Cambiare le architetture scolastiche: e dopo?
4. La necessità di “un’architettura educatrice” (Rogers, 1962): alcuni
esempi
Come ci ricorda Rogers, una pedagogia progressiva richiede una “architettura edu-catrice”, in cui si evidenziano alcuni
con-cetti fondamentali che fanno riferimento alla struttura fisica del luogo in esame, agli og-getti che lo compongono e alle azioni che abitualmente si svolgono e a quelle che si vorrebbe vi si svolgessero e che dovrebbero guidare la progettazione e/o riorganizzazio-ne degli spazi scolastici: la leggibilità (Lynch, 2006; Kaplan, 19871) per cui attraverso al-cuni elementi presenti nello spazio, oggetti e informazioni, l’allievo può prevedere e com-prendere quali attività si svolgono, la seman-totopica (Franceschini & Piaggesi, 2000) che disegna gli spazi come se fossero un testo scritto, in modo che ci sia una lettura uni-voca di ciò che l’ambiente vuole trasmette-re, l’affordance (Gibson, 1999) degli oggetti che invitano l’allievo a svolgere certe azioni e la pedagogia invisibile (Bernstein, 1979) o latente (Bondioli, 2008), dove l’organizzazio-ne ambientale agisce in maniera occulta, ed è passivamente accettata, subita e allestita inconsapevolmente anche da parte degli in-segnanti.
I tre elementi: struttura, oggetti e azioni devono essere in relazione interattiva e co-ordinata tra loro, ciò significa che gli stimo-li ambientastimo-li vengono codificati e tradotti in azioni potenziali. Gran parte della conoscen-za concettuale è neurologicamente mappa-ta nel sistema senso-motorio che controlla tutti i movimenti consapevoli e tiene traccia delle sensazioni corporee, per questa ra-gione l’ambiente in cui abitiamo è il “mondo della vita” a cui si riferiva Husserl (1983, pp.
152-154), in quanto diventa campo enattivo delle nostre esperienze reali e simulate e la nostra coscienza è definita corporalmente dalle nostre risposte spaziali o situazionali alle interazioni che si hanno con l’ambiente circostante (Mallgrave, 2015). Ciò significa che gli architetti, nella progettazione di un ambiente, devono tener conto della “pro-spettiva dell’abitare” (Ingold, 2000, p. 5) in cui in ciascun individuo non è un soggetto passivo, ma “persona-organismo” nata con certe abilità all’interno di un sistema di
rela-zioni sociali che si evolvono attraverso pro-cessi di sviluppo localizzati nell’ambiente.
Ma che cosa accade nei nuovi edifici sco-lastici o in quelli in cui sono stati riorganizzati e ristrutturati gli spazi? Quali ricadute ci sono state sugli insegnanti e sugli studenti? Alcuni esempi possono aiutare a comprenderne le ricadute3.
Verranno presentate quattro scuole, due in Danimarca e due in Italia, che seppur non comparabili per le differenze di contesto cul-turale, storico e sociale tra i due paesi, han-no fatto emergere tematiche e suggestioni molto simili attraverso la progettazione e/o riorganizzazione degli spazi.
Le scuole prese in esame in Danimarca sono state la Hellerup Skole, per bambini e ragazzi da 7 ai 15 anni d’età, a Gentofte, un comune nella zona a Nord di Copenhagen e l’Ørestad Gymnasium, un istituto superiore per ragazzi dai 17 ai 19 anni d’età, situato a Ørestad, il nuovo quartiere di sperimentazio-ne architettonica a Sud di Copenhagen e, in Italia, l’Istituto Enrico Fermi di Mantova, dove sono presenti l’Istituto Tecnico Settore Tec-nologico e il Liceo Scientifico delle Scienze Applicate e l’IC3 Mattarella di Modena, una scuola secondaria di primo grado.
. Con il programma SKUB (The School of the Future), sviluppato a Gentofte, è stata inaugurata nel 2002 la Hellerup Folkeskole.
Il modello SKUB è stato un programma li-mitato, ma significativo perché ha creato un trend a livello europeo, proponendo una nuova visione di scuola (Juelkjær, 2012).
La progettazione dell’edificio è partita da una visione pedagogica in un percorso progettuale inclusivo e con una forte colla-borazione che ha coinvolto tutta la comunità (Woolner, 2010, 2015). È una scuola innova-tiva totalmente priva di aule e, nonostante, ci
3 Gli esempi riguardanti l’Hellerup Skole di Gentofte, l’Ørestad Gymnasium di Copenhagen e l’Istituto Enrico Fermi di Mantova, fanno parte di una ricerca presentata nel volume “Pedarchitettura. Linee storiche ed esempi attuali in Italia e in Europa” Studium, Roma 2016, mentre per l’IC3 Mattarella di Modena, si tratta di una ricerca ancora in corso.
siano 650 studenti tra i 6 e i 15 anni, l’am-biente è ovattato, la luminosità che proviene dal lucernario del soffitto crea un’atmosfera piacevole, il rumore è soffuso, la dimensione è familiare e non c’è la campanella.
