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La questione del separatismo nella Repubblica diemista e il dissenso di «Tc» verso la posizione vaticana.

Una guerra di religione? La Chiesa cattolica e la “crisi buddista”, fra separatismo e anticomunismo (1963)

I.5. La questione del separatismo nella Repubblica diemista e il dissenso di «Tc» verso la posizione vaticana.

L’attacco alle pagode trovò grande eco sulla stampa internazionale, compresa quella cattolica. Tuttavia, per ciò che concerne le testate esaminate, nell’immediato furono solo «Tc» e «L’Osservatore Romano» ad aggiornare con costanza sull’attualità sudvietnamita e a trattare con una certa profondità d’analisi le implicazioni politiche e religiose della crisi.

Il periodico vaticano assicurò inizialmente una copertura meramente cronachistica agli eventi260, mentre il settimanale francese già nel numero del 22 agosto invocò in prima pagina Tolérance au Viet-Nam!261. Il fatto che la fotografia d’accompagnamento a tal titolo ritraesse sullo sfondo un simbolo religioso, nella fattispecie una statua di Budda, e in primo piano un bonzo dallo sguardo calmo ma fiero, induce a leggere nell’esclamazione un appello indirizzato a chi evidentemente si riteneva violasse il principio della tolleranza religiosa, vale a dire il governo di Saigon (Fig. 1, p. 98).

258 Cfr. M.MUGNAINI, Paolo VI e il conflitto vietnamita, cit., p. 237; S. KARNOW, Storia

della guerra del Vietnam, cit., p. 155.

259 La Cambogia ad esempio ruppe le relazioni diplomatiche con la RV, accusandone il governo di «crime contre le peuple khmer du Cambodge et le bouddhisme en général». Les

chrétiens...,les bonzes..., in «Tc», 31 août 1963, p. 3. Sulle tensioni cambogiano-vietnamite

del periodo si rimanda alle dettagliate annotazioni in merito in GDO, Dv, passim.

260 Cfr. ad esempio, in «OR»: Lo stato d’assedio proclamato nel territorio del Vietnam

meridionale, 22 agosto 1963, p. 2; La settimana politica internazionale, 30 agosto 1963, p.

2; A Saigon vengono liberati parte dei dimostranti arrestati, 31 agosto 1963, p. 1; Sintomi di

miglioramento nel Vietnam meridionale, 1° settembre 1963, p. 2.

Fig. 1. «Témoignage chrétien», 22 août 1963, p. 1.

In quel numero venne pubblicato un editoriale di Montaron dall’eloquente titolo Assez, Mr. Diem!, nel quale il direttore si concentrava sulla questione della distinzione tra Chiesa e Stato nella RV come problema fondamentale nella “crisi buddista”, per approdare a conclusioni più generali concernenti anche l’Europa262. Pur non imputando ai cattolici sudvietnamiti la politica liberticida e repressiva decisa dal governo di Saigon, Montaron rimproverava all’episcopato sudvietnamita (in parte anche a Binh) di non essersi chiaramente dissociato da uno Stato colpevole di «persécutions» di tipo religioso263. Una simile condizione doveva risultare ai suoi occhi doppiamente grave, persino paradossale.

262 G.MONTARON, Assez, Mr. Diem!, in «Tc», 22 août 1963, p. 2.

263 Ibidem. Montaron era forse anche a conoscenza del precedente del 1955, anno in cui Diem aveva provveduto a liquidare con la forza le tre influentissime sette politico-religiose

La Chiesa vietnamita portava infatti sulle proprie spalle secoli di tribolazioni, simboleggiate da un centinaio di martiri264. La “crisi buddista” lanciava il sospetto di un inaccettabile ribaltamento dei ruoli, con i cattolici che da vittime si facevano carnefici o, per lo meno, si dimostravano conniventi con i carnefici265. In particolare, rivolgendosi ai propri lettori, Montaron scriveva che

nous devons rester vigilants dans les rapports qui s’organisent entre l’Église et l’État. Nous n’avons jamais cessé de lutter pour que l’Église, et plus particulièrement la Hiérarchie, garde son indépendance face au Pouvoir. En cette affaire comme en tant d’autres les gouvernements pèsent sur les chefs de l’Église. Ceux-ci ne trahissent jamais la Vérité; ils restent fidèles, mais ils croient parfois avoir une attitude prudente. En fait, il ne s’agit souvent que de ménagements et très vite ils ne sont plus au plan de la vertu, mais au stade de la tactique. Et rien n’est plus dangereux pour le peuple chrétien et pour les hommes de bonne volonté qui aiment que «le oui soit oui»266.

