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Relitti arenati sul litorale

Siriane oggi, Troiane ieri di

R

AFFAELLA

C

ANTORE

Il teatro (i suoi testi/le sue rappresentazioni) ha oggi e ha sem- pre avuto, in passato, tanti pregi; tra questi, nell’antica Grecia, bisogna annoverare il potere che esso aveva di restituire alla donna quella voce pubblica negata da (e in) altre istituzioni ci- viche. Solo lo spazio teatrale rendeva possibile a donne che avevano subito violenze e soprusi, che avevano perso i loro cari a causa di lunghe ed ingiuste guerre, partecipare al discorso del- la polis con i loro lamenti e i loro argomenti1. I loro tristi di-

scorsi e le loro strazianti parole, conservati nei testi teatrali anti- chi, sono ancora oggi quelli di tutte le donne sopravvissute a guerre, destinate dai vincitori a schiavitù, esilio, violenze, fati- che e privazioni; queste parole diventano, pertanto, specchio di quei capovolgimenti di valori umani e sociali prodotti, inevita- bilmente in guerra, dalla natura stessa dell’uomo.

Consapevoli ‒ credo ‒ di tale immenso potere, un gruppo di re- gisti e produttori qualche anno fa in Giordania ha cercato e tro- vato, tra le tante siriane lì fuggite negli ultimi anni, un gran nu- mero di donne disposte a mettere in scena un’opera teatrale at- traverso la quale raccontare il loro destino. Il dramma messo in scena è un adattamento arabo delle Troiane di Euripide, un testo scritto e rappresentato nel marzo del 415 a.C., quando Atene era

Dottore di ricerca in filologia dei testi antichi e medioevali; professore a contratto,

Università degli Studi della Basilicata, Dipartimento di Scienze Umane.

1 Cfr. P. BURIAN, Voci di donna: Le Troiane nella guerra del Peloponneso, in

Evento, Racconto, scrittura nell’antichità classica, a cura di CASANOVA A. E DESIDERI

impegnata in un atroce conflitto con la sua eterna rivale, Sparta, e che racconta il destino subito dalle donne Troiane all’indomani della distruzione di Troia da parte dei Greci. Le donne, le attrici che hanno rappresentato l’adattamento della tragedia greca, sono state scelte tra la gente in coda per ottenere i buoni alimentari delle Nazioni Unite; nessuna di loro aveva mai recitato prima, tutte contraddistinte dai capelli nascosti sot- to il velo, molte disposte a mostrare, del viso, soltanto gli occhi. Tutte hanno lavorato in Giordania per sei settimane, ricono- scendosi nelle parole dei lamenti delle donne troiane; all’interno della traduzione in arabo del testo euripideo sono stati, poi, an- che incorporati frammenti di storie di vita vissuta dalle “attrici”. Il progetto è stato ideato nel 2013 con un duplice scopo: da un lato, come supporto psicologico, ossia per aiutare le rifugiate a superare i loro profondi dolori e i loro traumi tramite la “tera- pia” del teatro, dall’altro per diffondere nel mondo lo status del- le rifugiate siriane e, dunque, sensibilizzare sulla questione un vasto pubblico: «I have a scream ‒ I want the word to hear», h a n n o d i c h i a r a t o l e d o n n e2.

Il workshops e la performance finale in Amman sono stati, poi, inglobati in un documentario dal titolo Queens of Syria3 diretto da Yasmin Fedda; in seguito, nel 2016, Developing Artist in collaborazione con Refuge Productions & Young Vic Co-

production hanno ripreso il progetto e, sotto la direzione di Zoe

Lafferty, è stato rimesso in scena il dramma (con il titolo

Queens of Syria), con alcune donne della prima rappresentazio-

ne e con nuovi volti, ed esso è stato portato in tour nel Regno Unito4.

Attraverso quest’opera va in scena l’amarezza di queste donne, il loro esilio, quello che hanno provato e stanno tuttora speri-

