Una guerra di religione? La Chiesa cattolica e la “crisi buddista”, fra separatismo e anticomunismo (1963)
I.6. La centralità diplomatica della delegazione apostolica a Saigon.
In quel periodo, dai vicoli di Saigon alle sedi d’ambasciata e alla stampa internazionale, si rincorse la voce su un imminente colpo di Stato nella RV. Incerta l’identità degli ipotetici golpisti: secondo alcuni, trattavasi di un piano dei vietcong per guadagnare infine il Sud al comunismo, secondo altri era un progetto ordito da alcuni militari sudvietnamiti, forti del consenso americano o persino aiutati dalla CIA, e volto a rovesciare Diem, estromettere gli intransigenti, impopolari e potenti coniugi Nhu dalla vita politica del Paese, forse assassinare l’ambiguo e altrettanto influente Thuc317. Dinanzi all’atmosfera di pericolo e isolamento internazionale che li circondava, ai ferri corti con il protettore americano, gli Ngo non potevano che seppellire l’ascia di guerra per tornare a domandare aiuto e sostegno al loro unico altro “naturale interlocutore”, il Vaticano.
Il 30 agosto 1963 fu un allarmato Nhu a contattare Asta e D’Orlandi, evidentemente a conoscenza della stretta collaborazione fra i due, per chiedere un incontro personale con entrambi al dichiarato fine di sollecitare
315 Cfr. NGOC LAN, Le Viet-Nam déchiré. Pour sortir de l’engrenage de la haine il n’y a
que l’amour et la miséricordie, in «Tc», 3 septembre 1963, pp. 8-9.
316 «il était question de la propagation de la Foi plutôt que d’évangélisation, et les “Missions” restaient aussi étrangères à la masse des gens de Hanoï où de Saïgon qu’à Paris». Ivi, p. 9.
317 Cfr. Esponenti dell’opposizione per un Vietnam neutrale, in «l’Unità», 3 settembre 1963, p. 10; GDO, Dv, 5 settembre 1963, pp. 197-198 e ivi, 19 settembre 1963, pp. 210-212.
«un intervento in suo favore presso gli americani» e di domandare al delegato apostolico d’«insistere per l’intervento del Santo Padre»318. Ad Asta si era rivolto nelle stesse ore anche Lodge319. Il fatto che il delegato apostolico fosse l’unico “collega”, oltre a D’Orlandi, con il quale Lodge avesse preso contatto dal suo arrivo a Saigon poneva Asta in una posizione «imbarazzante»320. Gli Ngo miravano a un’intercessione sia pubblica sia riservata della Chiesa di Roma per placare l’opposizione al governo sudvietnamita, evitando così la propria caduta e ponendo in salvo la propria vita. L’amministrazione Kennedy aveva altre ragioni, non meno pressanti, per rivolgersi a un rappresentante di quell’istituzione che, per giunta, rappresentava l’autorità religiosa del giovane presidente americano.
In quel momento storico gli USA si trovavano loro malgrado ad essere alleati di un regime palesemente illiberale, traendone un grande danno d’immagine. Un loro ritiro dalla RV era però impensabile, poiché avrebbe spianato la strada alla comunistizzazione totale del Vietnam, con conseguenze geopolitiche e di prestigio inaccettabili per Washington. È quindi intuibile perché, nel momento in cui la RV era preda di un caos divenuto ingovernabile, la delegazione apostolica di Saigon iniziasse ad apparire agli Stati Uniti come un interlocutore particolarmente prezioso.
Bisogna considerare che per l’amministrazione statunitense e soprattutto per i suoi inviati nella RV, il Vietnam del Sud rappresentava un ginepraio socio-politico estremamente difficile da districare, comprendere e gestire. La sua popolazione, dai contadini delle campagne alla famiglia presidenziale, era tendenzialmente ostile agli americani, vivendo con sospetto e irritazione la presenza di un nuovo gruppo di stranieri in un Paese la cui storia era segnata da una catena millenaria di dominî coloniali. Le culture e la mentalità vietnamita e asiatica, profondamente differenti da quelle occidentali, erano inoltre per lo più sconosciute o poco familiari agli americani, con conseguenze dannose sui processi decisionali di tutti gli attori politici allora coinvolti nella RV. Esse infatti modellavano pratiche e linguaggi della politica e della diplomazia vietnamite, il cui senso restava talvolta oscuro agli americani, o veniva da loro frainteso; non era raro che questi si trovassero inadeguatamente preparati dinanzi a certe prassi politiche o a discorsi di interlocutori vietnamiti ricchi di riferimenti alla