L’anello debole nella distinzione fra trono e altare andava individuato nella gerarchia, sebbene non per incertezza o corruzione nella fede dei suoi ministri. Secondo Montaron, evidentemente, era la peculiare posizione del clero, intermediario fra Chiesa e sfera temporale nelle diverse realtà nazionali, a renderne i membri particolarmente esposti alle pressioni dei governi. Una situazione che induceva talvolta la gerarchia, per eccesso di cautela, a elaborare soluzioni di compromesso che, almeno all’apparenza, potevano risultare poco chiare o persino equivoche.

Montaron non si limitava ad assumere sulla propria coscienza universale di cattolico le ambiguità della Chiesa di un lontano Paese dalle mentalità religiose e dalle strutture sociopolitiche molto differenti da quelle europee. Coglieva l’opportunità per esaminare la Chiesa del vecchio continente, che

operanti a Saigon (Binh Xuyen, Cao Dai, Hoa Hao), unitesi per contrastarne il potere; un leader di una delle sette venne anche assassinato. Cfr. P.M.KATTENBURG, The Vietnam

Trauma in American Foreign Policy, 1945-1975, New Brunswick (N.J.)-London,

Transaction Publishers, 1992 [1980], p. 55.

264 Centodiciassette tra ecclesiastici e laici, beatificati in diversi gruppi nel primo decennio del Novecento e nel 1951; unificati e canonizzati nel 1988 da Giovanni Paolo II, che con la Lettera apostolica Si quidem cunctis del 14 dicembre 1990 li nominò Patroni del Vietnam. Sul tema cfr. G. BEDOULLE, Dizionario di storia della Chiesa, Bologna, ESD,

1997 [Chambray, 1994] pp. 271-273.

265 Nella storiografia occidentale la più decisa contestazione della tesi di vere e proprie “persecuzioni religiose” da parte degli Ngo è rappresentata probabilmente dal recente lavoro, dai toni agiografici, di uno storico militare canadese: G.SHAW, The Lost Mandate of

Heaven. The American Betrayal of Ngo Dinh Diem, President of Vietnam, San Francisco,

Ignatius, 2015. L’infondatezza dell’accusa è sostenuta, con maggiore equilibrio, anche in P. GHEDDO (P.), Cattolici e buddisti nel Vietnam, cit., p. 193.

pure si voleva ormai secolarizzato e anzi in processo di parziale déchristianisation, stando alla sociologia religiosa, campo di studi sorto ai primi del Novecento e che conobbe una stagione di grande fioritura negli anni Sessanta267 . Il caso della RV rammentava al direttore del giornale francese la labilità, nella pratica, dei confini tra religioso e politico nell’applicazione del principio separatista alle diverse realtà storiche. Montaron richiamava il caso della coeva, clericale Spagna franchista268. Ma, ammetteva il giornalista, anche in Francia «nous avons, lors de la guerre d’Algérie, épreuvé quelques difficultés en cette matière. Nous ne serons jamais assez clairvoyants. Nous devons protéger l’Église dont nous sommes et garantir son indépendance»269. Secondo Montaron, l’emancipazione del potere spirituale da quello temporale non doveva mai, in alcun luogo, essere considerata alla stregua di un dato definitivamente acquisito, ma un bene della cui salvaguardia ogni cattolico era chiamato a sentirsi responsabile. Che la stessa Chiesa fosse un’entità storicamente determinata era d’altronde una concezione giunta allora a piena maturazione, in specie grazie all’apporto della nouvelle théologie franco- tedesca le cui principali elaborazioni ecclesiologiche, dopo le condanne dell’autorità romana fra la seconda metà degli anni Trenta e Cinquanta, di lì a breve sarebbero state accolte dal concilio270.

