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CACCIA E PESCA di pesci e costituiscono un ramo importantissimo di

Nel documento ARTI . E INDUSTRIE (pagine 47-50)

in-dustria e di commercio.

Abbiamo seicentonove specie di pesci eli mare e set-tantotto àipesci d'acqua dolce; centottantacinque di crostacei; oltre a mille di molluschi marini e d'acqua dolce, senza contare le mignatte. tanto abbondanti nel-l'isola di Sardegna, ed infine 'ricci eli mare, spugne e cO?· alli.

Le bm·che impiegate alle diverse pesche hanno di-verse forme ed assumono di versi nomi. Si chiamano pm·anze o paranzelle a Genova, Livorno, Napoli, ed hanno la portata che varia dalle cinque alle dieci ton-nellate; bragozzi a Chioggia con portata di quattro ed otto. Le barche minori, di una, due e tre, cambiano forma e nome secondo i luoghi e le pesche a cui sono destinate. par-ticolarmente adatti ai luoghi ed alle specie di animali..

La pesca generale ci fornisce il pesce di consumo gior-naliero, col tonno, colle saTclelle e simili si fanno con-serve e preparazioni diverse. .

Sulle coste di Calabria e di Sicilia, dal mese di aprile alla metà di settembre si pesca il pesce spada colle lancie quando si trova grosso, con reti se è piccolo.

Il tonno, che talvolta accidentalmente è preso in reti ordinarie insieme col ?·ovetto, col2JCtlamito ed altre specie affini, è oggetto di pesca particolare alle isole d'Elba, di Sardegna e di Sicilia, ed in quest'ultima si trovano ventidue tonnare che dànno oltre a quindicimila tonni all'anno, e sono piil produttive di quelle della Toscana e della Sardegna, che rendono insieme venticinquemila in-dividui della stessa specie, di volume minori, e quindi meno apprezzati.

Lungo le coste della Liguria, delle isole toscane, della Sardegna, ùella Sicilia si prendono molte acciughe con reti a strascico o verticali e con notevole provento.

Una pesca di cui tacemmo è quella della così detta nonnata o dei bianchetti, che non sono già il novellame della sardella, ma piuttosto una specie detta Gobius mi-nutissimus, piccolissima per quanto adulta, diversa af-fatto dalle sardelle e dalle acciughe e conosciuta par ti-colarmente a Genova.

Nelle lagune del nostro continente, presso le isole, e principalmente in Sardegna si pescano le anguille erl i m~tggini, e, supplemento a questi, un numero consi-derevole di altre specie, come omb?·ine, ragni, dentici, aurate, triglie, sogliole, rombi. le anguille. Inoltre esse si prestano per la stessa dispo-sizione loro a formare bacini chiusi, campi, valli, ed pescatori, servono non solo alla pesca, ma anche all'alle-vamento dei pesci o di altri animali acquatici, poichè si approfittò delle circostanze locali, delle abitudini migra-torie di certe razze, si studiarono gli usi ed i bisogni di

queste, e si riuscì a costituire un nuovo ramo di scienza, di provenienza diretta dalla pesca, vale a dire la PISCI-COLTURA (vedi).

I laghi minori d'Italia e le paludi alimentano an-guille, lucci, reine, ciprinidi, barbi, rane; e tutte que-ste sorta di animali sì trovano pure nei laghi maggiori insieme col pesce persico, l'agone, la trota. Cogli agoni principalmente si fanno diverse preparazioni, ed i più giovani e piccoli, marinati con sale ed olio, sono molto spettacolo attraente per la folla festosa che circola tra i banchi carichi dì canestre piene di tanti gustosi pro-dotti del mare.

Le ostriche di Taranto hanno una ben meritata fama, e nel lago eli Fusaro principalmente ed a Vene-zia sono oggetto di allevamento speciale.

