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Cenni giuridici sul diritto all’accoglienza

Alcune riflession

1. Cenni giuridici sul diritto all’accoglienza

A livello di diritto internazionale le norme contenute nella Con- venzione di Ginevra del 1951 – in seguito modificate dal Proto- collo di New York del 1967 – restano il principale punto di rife- rimento per la protezione di quelle categorie di migranti che

possono accedere allo status di rifugiato. La definizione giuridi- ca di rifugiato è formulata nell’articolo 1 della Convenzione, ove si stabilisce che può essere ritenuto rifugiato chi si trovi in una condizione di giustificato timore di essere perseguitato nel- lo Stato di origine, per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opi- nioni politiche.

All’interno dell’Unione Europea allo status di rifugiato è stato affiancato, a partire dalla Direttiva n. 83 del 2004, successiva- mente modificata dalla Direttiva n. 95 del 2011, lo status di pro- tezione sussidiaria. Si tratta di una seconda forma di protezione internazionale che concerne quei migranti rispetto a cui si han- no fondati motivi di ritenere che, se ritornassero nel Paese di origine o di dimora abituale, correrebbero un rischio effettivo di subire un danno grave1. La nozione di “danno grave” non è la-

sciata indeterminata, al contrario essa è specificata secondo le seguenti tre fattispecie: condanna a morte o all'esecuzione, tor- tura o altra forma di pena o di trattamento inumano o degradan- te, minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un ci- vile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di con- flitto armato interno o internazionale2.

Come è facile notare, esistono importanti categorie di migranti che non hanno accesso alla protezione internazionale: la condi- zione di numerosi migranti economici e migranti climatici non può infatti essere ricondotta né alla nozione di “persecuzione individuale” su cui è strutturato lo status di rifugiato, né alle tre fattispecie della nozione di “grave danno” su cui è strutturato lo

status di protezione sussidiaria.

Tale situazione è modificata solo in parte dalla presenza negli ordinamenti di alcuni Stati, tra cui l’Italia, di ulteriori forme di protezione, come la protezione per motivi umanitari, che per- mette, sulla base della nozione di “seri motivi di carattere uma- nitario”, l’accoglienza di alcune tipologie di migranti che non hanno diritto allo status di rifugiato o di protezione sussidiaria.

1 Cfr. Direttiva 2004/83/CE, Articolo 2, Lettera e). 2 Cfr. Direttiva 2004/83/CE, Articolo 15.

In effetti, per quanto la positività e l’importanza di tali forme di protezione complementare rispetto alla protezione internaziona- le siano assolutamente innegabili, ne vanno parimenti rilevati i limiti principali.

Anzitutto, va sottolineato come il fatto stesso che queste ulterio- ri forme di protezione siano previste dagli ordinamenti giuridici di singoli Stati, ma non definite a livello di diritto internaziona- le, ne limiti fortemente il raggio di azione, oltre ad esporle al ri- schio di attenuamento o cancellazione in corrispondenza del co- stituirsi di maggioranze politiche ad esse ostili. In secondo luo- go, la sfera dei diritti di cui godono i migranti cui vengono rico- nosciute tali forme di protezione è spesso più limitata rispetto a quella dei migranti titolari di protezione internazionale. Infine, ed è questo l’aspetto che più importa notare per la prosecuzione della presente riflessione, va sottolineato come i casi specifici dei migranti economici e climatici non siano spesso esplicita- mente menzionati e opportunamente contemplati dai diversi istituti di protezione temporanea e protezione umanitaria. 2. Linee di critica del discorso pubblico sui “migranti eco- nomici”

Avendo passato in rassegna, per quanto in maniera estremamen- te schematica e semplificatrice, le diverse forme di protezione dei migranti previste dagli ordinamenti giuridici vigenti, si è po- tuto rilevare l’assenza, o la sostanziale inadeguatezza, di forme di protezione per categorie di migranti quali i migranti econo- mici e i migranti climatici. Si tratta a questo punto di tentare di sviluppare una critica di alcune modalità di legittimazione ideo- logica3 che vengono abitualmente messe in atto per giustificare

il mancato riconoscimento di un diritto all’accoglienza per que- ste categorie di migranti.