Nel suo discorso sulla situazione sudvietnamita, d’altronde, Montaron riprendeva l’ormai tradizionale posizione pontificia secondo la quale la

267 Cfr. G.CHOLVY, La religion en France de la fin du XVIIIe à nos jours, Paris, Hachette, 1991, p. 123.

268 Si rammenta inoltre che, con diverse sfumature rispetto al caso spagnolo, alla fine del decennio l’esplosione delle tensioni fra cattolici e protestanti nordirlandesi avrebbe riattualizzato il dibattito su potere politico e appartenenza confessionale in Europa. Cfr. L. CECI, I cattolici italiani e la questione nordirlandese. Dallo scoppio dei Troubles a Bobby

Sands: religione, nazionalismo ed esercizio della violenza, in «Italia contemporanea», 283,

aprile 2017, pp. 11-40.

269 G.MONTARON, Assez, Mr. Diem!, in «Tc», 22 août 1963, p. 2. Per le posizioni del giornale sulla guerra in Algeria cfr. supra, pp. 87-88. Per una panoramica più ampia delle reazioni e delle fratture prodottesi nel mondo cattolico francese in merito a quel conflitto v., fra gli altri, J.BOCQUET, Un dreyfusisme chrétien face à la guerre d’Algérie, in À la gauche

du Christ, cit., pp.227-255; É.FOUILLOUX, Les Chrétiens français entre guerre d’Algérie et

Mai 68, Paris, Paroles et Silence, 2008; D.MENOZZI, Chiesa, pace e guerra, cit., pp. 233-

250.

270 Nella vasta bibliografia sul tema ci si limita qui a indicare É.FOUILLOUX, Une Église

en quête de liberté. La pensée catholique française entre modernisme et Vatican II 1914- 1962, Paris, Desclée de Brouwer, 1998; G. ALBERIGO, Le concezioni della Chiesa e i

mutamenti istituzionali, in Chiesa e papato nel mondo contemporaneo, cit., pp. 96-104. Sul

mito storiografico del Vaticano II come “concil français” si veda in particolare l’equilibrata riflessione di D.PELLETIER, La crise catholique, cit., pp. 18-21; cfr. anche ID., Religion et

piena accettazione del principio separatista non contrastava con l’auspicio di un’ispirazione della politica alla dottrina sociale della Chiesa. Egli ad esempio sosteneva che se Diem avesse seguito gli insegnamenti della Mater et magistra nel governare, la qualità di vita della disastrata società sudvietnamita sarebbe migliorata, e ciò avrebbe posto le basi per una pacificazione civile e sottratto terreno fertile al proselitismo comunista. Se avesse fatto proprie le indicazioni dell’enciclica roncalliana, Diem

aurait pu instaurer un ordre social plus juste, mieux organiser les structures de sa patrie en fonction des besoins des citoyens et défendre en toutes occasions la dignité de la personne humaine. Mais le président Diem, par son incompétence, a laissé se développer un climat où l’injustice et le désordres sont rois. Son népotisme est une insulte au peuple vietnamien et le favoritisme dont il fait bénéficier les catholiques est une atteinte au droit, à l’indépendance et à la liberté de l’Église. Sa politique réactionnaire et son cléricalisme favorisent le communisme mieux que les propagandistes de Ho Chi Minh271.

L’approccio di «Tc» alla “crisi buddista” si dimostrò fin da subito diversificato, con articoli di cronaca, commenti, approfondimenti sul buddismo, interviste a cattolici e buddisti vietnamiti, in un chiaro sforzo di aggiornamento sugli eventi, ma anche di conoscenza dell’identità religiosa dei buddisti e delle loro ragioni nella crisi che infiammava la RV.