Gli astaci di mare, le locuste, i gamberi, i granchi sono pure di non poca importanza, per modo da esser-sene tentata anche la riproduzione.

Sulle spiaggie meridionali si fa qualche raccolta di spugne; ma di zoofiti la più importante è la pesca del corallo lungo le coste dell'Italia meridionale e della Sardegna, e su quelle di Tunisi e Algeria, praticata da Napoletani, Livornesi e Genovesi i quali guadagnano assai malgrado le tasse cui vanno soggetti dal governo francese.

Il 4 marzo 1877 fu promulgata una nuova legge sulla pesca, che avrà vigore il l o luglio . 1880, perchè il Consiglio di Stato diede il suo parere favorevole intorno ai regolamenti locali, e· manca solo dell'appro-vazione sovrana. Così, ·saranno stabiliti i limiti e le norme delle pesche di mare e di quelle fluviali o di acqua dolce; le discipline e le proibizioni necessarie per conservare le varie specie di animali acquatici : norme riguardo agli strumenti ed al commercio ùei prodotti, ed infine prescrizioni eli polizia necessarie onde tutelare la sicurezza delle persone e delle pro-prietà nell'esercizio eli esse.

Abbiamo piil eli quattordicimila battelli addetti alla pesca del pesce e del corallo con oltre quarantamila

corri-sponde appieno all'importanza del soggetto stesso, ma quando si consideri che qui si volle studiare tanto la caccia quanto la pesca solo per rispetto ai vantaggi che ne ricavano l'industria ed il commercio, crediamo aver adempiuto al nostro compito, perchè, lasciando da parte molte descrizioni, trascurando particolari di poca importanza, cercammo sempre di fissare maggior-mente l'attenzione del lettore sui mezzi, sui risultati e sugli utili di queste due arti, che in Italia sarebbero sorgente immensa di ricchezza, se una giusta osser·

vanza delle leggi, meno larghe concessioni ed un risve-glio maggiore di intraprendimento industriale contri buissero al loro completo sviluppo.

CACCIA E PESCA - CALAMAJO 47 1569).-Alberti Magni, De falconibus, asturibus et accipi-tribus (Augustre Vind. 1596). - Friderici II, De arte courants (Rouen 1763). - Baldini Filippo, Dell' eser-cizio della caccia (Napoli 1778). - Ab1·égé portati(

de la chasse clu cerf (Turin 1782). - Goury, Traité géné1·al cles chasses à courre et à tir (Paris 1822).-Gérard, Chasse au lion (Paris 1855).- Jullien Erneste, La chasse, son histoire et sa législation. - Conrard, Manuel de l' oiseleur (Paris 1867). - Grippa Bonaven-tura, Trattato della caccia (Torino 1871 ). - Renault Arturo, La caccia ed i cacciatori (Firenze 1876). -Revue Britannique (1877). - Bojard, De-Mersan, Ro-bert et Vasserot, Manuel du chasseur (Paris 1879).

Per le leggi e regolamenti della caccia in Italia, veg-gansi: Disposizioni per l'esercizio della caccia e del·

l'uccellagione edite dalla tipografia del Senato a Roma nel1879.

Per la pesca. - Duhamel, Traité des peches (Paris 1769). - Noèl de la Morinière, Histoi1·e générale cles péches (Paris 1815). - D'Harcourt, La péche cotière (Paris 1846); Le saumon et les pecheries cle l' lrlande (Revue Britannique 1853). - Bouillet, Dictionnai1·e unive1·sel cles sciences, cles lettres et cles arts (Paris 1854). - Goubeau de la Bilainerie, Tr·aité de l'écluca-tion cles huitres. -· Baudrillart, Dictionnaire cles peches.

-Coste, La pisciculture (Paris 1856).- Jourdier, Pi-sciculture (Paris 1856).-Enciclopedia Popolare Ita-liana (articolo Pesca, Torino 1863). - vValton, Le parfait pécheur à la ligne. Commercial Review. -Pesson, Maissonneuve et Moriceau, Le pécheur , ou traité général de toutes les péches cl' eau clouce et de mer (Paris 1864). - Lambert, Péchew· praticien (Pa-ris 1870).

