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Cambiare le architetture scolastiche: e dopo?

Nel documento RicercAzione Volume 10 - Numero 1 (pagine 79-83)

Cambiare le architetture scolastiche: e dopo?

5. Cambiare le architetture scolastiche: e dopo?

Per entrare nel merito di ciò che accade dopo che gli “abitanti” hanno preso pos-sesso degli spazi di nuova progettazione o riorganizzati, dalle ricerche effettuate nelle scuole precedentemente presentate, sono emersi molti aspetti positivi ed alcune criti-cità che devono essere affrontate per poter fruire in modo completo, innovativo e

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guato dei nuovi ambienti di apprendimento.

Alcuni tratti caratteristici relativi alla nuova progettazione o nel caso del Fermi, alla nuo-va riorganizzazione, sono presenti in tutte le scuole.

Essendo le due scuole danesi una com-pletamente open space e l’altra con poche aule, gli insegnanti devono essere molto aperti e flessibili perché quello che fanno è vi-sibile a tutti, un aspetto importante dal punto di vista psicologico perché aiuta i docenti a sostenersi a vicenda e condividere le difficol-tà. I docenti hanno rilevano che l’architettura innovativa e le nuove tecnologie «nutrono la pedagogia» (Marcarini, 2016, p. 187), non esiste il lavoro singolo, ma una costante collaborazione, così diventa molto facile in-dividuare nuove strategie d’insegnamento diversificando le metodologie didattiche. Dal punto di vista didattico alla Hellerup sono molto attenti ai diversi stili di apprendimento degli studenti e nel loro progetto pedagogi-co “Det ny Springbræt – Il nuovo Trampoli-no” (2012), definiscono le linee che guidano l’azione didattica. I valori della scuola si ba-sano sulla visione del Municipio di Gentofte e condividono questa visione con le altre scuole della Municipalità, il motto è “Impara-re senza frontie“Impara-re” e il progetto pedagogico ha come punto di partenza tre dimensioni:

professionalità, comunità, prospettiva futura.

Il team dei docenti pianifica e progetta le at-tività per i gruppi di alunni, ma ciascun alun-no ha un proprio piaalun-no personalizzato, che viene discusso e condiviso con i genitori e con gli alunni, questo per renderli partecipi e responsabili del loro percorso formativo, c’è una forte sinergia e cooperazione tra la famiglia e la scuola. Vengono utilizzate diver-se metodologie, ponendo attenzione sia ai diversi stili di apprendimento degli studenti, sia al profilo delle intelligenze multiple di Gar-dner (1983).

Per quanto riguarda l’Ørestad i principali

8 Intervista al dirigente scolastico di allora, Prof.ssa Cristina Bonaglia.

valori di riferimento vengono espressi attra-verso l’apprendimento, l’apprezzamento e la creatività. Dal punto di vista dell’apprendi-mento l’obiettivo è di imparare il più possibile e la scuola stimola negli studenti la curiosità e il desiderio di imparare e anche la scuo-la stessa “sta imparando”, i docenti fissano sempre nuovi obiettivi da raggiungere, sui quali nasce una riflessione e una valutazione in merito ai risultati raggiunti ed alla necessità di cambiamenti e nuove sfide pensando in modo creativo e innovativo.

Agli studenti viene insegnato come par-tecipare ad una società in costante cambia-mento in cui la produzione di conoscenza e di esperienza gioca un ruolo fondamentale. I docenti sperimentano sempre nuove moda-lità didattiche ed organizzative e questo av-viene anche attraverso le nuove tecnologie.

L’insegnamento viene organizzato per brevi momenti nelle classi tradizionali, in assem-blea plenaria, con lavoro di gruppo, oppure individualmente ad esempio attraverso l’in-segnamento virtuale o anche attraverso casi reali in collaborazione con aziende e partner esterni.

All’Istituto Fermi, la nuova riorganizzazio-ne degli spazi di apprendimento con il pas-saggio dalle aule normali alle aule disciplinari

“leggibili” con la didattica DADA (Didattiche per Ambienti di apprendimento) ha obbligato i docenti a rivedere le loro modalità di inse-gnamento. La tradizionale didattica frontale si è ridotta e sono state introdotte nuove metodologie come Cooperative Learning, Debate e didattica EAS (Episodi di Appren-dimento Situati) (Rivoltella, 2016). L’uso delle nuove tecnologie ha permesso di portare «la scuola nelle camerette dei ragazzi»8. I do-centi hanno apprezzato la possibilità di avere una propria aula o, ove ciò non è possibile, di condividerla con il collega perché hanno tutto il loro materiale a disposizione senza doverlo spostare continuamente da un’aula

all’altra. L’aspetto negativo evidenziato dai docenti è che manca un po’ lo scambio in-formale con il collega della stessa classe, ma il vantaggio è comunque maggiore.

