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Una guerra di religione? La Chiesa cattolica e la “crisi buddista”, fra separatismo e anticomunismo (1963)

I.9. I gesuiti in una guerra di carta stampata.

Nell’ottobre 1963 sia i gesuiti italiani sia i gesuiti francesi trattarono della crisi sudvietnamita sui loro organi di stampa472.

Come nella gran parte della pubblicistica cattolica dell’epoca, la pace costituiva uno dei principali temi affrontati durante l’anno da «La Civiltà Cattolica»473, in particolare da padre Antonio Messineo, storico interprete della linea della rivista sulle problematiche di teologia politica inerenti alla vita associata internazionale474.

In merito allo specifico dibattito sulla liceità della tradizionale dottrina della guerra giusta in era atomica, i gesuiti romani sostenevano, in estrema sintesi, la necessità contingente della guerra difensiva, giudicata ineliminabile sin quando non fosse stata neutralizzata la minaccia dell’espansionismo comunista a livello globale475.

Nell’ottobre del 1963, come nei mesi precedenti, «CC» trattò della situazione vietnamita all’interno rubrica dedicata alla cronaca estera, e non in un vero e proprio articolo dedicato. Alla stregua di ogni altro tema di politica internazionale, la questione fu approcciata dai gesuiti romani seguendo il classico schema interpretativo intransigente sviluppato durante la prima, rigida fase della guerra fredda. Esso aveva i suoi pilastri nella tradizionale, stretta osservanza da parte di «CC» della linea politica pontificia e nell’inflessibile anticomunismo della rivista. Quest’ultimo animava dalle sue pagine, nel secondo dopoguerra, una virulenta polemica contro i partiti di sinistra italiani, rinverdendo la polemica antisocialista di «CC» degli esordi476.

472 Cfr. Vietnam meridionale, in «CC», 28 settembre 1963, pp. 96-104; A.GOMANE (S.J.), Au Vietnam. Lettre d’Extrême-Orient, in «Études», octobre 1963, pp. 53-66.

473 La rivista quindicinale fu fondata nel 1850 da un gruppo di gesuiti napoletani con l’intento di ergersi a difesa della civiltà cattolica contro gli avversari della Chiesa. Nel 1963 era diretta da padre Roberto Tucci (1921-2015; a capo di «CC» dal 1959 al 1973). Sulla storia di «CC» e sulla sua speciale relazione con le vicende italiane si vedano R.SANI, «La

Civiltà Cattolica» e la politica italiana nel secondo dopoguerra (1945-1958), Milano, Vita e

Pensiero, 2004; G.SALE (S.J.), «La Civiltà Cattolica» nei suoi primi anni di vita, in «CC»,

anno 150°, I, 20 marzo 1999, pp. 544–557; A.MAJO, La stampa cattolica in Italia, cit., pp.

47-52 e passim; E. DI NOLFO, «La Civiltà Cattolica» e le scelte di fondo della politica estera

italiana nel secondo dopoguerra, in «Storia e politica», 1971, pp. 187- 239.

474 Su Messineo (1897-1978) si rimanda alla voce a firma di E.BOTTO in Dizionario

biografico degli italiani, vol. 74, Roma, Treccani, 2010, URL: www.treccani.it/enciclopedia/antonio-messineo_%28Dizionario-Biografico%29/

475 Per l’impostazione delle problematiche teologico-politiche attinenti al tema si veda ad esempio A.MESSINEO (S.J.), L’era atomica e i suoi formidabili problemi, in «CC», 7

dicembre 1963, pp. 450-462.