Per le leggi e regolamenti relativi alla pesca in Italia che si stanno pubblicando, veggansi gli Atti pa' rlamen-tm·i della Carne1·a dei deputati, sessione clel1878-7Y;

le leggi del 4 marzo 1877 e le 'mocli(ica~ioni del 13 marzo 1879 e del 31 dicembre 1879.

Ing. V. BELTRANDI.

CALAMAJO. - Frane. Écritoi1·e, Encrier. Ingl. Ink-stand. T ed. Schreib~eug. Spago. Tintero.

L' atramenta?·iwn, la theca cala maria, il calamarius dei Latini, dal qual ultimo vocabolo trasse origine il no-stro italiano calamajo; il p.E),,.~~~x;r. o p.e),(/.'lc~oxiw'l o fiÙrJ.-'Ioç-~ux.Eìc.~ dei Greci, che, tradotto letteralmente, suone-rebbe recipiente clel liquor ne1·o, servono tutti ad indicare quel vaso che contiene l'inchiostro, detto atra-menturn in latino, o liquido nero, usato da tempi remo-tissimi per iscrivere, come ricaviamo dalle opere di Plinio, Persia, Cice1·one ed Ausonio.

Il calamajo ha ufficio importantissimo nella stol'ia di tutti i popoli, poichè è parte integrante della scrittura,

quest'arte sublime che, ritraendo la parola, mette in co-municazione il mondo della forma col mondo delle idee, rende eterno il dominio della verità, della scienza, della storia; ed assicura dalla barbarie il mondo incivilito.

Ben a ragione gli antichi attribuivano l'invenzione della scrittura agli Dei, ad Ermete, a Thoth, ad Osiri;

gli Indiani la chiamavano scrittura divina; i Greci stessi, il popolo strano che a sè attribuiva sempre l'in-venzione d'ogni cosa, vollero cedere il vanto della sco-perta di essa al fenicio Cadmo.

Senza però ricorrere alle colonne scolpite da Adamo, è certo che una necessità dei primi uomini fu il trovar modo di tramandare ai posteri i loro fatti mediante segni o scritture.

Giobbe desiderava già che le sue parole fossero scritte nel bronzo e nella selce, e metalli e pietre furono le prime penne e le prime carte.

Nella Bibbia si parla di libri scritti dai Patriarchi;

Tucidicle ci fa sapere che i Greci scrivevano i loro trattati di pace o di alleanza su tavole; Platone ci dice di lppia, che fece disporre colonnette di pietra con precetti di morale; Polibio e Dionigi eli Alicarnasso parlano di tavole storiche conservate in Campidoglio. Tutto ciò ci conferma l'imperioso bisogno di scrivere,. bisogno che ai primi tempi fu di molto frenato pel lungo e faticoso processo della scrittura mediante incisione su metalli o su pietre. ·

Ma quando si cominciò a scrivere con inchiostro sui papiri, ecco aprirsi un nuovo orizzonte ai nostri

proge-nitori. La carta fatta col midollo filamentoso dei gambi di papiro, pianta erbacea che cresce nell'Egitto, divenne di uso comunissimo e fu fabbricata in diversi modi, di diverse qualità, per cui ebbe i diversi nomi di Gera-tica, Augusta, Livia, Anfiteatrica, Fannia, Saitica, Leonotica. ·

Scarseggiando il papiro, si usarono pelli di animali, il che dapprima si praticò in Pe1·gamo nella Mesia, sotto Eumene, d'onde la pe1·gamena (vedi). Inoltre si scrisse sulla tela, probabilmente coperta da uno strato di gesso, come lo sono i codici detti libTi lintei. Dal quinto al dodi-cesimo secolo si scrisse su carta pecora e su carta di cotone porosa con inchiostro fatto da carbone di teda teiturato in un mortajo e misto con gomma; poscia, venendo fino al sedicesimo, troviamo già manoscritti su ca1·ta fatta da vecchia lingeria, poco porosa, e con in-chiostro (V. INCHIOSTRO) composto di noce di galla e solfato di ferro; infine si scrisse sulla carta come si fab-brica oggidì (V. CARTA, CARTIERA).