Le stesse ricadute sono state evidenziate dagli insegnanti della Mattarella; la possibi-lità di poter usufruire di spazi flessibili con-sente di variare il setting d’aula e di proporre diverse soluzioni e metodologie didattiche.

L’aula disciplinare con lo spazio leggibile, ca-ratterizza ciò che viene fatto al suo interno, indipendentemente dal docente che sta in-segnando in quel momento e anticipa ogni rappresentazione in forma intuitiva (Heideg-ger, 2000)

Nell’organizzazione degli spazi di appren-dimento e del lavoro didattico, si rintraccia la didattica dell’attivismo pedagogico di John Dewey, Maria Montessori, Roger Cousinet, Célestin Freinet e di Reggio Children, sup-portata dalle nuove tecnologie.

I docenti delle scuole, seppur con modali-tà diverse, collaborando strettamente, hanno messo a disposizione le proprie conoscenze e competenze per condividerle in una moda-lità di peer education tra i colleghi; in più ciò permette di condividere non solo i materiali prodotti, ma anche le strategie didattiche, la possibilità di personalizzare l’apprendimento e l’insegnamento e di condividere la fatica del lavoro.

Ciò ha sviluppato la “Cultura-Ponte” a diversi livelli, essenziale anche in fase di ve-rifica e valutazione degli apprendimenti per-ché nell’accertamento e certificazione delle competenze, vengono richieste una lettura e un’interpretazione che faccia riferimento ad una visione unitaria e interdisciplinare (San-drone, 2007). I docenti di tutte le scuole con-cordano nell’affermare che le nuove modalità didattiche hanno aumentato l’attenzione, la motivazione e l’interesse degli studenti con ricadute positive sull’apprendimento

(Bar-9 Intervista agli studenti della Hellerup Skole.

10 Intervista agli studenti dell’Ørestad Gymansium.

rett, et al. 2015) e sul loro comportamento e dal punto di vista della gestione disciplinare degli studenti.

Gli studenti con questa organizzazione degli spazi vengono responsabilizzati, alla Hellerup devono scegliere lo spazio che ri-tengono più adatto alle loro necessità di apprendimento: ci sono tre tipi di zone ros-sa, gialla e verde a seconda delle esigenze di ciascun allievo: lavoro individuale, lavoro per piccoli gruppi con l’insegnante, lavoro su tavoli grandi per discutere e poter stare in compagnia9.

Allo stesso modo al Fermi e alla Mattarel-la devono spostarsi da uno spazio all’altro, ciò permette l’autonomia nel loro percorso e l’assunzione della responsabilità che è l’o-rigine dell’azione (Bonhoeffer, 1969) e dà si-gnificato agli apprendimenti.

Gli studenti sono molto bravi ad interagire con l’ambiente, ad appropriarsi degli spazi, ad usare ogni angolo e a rendere la scuo-la un posto che sentono come scuo-la loro casa (Volpicelli, 1964). Si sentono molto liberi nel-la scelta dello spazio dove studiare e poter-si muovere e uno spazio aperto «amplia gli spazi della mente»10. C’è uno scambio fluido e informale tra docenti e studenti e si crea un’atmosfera di condivisione con una diffusa convivialità relazionale che fa sentire i mem-bri come parte di una comunità vera e pro-pria» (Fiorin, 2012)

In entrambe le due scuole danesi e nel-le due scuonel-le italiane gli studenti non sono considerati una massa omogenea, ma come persone singole, uniche e originali e questa visione rappresenta il pensiero del pedagogi-sta danese Nicolai F.S. Gruntvig (De Natale, 1980), di Maritain, Mounier e di altri studiosi del personalismo pedagogico.

Nelle due scuole italiane, gli studenti sono entusiasti perché lo spostamento da un’au-la all’altra al cambio dell’ora di lezione

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mette una pausa di “decompressione” ed hanno la possibilità di aumentare lo scambio relazionale e di socializzare maggiormente con studenti di altri corsi, hanno dichiarato di andare a scuola volentieri perché trovano un ambiente confortevole, familiare, dove stare tranquilli e imparare senza ansia e sen-za agitazione e uno spazio che li fa sentire a proprio agio e che è “il carburante della mo-tivazione”11.