Per la precisione, nell’ottobre del 1963 «CC» presentò in rassegna ai suoi lettori i principali interventi sul Vietnam prodotti in quei mesi da Paolo VI e dalla gerarchia e dalle organizzazioni cattoliche vietnamite. Appare significativo che l’organo dei gesuiti italiani desse spazio, seppur in calce, anche ad alcune gravi insinuazioni di Xuan sui bonzi, mentre un completo silenzio fu mantenuto sulle pesanti dichiarazioni di Thuc delle ultime settimane. Si noti inoltre che di Xuan non vennero riprese le celeberrime frasi sui “barbecue” di monaci, bensì alcune sue esternazioni dai toni più contenuti, e con le quali la donna insinuava dei sospetti sulla volontarietà dei sacrifici (sosteneva che i bonzi fossero stati drogati, forse dai comunisti) e gettava discredito sulla pratica dell’autoimmolazione477. Probabilmente i gesuiti romani erano per lo meno possibilisti riguardo alla tesi di infiltrazioni comuniste fra i buddisti sostenuta da Diem e ripresa, come si è visto, da «L’Osservatore romano». Una certa generica diffidenza di «CC» nei confronti dell’opposizione buddista sembra confermata dalla scelta di citare, nel corpo del testo, un’analisi del quotidiano nazionale «Il Corriere della Sera» secondo la quale «il suicidio dei bonzi non significava per niente che essi avessero ragione»478.

Attenendosi alla posizione vaticana, «CC» confutò l’idea che nella RV fosse in corso una guerra di religione; simili erronee letture erano da considerarsi il frutto di visioni «alterate o, almeno esagerate» di osservatori stranieri alle prese con una situazione di grande «complessità» oppure, come nel caso della stampa «anticlericale e radicale italiana», interpretazioni distorte della realtà, condizionate da scopi di propaganda ideologica479.

Le preoccupazioni manifestate dal Vaticano e da «CC» sull’attendibilità della stampa in merito alla crisi nella RV erano condivise dai gesuiti di «Études», che nel numero dell’ottobre 1963 lamentarono la mancanza di «éléments objectifs d’information» a riguardo480. L’attualità vietnamita era

477 Cfr. Vietnam meridionale, in «CC», 28 settembre 1963, p. 96, nota 1. 478 Ivi, p. 103.

479 Ivi, pp. 100-101.

480 A.GOMANE (S.J.), Au Vietnam. Lettre d’Extrême-Orient, in «Études», octobre 1963, p. 53. Il mensile «Études» (inizialmente «Études de théologie, de philosophie et d’histoire») fu fondato dai gesuiti francesi nel 1856, per iniziativa di padre Jean Gagarin, russo convertito. Agli esordi focalizzata su questioni di teologia, a partire dal periodo fra le due guerre mondiali la pubblicazione iniziò ad allargare i propri interessi alle problematiche dell’attualità e della cultura. Inflessibile «dans la dénonciation du nazisme», «Études» sospese le pubblicazioni sotto l’occupazione tedesca, per poi essere rifondata nel 1945. La linea editoriale rispecchiava il desiderio dei suoi collaboratori «de maintenir un subtil équilibre entre leur liberté et leur fidélité à la doctrine romaine». P.ROCHER, Cité Nouvelle

narrata su «Études» attraverso un pezzo non aggiornato poiché scritto il 15 agosto 1963, prima dell’attacco alle pagode e dei suoi gravi strascichi a livello nazionale e internazionale. Si trattava di una lunga analisi firmata da padre André Gomane, missionario di stanza a Bangkok, all’indomani di un suo viaggio nella RV.

In apertura del suo intervento, il religioso francese dichiarava le proprie intenzioni: rettificare gli errori e le storture, inconsapevoli o strumentali, diffusi dalla stampa internazionale sulla “crisi buddista”. Un bonzo con il quale si era intrattenuto a colloquio è l’unica fonte che Gomane abbia identificato tra quelle alla base della propria relazione. Dal punto di vista storiografico, il suo scritto ha il merito di esprimere con immediatezza alcune problematiche comuni fra i cattolici rispetto al mondo moderno, che la “crisi buddista” sollevava con peculiare intensità. Il riferimento è a temi già affiorati nella stampa sino a qui esaminata, e che in sintesi investono il rapporto della Chiesa con la sfera del politico e della società civile.