318 GDO, Dv, 30 agosto 1963, p. 191. 319 Ibidem.
320 Ibidem. Si rammenta che tecnicamente Asta non era un collega di Lodge e D’Orlandi poiché l’ufficio del delegato apostolico non prevede lo status di diplomatico accreditato, sebbene in taluni Paesi vengano ad esso accordati alcuni privilegi diplomatici.
filosofia confucianae di immagini retoriche e liriche modellate sulla realtà orientale321.
La Chiesa cattolica era l’unico agente straniero che potesse vantare un secolare radicamento sul territorio del Vietnam, un vasto patrimonio di conoscenza della sua cultura e della sua travagliata storia, e che disponesse di una rete di sociabilità nel Paese (i cui principali nodi erano nel clero locale) impossibile da eguagliare per una rappresentanza diplomatica di tipo tradizionale. Una videointervista rilasciata da Lodge nel 1979 dà conferma delle speciali attrattive rivestite dalla delegazione apostolica di Saigon agli occhi degli americani. Interrogato su chi lo avesse aiutato a raccapezzarsi nella confusa e drammatica situazione sudvietnamita al momento della sua presa di servizio a Saigon nell’agosto del 1963, Lodge rispose (di seguito la trascrizione della sua dichiarazione orale):
I had very good luck in that I made...I made two friends who were very remarkable men and had unusual opportunities to learn what was going on. One was Professor Patrick J. Honey of the University of London […]. Then the apostolic delegate, Archbishop Salvatore Asta, […]. He turned out to be a remarkable source of the truth. As you know there are two million Roman Catholics with a corresponding number of priests. The priests are almost all Vietnamese. Uh...Archbishop Asta had very businesslike and effective relations with them, which any apostolic delegate would have. But on top of that, Archbishop Asta was a very magnetic, dynamic man and he had many, many personal friends. So these Vietnamese priests, most of whom were in very close touch with the people, were able to give him an extraordinary picture of the situation. Then there was a Buddhist priest, Quang Lien […]. So I was very lucky in very quick order to get in touch with those three very remarkably qualified men. All three could deserve the title of experts. […] Asta […] I thought then was quite uh noteworthy322.
Infine, al di là dei giudizi politici e morali emessi sugli Ngo dai loro contemporanei e da successivi commentatori, non si è a conoscenza di una fonte né di una ricostruzione storiografica che ne contesti il fervente sentimento di devozione e appartenenza religiosa. Ciò lascia supporre che gli Stati Uniti ritenessero allora la Chiesa di Roma l’unico altro soggetto
321 È una testimonianza di questa peculiarità asiatica il diario di prigionia (1942-1943) di Ho Chi Minh, scritto in forma di raccolta di poesie. Cfr. CHI MINH, Diario dal carcere,
Milano, Garzanti 1972 [Hà Nội, 1960]. Sulla storia delle relazioni diplomatiche asiatico- americane dalla prospettiva della comunicazione linguistica v. F.COSTIGLIOLA, Reading for
Meaning: Theory, Language and Metaphor, in Explaining the History of American Foreign Relations, edited by M.J. Hogan, T. Paterson, Cambridge, Cambridge University Press,
2006 [2004], pp. 279-303.
322 Interview with Henry Cabot Lodge (1979) [Video & Transcript], part 2 of 5, in
Vietnam: A Television History. America’s Mandarin (1954-1963), cit., URL:
internazionale, oltre a sé stessi, in grado di esercitare una qualche influenza sulla diffidente e poco malleabile famiglia di Diem.
Al suo arrivo nella RV Lodge aveva sostenuto un progetto di golpe, poi rimandato sine die dai militari sudvietnamiti in esso coinvolti. La cupa atmosfera di un imminente colpo di Stato permaneva tuttavia su Saigon. Il regime era, secondo Lodge, «in its terminal phases» quando Kennedy incaricò l’ambasciatore di elaborare una strategia per convincere Diem a riprendere le redini del potere e riguadagnare consenso allontanando i Nhu, ritenuti a quelle date i veri, e crudeli, governanti del Paese323.
