• Non ci sono risultati.

Una guerra di religione? La Chiesa cattolica e la “crisi buddista”, fra separatismo e anticomunismo (1963)

I.10. La caduta degli Ngo: dittatori e persecutori o martiri cattolici?

in tema di Vietnam, determinate dall’emergere di un dissenso politico fra i cattolici d’oltreatlantico verso il proprio governo, e al quale qualche osservatore cattolico in Europa poneva già (preoccupata) attenzione.

I.10. La caduta degli Ngo: dittatori e persecutori o martiri cattolici?

Ottobre 1963. A Roma, Paolo VI discuteva con ogni probabilità della situazione vietnamita con mons. Asta nel corso dell’udienza privata a lui concessa a fine ottobre514. Il delegato apostolico si trovava allora in Italia per motivi di salute; a Saigon, a fare le sue veci, vi era mons. Francesco de Nittis, incaricato d’Affari515.

A quest’ultimo si rivolse Lodge per richiedere supporto ai suoi rinnovati tentativi di convincere Diem e Nhu a fuggire all’estero per scampare ad un colpo di Stato militare, ormai imminente, e nel quale erano in qualche modo coinvolti anche gli USA516. Interprete della personale posizione di Kennedy, Lodge sperava così di «evitare ulteriore effusione di sangue»517. I fratelli Ngo rifiutarono e, nel tentativo disperato di salvare la propria vita e

514 Cfr. «OR», 28-29 ottobre 1963, p. 2.

515 Cfr. GDO, Dv, 10 ottobre 1963, p. 228. De Nittis (1933-2014) prestò servizio a Saigon dal 1962 al 1964.

516 Se il livello di implicazione degli Stati Uniti nel golpe del 1° novembre 1963 anima ancora oggi il dibattito storiografico, sul fatto che esso fosse una realtà pare non si nutrano più dubbi. Cfr. M.BRINSON DEMERY, Finding the Dragon Lady, cit., p. 210.

il proprio regime, misero a punto un finto golpe con l’aiuto dei segmenti delle forze armate a loro ancora fedeli; sostegno che però, all’ora fatidica, si rivelò essere un bluff518. Così, il 1° novembre 1963, il colpo di Stato dei generali sudvietnamiti ebbe effettivamente luogo. Il giorno dopo, di Diem e di Nhu restavano solo i martoriati cadaveri.

La notizia dell’assassinio dei due fratelli Ngo non venne ben accolta da Kennedy519 e tanto meno, come comprensibile, da Thuc, allora di passaggio a Nizza, sulla via di ritorno in Vaticano. Thuc affidò il proprio commento a una dichiarazione scritta «di sapore polemico, da lui [...] spontaneamente trasmessa ai giornalisti su un foglietto, attraverso lo sbarramento della polizia»520, riportata da «L’Avvenire d’Italia»521 ma ignorata da «OR» e da molta della stampa cattolica europea. Ad una sua lettura, se ne coglie facilmente il motivo. Nella sua dichiarazione Diem e Nhu assumevano i connotati di martiri cristiani ed eroi della patria. L’arcivescovo esaltava l’inscindibile amalgama di nazionalismo e fede che ne aveva guidato l’azione politica522, asserendo che essi erano «morti gloriosamente combattendo contro tutte le dominazioni straniere» per ottenere «l’unità e l’indipendenza integrale del Viet Nam»523. E come dei veri martiri, nella tragica ora certo i due avevano perdonato i «loro nemici perché questi non sapevano ciò che facevano»524. La comunicazione di Thuc si chiudeva con un pacato «appello alla “fraternità” tra tutti i vietnamiti»525.