Dopo aver ricostruito gli eventi sudvietnamiti succedutisi dal maggio 1963, Gomane ne presentava i protagonisti: i cattolici, i buddisti, il governo di Saigon. Come Manzini, egli riconosceva che la minoranza cattolica sudvietnamita godesse, sotto Diem, di alcune agevolazioni giuridiche, ma non le riteneva discriminanti nei confronti delle altre religioni. Secondo Gomane, anzi, la gran parte dei cattolici condivideva con mons. Binh la preoccupazione «de voir respecté la liberté de conscience» e, allo stesso tempo, il desiderio di «rester fidèles au gouvernement»481. La suggerita adesione dei cattolici sudvietnamiti alla politica di Diem trovava fondamento, secondo Gomane, nell’unità della Chiesa sudvietnamita contro l’espansionismo comunista, storico pilastro della difesa del Vietnam del Sud. Gomane presentava i cattolici sudvietnamiti come impeccabili cittadini e patrioti, rispettosi del potere costituito al punto da lasciare, a differenza dei buddisti, che i propri seminaristi prestassero servizio militare, e senza abbandonarsi al diffuso fenomeno della diserzione. L’idea dei cattolici come cittadini esemplari e obbedienti alla legittima autorità civile, già riscontrata in Giovanni XXIII e in Paolo VI, veniva dunque apertamente combinata in «Études» con quella della Chiesa quale avanguardia patriottica della resistenza spirituale e armata contro il comunismo. Le evidenti sopravvivenze dell’antica retorica del miles christianus, passata attraverso la reinterpretazione dell’Ottocento dei

1995, [en ligne] DOI: 10.4000/chretienssocietes.149. Alla rivista è dedicato lo studio monografico di P.VALLIN, Études. Histoire d’une revue: une aventure jésuite. Des origines

au Concile Vatican II (1856 à 1965), Paris, éd. Études, 2000.

481 A.GOMANE (S.J.), Au Vietnam. Lettre d’Extrême-Orient, in «Études», octobre 1963, p. 65.

nazionalismi, tradiscono da parte della rivista una mentalità allora sempre più minoritaria ma ben lungi dall’essere scomparsa dal mondo cattolico europeo, anche a livello istituzionale482. Non a caso, erano quelli gli anni di un lacerante dibattito pubblico, in Francia come in Italia, sul diritto all’obiezione di coscienza, sul quale anche il mondo cattolico si polarizzò483.

Fra quelle prese in esame, «Études» è l’unica testata a porre al centro dell’analisi della “crisi buddista” il fattore comunista. I contenuti e i toni dell’articolo di Gomane ricordano, come già quelli di «CC», la retorica della Chiesa agli albori della guerra fredda, e che non sono da considerarsi completamente superati in età conciliare, tutt’altro. Proprio in quella fase, essi venivano riproposti con forza da una minoranza di padri conciliari conservatori (tra i quali diversi italiani e vietnamiti) nel divisivo dibattito sull’opportunità di un’esplicita condanna del comunismo da parte del Vaticano II, un confronto che si rifletteva nella pubblicistica cattolica484.

In merito alla questione della natura politica o religiosa della “crisi buddista”, Gomane collocava «Études» su una posizione mediana poiché nella sua analisi, come si vedrà, è appunto l’elemento politico (la minaccia comunista) a giocare il ruolo fondamentale, senza però che si tacessero alcuni aspetti squisitamente religiosi della vicenda. In ciò, una certa prossimità di «Études» con «Gioventù» è solo formale, poiché distanti emergono le valutazioni di Gomane e di Ticconi sulle colpe degli Ngo, e opposte su quelle dei buddisti. L’indugiare del missionario francese sul problema del separatismo nella RV riecheggia invece l’attenzione prestata all’argomento da Montaron, ma anche in questo caso si danno delle differenze fondamentali nelle opinioni espresse dai due. A livello generale, inoltre, il pragmatico realismo applicato dal gesuita all’esame della situazione vietnamita lo distingue nettamente dagli altri commentatori cattolici sin qui citati.