Prova evidente dell'uso del calamajo fin dai primi tempi, l'abbiamo nelpiù antico m,anosc1·itto del mondo, che è un papiro je1·atico del tempo di Ceope, recatoci dall'Egitto dal viaggiatore francese P risse. Poi troviamo i papiri egiziani, storici, contenenti lettere, contratti, documenti giudiziarii, che risalgono alla tredicesima di-nastia, cioè diciotto secoli prima di Cristo; e quelli trovati ad Ercolano sotto le scorie del Vesuvio, che ci riempiono di maraviglia per essersi conservati mille-ottocento anni in modo da paterne ancora interpretare lo scritto, e perchè, rivelandoci la sapienza degli ante-nati, contribuiscono allo sviluppo ed all'accrescimento rlell'istruzione e della civiltà nostra.

Il calamajo era conosciuto universalmente. Non solo gli Egizii lo usarono per mettervi il liquido nero o rosso con cui scrivevano sui papiri, ma anche gli Arabi se ne servirono molto tempo prima di Maometto, ed i primi saggi di antichissimi loro manoscl'itti li portò in Europa il viaggiatore Seetzen. Così pure gl'Indiani, ed una prova l'abbiamo nei libTi liturgici buddisti.

4S CALAMAJO I Cinesi poi lo adoperarono antichissimamente; tanto è vero che dicono la scrittura loro essere inventata da Fo-hi, ossiaprima della sto?·ia. ·

Benchè dunque l'origine del calamajo non possa giam-mai essere fissata ad epoca certa, tuttavia abbiamo tutti i motivi, da quanto precedentemente esponemmo, per farla comune colla scrittura, e quindi risalire ad epoca remotissima.

Calamai antichi. - I calamai antichi erano di forma rotonda, ottagonale, esagonale; fatti di bronzo o d'ar-gento, e talvolta anche con ornati. Per lo piil si trova-vano accoppiati, e, stando al parere di Svetonio, di Mar-ziale, di Plinio e di Cicerone, pare che uno di essi servisse di astuccio per riporvi il calamo o penna da scrivere. Avevano sempre il coperchio per proteggere il liquido dalla polvere o dall'evaporazione.

Ma, secondo altri scrittori, degni pure di tutta)a fede nostra, i calamai cosi accoppiati si adoperavano per contenere le due sorta d'inchiostro allora in uso, cioè il nero ed il rosso ottenuto col minio; giacchè si usava quest'ultimo per iscrivere i titoli od il principio dei lìbri e l'intestazione delle leggi, d'onde appunto i lib?·i legqli detti libri rubricati. Noi siamo del parere di questi,

Fig. 71. Fig. 72.

(Un quinto del vero). (Un quarto del vero).

perchè il calamo, che veniva adoperato come la nostra penna, era piil lungo dell'astuccio, quindi non vi poteva essere riposto.

Gli scavi fatti ad Ercolano ed a Pompei ci rivelarono il doppio modo di scrivere degli antichi, tanto sui papiri mediante il calamajo ed il calamo, che sulle pugillari per mezzo dello stilo.

Nei dipinti a fresco sulle pareti messe allo scoperto a Pompei vediamo ben riprodotti due vasetti col cabmo dappresso, come li presentiamo al lettore nella fig. 71.