Dopo il sanguinoso golpe di Saigon, l’autorità vaticana perseverò nella sua opera di sollecitazione della concordia civile in Vietnam e soprattutto nel suo sforzo di riparare il grave danno d’immagine internazionale recato alla Chiesa dalla “crisi buddista” e dal regime di Diem. Verosimilmente, attraverso il suo allontanamento dagli Ngo, la Chiesa di Roma cercava non solo di non essere travolta dalla loro caduta e di proteggere la comunità cattolica sudvietnamita da eventuali rappresaglie, ma anche, a livello più generale, di dimostrare la propria estraneità a qualsiasi governo “cattolico” liberticida. Quello appena rovesciato nella RV non era infatti il solo

518 Cfr. M.BRINSON DEMERY, Finding the Dragon Lady, cit., pp. 201-204. 519 Cfr. ivi, p. 210.

520 Attacco di mons. Thuc al «dominio straniero», in «l’Unità», 5 novembre 1963, p. 11. 521 Dichiarazioni di mons. Ngo Dinh Thuc, in «AI», 5 novembre 1963, p. 2.

522 Sulle radici storiche del nazionalismo dei cattolici vietnamiti si veda in particolare C. KEITH, Catholic Vietnam, cit., pp. 177-207.

523 Attacco di mons. Thuc al «dominio straniero», in «l’Unità», 5 novembre 1963, p. 11. Si nota a margine che, nelle sue memorie, Xuan avrebbe tacciato la Chiesa cattolica di collaborazionismo con tali improprie ingerenze straniere. Cfr. LE XUAN, «Le Caillou

Blanc», in La République du Viêt-Nam, cit., pp. 126-127.

524 Attacco di mons. Thuc al «dominio straniero», in «l’Unità», 5 novembre 1963, p. 11. 525 Ibidem.

esistente, anzi nel corso dei mesi sulla stampa internazionale si erano andati moltiplicando i paragoni, in particolare, fra il regime di Diem e quello franchista, e giornali come «l’Unità» non mancavano di chiedere alla Chiesa delle nette prese di posizione nei loro riguardi 526.

In questo contesto, si capisce perché la tragedia familiare che aveva colpito l’arcivescovo di Hue non scalfisse la pubblica freddezza ostentata dal papato nei suoi riguardi. «L’Osservatore Romano» non ritenne, come anticipato, di pubblicare la dichiarazione nizzarda di Thuc. Diede spazio invece a un telegramma di Paolo VI a Binh del 3 novembre 1963, con il quale il pontefice comunicava la propria sofferente compassione per il popolo vietnamita, destinatario delle sue preghiere527. È eloquente il fatto che, nel proprio messaggio, il papa si limitasse ad alludere a «ces heures difficiles» e a «cette nouvelle et douloureuse épreuve», scegliendo di non spendere una parola chiara sul brutale assassinio dei due cattolici fratelli Ngo528. In una nota apparsa sul numero del 4-5 novembre 1963, il foglio vaticano informò concisamente che «espressioni di cordoglio per il lutto di famiglia, Sua Santità ha pure indirizzato all’Arcivescovo di Hué»529.

Nel medesimo numero, in un commento non firmato destinato alla quinta pagina, la strategia vaticana del “doppio binario” verso Diem emerge in tutta la sua intrinseca conflittualità interna. Fra l’altro, vi si sosteneva infatti che

l’opposizione ai suoi metodi di governo aveva assunto, agli occhi di superficiali osservatori e contro le stesse affermazioni del Governo Diem, una coloritura religiosa che a un certo momento tendeva a coinvolgere ingiustamente lo stesso cattolicesimo.

Manifestazioni pubbliche e private della Santa Sede e, personalmente, del Santo Padre Paolo VI e della Gerarchia vietnamita, valsero a sottolineare le dovute distinzioni, ormai universalmente riconosciute anche da parte buddista530.

526 Cfr. «Il Popolo» e Diem in «l’Unità», 6 novembre 1963, p. 3. Per uno sguardo complessivo sulla posizione della Chiesa sotto il regime franchista negli anni del concilio e del pontificato di Montini si veda A. BRASSLOFF, Religion and Politics in Spain. The

Spanish Church in Transition, 1962-96, foreword by P. Preston, London, Palgrave

McMillan, 1998, pp. 6-98.