Alla luce di quanto esposto, ben si capisce perché gli Stati Uniti fossero allora interessati a raccogliere le valutazioni di Asta sull’attualità sudvietnamita e magari ad avvalersi di una sua attiva collaborazione, consapevoli inoltre di poter contare sulla tradizionale discrezione della diplomazia vaticana – confermata in quei giorni da «OR», che diede notizia dei colloqui avuti da Lodge con esponenti americani e sudvietnamiti, ma tacque dei suoi contatti con la delegazione apostolica324.
Il 31 agosto 1963 Lodge cercò Asta per esaminare con lui la situazione325. Messo a parte delle richieste di aiuto avanzate il giorno prima da Nhu al delegato e a D’Orlandi, l’americano invocò per l’indomani una riunione con entrambi, pregando che si tenesse «in Delegazione apostolica, dopo cena, in vista di un possibile incontro con Nhu lunedì 2 settembre»326. Quella stessa sera, all’interno della propria residenza, Asta ebbe un colloquio – non il primo – con D’Orlandi, l’ambasciatore d’Australia Brian Clarence Hill327 e Lalouette; il rappresentante francese sostenne, in particolare, l’assoluta necessità di «evitare un bagno di sangue»328.
Da quel momento, come emerge dal diario di D’Orlandi, le consultazioni fra Asta, Lodge e il diplomatico italiano assunsero ritmi quasi quotidiani, nell’intento condiviso di trovare un modo per ristabilire il dialogo fra Diem e gli USA, migliorare l’immagine del presidente e
323 Ibidem.
324 Cfr. Proposte di parte buddista per una soluzione del dissidio, in «OR», 28 agosto 1963, p. 2; Nel Vietnam meridionale situazione sempre tesa, ivi, 29 agosto 1963, pp. 1-2.
325 Cfr. GDO, Dv, 31 agosto 1963, p. 192. 326 Ibidem.
327 Hill fu all’ambasciata australiana nella RV dal 1961 al 1964; dal 1979 al 1980 fu invece il rappresentante d’Australia presso la Santa Sede.
328 Ibidem. In un analogo incontro del 30 agosto 1963, da lui convocato per sollecitare un’«opera di pacificazione», Lalouette si era detto convinto di un prossimo golpe nella RV, sostenendo che il regime degli Ngo avrebbe in quel caso combattuto «fino all’ultimo sangue del suo ultimo pretoriano. [...] Il massacro a Saigon sarà impressionante e la folla scatenata si lascerà andare ai suoi più bestiali istinti, citazione di allucinanti fatti del 1954». Ivi, 30 agosto 1963, p. 191.
prevenire così una sua destituzione, o peggio. Per raggiungere tali obiettivi si riteneva urgente indurre Diem ad ampliare le basi politiche del governo e a sganciare la propria immagine da quella dei Nhu, persuadendoli «con un qualsiasi pretesto» a un esilio, per così dire, volontario, e «per un tempo ragionevolmente lungo»329.
Il primo passo di questo «compito molto arduo» fu compiuto, significativamente, da Asta, il quale il 1° settembre entrò separatamente in contatto con Nhu, Xuan e Diem330. Al termine della giornata, il delegato apostolico comunicò a D’Orlandi e a Lodge di aver strappato a Xuan il consenso all’espatrio, precondizione posta dai fratelli Ngo per la loro adesione al piano331. Così D’Orlandi descrisse la loro riunione notturna:
Mons. Asta visibilmente commosso e stanco ci informa che il signor Ngo Dinh Nhu, onnipotente consigliere politico e factotum del presidente, accetta di ritirarsi dalla vita pubblica e di lasciare Saigon […]. La signora Nhu, dice il delegato apostolico, è pronta a lasciare il Viet Nam, compiendo quello che lei considera il supremo sacrificio. Io rimango ammirato di fronte all’abilità di monsignor Asta, riuscito a strappare un così clamoroso successo. Lodge ne è lieto ma, non ce lo nasconde, ancora incredulo332.