Si trattava di un serio tentativo di informare sulla realtà di un’altra religione e di dialogare con essa, un indirizzo che, con un deciso cambio di passo nella storia della Chiesa, il Vaticano II avrebbe incoraggiato nella Nostra ætate del 1965272. Ma il dialogo poneva il giornale francese dinanzi a sfide impegnative, come la gestione dell’incompatibilità dottrinale esistente su alcune questioni cruciali fra la dottrina cattolica e le altre religioni273. Nel caso della pratica buddista dell’autoimmolazione, ad esempio, la distanza teologico-culturale dal cattolicesimo è assoluta: quest’ultimo non ammette il suicidio274.

271G.MONTARON, Assez, Mr. Diem!, in «Tc», 22 août 1963, p. 2.

272 CONCILIO VATICANO II, Dichiarazione Nostra Aetate sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane, 28 ottobre 1965, in «AAS», 58, 1966, pp. 740-744 (sul buddismo v. in part. n. 2, pp. 740-741). Sul documento si rinvia a N.LAMDAN, A.MELLONI (eds.),

Nostra Aetate: Origins, Promulgation, Impact on Jewish-Catholic Relations, Münster, Lit

Verlag, 2007; P. STEFANI, Chiesa, ebraismo e altre religioni. Commento alla «Nostra

Aetate», Padova, Messaggero, 1998.

273 Un inquadramento storico dell’approccio della Chiesa di Roma al confronto interreligioso è in G.FILORAMO, La Chiesa e le sfide della modernità, Roma-Bari, Laterza,

2007, pp. 47-71.

274 Sulla storia generale delle relazioni e del dialogo fra Chiesa e buddhismo v. P.O. INGRAM, History of Buddhist-Christian Dialogue, in Teaching Buddhism. New Insights on

In un articolo anch’esso apparso sul numero di «Tc» del 22 agosto 1963, Bernard Feron scriveva dei sacrifici dei monaci sudvietnamiti non nascondendo il disagio causato dall’impossibilità per una coscienza cattolica di accettare simili gesti, e tuttavia usando toni compassionevoli e rispettosi verso le ragioni della loro protesta, indignato da chi, come Xuan, ne faceva oggetto di scherno:

C’est hélas devenu [il suicidio dei bonzi] un sujet en or pour chansonniers. Il est de bon ton maintenant de se moquer des bonzes du Viêt Nam qui se font brûler en public […]. Bien sûr, les moyens qu’ils emploient pour défendre leur cause ne peuvent en aucune manière être justifiés. Mais on ne traite pas par la dérision des gens qui se font tuer pour attirer l’attention sur le sorte de leur communauté. Il faut au moins essayer de leur comprendre. [...] la belle- sœur du président [...] a prononcé des paroles d’une frivolité incroyable à propos des bonzes qui se suicident275.

Dal punto di vista politico, Feron condannava con chiarezza la famiglia cattolica al potere nella RV e sosteneva la tesi della “crisi buddista” come guerra di religione. Ne attribuiva le responsabilità al regime degli Ngo, definito senza esitazione una «véritable dictature», della quale peraltro considerava vittime anche gli Stati Uniti276: alleatisi con Diem per «combattre le communisme», erano da lui stati trascinati nel «guêpier» della repressione contro i buddisti, finendo paradossalmente per favorire la propaganda del FNL277. Partendo da un’ottica evidentemente eurocentrica e difensiva delle acquisizioni della laicità dello Stato e dell’indipendenza della Chiesa, il giornalista imputava alla famiglia sudvietnamita di aver riproposto «en plein 20e siècle», «en notre vingtièmesiècle», un tipo di conflitto, la «guerre de religion», completamente anacronistico278.

In quell’agosto molti osservatori occidentali, cattolici e non, andavano formandosi o confermando un’opinione analoga a quella espressa dalla

York, Oxford University Press, 2017, pp. 271-295; M. ZAGO (P.), Buddhismo e

cristianesimo in dialogo. Situazione, rapporti, convergenze, Roma, Città Nuova, 1985.