527 Cfr. Il Santo Padre per gli avvenimenti nel Vietnam del Sud, in «OR», 2-3 novembre 1963, p. 3. Il messaggio fu ripreso anche da «L’Avvenire d’Italia», cfr. Messaggio del Papa

all’Arcivescovo di Saigon, in «AI», 3 novembre 1963, p. 1. La traduzione in francese del

messaggio è in «Dc», 5 janvier 1964, p. 91.

528 Il Santo Padre per gli avvenimenti nel Vietnam del Sud, in «OR», 2-3 novembre 1963, p. 3.

529 Per il ritorno della pace nel Vietnam, in «OR», 4-5 novembre 1963, p. 5.

530 Ibidem. L’ultima asserzione trova conferma in P.GHEDDO (P.), Cattolici e buddisti

La Chiesa effettivamente è apparsa agli occhi di tutti nella sua vera luce di indipendenza da ogni legame politico; madre e maestra di giustizia e carità, protettrice degli oppressi senza distinzione di credenza religiosa o di opinione politica.

Ciò detto, non possiamo non rilevare che purtroppo a Saigon altro sangue si è aggiunto a quello versato da tanti anni! [...]531.

Il problema di fondo che si continua a riscontrare nella strategia pubblica della Santa Sede risiede nella sua articolazione in due linee confliggenti. Da un lato difendeva l’immagine della Chiesa presentandola come non responsabile delle politiche repressive di un governante cattolico, data l’indipendenza dell’istituzione ecclesiastica dal potere politico e dai suoi rappresentanti, quale che fosse la loro appartenenza confessionale. Ma dall’altro lato tentava di salvaguardare anche la concezione del cattolicesimo quale religione di pace, giustizia e fratellanza universale, il che portava a non poter ammettere che dei cattolici ferventi come gli Ngo avessero le mani macchiate di sangue (il generico riferimento ai «metodi di governo» di Diem appare a tal riguardo minimizzante).

Il peso esercitato sul Vaticano dalle preoccupazioni per l’immagine della Chiesa in questo frangente avalla la tesi storiografica dei mass media come «espressione» delle «“attese del mondo”» nei confronti della Chiesa conciliare, e anzi la amplia dimostrando che i mezzi di comunicazione di massa si configurarono come «strumenti di pressione» non solo rispetto alla redazione dei documenti conciliari532, ma anche in campi esterni al Vaticano II, in virtù della consapevolezza vaticana della sovrapposizione, nella percezione pubblica della Chiesa, fra operato del pontefice e concilio. Ma soprattutto, l’approccio di papa Montini al regime diemista induce a riflettere su quello tenuto più in generale dalla Chiesa conciliare verso forme di governo autoritario, e in particolare alle posizioni da essa assunte in merito al rapporto tra fede, istituzione ecclesiastica e responsabilità politica nei casi di regimi di varia ispirazione cattolica. Si tratta di un campo d’indagine ancora largamente inesplorato per ciò che concerne il pontificato di Paolo VI533 e dal cui auspicato futuro sviluppo questa parziale indagine storica sul caso sudvietnamita trarrebbe certo profitto.

531 Per il ritorno della pace nel Vietnam, in «OR», 4-5 novembre 1963, p. 5. 532 Cfr. D.MENOZZI, La Chiesa cattolica, cit., p. 236.

533 Cenni più o meno estesi su singoli casi nazionali si trovano nelle varie biografie di Paolo VI e nelle monografie sulla sua diplomazia, ma mancano trattazioni sistematiche dell’argomento, quali invece si dispongono per la Chiesa fra gli anni Trenta e Quaranta del Novecento, come nel caso dei volumi: V. FERRONE (a cura di), La Chiesa cattolica e il

totalitarismo. Atti del convegno (Torino, 25-26 ottobre 2001), Firenze, Olschki, 2004; D.

MENOZZI, R.MORO (a cura di), Cattolicesimo e totalitarismo. Chiese e culture religiose tra

I successivi eventi sudvietnamiti non fanno che alimentare i quesiti storiografici su tale aspetto della storia della Chiesa contemporanea.