Questi piccoli vasi cilindrici uniti insieme, dipinti color del rame, stante la loro altezza inferiore a quella del calamo figurato accanto, servivano, uno per contenere la tinta nera, l'atramentum, l'altro la tinta rossa detta miltum, cinnabaris, minium, sinopis. Avevano i coper-chi mobili, a cerniera, fatti a cono e tìnienti in un pic-colo bottone. Portavano, come si scorge dalla figura, un piccolo anello ad uno dei lati, ed 01·azio dice che questo serviva a tenerli sospesi al fianco.

Nella figura 72 rappresentiamo un altro calamajo antico, in bronzo, tolto dagli affreschi di Pompei, in cui i due vasetti cilindrici sono piil bassi dei precedenti, ed il coperchio è pure a cerniera, ma è un semplice disco.

La figura 73 ce ne mostra uno vetusto, in metallo;

esso è un vaso solo a base esagonale, e porta l'anelletto per passarvi il laccio od un dito, volendolo tenere colla mano.

Sulla sua bocca giace il calamo.

Abbiamo piil volte accennato alla canna da scrivere che usa vasi dagli antichi; crediamo quindi non inutile, parlando dei calamai, dire due parole su questo stru-mento tanto necessario alla scrittura, rimandando poi il lettore all'articolo Penne metalliche (vedi) onde cono-scere i giganteschi passi fatti nella fabbricazione dei nostri calami moderni.

Lasciando da parte lo stilus, semplice strumento in metallo, che talora invece di servir solo a tracciar let-tere sulle tavolette coperte di cera, secondo che usavasi nell'altro modo antico di scrivere, fu anche terribile strumento di morte, come nell'assassinio di Cesare, di-remo che il calamo, x.d),o.fl.c~ (calamus sc?·ipto'rius di Celso e calamus cha?·tarius di Apulejo ), con cui scrive-vasi sui papiri intingendolo nell'inchiostro del calamajo, e che è rappresentato nelle tre figure poc'anzi descritte accanto ai vasi, era una cannuccia di giunco marino, per lo piil proveniente dall'Egitto o da Cnido, che aguzza-vasi col temperino o colla pomice ed aveva una fessura pari a quella delle nostre penne, d'onde il nome datogli da Ausonio di jissipes, a piede fesso.

Questa sorta ùi canna da scrivere fu adoperata sempre fintanto che si introdusse l'uso delle penne di cigno, d'oca o di pavone, del che non abbiamo memoria prima

Fig. 73.

(Un quarto del vero).

del secolo quinto; ed a proposito argutamente osservò il Bekmann, che se agli antichi fosse stato noto il modo di servirsi delle penne d'oca per iscrivere, avrebbero consacrato a J.11inerva, dea del sapere, l'oca invece della civetta.

E basti pel calamo.

Ritornando ai calamai antichi, diremo che pari ai pre-cedenti, Re ne trovarono a Pompei presso cadaveri, e molti anche con inchiostro rappreso in modo da for-marvi una nera crosta interna.

Un calamajo egi:;iano a vasi accoppiati, che ci rivela appunto come la forma cilindrica fosse adottata da molti popoli, è quello che riportiamo nella fig. 74, chiuso, e nelJa fig. 75, aperto.

E un monumento storico, perché è antichissimo, for-mato da due canne in bronzo, vuote 11no alla culatta C, sagomata, che li unisce in basso, disposte parallelamente e portano alla bocca due tappi T, T, uno per canna, dello stesso metallo, attaccati a due catenelle, le quali sono fisse alle mani di una statuetta rappresentante una donna in piedi, che è mobile a cerniera.

Le canne, nella loro lunghezza, hanno due anelli a a, capaci di ricevere un piccolo corpo cilindrico, e pare certo che servissero a tenere un cordone onde facilitare il trasporto di questo piccolo mol)ile.

Non abbiamo creduto far cosa discara al lettore de-scrivendo questo calamajo, percbè è il tipo più antico che fosse in:uso nell'Egitto.

CALAMAJO 49

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