Questo suo senso di Realpolitik non portava Gomane a derogare, sul piano della dottrina, al principio dell’indipendenza della Chiesa dal potere politico. Egli ricusava la pertinenza dell’«épithète “catholique”, appliquée

482 Sul tema si vedano, ad esempio, gli originali contributi in S.BLENNER-MICHEL, J. LALOUTTE (dir.), Servir Dieu en temps de guerre. Guerre et clergé à l’époque

contemporaine (XIXe-XXe siècles), Paris, Armand Colin/Ministère de la Défense, 2013.

483 Cfr. D.MENOZZI, Chiesa, pace e guerra, cit., pp. 177-196. Cfr. anche infra, p. 254. 484 Si rammenta che la richiesta di una chiara condanna del comunismo, che nel dicembre 1963 avrebbe prodotto la nota petizione dal Coetus Internationalis Patrum al papa, non avrebbe trovato soddisfazione al concilio, poiché «nella costituzione pastorale Gaudium

et spes […] la questione del comunismo fu […] affrontata indirettamente, senza mai essere

nominata, e posta in relazione con il più vasto problema dell’ateismo moderno». G.PANVINI,

au régime Diem», e sosteneva anzi l’urgente necessità «que les catholiques trouvent un moyen d’éviter clairement la confusion entre l’Église et le gouvernement Diem»485. Tuttavia, Gomane aggiungeva (allontanandosi così visibilmente da Montaron) che «on ne peut demander d’observer une stricte distinction entre l’Église et l’État à des hommes qui défendent d’un seul élan la liberté de leur patrie et celle de leur religion», reputando anzi che «un triomphalisme un peu tapageur»486 e una certa «indiscrétion»487 da parte del regime di Diem e di alcuni cattolici sudvietnamiti fossero una reazione più che naturale da parte di una minoranza una volta che dei suoi rappresentanti fossero giunti al potere.

Ancor più di «CC» e de «L’Osservatore Romano», «Études» si dimostrava diffidente verso la maggioranza buddista sudvietnamita, alla quale Gomane attribuiva delle corresponsabilità nello scoppio degli scontri di Hue dell’8 maggio. Il missionario qualificò come «un abus de langage caractérisé» la definizione di «persécution» per la politica di Diem nei confronti dei buddisti, così come quella di «martyr» per le autoimmolazioni dei bonzi488, a suo avviso peraltro ridottesi a quel punto a un’«exploitation de la religion»489 volta ad accelerare «la chute du gouvernement»490.

In linea con «L’Osservatore Romano» e con «CC», il gesuita avanzava la tesi sulle infiltrazioni «des éléments subversifs» tra i buddisti, vedendo nella loro giovane e debole organizzazione istituzionale uno dei motivi di questa vulnerabilità491. Manzini e i gesuiti italiani non avevano espressamente collegato le infiltrazioni comuniste fra i bonzi a considerazioni generali sul buddismo, lasciando un margine di ambiguità sulla loro valutazione del fenomeno. Pur manifestando gravi dubbi sulla lealtà patriottica dei buddisti, neanche Gomane si spinse a formulare e dibattere apertamente i grandi interrogativi impliciti nelle proprie affermazioni, particolarmente rilevanti per una Chiesa chiamata allora a

485 A.GOMANE (S.J.), Au Vietnam. Lettre d’Extrême-Orient, in «Études», octobre 1963, p. 66. 486 Ivi, p. 54. 487 Ivi, p. 65. 488 Ivi, p. 60. 489 Ivi, p. 61. 490 Ivi, p. 64.

