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C OMUNICAZIONI DEI DOTTORAND

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C OMUNICAZIONI DEI DOTTORAND

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Il biopotere nell’Europa delle frontiere

di C

ARMEN

C

ARAMUTA

Una delle questioni di maggior rilievo etico-politico cui la so-

cietà contemporanea si trova di fronte è quella

dell’immigrazione e della convivenza tra le varie culture e reli- gioni dei Paesi dell’area del Mediterraneo.

Negli ultimi decenni, l’interesse crescente per il tema in que- stione sembra fare tutt’uno con la vastissima letteratura che ha sviluppato l’argomento in modo estremamente eterogeneo: si passa dalle prospettive pluralistiche, multiculturali, intercultura- li alle strategie politiche per la convivenza sociale; dallo stato di emergenza umanitaria derivante dall’enorme aumento del nu- mero dei migranti economici, dei profughi e dei richiedenti asi- lo ai centri di permanenza per i rimpatri (CPR); dal rapporto che intercorre tra povertà, migrazione, lavoro e globalizzazione dei mercati fino alle analisi incentrate sul tema della sicurezza1. La

fecondità dell’argomento e la vivacità del dibattito che lo ri- guarda testimoniano, dunque, l’impossibilità di ricondurre a una declinazione univoca le sue specificazioni, ma è evidente che il

Dottoranda in Storia, Culture e Saperi dell’Europa Mediterranea dall’Antichità

all’Età Contemporanea - Dipartimento di Scienze Umane - Università degli Studi della Basilicata

1 Tra le elaborazioni più importanti e recenti, cfr. M.LGHEZZI., Stranieri, ospiti,

alieni, alienati e pluralismo culturale, Mimesis, Udine 2015; M.C.NUSSBAUM, Coltiva-

re l’umanità. I classici, il multiculturalismo, l’educazione contemporanea, trad. di S.

Paderni, Carocci, Roma 2014; G.SARTORI, Pluralismo, multiculturalismo e estranei.

Saggio sulla società multietnica, Rizzoli, Milano 2013; Z.BAUMAN, Stranieri alle por-

te, trad. di M. Cupellaro, Laterza, Roma-Bari 2016; E. GREBLO, Etica

dell’immigrazione. Una introduzione, Mimesis, Milano-Udine 2015; S.ALLEVI, G. DALLA ZUANNA,Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione, Laterza,

Roma-Bari 2016; P.COLLIER, Exodus. I tabù dell’immigrazione, trad. di L. Cespa, La- terza, Roma-Bari 2016; DAL LAGO A., Non-persone. L’esclusione dei migranti in una

fenomeno migratorio è intrinsecamente legato alla gestione e al- la regolamentazione delle popolazioni e più specificatamente al- la vita direttamente implicata nelle dinamiche del potere: la di- mensione concettuale e critica dei fenomeni migratori hanno, pertanto, una matrice biopolitica2. La biopolitica corrisponde,

infatti, all’azione decisiva di orientamento o governo degli uo- mini: «potere che si esercita sull’uomo in quanto vivente, vita biologica e nuda vita»3. Per comprendere il senso che tale no-

zione assume nel quadro della attuale crisi migratoria sarà es- senziale ritornare a Michel Foucault che a partire dalla seconda metà degli anni Settanta del Novecento aveva posto al centro della propria riflessione la relazione tra il potere e la vita indivi- duando nella biopolitica il codice del potere moderno. Famoso il motto di Foucault secondo il quale, al vecchio diritto sovrano di far morire e lasciar vivere si è sostituito, con la modernità, un potere di far vivere o di respingere nella morte4. Il potere

prende di mira la vita e la tratta come qualcosa da potenziare e coltivare, indirizzare e regolare. Entra profondamente nella vita delle persone fino ad impadronirsi dei loro corpi. Dal XVIII se- colo, almeno in Europa, infatti, il potere politico non era più esercitato esclusivamente tramite la drastica scelta di consentire la vita o di infliggere la morte. Le autorità politiche si sono as- sunte il compito della gestione della vita in nome del benessere della popolazione. Da questo momento in poi, la politica avreb-