La scuola è organizzata come se ci fos-sero al suo interno tante piccole scuole. Si sviluppa su tre piani e gli allievi sono distri-buiti in funzione dell’età. Cuore dell’edificio e centro pulsante della scuola è la grande scala centrale, che mette in comunicazione tutti gli spazi, è il simbolo della scuola e rap-presenta a livello spaziale, la “metafora del-la vita” (AA.VV., 2012). All’ingresso colpisce subito la presenza di una grande quantità di scarpe, infatti, allievi e insegnanti, ma anche genitori, appena entrano a scuola si tolgono le scarpe, come se fosse la loro casa (Volpi-celli, 1964).
La vita quotidiana degli alunni avviene in nove aree, chiamate Home Areas, ognuna con una propria cucina dotata di tavoli, sedie e angolo relax, che si diramano dalla sca-la centrale. All’interno di queste zone sono posizionate strutture mobili esagonali di due metri quadrati, chiamate Home Base, dove avvengono i momenti di insegnamento.
Hanno sedute su cui gli studenti ascoltano le spiegazioni degli insegnanti della durata di circa venti minuti poi, per svolgere le eserci-tazioni, si accomodano dove meglio preferi-scono, seduti ai tavolini o sui divani nelle aree relax, sdraiati sul pavimento, o su gradoni di forma esagonale oppure anche all’interno delle strutture mobili. Gli spazi aiutano alla diversificazione e le varie aree costituisco-no un paesaggio composto da scale, ponti, balconi, piattaforme dove gli studenti posso-no muoversi, sedersi a studiare o a giocare (Khün, 2011).
Sulla scia della nuova visione
dell’organiz-RICERCAZIONE - Vol. 10, n. 1 - June 2018 | 77
zazione degli spazi negli edifici scolastici che si è andato consolidando, visti anche i risul-tati ottenuti, è stato costruito l’Ørestad Gy-mansium, terminato nel 2007. È una scuola pubblica, frequentata da circa 1200 studenti, con un’architettura dagli interni spettacolare, che offre percorsi nell’ambito delle Scienze naturali, sociali e umanistiche e viene defi-nita come “One room-one school” perché è un unico grande ambiente. La scuola è stata costruita sulla base di uno specifico progetto pedagogico che prevede l’utilizzo della multimedialità e delle nuove tecnologie, l’organizzazione dello spazio influenza forte-mente l’ambiente d’insegnamento e di ap-prendimento e l’organizzazione degli spazi scolastici. Il progetto pedagogico della scuo-la prevede una sinergia interdisciplinare con l’utilizzo di tecnologie informatiche ed è una scuola paper free: tutto il materiale didattico è digitale.
Il nucleo centrale della scuola è rappre-sentato, anche in questo caso, da una gran-de scala a spirale in legno chiaro che sale ai piani superiori. È uno spazio di relazione, luogo d’incontro e di socializzazione, dal-la scadal-la partono i percorsi che portano agli spazi di apprendimento e di relax con grandi cuscini, dove poter stare seduti a chiacchie-rare o a studiare.
Le aule sono in numero inferiore in rela-zione al numero degli studenti perché le le-zioni nelle aule hanno una durata limitata, e vi sono diverse possibili organizzazioni spaziali:
lo spazio aperto per il lavoro individuale con i computer, meeting room in cui gli studenti lavorano in team monitorati dagli insegnanti, l’aula con pareti di vetro in cui gli studenti assistono ad una breve lezione frontale, le aree aperte che possono essere trasformate
4 Nel progetto ‘TEAL’, Il prof. John Belcher ha collaborato con Peter Dourmashkin e David Litster per rinnovare l’insegnamento della Fisica agli studenti del primo anno al MIT con un nuovo mix di pedagogia, tecnologia e design in aula.http://web.mit.edu/edtech/casestudies/teal.html, visitato il 07.05.2018.
5 IGroup Collaboration Furniture, sul sito: http://www.smartdesks.com/igroup-collaboration-furniture-smart-desks.asp visitato il 10.12.18.
in grandi spazi dove ad esempio tre docenti possono lavorare con circa novanta studenti a piccoli gruppi oppure anche lezioni one-to-one e una grande sala che può contenere un numero molto elevato di studenti. Inoltre, è possibile “fare scuola fuori dalla scuola”, attraverso l’insegnamento virtuale o anche mediante casi reali proposti agli studenti in collaborazione con aziende e partner esterni.