2https://www.youtube.com/watch?v=KqEThpLtokg

3 Y. FEDDA - Queens of Syria, GFF 2015, The Skinny Magazine in

https://www.youtube.com/watch?v=Lx2Dzhwx2X4

4Notizie dettagliate sul sito: www.queensofsyriatour.com;

https://www.facebook.com/queensofsyriatour/ ; vd. anche Queens of Syria 2016 – Pro- ject (https://www.youtube.com/watch?v=KqEThpLtokg); Queens of Syria trailer

mentando in prima persona. Queste donne Siriane sono come le spose di Troia: persone sradicate dalla propria terra, in cui han- no lasciato tutto il loro passato, con davanti il nulla di un futuro impossibile. «Le parole rievocate e rappresentate nei secoli stanno a confermare consuetudini di possesso e di violenza ses- suale, perpetrate su donne che diventano bottino di guerra, schiave sessuali, merce di scambio, corpo da ingravidare attra- verso il seme del vincitore»5; tutte scoprono di parlare con le

antiche parole di Euripide: «the play talks about somethig real to us; it’s old, but history repeats itself», hanno dichiarato. Ognuna di loro, al testo antico, mescola la sua storia personale. Le donne Siriane sono già fuori dalla loro patria, quelle troiane la stanno per lasciare per sempre, ma se ne sentono già private perché Troia è stata incendiata e distrutta sotto i loro occhi, co- me accade per le città bombardate da cui partono le donne siria- ne. «You are living a painful present, while your soul yearns for a happy past»: è la nostalgia delle donne troiane e di quelle si- riane; vorrebbero riavvolgere il tempo, tornare a prima della guerra.

Ogni donna si è riconosciuta in una delle Troiane: ad esempio Raneem, 24 anni e due figli, scelse Andromaca perché il suo compagno era un eroe coraggioso che ha rischiato di morire per andare a recuperare lei e i figli sotto le bombe; Fatima invece preferì Ecuba perché, come lei, si sentiva una regina a casa sua: «Hecuba is just like me. She was the wife of the King of Troy; then she lost everything she owned; she lost loved ones and family. It’s like us. She was a queen in her home». Tutte sono concordi nell’affermare: «It is not like we need to write a new story, whaterver happened in Troy was documented, but it’s no more than what happened in Syria».

È opportuno, quindi, rileggere alcuni passaggi decisivi di questo testo con cui Euripide sembra fondare la dottrina dei “diritti umani”, che, come è stato più volte fatto notare, non deriva solo

5 M. CALLONI, Yazide rapite, stuprate, convertite. Quelle nuove guerre dal sapore anti-

co, in Corriere della Sera, la ventisettesima ora 04/05/2016, disponibile in

http://27esimaora.corriere.it/articolo/yazide-rapite-stuprate-convertite-quelle-nuove- guerre-dal-sapore-antico/

da leggi che proibiscono la violazione di norme: «il significato dei diritti umani trova piuttosto origine nei luoghi della nega- zione, sottratti alla vista dei più, nelle esperienze violate della vita quotidiana, e deflagra in conflitti armati»6.

La tragedia, scritta e rappresentata al tempo di una grande guer- ra, quella del Peloponneso (tra Sparta ed Atene 431-404 a.C.), esattamente nella primavera del 4157, parla della conquista di

una città dal punto di vista di chi subisce la disfatta. La trama in fondo consiste in una serie di decisioni prese dai conquistatori greci le cui conseguenze sono esposte soprattutto nelle reazioni delle troiane vinte.

La tragedia affonda le radici nel lontano passato, ha come sfon- do la fine della città di Troia e rappresenta il dolore degli scon- fitti di fronte all’aggressività dei vincitori e soprattutto il triste destino delle troiane divenute schiave: Ecuba, sposa di Priamo, è assegnata a Odisseo; Andromaca, sposa di Ettore, a Neottole- mo, figlio di Achille, assassino del marito; Cassandra, figlia di Ecuba, ad Agamennone; Polissena, altra figlia di Ecuba e Pria- mo, al cadavere Achille. Euripide ripercorre le vicende di questi personaggi femminili ed evidenzia la follia della guerra attra- verso i loro lamenti.

All’inizio del dramma, Ecuba, che non abbandona mai la scena, è già presente, come sottolinea Poseidone, primo a parlare: «giace fuori dalla porta e piange molte lacrime a causa di molte sventure»8. Stesa sulla nuda terra, privata del suo rango e della

sua sovranità, si alza nel momento in cui finisce il colloquio in-

6 Ibidem.

7 In generale sulla tragedia e sul contesto storico in cui fu scritta fondamentale: J.

CROALLY, Euripidean Polemic. The Troian Women and the Function of Tragedy, Cam- bridege 1994; Cfr. S.BYL, Les Troyennes d’euripide: contexte historique et message

moral, in «Les ètudes classiques» 68 2000, pp. 47-53. In particolare, sul rapporto della

tragedia con i fatti accaduti a Melo vd. J. ROISMAN Contemporary Allusions in Euripi- des’ Trojan Women, in «Studi italiani di filologia classica» 90 1997, pp. 38-47.