275 B.FERON, Que font les Américains chez les bonzes?, in «Tc», 22 août 1963, p. 4. 276 Ibidem.

277 Ibidem.

278 Ibidem [il corsivo è mio]. In realtà la prima metà del ventesimo secolo aveva dimostrato che i conflitti di matrice anche religiosa non erano, in Asia, un retaggio del passato: solo per citare il caso più evidente, si pensi alla creazione del Pakistan nel 1947, sorto per volontà della maggioranza musulmana del subcontinente indiano di darsi una propria nazione. Il tema del rapporto tra religione e guerra nella storia del Sud-Est asiatico è estremamente complesso e oggetto di disamine scientifiche dagli esiti interpretativi anche diametralmente opposti. Una stimolante, prima introduzione all’argomento e alle diverse correnti storiografiche su di esso è in D.C.KANG, Why Was There No Religious War in

Premodern East Asia?, in «European Journal of International Relations», 20, 4, pp. 965-

redazione di «Tc». La “crisi buddista” venne per lo più interpretata nei termini di una guerra di religione provocata dalla politica discriminatoria messa in atto dal regime definito autoritario, dittatoriale e/o clericale della famiglia di Diem.

La diffusa percezione della RV come Stato confessionale veniva corroborata dalle notizie sul trionfalismo cattolico con il quale gli Ngo e la minoranza cattolica vietnamita avrebbero ammantato la Repubblica sudvietnamita sin dalla sua costituzione279. Nei quasi dieci anni di regime degli Ngo, l’episcopato sudvietnamita in più occasioni aveva manifestato resistenza, a livello sia individuale sia collettivo, all’associazione del cattolicesimo al governo di Saigon, ma l’atteggiamento generale dei vescovi verso di esso si era caratterizzato per lo più per prudenza e distacco280.

Il pugno di ferro sfoderato dal governo sudvietnamita nella fase dell’“attacco alle pagode” indusse l’opinione pubblica internazionale a interrogarsi con maggiori impellenza e gravità sull’effettivo ruolo dei cattolici vietnamiti, in particolare della gerarchia, nella “crisi buddista” e sull’eventuale acquiescenza della Santa Sede verso il cattolico Diem. La stampa di sinistra, in particolare, alimentò dubbi e lanciò strali polemici contro il contegno della Chiesa nella crisi281. Si consideri a questo proposito che già nel giugno 1963 «l’Unità» aveva parlato di “genocidio” dei buddisti da parte del governo Diem282 e che, secondo un documento dell’ONU del 1949, si macchiavano di «crimini contro l’umanità» anche

279 Tesi accolta da gran parte della storiografia occidentale, con alcune eccezioni come quella del missionario Gheddo, che già all’epoca sostenne che Diem, invece, «resistette fortemente ad ogni tentativo indebito di “clericalizzazione” del regime» da parte dei cattolici vietnamiti. P.GHEDDO (P.), Cattolici e buddisti nel Vietnam, cit., p.157 e p. 150.

280 Cfr. M.MUGNAINI, Paolo VI e il conflitto vietnamita, cit., pp. 236-237; P.GHEDDO (P.), Cattolici e buddisti nel Vietnam, cit., pp. 153-162.

281 Cfr. ad esempio l’editoriale Guerra di religione? di Emilio Sarzi Amadè, inviato in Vietnam del foglio del PCI, che contestava la tesi di Gheddo e, più in generale, la posizione della Chiesa cattolica nella “crisi buddista”, apparso in «l’Unità», 20 agosto 1963, p. 3. Il giornalista comunista (1925-1989), esperto di Asia Orientale, era stato corrispondente de «l’Unità» nella RPC (1957-1961) e poi inviato speciale in altri Paesi della regione, compresi quelli d’Indocina. Anche Gheddo (1929-2017) era un fine conoscitore delle società d’Asia, grazie ai lunghi anni di missione trascorsi in quel continente. Al momento della “crisi buddista” non era però in Vietnam; da un suo articolo si apprende che si sarebbe recato a Saigon solo nel 1967. Cfr. P. GHEDDO (P.), Quando il Vietnam divideva l’Italia, in «Il

Timone», 23, gennaio-febbraio 2003, p. 18.

coloro che «direttamente o indirettamente» agivano in favore del genocidio con atteggiamenti di «complicità» e «incitamento»283.