2 Negli ultimi decenni, il termine biopolitica, talvolta usato in alternativa alla no-

zione di biopotere, ricorre con frequenza sempre maggiore per descrivere i fenomeni del mondo contemporaneo in cui la vita è direttamente implicata nelle dinamiche del potere. Il quadro sul concetto di biopolitica risulta, dunque, estremamente ambiguo ed eteroge- neo. Per comprendere il senso che tale nozione assume nell’ambito della filosofia politi- ca e delle scienze sociali contemporanee, v., G.AGAMBEN, Homo sacer. Il potere so-

vrano e la nuda vita, Einaudi, Torino 1995; R.ESPOSITO , Bíos. Biopolitica e filosofia, Einaudi, Torino 2004; P.AMATO, a cura di La biopolitica. Il potere sulla vita e la costi-

tuzione della soggettività, Mimesis, Milano 2004; A.CUTRO, a cura di Biopolitica. Sto-

ria e attualità di un concetto, Ombre corte, Verona 2005; L.BAZZICALUPO, Biopolitica.

Una mappa concettuale, Carocci, Roma 2010.

3 L.BAZZICALUPO, Biopolitica, voce in Enciclopedia del pensiero politico. Autori,

concetti, dottrine, a cura di Esposito R., Galli C., Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 69-70.

4 Cfr. M.FOUCAULT, La volontà di sapere. Storia della sessualità 1, trad. di P. Pa-

squino e G. Procacci, Feltrinelli, Milano 2014, pp. 120-126; Id., Bisogna difendere la

be dovuto gestire problemi specifici che riguardano i processi vitali dell’esistenza umana: la dimensione e la qualità della po- polazione, la riproduzione e la sessualità umana, i rapporti co- niugali, parentali e familiari, salute e malattia, nascita e morte. Sono questi i presupposti storici e teorici che consentono di ana- lizzare gli eventi e i processi attuali come questioni di biopoliti- ca. La nostra epoca, infatti, nonostante la progressiva “demate- rializzazione” delle attività politiche, economiche e sociali non ha mai smesso, ne potrà mai smettere, di occuparsi della visco- sità del vivere concreto. Leggere biopoliticamente «la grande migrazione del XXI secolo»5 che Foucault preconizzò con un

ventennio d’anticipo è, dunque, possibile e consente di mettere a fuoco alcuni punti essenziali: il primo è sicuramente il potere di vita o di morte degli Stati. Attraverso le politiche di acco- glienza e integrazione nei confronti dei migranti, infatti, si pone in essere una «politica della vita»6, un potere di far vivere; con

la negazione dell’accesso al suolo degli Stati di diritto, si eserci- ta di fatto un potere che respinge nella morte i corpi dei migran- ti7.

Nel 1979, nello stesso anno in cui teneva il suo corso sulla Na-

scita della biopolitica, Foucault sosteneva in un’intervista rila-

sciata sulle vicende vietnamite, che «nessuna discussione sull’equilibrio mondiale, né alcun argomento sulle difficoltà po- litiche ed economiche derivanti dall’aiuto ai profughi può giu- stificare che gli Stati abbandonino questi esseri umani sulla so- glia della morte»8. Foucault si riferiva ai primi boat people cari-

chi di profughi che fuggivano dal Vietnam e dalla Cambogia, ma avvicinandoci ai nostri giorni possiamo facilmente com- prendere quanto quell’affermazione sia ancora profondamente attuale. Le politiche di respingimento dei migranti da parte delle

5 Idem, Il problema dei profughi è un presagio della grande migrazione del XXI se-

colo, a cura di O.MARZOCCA, “Tellus”, n. 22, 2000, p. 118.

6 Cfr. R.ESPOSITO, Bíos, cit., pp. 25-32.

7 Cfr. A.SIMONE, Migrazioni, in O Marzocca et. al, a cura di Lessico di biopolitica,

Manifestolibri, Roma 2006, p. 183.