8 EUR.Tr. vv. 37-38. Si precisa che i passi citati in traduzione italiana, da qui in poi, dal-

le Troiane di Euripide sono tratti, in parte dalla traduzione di D.SUSANETTI (EUR.,

ziale tra Poseidone ed Atena e inizia il suo immenso lamento9

che viene ascoltato da tutte le altre donne troiane, coro nel testo: Su sventurata! Alza la testa, tieni diritto il collo: Troia non c’è più e io non sono più una regina! Devi tollerare il destino cambiato! Naviga ora sulla rotta, naviga secondo il volere del destino (πλεῖ κατὰ πορθμόν, πλεῖ κατὰ δαίμονα)! Non rivolgere la prua contro l’onda, poiché ora puoi navigare seguendo soltanto le tue sorti (μηδὲ προσίστη πρῶιραν βιότου / πρὸς κῦμα πλέουσα τύχαισιν). Povera me, ne ho di ragioni per piangere: la patria distrutta, il marito e i figli mor- ti! Ah l’altissima dignità della mia stirpe giù come una vela ammaina- ta, poiché non era davvero niente (ὦ πολὺς ὄγκος συστελλόμενος / προγόνων, ὡς οὐδὲν ἄρ’ ἦσθα.)! … Ah prue di navi (πρῶιραι ναῶν), avete attraversato rapide il mare, toccando i bei porti della Grecia e avete legato le vostre funi nelle insenature della sacra Ilio, al suono di flauti e zampogne, con quell’orrendo canto di guerra, siete venute a prendere la moglie di Menelao, quella donna infame … è lei che ha ucciso Priamo, padre di cinquanta figli, ed è lei che ha fatto arenare (come un relitto in secca) me, disgraziata Ecuba, in questa disgrazia (ἐμέ τε μελέαν Ἑκάβαν / ἐς τάνδ’ ἐξώκειλ’ ἄταν) … Disgraziate mogli dei guerrieri Troiani e povere ragazze destinate a tristi nozze, sfogate- vi con lamenti assieme a me: Troia brucia tutta lentamente.10

Già nel primo straziante lamento di Ecuba è decisivo il riferi- mento alle navi che sarà continuo in tutto il testo: la parola ‘na- ve (ναῦς)’ torna nella tragedia circa venti volte e, all’incirca al- tre dieci, si ripete attraverso il metonimico ‘remo (πλάτη)’; mol- to numerosi sono, poi, i tanti altri lessemi inerenti allo stesso campo semantico. Spesso queste parole sono pronunciate da Ecuba che le adopera sia con il loro significato referenziale, sia in senso traslato, in brevi discorsi in cui prevale la coerenza me- taforica del “viaggio per mare con nave”.

Ecuba sembra quasi ossessionata dalle navi; prima di tutto da quelle vere, quelle greche, che hanno legato le loro funi alle spiagge di Ilio per riprendere la moglie di Menelao11 e che, a

9 Sui lamenti di Ecuba vd.H. PERDICOYIANNI, Le vocabulaire de la douler dans

l’Hécube et les Troyannes d’Euripides, in «Les ètudes classiques» 61 1993, pp. 195-

204; A. SUTER, Lament in Euripides’Troian Woman, in «Mnemosyne» 56 2003, pp. 1- 28.

10 EUR. Troiane, vv. 98-145.

breve, la porteranno via dalla città di cui era regina, come dice chiaramente in un verso (di poco successivo al lamento sopra trascritto) in cui è retoricamente ridondante il richiamo ai remi e alle navi: «Figlie mie, la mano che sa manovrare i remi si muove verso le navi (ὦ τέκν’, Ἀχαιῶν πρὸς ναῦς ἤδη / κινεῖται κωπήρης χείρ)»12. L’intera tragedia si chiude, appunto, con

l’invito, a lei rivolto, da parte del coro a salire sulle navi greche: «Povera la nostra città! Ma adesso vieni, andiamo alle navi dei Greci! (ἰὼ τάλαινα πόλις. ὅμως / δὲ πρόφερε πόδα σὸν ἐπὶ πλάτας Ἀχαιῶν)» 13 sono i versi finali del testo.