491 Ivi, p. 56. Come sostenuto dagli Ngo, non era difficile camuffarsi da bonzo e infiltrarsi nella comunità buddista: «il suffit de se raser la tête et de s’habiller d’une tunique de couleur safran, sans autre formalité». ÐÌNH QUÝNH, ÐÌNH LÊ QUYÊN, J.WILLEMETZ, La

République du Viêt-Nam, cit., p. 63. La veridicità della tesi di infiltrazioni comuniste tra i

buddisti è confermata da alcuni documenti divulgati nei primi anni Novanta dal governo comunista vietnamita. Cfr. M.MOYAR, Triumph Forsaken. The Vietnam War, 1954-1965,

ridefinire, in sede conciliare, il proprio atteggiamento verso le altre confessioni. Era da ritenersi che esistesse una predisposizione filosofica da parte di alcune religioni all’attecchimento della propaganda marxista, pronta ad esplicarsi in determinate contingenze come quelle in cui era maturata la “crisi buddista”? Una potenziale debolezza verso il comunismo era intrinseca al sistema filosofico buddista?492 Oppure la possibilità di simili infiltrazioni “sovversive” all’interno di un gruppo religioso andava connessa soltanto all’assenza di una precisa condizione formale, storicamente determinata, quale la mancanza di un inquadramento del culto in un’istituzione strutturata in maniera rigida e verticistica? Gli apprezzamenti espressi nel 1965 dalla Nostra ætate nei confronti di alcuni aspetti del buddismo sarebbero bastati ad escludere tali ipotesi?493

Per ciò che riguarda gli Ngo, pur riconoscendone alcune gravi responsabilità, il giudizio di Gomane nei loro confronti appare tutto sommato indulgente. Alcuni passaggi del suo scritto sembrano anzi tradire la volontà di riabilitare politicamente l’immagine del regime tenacemente anticomunista del cattolico Diem, come d’altro canto, sulla base della ricostruzione proposta nelle pagine precedenti, sappiamo fosse anche nelle intenzioni della diplomazia vaticana, in quell’agosto del 1963.

Gomane sottolineava infatti «l’immense mérite» del regime di Diem «de voir le danger qui courait le Vietnam-Sud et d’avoir fait les efforts les plus généreux pour parer à ce danger, au prix de grandes sacrifices»494. Accanto all’opera di salvaguardia della RV dall’espansionismo comunista, di Diem in particolare evidenziava la devozione religiosa e patriottica; gli

492 Secondo uno storico americano che al movimento buddista di quegli anni ha dedicato uno dei pochi studi oggi disponibili in lingua occidentale, la maggioranza dei buddisti sudvietnamiti disprezzava il comunismo, «which they viewed as a retarded form of Buddhism and a Western concept unsuited to Vietnam». R.J. TOPMILLER, The Lotus

Unleashed. The Buddhist Peace Movement in South Vietnam, 1964-1966, Lexington (KY),

University Press of Kentucky, 2002, p. 6.

493 Nella dichiarazione conciliare si legge: «Nel buddismo, secondo le sue varie scuole, viene riconosciuta la radicale insufficienza di questo mondo mutevole e si insegna una via per la quale gli uomini, con cuore devoto e confidente, siano capaci di acquistare lo stato di liberazione perfetta o di pervenire allo stato di illuminazione suprema per mezzo dei propri sforzi o con l’aiuto venuto dall’alto. Ugualmente anche le altre religioni che si trovano nel mondo intero si sforzano di superare, in vari modi, l’inquietudine del cuore umano […]. La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini». CONCILIO

VATICANO II, Dichiarazione Nostra Aetate, cit., pp. 740-741.

494 A.GOMANE (S.J.), Au Vietnam Lettre d’Extrême-Orient, in «Études», octobre 1963, pp. 56-59.

rimproverava invece l’isolamento politico, dovuto a una patologica sospettosità, la permissività nei confronti di nepotismo e corruzione, la conseguente incapacità di conquistare l’interesse della massa non cattolica alle sorti di un governo che appariva distante dalle necessità del popolo. Il più grande «échec» di Diem, attestato dagli alti tassi di diserzione, consisteva per Gomane nel non essere riuscito a coinvolgere i suoi cittadini in quel «combat anticommuniste, qui devait être considéré comme sacré»495 – era chiaro che la comunistizzazione della RV avrebbe messo in pericolo la sopravvivenza stessa della Chiesa cattolica in Vietnam.