8 M.FOUCAULT, Il problema dei profughi è un presagio della grande migrazione

«frontiere europee»9 sono, infatti, il segnale di quanto

l’inconciliabilità fra diritto e sicurezza non abbia mai cessato di riattivarsi. «Il grande esodo»10 verso i liberalismi mostra come

questi Stati continuino a negare l’universalità del diritto di cit- tadinanza, di cui dovrebbero essere garanti, prospettando persi- no il reato di immigrazione clandestina, in nome della sicurez- za. Le migrazioni di massa sono, infatti, percepite e vissute dall’opinione pubblica e dagli Stati europei come un problema di ordine pubblico. I centri di permanenza temporanea (CPT) istituiti in Italia dalla legge sull’immigrazione Turco-Napolitano (art. 12 della legge 40/1998), poi denominati centri di identifi- cazione ed espulsione (CIE) dalla legge Bossi-Fini (L. 189/2002), e infine rinominati centri di permanenza per i rimpa- tri (CPR) dalla legge Minniti-Orlando (L. 46/2017) sono struttu- re detentive dove vengono reclusi i migranti sprovvisti di rego- lare permesso di soggiorno11. Nati per disciplinare e gestire i

flussi migratori, sono di fatto l’esito del modello securitario che caratterizza le pratiche governamentali biopolitiche12. Si tratta

9 Cfr. A.LEOGRANDE, La frontiera, Feltrinelli, Milano 2017.

10 Cfr D.QUIRICO, Esodo. Storia del nuovo millennio, Neri Pozza, Vicenza 2016. 11 Sui centri di permanenza temporanea, ora centri di permanenza per i rimpatri, cfr.

M. Rovelli, Lager italiani. I centri di permanenza temporanea, BUR Rizzoli, Milano 2006.

12 Foucault utilizza il concetto di governamentalità per indicare una modalità gene-

rale e un insieme di saperi e tecniche che il potere utilizza per garantire e rafforzare la vita individuale e collettiva. Sulla governamentalità e sulla riflessione foucaultiana, v., O. Marzocca, Perché il governo. Il laboratorio etico-politico di Foucault, Manifesto Libri, Roma 2007; T.Lemke, Oltre la biopolitica. Sulla ricezione di un concetto fou-

caultiano, in M. Cometa, S. Vaccaro, a cura di Lo sguardo di Foucault, Maltemi, Roma

2007, pp. 85-107; M.Senellart, Dalla ragion di stato al liberalismo: genesi della «go-

vernamentalità» moderna, in M. Galzigna, a cura di Foucault, oggi, cit., pp. 190-204.

Il concetto di governamentalità è divenuto oggetto di numerosi percorsi di ricerca, soprattutto nei paesi anglosassoni, dando vita al consistente fenomeno dei Governmen-

tality studies. La bibliografia in lingua inglese riguardante la nozione di “governamenta-

lità” è vastissima. Tra i principali riferimenti bibliografici, cfr. G. Burchell, C. Gordon, P. Miller, a cura di The Foucault Effect. Studies in Governmentality, The University of Chicago Press, Chicago 1991; Rose N., «Governing “Advanced” Liberal Democracies», in A. Barry, T. Osborne, N. Rose, a cura di Foucault and Political Reason. Liberalism,

Neoliberalism and Rationalities of Government, The University of Chicago Press, Chi-

cago 1996; M. Dean, Governmentality. Power and Rule in Modern Society, Sage, Lon- don, Thousand Oaks, New Delhi 1999; J. Z. Bratich, J. Packer, C. McCarthy, Foucault,

di dispositivi di sicurezza che affiancati alle tecnologie sociali tendono alla razionalizzazione del rischio13. In questi luoghi, si

può, infatti, ritrovare, in accordo a quanto sostenuto dal filosofo Giorgio Agamben, «il principio dell’eccezione», in uno «stato di emergenza permanente»14, che contrasta e vince sui diritti.

Non è, infatti, la violazione di una norma penale a spiegare la detenzione dei migranti, ma la presunta irregolarità dell’ingresso e del soggiorno: le persone arbitrariamente conno- tate come pericolose sono costrette alla detenzione non per ciò che hanno commesso, ma per ciò che sono15. Il migrante “clan-

destino” viene, infatti, percepito come un pericolo su più fronti: il principale è quello relativo ad eventuali attacchi terroristici che potrebbero minare la sicurezza degli Stati. Il diffuso senso di insicurezza è, del resto, una vera e propria piaga per la nostra società e i leader politici sono ben lieti di creare un’atmosfera da stato di emergenza per garantire alle loro iniziative l’approvazione popolare16. A tal proposito, è sufficiente pensare

agli innumerevoli dispositivi di controllo legati alle misure anti- terrorismo che segnano la vita non solo della popolazione mi- grante, ma di chiunque faccia parte delle società occidentali17.