In vista delle trattative che l’indomani i tre avrebbero avviato personalmente con Nhu, Lodge propose di cogliere l’occasione per «regolare anche il caso dell’esagitato arcivescovo di Hué»333. Come rilevato nei primi paragrafi di questo capitolo, l’integrità dell’alto prelato appariva molto dubbia. Nell’autunno del 1963, peraltro, in Vietnam «era ormai voce comune che i soccorsi e i doni inviati da organismi internazionali ai cattolici di Hué, venivano regolarmente posti in vendita sul mercato dell’arcivescovo», mentre a D’Orlandi giungevano in via confidenziale «circostanziate notizie su passati trasferimenti all’estero di cospicue somme» da parte di Thuc334. Ciononostante, così l’ambasciatore italiano ebbe a descrivere e commentare nel proprio diario la reazione di Asta dinanzi alla prospettiva di un’interferenza politica degli Stati Uniti nelle sorti di un ministro della Chiesa, fosse anche il più controverso:
329 Ivi, 1° settembre 1963, pp. 192-193. Cfr. anche M.SICA, Marigold non fiorì, cit., p. 45. Secondo quanto riferito da Lodge, alla vigilia della sua partenza per Saigon, la stessa madre di Xuan si sarebbe detta convinta del fatto che «unless they leave the country there is no power on earth that can prevent the assassination of Prime Minister Diem, of his brother Nhu, and of my daughter, Madame Nhu». Video & Transcript, Interview with Henry Cabot
Lodge (1979), part 2 of 5, cit.
330 GDO, Dv, 1° settembre 1963, pp. 192-193. 331 Ivi, p. 193.
332 Ibidem. 333 Ibidem.
Con molto tatto ma con malcelata fermezza il delegato apostolico rileva tra il serio e il faceto che non può accettare questa confusione tra sfera politica ed ecclesiastica. [...] Il delegato apostolico è così riuscito a salvare in “corner” l’arcivescovo di Hué, del quale però egli conosce vita, morte e miracoli; evidentemente l’alta gerarchia ecclesiastica ha uno spirito di corpo molto elevato335.
Il giorno seguente, alla presenza di Asta e D’Orlandi, Nhu e Lodge posero i termini per una possibile intesa tra governo sudvietnamita e americano, volta a conseguire un ammorbidimento di Saigon verso l’opposizione popolare336. Nelle parole dello stesso Nhu, riportate da D’Orlandi, il merito dell’accordo spettava al delegato apostolico:
Il consigliere politico […] inizia dicendo che, colpito dalla pressante e calda richiesta di monsignor Asta di evitare inutili lutti al Viet Nam già tanto provato, egli è pronto a lasciare la scena politica e a ritornare ai suoi libri a Dalat (stazione lontana, a 320 chilometri da Saigon); continua indicando che la moglie è pronta a lasciare il Viet Nam, partendo il 17 settembre per il Congresso parlamentare che avrà luogo in Iugoslavia e facendo poi un lungo periplo. […]
Cabot Lodge ha espressioni di vera e sentita gratitudine per il delegato apostolico337.
Sebbene il «bilancio» complessivo del colloquio di Nhu con Lodge apparisse «scarsetto» ai due italiani, per l’americano esso costituiva un buon punto di partenza, dato che «non si aspettava proprio alcuna concessione da parte della “famiglia”», e che sembrava quindi di poter «escludere», almeno per il momento, «un colpo di mano anti Diem»338.
La convergenza degli interessi di USA e Santa Sede su una soluzione politica di compromesso a Saigon aveva dunque prodotto un risultato che, a detta delle parti americana e sudvietnamita, non sarebbe stato possibile senza la Santa Sede. Il compito di Asta e D’Orlandi poteva a quel punto considerarsi espletato ma, scrive D’Orlandi, Lodge insistette affinché i due continuassero «ad aiutarlo nelle trattative alle quali vuole che continuiamo ad assistere»339. L’ambasciatore americano nutriva ancora dubbi su una reale partenza dei Nhu e probabilmente non intendeva privarsi del verificato ascendente di Asta sui “terribili” coniugi; forse sperava di riuscire a convincere Nhu a recarsi all’estero con la consorte. In realtà, dal punto di vista dei rappresentanti di Santa Sede e Italia, Xuan era riuscita, forse di proposito, a tramutare la prospettiva del suo viaggio all’estero in
335 Ibidem.
336 Ivi, 2 settembre 1963, pp. 193-195. 337 Ivi, pp. 193-194.
338 Ivi, pp. 194-195. 339 Ivi, p. 195.
una fonte di preoccupazione. Nhu aveva infatti informato della ferma intenzione della moglie di far tappa a Roma e recarsi in visita da Paolo VI, notizia che aveva provocato un
rapido sguardo tra il delegato apostolico e me [D’Orlandi] nel quale è riassunta tutta la preoccupazione […] per le “grane” che questa eventuale visita in Italia della ineffabile signora non mancherà di creare per la Farnesina e per la Segreteria di Stato340.