Numerosi sono, poi, i luoghi in cui Ecuba usa l’immagine della nave come metafora di se stessa o del suo destino. In senso tra- slato, riferito a sé, dunque, la nave diventa un relitto che si è arenato sulla spiaggia per colpa di Elena: Ecuba adopera, infatti, il verbo ἐξοκέλλω, che è termine tecnico per indicare “l’arenarsi, l’incagliarsi, andare in secca” di nave, usato nel te- sto soltanto in questo passo14; rimanendo nella stessa coerenza

metaforica, il suo orgoglio, la stima verso la regalità della sua famiglia diviene una vela ammainata15. Come ogni eroe tragi-

co16, in balia delle disgrazie, la sua nave è in un mare in tempe-

sta, ma ella decide di assecondare la sorte senza tentare di girare la prua contro le onde17. Più avanti nel testo, rivolgendosi ad

Andromaca, ritornerà sulla stessa coerenza metaforica elabo- rando, però, un’ampia similitudine attraverso la quale spiegherà il motivo per cui non può contrastare la sorte che si è abbattuta su di lei:

Non salii mai su uno scafo di una nave, ma so cosa vi accade, avendo- lo sentito dire o avendolo visto sui quadri. Se la tempesta è moderata, i marinai possono sopportare ogni affanno per tentare di salvarsi: uno sta al timone, uno alle vele, un altro a togliere acqua dalla sentina del- la nave. Ma se il mare è troppo agitato e la violenza della tempesta li

12 Ivi, vv. 159-160. 13 Ivi, vv. 1331-1332.

14 Ivi, vv. 137; vd. supra citazione. 15 Ivi, vv. 107; vd. supra citazione.

16 Cfr. ad esempio AES. Per. 433; EUR. Suppl. 824; Hip. 767. 17 EUR. Troiane, vv. 102-103; vd. supra citazione.

schiaccia, piegandosi alla loro sorte, si abbandonano al veloce e tu- multuoso rincorrersi delle onde. Così anche io, avendo subito tutte queste sciagure, resto muta, senza parole; la sventurata tempesta degli dei mi sovrasta di gran lunga.18

All’inizio della tragedia, Ecuba e le donne del coro attendono l’araldo, Taltibio che ha il compito di indicare a chi è stata as- segnata ciascuna di loro; si tratta dell’araldo che altre volte si era recato da Ecuba, rivolgendosi a lei come regina. Ora, inve- ce, si rivolge a lei come schiava. Ecuba apprende il suo destino di schiava di un uomo, a suo dire «abietto e perfido», Odisseo; chiede delle figlie ed apprende le loro tristi sorti: Cassandra di- venterà concubina di Agamennone; Polissena è destinata ad Achille, ad un morto, ma Taltibio non ha il coraggio di dire chiaramente che sarà uccisa sulla tomba dell’eroe acheo. Alle parole di Taltibio, Ecuba si accascia di nuovo a terra, quasi sve- nuta; poi, viene sollevata dal suolo dalle altre donne e ricomin- cia un nuovo, dolorosissimo lamento che si apre con l’atroce costatazione dell’insormontabile divario tra la sua sorte del momento e quella precedente. Questo motivo riecheggia nelle parole delle Siriane: «You are living a painful present, while your soul yearns for a happy past».

Prima di tutto mi sta a cuore celebrare i beni passati così, infatti, rice- verò maggiore compassione per queste disgrazie presenti. Ero regina e mi sono sposata con un re; da lui ho partorito figli valorosi, non sol- tanto numerosi, ma anche i migliori fra i Frigi che nessuna altra don- na, né barbara né greca, né troiana, potrebbe vantarsi di aver partorito. Ma proprio loro io vidi morire sotto le armi dei Greci e mi tagliai i ca- pelli sulle loro tombe e piansi il padre Priamo, non avendone appreso la morte da altri, ma avendo visto, io stessa, con questi stessi occhi, lui sgozzato sull’altare del palazzo e la città di Troia conquistata. Io edu- cai le mie figlie per sposi che avessero altissima dignità; invece le al- levai per altro tipo di uomini che ora me le hanno strappate dalle brac- cia! Non c’è per loro nessuna speranza che mi rivedano, né che io stessa riveda loro! Io, vecchia, andrò, schiava, in Grecia! … Consunta, vestita da stracci: che umiliazione dopo tutta una vita nel lusso! …

Nessuno di quanti sono in vita considerati felici può essere definito ta- le prima della sua morte!19

Questo discorso si chiude con il celebre motivo dell’instabilità della sorte umana e della fallibilità della nostra comprensione che, secondo alcuni20, è uno dei messaggi più forti dell’intero

testo e che ritorna anche in seguito nelle parole di Ecuba con un’evidenza ancora più sconvolgente: «Tra gli uomini mortali è un folle colui che goisce credendo che la buona sorte sia un qualcosa di costante. La sorte rimbalza continuamente da una parte e dall’altra, come un uomo impulsivo ed incostante; nes- suno, mai, riesce a mantenere stabilmente la propria fortuna»21.

