolare (personale) di vedere una determinata cultura.

Autoethnography is an approach to research and writing that seeks to describe and systematically analyze (graphy) personal experience (auto) in order to understand cultural experience (ethno) (Ellis, 2004; Holmes Jones, 2005).

Questo approccio mette in discussione i modi canonici di fare ricerca e apre nuovi orizzonti per la ricerca qualitativa. Numerosi studi (Holman Jones, 2005; Ellis, 2004; Ellis et al., 2010) si concentrano su come si possano combinare ricerca etnografica e narrazione autobiografica (autoethnography).

In questo nuovo scenario si colloca il digital storytelling inteso come modo per combinare l’esperienza etnografica personale (autoethnographic experiences) con l’uso dei nuovi media e delle tecnologie che ampliano le possibilità di pubblicare, condividere, commentare le storie.

“Digital storytelling, then, can be utilized to convey autoethnographic experiences using new media and technologies that can enhance the communicability of information.” (LaFrance, Blizzard, 2013, p. 27)

L’autoetnografia come una forma di ricerca che utilizza le narrazioni personali per descrivere eventi e dinamiche culturali. Il digital storytelling come il metodo per costruire una narrazione personale che descrive un’esperienza culturale basato sulle nuove tecnologie (technology-based method) attraverso cui gli studenti del XXI secolo, combinando una varietà di risorse mediali, partecipano ad un processo di co-costruzione di nuove conoscenze e condividono (off line e on line) storie digitali. È in questa cornice di ricerche che si configura un nuovo spazio di riflessione tra etnografia, narrazione e consumo di media in cui si colloca la tesi di ricerca. La metodologia del digital storytelling può essere adottata come metodo

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autobiografico di documentazione narrativa delle pratiche di produzione e consumo mediale dei giovani. Lo storytelling può considerarsi come una metodologia utile nel momento in cui devono essere ricostruite, attraverso storie di vita soggettive o di comunità, pratiche di consumo mediale. Produrre e consumare artefatti multimediali significa attribuire significati. Il consumo mediale, così, veicola i modi del significato, le pratiche individuali e sociali di consumo. Studiare le “narrazioni” sociali che raccontano l’esperienza d’uso (customer user experience) dei media significa intercettare le pratiche di consumo e studiare i significati che veicolano i più comuni gesti di consumo mediale. Significa studiare i filtri stilistici nell’opera di continua ri-mediazione di immagini, foto e video operata dai “consumatori mediali” per studiare le narrazioni digitali (digital stories) come costruzioni selettive che riflettono un’intenzionalità capace di raccontare uno stile di uso/consumo mediale. L’analisi delle narrazioni permetterà di definire le pratiche mediali messe in atto in contesti definiti (scuola, casa, gruppo dei pari), la relazione esistente tra la pratica e il contesto d’uso e rilevare una prima serie di categorie interpretative usate dai tweens nella determinazione delle proprie esperienze. In particolare nel presente lavoro di ricerca si considerano i giovani dei digital etnographers ovvero giovani capaci di raccontare la vita reale attraverso le nuove tecnologie. L’analisi delle narrazioni digitali racconterà anche il loro rapporto con le tecnologie, il consumo (dieta) mediale attraverso un approccio etnografico.

2. La ricerca qualitativa e l’etnografia dei media