In quello stesso 2 settembre però, negli Stati Uniti, intervistato nel seguitissimo telegiornale della CBS condotto da Walter Cronkite, Kennedy criticò apertamente la distanza del governo sudvietnamita dal proprio popolo e la condotta delle autorità di Saigon nella “crisi buddista”, definita «very unwise»341. Il pubblico sganciamento di Kennedy dall’impopolare alleato, che stava costando all’amministrazione consensi interni, equivaleva a condannare il regime degli Ngo alle ore contate. I Nhu reagirono ritirando la disponibilità all’esilio, affermando che «il viaggio di alcune settimane che la signora Nhu effettuerà nei prossimi giorni» fosse «già una concessione più che sufficiente»342. Sembra inoltre che i coniugi, a Saigon, andassero allora visitando diverse sedi d’ambasciata, al fine di suscitare negli americani il sospetto che altri Paesi dello schieramento atlantico stessero lavorando «per salvare la famiglia Diem e il regime»343. La manovra presentava il vantaggio aggiuntivo, per i Nhu, di alimentare la credibilità della «sensazionale notizia» diffusa in quelle ore dalla United Press International (UPI), secondo la quale Asta e Lalouette stavano tentando di «creare un fronte diplomatico» che impedisse a Kennedy di autorizzare un chiacchierato piano della CIAvolto arovesciare Diem344. La soffiata dell’UPI, probabilmente opera degli stessi Nhu, era scorretta ma, come si è visto, non lontana dalla verità. Essa aveva quindi “scoperto” diplomaticamente la Santa Sede e rischiava di nuocere all’immagine della Chiesa conciliare. Tuttavia, o forse proprio per questo, a quanto risulta la notizia non fu oggetto di smentite ufficiali da parte vaticana, e su di essa presto cadde l’oblio mediatico.
Lodge, D’Orlandi e Asta continuarono infruttuosamente i colloqui con Nhu345. Il 6 settembre 1963 Asta e D’Orlandi si recarono al Palazzo
340 Ibidem.
341 I.F.STONE, «I.F. Stone’s Weekly», 11, October 28, 1963, p. 4. 342 GDO, Dv, 6 settembre 1963, pp. 198-199 e cfr. pp. sgg. 343 Ivi, 3 settembre 1963, p. 196.
344 Esponenti dell’opposizione per un Vietnam neutrale, in «l’Unità», 3 settembre 1963, p. 10. Cfr. anche GDO, Dv, 3 settembre 1963, p. 196.
presidenziale per un colloquio con Nhu346. Al termine di una «discussione molto animata e in punto tempestosa», i due italiani furono concordi nel ritenere che Nhu avesse ritirato le concessioni fatte in precedenza e che quel giorno avesse in animo di indurre Asta e D’Orlandi a «intervenire presso Cabot Lodge per dimostrargli che la politica da lui perseguita è dissennata»347.
Le consultazioni fra il delegato apostolico e i due ambasciatori d’Italia e d’America proseguirono serratissime, come doviziosamente annotato da D’Orlandi nel proprio diario di missione348. Un nuovo piano venne messo a punto, certo con l’assenso delle autorità che i tre uomini rappresentavano: Nhu sarebbe stato accontentato nella sua idea di «una sorta di esilio interno a Dalat»; Xuan sarebbe volata «a New York con l’incarico (nominale) di osservatore presso le Nazioni Unite», assumendo quindi il ruolo della madre; Thuc avrebbe ricevuto una «chiamata in Vaticano»; nella RV, Diem sarebbe rimasto al suo posto, ma «un rimpasto ministeriale» avrebbe allargato le basi politiche del governo, «con l’inclusione […] di alcune personalità dell’opposizione non comunista»349.