Si capisce che, posta dinanzi a un tale scenario, la Santa Sede non poteva permettersi in alcun modo di venire associata al regime degli Ngo. L’imminente ripresa dei lavori del Vaticano II, fissata per il 29 settembre, dovette rendere la questione di peculiare urgenza per l’autorità vaticana. Proteggere l’immagine della Chiesa conciliare implicava dissipare ogni dubbio sulla connivenza dell’episcopato sudvietnamita con il regime di Diem, anche perché alto era il rischio che di lì a breve le polemiche si inasprissero in occasione dell’arrivo a Roma dei padri sudvietnamiti, tra i quali Thuc (i vescovi del Nord non erano stati autorizzati dalle autorità comuniste a lasciare il Paese). Alla Santa Sede non poteva dunque più bastare, a quel punto, rivolgere appelli al popolo e ai cattolici della RV per sollecitare la pacificazione civile nel Paese attraverso dei canali che poco la esponevano a livello pubblico, come nel caso delle “ispirate” lettere pastorali di Binh, dei privati interventi di Asta sugli Ngo, del discorso del papa agli studenti vietnamiti (un’occasione, questa, dal rilievo mediatico del tutto secondario). Occorreva fugare le perplessità sulla posizione della Chiesa nella “crisi buddista” indirizzandosi a quella vasta platea internazionale che attendeva di capire se Paolo VI e il concilio avrebbero confermato l’innovativa visione di Roncalli di una Chiesa operatrice di pace, positivamente partecipe del mondo, inserita nella storia ma allo stesso tempo indipendente dal potere temporale, superiore agli interessi particolari, fraternamente aperta al dialogo con i lontani, con le altre religioni, con gli erranti, con «tutti gli uomini di buona volontà».

L’ipotesi che qui si avanza è che dopo l’“attacco alle pagode” la Santa Sede abbia scelto di intervenire sulla “crisi buddista” in maniera più netta e visibile, ma ufficiosa, attraverso «L’Osservatore Romano», mossa dal bisogno di sostenere la natura politica del conflitto. La confutazione della vulgata sulla “guerra di religione” avrebbe così permesso al Vaticano di sancire l’estraneità del cattolicesimo e della Chiesa (vietnamita e di Roma) alla crisi, di esprimere una sua presa di distanza dalla politica repressiva di Saigon contro i buddisti e al contempo di impedire, nonostante tutto, la liquidazione politica di Diem, elemento essenziale nella lotta contro l’espansionismo comunista nella RV e quindi nel Sud-Est asiatico. Sebbene nel trattare della “crisi buddista” la stampa occidentale trascurasse non di rado di considerarla o la lasciava sullo sfondo, nella RV era infatti

283 Su ispirazione delle teorie del giurista Raphael Lemkin (1944), il reato di genocidio era individuato dall’ONU nella «distruzione, totale o parziale, di un gruppo “nazionale, etnico, razziale o religioso”». A.LEPRE, Guerra e pace, cit., p. 50.

parallelamente in corso la guerra combattuta dal governo Diem contro il FNL e le infiltrazioni comuniste dal Nord. Il compito che la Santa Sede si proponeva era dunque a dir poco arduo: poteva dissociare l’immagine della Chiesa e della religione cattolica da un regime che intendeva biasimare politicamente ma, al contempo, salvare per esigenze di anticomunismo?

La strategia vaticana si esplicò nel lungo editoriale apparso in prima pagina su «L’Osservatore Romano» del 23 agosto 1963 a firma di Raimondo Manzini, direttore del quotidiano284. Esso venne poi riprodotto in ampi stralci da «La Civiltà Cattolica», attenta divulgatrice della linea vaticana285. Nell’articolo in questione, Manzini rifiutava la qualifica di “clericale” per il regime di Saigon e quella di “guerra di religione” per la