Grazie al diario di D’Orlandi si apprende infatti che il 5 novembre 1963 il nuovo esecutivo della RV, guidato dai golpisti con il supporto di alcuni civili, inviò una nota alla Santa Sede534. Il contenuto della comunicazione resta, allo stato delle fonti, ignoto, ma considerate le date è lecito supporre fosse di pura formalità. La risposta giunse il 14 novembre, quando De Nittis recapitò al ministero degli Esteri di Saigon «voti ardenti di pace, concordia e prosperità» del Vaticano535. Se fu un errore d’interpretazione da parte del destinatario leggervi «il desiderio della Santa Sede di stabilire rapporti diplomatici con il Sud Vietnam»536, è pur vero che la risposta della Santa Sede, in termini di prassi diplomatica, equivaleva a un riconoscimento della legittimità del nuovo governo, sebbene espresso in maniera privata e in forma indiretta. E accogliere come legittimi governanti coloro che avevano rovesciato in maniera violenta il precedente esecutivo e trucidato il presidente della Repubblica e suo fratello ha delle implicazioni di primaria importanza a livello storico. L’unico caso in cui la dottrina cattolica classica, a partire da Tommaso d’Aquino, ammetteva la violenza contro un governante era quello in cui questi fosse un tiranno, e l’omicidio si verificasse come “accidente” non intenzionale nel contesto di una rivolta popolare contro un potere “illegale”537. Ma un gruppo di militari cospiratori difficilmente poteva ergersi a rappresentante del popolo sudvietnamita, e il Vaticano aveva d’altronde dimostrato, quando Diem era in vita, di ritenerne legittimo il governo, per quanto giudicasse biasimevole la sua politica contro i buddisti. E soprattutto, se Paolo VI avesse considerato l’ex presidente della RV alla stregua di un tiranno crollerebbero le fondamenta della posizione pubblica assunta dalla Santa Sede sulla “crisi buddista” sino al golpe del 1° novembre. Considerata la sentita, personale adesione di Montini agli ideali democratici e, al contempo, il suo spiccato pragmatismo

534 Cfr. GDO, Dv, 14 novembre 1963, pp. 258-259. 535 Ibidem.

536 Ibidem.

537 Cfr. C.NARDI, Note sul tirannicidio nella patristica, in «Prometheus. Rivista di studi

classici», settembre 2015, pp. 77-88, URL:

http://www.fupress.net/index.php/prometheus/article/viewFile/16801/15682. Il diritto alla resistenza contro un ingiusto governo sarebbe stato riconosciuto, con molta prudenza e senza riferimenti al tirannicidio, dallo stesso Paolo VI nella Populorum progressio: «Est quidem res pernota, seditiones et motus – nisi agatur de tyrannide aperta ac diuturna, qua primaria iura personae humanae laedantur et bono communi alicuius civitatis grave iniungatur detrimentum – novas parere iniurias, novas ingerere inaequalitates, ad novas strages homines accendere» cfr. PAOLO VI, Lettera enciclica Populorum progressio, 26

politico, si crede che nel prudente interloquire del papa con il governo golpista della RV egli dovette essere mosso da mere valutazioni di Realpolitik mista a opportunismo religioso: il nuovo esecutivo godeva già del sostegno degli Stati Uniti e i suoi capi erano per di più buddisti, il che dovette far insorgere nel papato dei timori per l’incolumità della minoranza cattolica e per la sopravvivenza della Chiesa sudvietnamita, la cui associazione pubblica con il regime degli Ngo non era certo svanita. Si ricordi inoltre che, a nord della “cortina di bambù”, il cattolicesimo vietnamita era già ridotto a una “Chiesa del silenzio”.

Caduto Diem, la redazione de «L’Avvenire d’Italia» si sentì libera di chiarire il proprio giudizio sugli Ngo. Alla sobria copertura cronachistica delle vicende vietnamite e all’amplificazione dei messaggi pontifici sul Vietnam sino a quel momento proposte dal giornale si aggiunse infatti una sua netta e severa presa di posizione sul regime diemista. Non che venisse ad allentarsi la fedeltà di «AI» al discorso papale, che lo accomunava, in particolare, a «CC». Il quotidiano bolognese anzi si premurò di fornire una cassa di risonanza anche al citato editoriale de «L’Osservatore Romano» del 4-5 novembre precedente, presentato sotto il titolo Nessuna corresponsabilità della Chiesa col governo Diem538. Ma dopo il 1° novembre 1963 abbandonò, con ogni evidenza, le cautele sugli Ngo.