Per insegnare in queste scuole, però, è indispensabile credere nel progetto pedago-gico e collaborare strettamente con i colleghi a più livelli in modo da poter “fare scuola in relazione”, per rompere la rigidità del gruppo classe che trova la sua espressione riduttiva nella linearità delle discipline che costringono a forme molto prescrittive di insegnamento e che limitano, ovviamente, la variabilità dei modelli didattici. Si può pensare, secondo Batenson (1990) ad una forma di “deutero apprendimento”, oppure di un apprendimen-to che organizza se stesso (Perticari, 2012).

Per raggiungere questo obiettivo i modelli organizzativi della scuola, le metodologie e la didattica che nel passato hanno sicuramente garantito una certa sicurezza, ora non sono più sostenibili perché per l’apprendimento è necessario che la scuola si reinventi e segua il linguaggio dei ragazzi che hanno stili di ap-prendimento diversi e che spesso si scontra-no con quello unidirezionale (Bruner, 1961) che viene utilizzato dall’insegnante, frequen-temente di tipo simbolico ricostruttivo, che spesso frena la curiosità degli studenti (Per-ticari, 2012).

Nelle scuole presentate, gli ambienti di apprendimento e le nuove tecnologie aiuta-no i docenti a modificare la didattica, ma aiuta-non sempre tutti gli insegnanti sfruttano le poten-zialità dei nuovi ambienti; può succedere, in-fatti, che per alcuni docenti dover utilizzare questi nuovi ambienti significa allontanarsi dalla certezza di pratiche consolidate (Imms,

11 Intervista agli studenti del Fermi.

2016). Questo passaggio è complesso per-ché non rappresenta un aggiustamento delle metodologie, ma una trasformazione totale che sfida ogni aspetto del sistema: dall’iden-tità ai ruoli che vengono giocati all’interno della scuola (Osborne, 2016), fino alla durata delle lezioni che sarebbero meno frazionate.

Tempo e spazio vanno di pari passo in mol-te circostanze e sono tra loro assimilati da espressioni come “misura”, “distanza”, in-tervallo” che vengono applicate ad entrambi (Minkowski, 2004), per questa ragione mo-dificando gli spazi diventa quasi necessario modificare le ore di lezione, accorpandole.

Molti studiosi (Heifetz & Laurie, 1977;

Waters et al., 2003) riferiscono di due tipi di cambiamento che avvengono: tecnico (o incrementale) e adattivo (o trasformativo). Il primo si colloca all’interno dei paradigmi del passato ed è coerente con le norme e i valori prevalenti, il cambiamento adattivo, invece, rappresenta una rottura rispetto al passato, si colloca al di fuori dei paradigmi esistenti, si scontra con i valori prevalenti e richiede nuove conoscenze e abilità da implementa-re (Waters et al., 2003) per l’utilizzo di stru-menti tecnologici e delle nuove metodologie.

Per molti insegnanti immersi nella tradizione della «single cell» (Osborne, 2016, p. 37), il passaggio ai moderni ambienti di apprendi-mento rappresenta un “cambiaapprendi-mento adatti-vo”, molto difficile e che richiede impegno e fatica. Per questo non sempre gli insegnati riescono a staccarsi da prassi consolidate, in particolare dalla sola lezione frontale dispo-nendo i banchi per file parallele, pur avendo a disposizione ambienti, arredi e tecnologie innovative.

Dato che è necessario un supporto a seconda che il cambiamento sia tecnico o adattivo (Waters et al., 2003) e che lo stesso cambiamento deve essere sperimentato da persone diverse all’interno di una scuola con modalità differenti, è importante chiedersi

quali tipi di supporto siano necessari per im-plementare il cambiamento con successo.

Un’ulteriore complicazione è che il cambia-mento può portare gli insegnanti a sentirsi minacciati perché le abilità e le competenze che utilizzavano potrebbero non essere al-trettanto importanti o apprezzate nei nuovi ambienti di apprendimento (Heifetz et al.

2009).

Per guidare il cambiamento è fondamen-tale far sentire, comunque, l’apprezzamento perché anche se la trasformazione è favorita dai nuovi ambienti di apprendimento, questo non garantisce che gli insegnanti si impe-gneranno pienamente a modificare il proprio stile di insegnamento se si sentono poco ap-prezzati (Osborne, 2016).

6. Costruire la “preparazione al

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