La “sacralità” di quella lotta giustificava quindi, agli occhi del gesuita, i provvedimenti liberticidi decisi dal governo di Saigon, nella convinzione che «dans un état de crise, on ne peut, de tout évidence, accorder aux individus la même marge de liberté qu’en temps de paix assurée; toutefois, le chef politique doit alors réussir à susciter une “mystique” qui fasse accepter spontanément par le pays les sacrifices exigés»496.

Le parole di Gomane lasciano pochi dubbi circa la sua intima adesione alla dottrina della guerra giusta. Il richiamo a un vero e proprio spirito di “crociata” anticomunista e a una mistica bellica patriottica espressa in termini religiosi tradiscono sopravvivenze di quell’“ideologia di cristianità” elaborata dalla Chiesa in risposta alla secolarizzazione rivoluzionaria e intintasi, nell’Ottocento, nel romanticismo nazionalista europeo e nel suo mito di una medievale res publica christiana497; tali elementi appaiono qui integrati dal gesuita francese in una lettura “primo-pacelliana” della guerra fredda. Nel complesso, egli riprendeva lo schema cattolico tradizionale di tesi e ipotesi: a un separatismo teorico egli lasciava far eco, in sostanza, la possibilità di un intervento dello Stato quale braccio armato di una Chiesa in pericolo. In nome di una libertà più grande (quella, appunto, dal comunismo), Gomane mostrava dunque di accettare come legittima persino una temporanea restrizione delle libertà fondamentali dello Stato democratico. Non ammetteva però «que les moyens employés dans la lutte [...] contredisent [...] le but même de cette lutte pour la liberté»498.

Questa era la principale critica mossa dal missionario a Nhu, e nella quale sembra di percepire l’antinazismo storico dei gesuiti di «Études»:

495 Ivi, p. 58 [il corsivo è mio]. 496 Ibidem [il corsivo è mio].

497 Su questi temi v. D.MENOZZI, La Chiesa cattolica e la secolarizzazione, cit., pp. 15- 71.

498 A.GOMANE (S.J.), Au Vietnam Lettre d’Extrême-Orient, in «Études», octobre 1963, p. 58.

On ne peut atteindre de but avec un régime policier. Sinon, on aboutit aux mêmes apories que la dialectique marxiste; les chemins de la servitude ne débouchent pas sur la liberté et nul ne croira jamais qu’une police tracassière favorise ce «personnalisme» qui seul peut faire pièce au communisme niveleur. Si l’on veut être personnaliste, il faut l’être avec logique499.

Nhu (e lui solo) veniva accusato da Gomane di impiegare «les mêmes moyens» dei nemici e di giustificare ingiustamente «la suppression de toute forme d’opposition» con la teoria secondo la quale «qui n’est pas avec nous, est contre nous», in una sorta di distorsione politicamente ideologizzata del Vangelo 500.

Distinguendosi anche in questo dalle altre firme cattoliche prese in rassegna sino a questo punto, Gomane riconosceva a Xuan un «rôle de premier plan dans l’affaire actuelle» e manifestava simpatia per la sua personalità «énergique et remarquablement intelligente», per le sue vittoriose battaglie parlamentari contro il divorzio, la poligamia e il concubinato e in favore di leggi volte a una rigida moralizzazione dei costumi sociali, concludendo che «elle défend avec la même fougue ses vues politiques et religieus»501. Ciò che le contestava, ma con condiscendenza, era di agire «toutefois avec violence et sans aucune considération pour ses adversaires», e di essersi alienata a priori, per i suoi veementi eccessi di sincerità, la simpatia dei giornalisti stranieri502. Gomane ammetteva anche che Xuan rischiasse di contribuire alla caduta del governo con il suo «se moquer des victimes» delle autoimmolazioni, salvo muovere la stessa critica all’«opinion mondiale» che, a suo avviso, commetteva l’errore di giudicare Diem sull’onda dell’«émotivité viscérale»