Cultural Studies, and Governmentality, State University of New York Press, Albany

2003.

13 Il sociologo Ulrich Beck è inventore del concetto di Risikogesellschaft, «società

del rischio». Gli appartenenti a questa società conducono le proprie esistenze con una paura basata sull’idea di ciò che può succedere. Cfr. U.BECK, La società del rischio:

verso una nuova modernità, a cura di Privitera W., Carocci, Roma 2013; Id., Conditio humana. Il rischio nell’età globale, trad. di C. Sandrelli, Laterza, Roma-Bari 2008; Id. L’ossessione immunitaria nella società del rischio, in Z. Bauman, Il demone della pau- ra, trad. di S. D’Amico, Laterza, Roma-Bari 2014, pp. 56-64.

14 Cfr. G.AGAMBEN, Stato di eccezione. Homo sacer, Vol. 2/1, Bollati Boringhieri,

Torino 2003.

15 E.RIGO, Razza clandestina. Il ruolo delle norme giuridiche nella costruzione di

soggetti-razza, in C. Menghi, a cura di Immigrazione. Tra diritti e politica globale,

Giappichelli, Torino 2003, pp. 107-142.

16 Cfr. Z.BAUMAN, Stranieri alle porte, cit., pp. 21-38.

17 Cfr. D.LYON, La società sorvegliata. Tecnologie di controllo della vita quotidia-

na, trad. di A. Zanini, prefazione di S. Rodotà, Feltrinelli, Milano 2002; Id. Massima si- curezza. Sorveglianza e guerra al terrorismo, trad. di E. Greblo, R. Cortina, Milano

2005; Z.BAUMAN,D.LYON, Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida, trad. di M. Cupellaro, Laterza, Roma-Bari 2015.

In Filosofia della paura, Lars Fr. H. Svendsen analizza il ruolo della paura nella nostra società ed evidenzia come la «cultura della paura» mini la fiducia generando insicurezze e un effetto disgregante sulle relazioni sociali18. È innegabile, infatti, che

con la progressiva messa in sicurezza o «securitizzazione»19 de-

rivante dalla proclamazione di un vero e proprio stato di emer- genza internazionale, le disuguaglianze sociali e gli svantaggi preesistenti hanno cominciato ad aggravarsi. Esclusione, stig- matizzazione e discriminazione continuano ad essere presenti nelle democrazie e gli Stati di diritto, fondati su principi di uguaglianza e pari dignità, continuano a sottoporre le sorti dei migranti alle logiche di mercato che non cessano di produrre «persone in esubero» e «vite di scarto»20: la non coincidenza tra

democrazia politica ed economia di mercato risulta evidente. Significativa, in tal senso, è l’affermazione foucaultiana risalen- te al 1984 in merito alla rivendicazione della cittadinanza inter- nazionale: «poiché pretendono di occuparsi della felicità della società, i governi si arrogano il diritto di sottoporre al calcolo dei profitti e delle perdite l’infelicità degli uomini, che le loro decisioni provocano e le loro negligenze consentono»21. La vita

è, dunque, inscritta in un reticolo economico. Non è raro imbat- tersi, del resto, in nuove ideologie integrazioniste che definisco- no la popolazione migrante come “capitale umano”. Tale “capi- tale umano”, tuttavia, viene spesso sfruttato a buon mercato e le pratiche governamentali messe in atto nei confronti dei cosid- detti migranti “regolari” sono spesso tese ad “assoggettarli” e “normalizzarli” rispetto agli standard morali ed economici della cultura occidentale. Risulta, tuttavia, evidente che “normalizza-

18 Cfr. L.FR.H.SVENDSEN, Filosofia della paura. Come, quando e perché la sicu-

rezza è diventata nemica della libertà, trad. di E. Petrarca, Castelvecchi, Roma 2017,

pp. 15-22.