La caratteristica dell’Ørestad è di essere un “exploratorium” e gli insegnanti elabora-no costantemente nuovi modi di insegnare e gli studenti sono molto bravi ad appropriarsi degli spazi, ma come spiegano gli studenti, non si tratta solo di considerare spazi fisici, ma anche spazi nella propria mente, perché ci sono spazi e aule adatte a modi di pensare diversi.
Per quanto riguarda l’Italia, all’Istituto En-rico Fermi di Mantova, sono state apportate alcune modifiche strutturali e organizzative, in seguito alle nuove necessità didattiche, partendo dalla “dematerializzazione” di tutti i documenti cartacei: registri, libretto dello studente, comunicazioni sia interne sia tra scuola e famiglie, ecc. e dalla creazione di una piattaforma digitale su cui sono stati trasferiti; la digitalizzazione ha permesso l’in-troduzione di nuove tecnologie informatiche per innovare la didattica.
Sono stati creati nuovi “spazi per l’ap-prendimento”: le aule ‘TEAL’ (Technology Enabled Active Learning)4, con un tavolo tou-ch screen utilizzato dai docenti, una serie di lavagne interattive alle pareti in collegamento tra loro e con i tablet degli allievi e i tavoli “ori-gami”5 mobili e ricombinabili (Calvani, 2001) che permettono di organizzare l’ambiente di apprendimento a “geometria variabile” (Ferri, 2013). Successivamente è stata realizzata
“l’aula Debate” e alcuni spazi informali per il relax e lo studio individuale. Con l’asse-gnazione delle aule ai docenti, c’è stata la possibilità, insieme agli studenti che ruota-vano sull’aula, di personalizzarle, abbellirle e renderle leggibili. I docenti hanno modificato molto la loro didattica e utilizzano l’apprendi-mento attivo che li rende consapevoli prota-gonisti e responsabili del loro percorso.
Come ultimo esempio, in questo itinerario alla scoperta dei principi che ispirano l’inno-vazione didattica e architettonica, l’Istituto IC3 Mattarella di Modena6, anche se inaugu-rata nel mese di settembre 2016, il progetto risale a parecchi anni prima perché l’edificio avrebbe dovuto essere destinato ad una scuola primaria, successivamente i bisogni del quartiere in cui era inserito sono cambia-ti ed è stato necessario rivedere il progetto.
Da un gruppo di docenti è stata proposta una revisione del progetto secondo un’idea pedagogica ben precisa che ha previsto la realizzazione di aule disciplinari assegnate ai docenti, alcune delle quali hanno al loro interno hanno uno spazio definito “l’isola che c’è”, che può essere pensata come una breakout area (Nair & Fielding, 2005) con un angolo morbido che dà la possibilità di usu-fruirne nei momenti di studio individuale o quando si ha l’esigenza di lavorare in picco-lissimo gruppo o tra pari. La partecipazione alla progettazione porta una condivisione del significato degli spazi e una “consapevolez-za ambientale”, ciò consente un uso miglio-re degli spazi (Dudek, 2000); Horne-Martin (2002, 2006) auspica che quest’aspetto do-vrebbe far parte della formazione degli inse-gnanti.
All’interno del progetto pedagogico rive-stono un ruolo importante gli armadietti per-sonali degli studenti perché stimola la loro autonomia li rende responsabili7, essendo
6 Interviste effettuate alla prof.ssa Cecilia Rivalenti punto di riferimento del progetto pedagogico della scuola e ad altri docenti della scuola.
7 Intervista agli studenti della Mattarella.
obbligati a pianificare l’organizzazione dei loro materiali didattici in funzione delle ore di lezione: al mattino quando arrivano a scuola, all’intervallo e al termine delle lezioni. Secon-do Romanini (1962), “l’armadietto individuale didattico” deve essere comodo e “invitante”.
Romanini richiamava per l’edilizia della scuo-la moderna il concetto di “invito”, “suggestio-ne”, “suggerimento”, simile all’affordance di Gibson (1999). Gli armadietti rappresentano anche un “luogo” di incontro, scambio e so-cializzazione, oltre che uno spazio simbolico privilegiato anche dal punto di vista affettivo, un piccolo spazio che può diventare gran-dissimo in relazione al soggetto che lo esplo-ra e che lo “vive”, una specie di nido che si associa immediatamente all’immagine della casa (Bachelard, 1957), spazio intimo e spa-zio vitale (Lewin, 1961), non neutro, ma esi-stenzialmente connotato (Iori 1996), dove, dietro la visione obiettiva, c’è la dimensione dell’immaginario (Moles & Rohmer, 1982).
In sostanza le scuole presentate, sono molto lontane da un determinismo funziona-le che identifica la maggioranza delfunziona-le scuofunziona-le costruite nel passato e consentono ai desti-natari dell’edificio di appropriarsi degli spazi, in modo che cambi il loro ruolo da “utenti” ad
“abitanti” (Faiferri, 2012).
5. Cambiare le architetture