Questo fattore va verosimilmente ricollegato alla svolta editoriale impressa a «L’Avvenire d’Italia» dal giovane direttore La Valle539, alla profonda adesione del giornale alla dottrina sociale di Giovanni XXIII, alla sua attenzione crescente verso le problematiche della pace e della giustizia internazionali, alla sua sensibilità alle istanze di rinnovamento e riforma interne alla Chiesa provenienti dal laicato, ma anche dallo stesso

538 In «AI», 5 novembre 1963, p. 2.

539 La Valle (1931-), intellettuale e giornalista di punta della scena cattolica italiana, aveva già lavorato per «il Popolo» della DC. Per citare solo un aspetto della sua ricca biografia, a partire in specie dalla seconda metà degli anni Sessanta La Valle avrebbe focalizzato la propria attenzione sulle lotte del Terzo mondo postcoloniale e sottosviluppato, assumendo posizioni antimperialiste e aderendo anche a diverse azioni militanti in loro favore. Il peggiorare della guerra in Vietnam giocò un ruolo importante nella maturazione di questa sua sensibilità. Nella seconda metà degli anni Sessanta, egli assunse posizioni sempre più critiche nei confronti degli Stati Uniti; nel corso degli anni Settanta si sarebbe dedicato alle difficilissime condizioni di vita dei vietnamiti, prima e dopo la riunificazione del Paese nel 1976; nel 1980 si sarebbe recato in Vietnam e in Cambogia, raccogliendo poi le sue esperienze e osservazioni in R. LA VALLE, Dossier Vietnam Cambogia, prefazione di T.

Vinay, Torino, Claudiana, 1981. Nel 1979 fu fra i membri del Tribunale permanente dei popoli istituito da Lelio Basso, per la cui storia si rinvia a G.TOGNONI, La storia del

Tribunale Permanente dei Popoli, in Speranze e Inquietudini di ieri e di oggi. I trent’anni della Dichiarazione Universale del Diritto dei Popoli, a cura di L. Bimbi e G. Tognoni,

arcivescovo di Bologna Giacomo Lercaro, con la cui visione teologico- pastorale tanta era l’armonia del giornale da guadagnare ad esso la reputazione di organo ufficioso della Chiesa bolognese 540. Questi elementi concorrevano allora a un processo di emancipazione di «AI» dai conformismi e dalle rigidità in materia politica propri della stampa tradizionalista quale «La Civiltà Cattolica», in favore di una maggiore libertà di spirito critico541.

Fu così che, infine, ai primi del novembre 1963, sulle pagine de «L’Avvenire d’Italia» la firma M.B. definì il governo di Diem un «regime autoritario»542, La Valle parlò di «pressione autoritaria»543, Spaccarelli di un presidente dal «carattere totalitario»544, ed eloquentemente si scelse di dare visibilità alla sofferta testimonianza di una buddista che sosteneva di essere stata torturata dagli sgherri di Nhu545. Il fatto che una tale presa di posizione sulla natura del regime degli Ngo, equivalente a una sua condanna, avvenisse solo dopo la morte di Diem e Nhu indicherebbe una previa difficoltà per la redazione di «AI» nel conciliare il tradizionale supporto alla linea vaticana con delle personali esigenze di fermo rifiuto di ogni forma di governo liberticida546.

Certo definire Diem un dittatore non confutava la versione vaticana sulla natura politica della “crisi buddista”, alla quale il giornale bolognese

540 Cfr. E.VERSACE, I 40 anni di “Avvenire”, in «Avvenire», 9 maggio 2008.

541 Sull’“era La Valle” del giornale si veda anche D.SARESELLA, Dal Concilio alla

contestazione, cit., pp. 73.