19 Cfr. Z.BAUMAN, Stranieri alle porte, cit., p. 22.

20 Cfr. Idem, Vite di scarto, trad. di M. Astrologo, Laterza, Roma-Bari 2011. 21 M.FOUCAULT, Face aux gouvernements, les droit de l’homme (1984), in Dits et

écrits, vol. IV, n. 355, Gallimard, Paris 1994, p. 708; disponibile all’indirizzo

re” e “assoggettare” non è “integrare”, ma “assimilare”22. La

“normalizzazione” è, infatti, l’espressione della regolarità con- tinuamente ricercata: «normare, normalizzare, significa imporre un’esigenza a un’esistenza, a un dato la cui varietà e la cui dif- ferenza si offrono, al riguardo dell’esigenza, come un indeter- minato ostile più ancora che estraneo»23. Il potere di normaliz-

zazione è, dunque, un potere che «costringe all’omogeneità»24:

un potere volto a trasformare gli individui sulla base di parame- tri normativi e che sanziona «il campo indefinito del non con- forme»25. Nel dispositivo della norma, la vera punizione è

nell’emarginazione dell’“anormale”26. Ma l’aspetto sicuramente

più interessante che Foucault pone in evidenza è che il potere della norma gerarchizza ed omogeneizza differenziando gli in- dividui non solo in relazione a ciò che essi “fanno”, ma anche in base a ciò che essi “sono”27. In sintesi, la diagnosi foucaultiana

ci consegna l’immagine di una società che tende a riassorbire, riunificare, ricomporre le differenze e le controversie, ma una società multiculturale presuppone una società aperta che crede nel valore del pluralismo. Negare la differenza, costringere all’omogeneità significa negare un pieno diritto alla soggettivi- tà. Progettare e vivere in una società orientata ai principi che purtroppo solo teoricamente sono approvati e proposti (si pensi alle numerose dichiarazioni e convenzioni internazionali fonda- te su principi di uguaglianza e pari dignità) significa, invece, ri-

22 «Negli studi interculturali, per assimilazione si intende il processo tramite cui un

soggetto si integra nel luogo in cui vive facendo suoi i nuovi valori. Un membro di un gruppo minoritario abbandona le caratteristiche della propria cultura di provenienza per divenire uguale ai membri della nuova società. A seconda dell’età e del progetto di vita, vi sono varie esperienze che lo rendono possibile». A. SIMONICCA, Lessico intercultura-

le, Dialogues on civilization “Reset Doc”, http://www.resetdoc.org/lessico

23 G.CANGHILHEM, Il normale e il patologico, trad. di D. Buzzolan, introduzione di

M. Porro, postfazione di M. Foucault, Einaudi, Torino 1998, p. 201.

24 M.FOUCAULT, Sorvegliare e punire, trad. di A. Tarchetti, Einaudi, Torino 2014,

p. 201.

25 Ivi, p. 196.

26 Cfr. M.FOUCAULT, Gli anormali. Corso al Collège de France (1974-1975), trad.

e cura di V.MARCHETTI, A. Salomoni, Feltrinelli, Milano 2017, p. 46.

27 Cfr. Idem, Il potere, una bestia magnifica, in Id., Biopolitica e liberalismo. Detti

e scritti su potere ed etica. 1975-1984, trad. e cura di O. Marzocca, Medusa, Milano

conoscere, studiare e valorizzare la differenza28.La differenza è,

infatti, una risorsa, un valore e una ricchezza che, tuttavia, può essere compresa solo moltiplicando le occasioni di incontro e di scambio. L’obiettivo deve essere, dunque, quello di gestire i rapporti tra le diverse culture in termini di impegno reciproco, intendendo per reciprocità l’assunzione contemporanea e parita- ria della dignità di ciascun punto di vista e, quindi, di ciascuna delle prospettive interagenti. Riuscire a fare questo salto quali- tativo significa praticare, attraverso l’esaltazione della differen- za, una forma di resistenza alle dinamiche del biopotere globale e ai suoi innumerevoli segnali di dominio.

Riferimenti bibliografici

28 Cfr. Dichiarazione Universale dell’UNESCO sulla Diversità Culturale, Parigi, 2

novembre 2001

http://www.unesco.org/fileadmin/MULTIMEDIA/HQ/CLT/diversity/pdf/declaration_cu ltural_diversity_it.pdf

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