3 Per la nozione di legittimazione ideologica a cui si fa qui riferimento, in opposizione a

quella di fondazione filosofica, si veda Y.R.SIMON, La tradizione del diritto naturale, trad. di F. Di Blasi, Rubbettino, Soveria Mannelli 2005, pp. 47-57.

Anzitutto va rilevato come nella maggior parte delle occasioni in cui, a livello di discorso pubblico, si fa riferimento all’espressione “migranti economici”, l’orizzonte semantico veicolato da tale espressione mostri che il suo utilizzo non è pu- ramente descrittivo, ma presenta fin dall’inizio, in maniera più o meno evidente, un intento di giustificazione normativa e assio- logica della diversità del trattamento rivolto a questa categoria di migranti rispetto a quello riservato ai titolari di protezione in- ternazionale.

La nozione di “migranti economici” è in effetti molto spesso sottoposta ad un indebito ampliamento semantico e, contempo- raneamente, ad una altrettanto indebita riduzione semantica. Il significato attribuito all’espressione “migranti economici” è cioè da un lato troppo ampio, in quanto finisce per fagocitare e far dimenticare l’irriducibile specificità di tipologie di migra- zioni dettate da ragioni non primariamente o non unicamente economiche, quali quella, già più volte richiamata, delle migra- zioni dettate da ragioni climatiche, in particolare da catastrofi naturali di grandi dimensioni e gravità. Dall’altro lato il signifi- cato comunemente associato a questa espressione è troppo ri- stretto, giacché, in forma più o meno surrettizia, esso tratteggia la figura del migrante economico come quella di colui che sce- glie di emigrare per tentare di migliorare la propria condizione socio-economica partendo da condizioni di povertà soltanto re- lativa, di una persona, in altri termini, la cui migrazione è detta- ta da una libera opzione personale, e non radicalmente determi- nata dalla sussistenza, nel Paese di origine, di condizioni di mi- seria incompatibili con la sopravvivenza stessa.

Emerge dunque già a questo livello la natura ideologica dei rife- rimenti più comuni alla nozione di migrante economico: tanto l’ampliamento quanto la riduzione semantica di tale nozione sono infatti volti a negare un’evidenza fondamentale, quella per cui esistono altre tipologie di “migrazioni forzate” oltre a quelle costituite da chi fugge da situazioni di persecuzione individuale o di conflitto armato. Non è quindi legittimo catalogare la totali- tà delle tipologie di migrazioni che non rientrano nei criteri del- la protezione internazionale come forme di “migrazioni volon-

tarie”, derubricandole in tal modo a migrazioni dettate da moti- vazioni di second’ordine, di gravità minore rispetto a quelle che legittimano il conferimento dello status di rifugiato o di prote- zione sussidiaria.

Oltre all’utilizzo ideologico della nozione di migrante economi- co fin qui delineato e criticato, non è raro imbattersi a livello di discorso pubblico in argomentazioni che sostengono la tesi della non sussistenza di un diritto all’accoglienza per tipologie di mi- granti diverse da quelle contemplate dalla protezione interna- zionale, sulla base del riferimento all’impossibilità fattuale, per uno Stato o per un gruppo limitato di Stati, di accogliere l’elevatissimo numero di migranti che potrebbero beneficiare dell’estensione dei criteri di protezione.

Questa posizione è certamente meno ideologica di quella che misconosce la tragicità della situazione dei migranti economici e climatici, la sua debolezza argomentativa è tuttavia ben evi- dente: la sussistenza di una impossibilità meramente fattuale o, per meglio dire, di un elevato grado di difficoltà fattuale, non può infatti mai condurre in maniera stringente alla dimostrazio- ne dell’inesistenza di un nesso essenziale. Utilizzando la distin- zione maritainiana tra possesso ed esercizio di un diritto4, si po-

trà certo dire che esistono numerosi diritti della persona umana il cui esercizio, la cui promozione concreta ed effettiva, risulta estremamente difficile in presenza di determinate situazioni contingenti; ma non si potrà mai sostenere che questa difficoltà, per quanto estrema, nell’esercizio di un diritto, implichi logica- mente l’assenza del possesso di quel diritto.

3. Alla ricerca di una fondazione filosofica dell’estensione