In seguito, Ecuba si rialza da terra solo per parlare con la nuora, Andromaca, da cui apprende in dettaglio il destino della figlia Polissena, uccisa sulla tomba di Achille. Dopo la straziante no- tizia, Andromaca canta a squarciagola le sue sofferenze atroci, lei che, essendo stata destinata a Neottolemo, non sopporta l’idea di diventare schiava e concubina nella casa degli assassini di suo marito: il destino più atroce per una prigioniera di guerra: dover condividere il letto con chi ha ucciso il suo sposo!

Non siamo più niente … Troia e la nostra felicità … tutto è perduto per sempre … Dolori senza fine, senza misura; le disgrazie fanno a gara per cadermi addosso … Essere morti è come non essere mai nati e la morte è meglio di una vita di dolore: chi non sente il male, non soffre … Dimenticare il proprio marito per infilarsi in un nuovo letto, amare un altro? Che orrore! Nemmeno una cavalla si sottomette fa- cilmente al giogo quando è separata dalla sua compagna. E si tratta di un animale, di un essere inferiore, che non parla e non usa la ragione … La speranza è l’ultima cosa che resta agli uomini, ma io non ho più nemmeno quella, non posso illudermi di essere felice in futuro!22

Mentre ella invoca Ettore dal regno dei morti, nel testo si apre proprio un istantaneo barlume di speranza, che, giustamente, era

20 Cfr. D.KOVACS, Gods and Men in Euripides’ Trojan Trilogy, in «Colby Quarterly»

33 1997, pp. 162-176.

21 EUR. Tr. vv. 1203-1206. 22 Ivi, vv. 578 - 680.

stato appena negato da Andromaca. Ecuba, infatti, fa notare alla nuora che la morte e la vita non sono la stessa cosa: «l’una è il nulla, nell’altra c’è la speranza»23. La speranza di cui parla

Ecuba è tutta riposta in Astianatte, il piccolo figlio di Ettore ed Andromaca, presente sulla scena in braccio alla madre. La suo- cera consiglia, pertanto, alla nuora di rispettare il nuovo padro- ne in modo da crescere nel migliore dei modi il nipote; in lui soltanto è infatti riposta la speranza che la stessa Ilio possa, un giorno, risorgere24!

L’ultima istantanea speranza viene però subito stroncata da un ulteriore annuncio di Taltibio: i Greci hanno deciso di gettare il piccolo giù dalle mura di Troia. L’uccisione di Astianatte rap- presenta l’estrema disgrazia: «Cosa manca ancora per arrivare all’estremo punto di tutta questa atrocità?25», domanda in modo

straziante Ecuba.

Dopo un colloquio tra Menealo ed Elena in cui Ecuba funge da arbitro, il dramma si chiude con la restituzione alla nonna Ecu- ba del corpicino di Astianatte, adagiato sullo scudo del padre Ettore. Taltibio riferisce ad Ecuba che Neottolemo ha avuto fretta di partire e, pertanto, Andromaca, avendo già lasciato la città, non potrà neppure avere la consolazione di seppellire il fi- glio; Neottolemo le ha concesso, però, di esprimere i suoi desi- deri in merito alla sepoltura. Ella desidera che sia Ecuba a dare sepoltura al corpicino, precisamente non in una tomba qualsiasi, ma nello scudo del padre che, dunque, non sarà portato via con il restante bottino di guerra26.

Ecuba, dopo aver ascoltato le indicazioni di Taltibio, lasciata sola da quest’ultimo con le altre donne, pronuncia a questo pun- to l’ultimo straziante lamento in cui l’orrore della morte e la profondità del dolore sono accentuati dalla messa in luce di due ‘forti contrasti’: da un lato l’inversione dell’ordine naturale per cui alla nonna, anziana, spetta seppellire il corpo del nipote e non il contrario (come vorrebbe la legge naturale) e, dall’altro,

23 Ivi, v. 633. 24 Cfr. Ivi, vv. 700-705. 25 EUR.Tr. vv. 796-799. 26 Cfr. EUR. Tr. 1136-1142.

«il contrasto tra lo scempio macabro già in atto sul corpicino