542 M.B., Insurrezione militare nel Vietnam. Il presidente Diem si è arreso, in «AI», 2 novembre 1963, p. 1.

543 R.L[A].V[ALLE]., Una tragica vicenda, in «AI», 3 novembre 1963, p. 1. 544 M.SPACCARELLI, La VII Flotta verso Saigon, in «AI», 2 novembre 1963, p. 1. 545 M.B., Il racconto di una giovane torturata dalla polizia di Nhu, in «AI», 10 novembre 1963, p. 10.

546 Per ciò che concerne il suo atteggiamento storico verso le dittature, «AI» non condivideva il medesimo percorso di «Tc», foglio al quale per aperture teologico-pastorali risulta piuttosto affine, specie a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta. Il foglio di Montaron, sorto come foglio resistenziale, osteggiò tanto il nazismo quanto il regime collaborazionista di Vichy; il quotidiano bolognese esisteva invece già da oltre due decenni al momento dell’avvento del fascismo. Sotto Mussolini, il suo orientamento conservatore in ambito politico si tradusse in una linea votata al disimpegno, non scevro però di importanti note d’appoggio al regime (si veda il consenso di Manzini alle leggi razziste). Sotto il governo Badoglio, inoltre, «il quotidiano […] “non scrisse una sola parola di critica contro il fascismo”, pur aprendo le proprie colonne ad alcuni giornalisti antifascisti come La Pira». Dopo l’interruzione delle pubblicazioni nel 1944-1945, per evitare di collaborare con l’occupante tedesco, «AI» ricomparve alla Liberazione, senza ritenere di dover effettuare un cambio della direzione (vi restò dunque Manzini, in continuità con il periodo fascista). S. FANTINI, Notizie dalla Shoha. La stampa italiana nel 1945, prefazione di L. Segre, Bologna,

aveva nel corso dei mesi data eco, ma lascia indovinare una sotterranea insoddisfazione verso quel quasi “normalizzante” riferimento ai «metodi di governo» di Diem ai quali si era limitato «L’Osservatore Romano». Considerati gli stretti legami fra «AI» e l’arcivescovo di Bologna, è lecito domandarsi se quell’insoddisfazione non appartenesse anche a Lercaro; un’indagine mirata su carte archivistiche dell’ufficio bolognese di quest’ultimo potrebbe giungere a formulare delle ipotesi fondate in merito, che a loro volta potrebbero arricchire il dibattito storiografico sulla nota questione delle dimissioni di Lercaro a seguito della sua condanna dei bombardamenti americani in Vietnam nel dicembre del 1968547.

Ragionando sull’attualità sudvietnamita, nel suo editoriale del 3 novembre 1963 La Valle concludeva che la “crisi buddista” era servita soltanto a regolare, «tragicamente, [...] il problema della famiglia Diem, della sua sovrapposizione allo Stato», ma aveva lasciato «tutti gli altri problemi […] intatti nella loro gravità»548. Il principale errore di Diem sarebbe stato non capire che «i problemi politici debbono trovare una soluzione politica»; il direttore del quotidiano bolognese d’altronde dubitava che il governo sorto dal golpe potesse assicurare libertà e democrazia o che potesse garantire un’efficace difesa della RV contro il comunismo «dato che l’offesa si esercita nella guerriglia»549, ma la resistenza del Sud doveva essere, a suo avviso, «soprattutto psicologica e morale, se si vuole avere a lungo termine speranze di vero successo»550. Come Ticconi e come Montaron, La Valle ammetteva dunque la liceità dell’uso delle armi contro il comunismo, ma solo se accompagnata da un prevalente, diffuso sforzo di resistenza spirituale ad esso. E come loro, egli non metteva in discussione la giustezza del coinvolgimento degli Stati Uniti nelle vicende vietnamite, apprezzandone anzi la «politica di equilibrio in cui sono impegnati nel Sud-Est asiatico, come del resto in tutto il mondo, per conservare la pace», e ritenendo invece potenzialmente dannosa la