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4. I risultati della ricerca

4.2 Capacità di agency e pratiche antidiscriminatorie

La maggior parte degli intervistati, rispondendo al quesito successivo, ha infatti affermato che è stato osservato, da parte loro o degli ospiti, difficoltà nell'accesso ai servizi / nello svolgimento di pratiche a causa del fatto che il servizio a cui si erano rivolti era impreparato a rispondere ad un'utenza straniera. Se sei operatori riportano di aver osservato nell’ultimo anno questa criticità raramente e quattro almeno una volta, significativo è come ventisei di loro riportano di aver notato questo aspetto frequentemente e come nessuno degli intervistati

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L'équipe in cui lavoro/ho lavorato ha valutato opportuno accompagnare un ospite presso un servizio

al fine di facilitare il raggiungimento di un obiettivo prefissato (svolgimento di pratiche legali o

burocratiche, visite mediche..)

E' stato necessario un mio intervento, a fronte di un ostacolo, per permettere ad un ospite di raggiungere

l'obiettivo prefissato presso un servizio/ente Grafico 4.3 Risposte al quesito: "qual è la frequenza con cui, nell'ultimo anno, si sono verificate le seguenti situazioni? "(Numero di intervistati per risposta espressa)

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afferma, al contrario, che mai è stato percepita questa criticità.

Tale aspetto è emerso anche nel corso delle due interviste. Anche l’intervistata n˚ 1 ha confermato, infatti, che nella propria équipe la decisione di accompagnare le persone ai servizi viene spesso assunta, scelta che racconta essere da un lato una richiesta molto sollecitata dai beneficiari dei progetti e dall’altra lato legata al sistema dei servizi:

Oggettivamente poi, parliamoci chiaro, fare l'accompagnamento è vero, come dire, devi andare tu insieme all'ospite, lo devi accompagnare, sembra che perdi più tempo, però poi oggettivamente l’obiettivo lo raggiungi e il rischio è che se ci va da solo ci devi ritornare comunque poi una seconda volta e quindi, cioè, insomma, alla fine è un po' era una situazione di comodo anche per l’operatore. (…)

noi abbiamo avuto problemi anche con medici di base, tanti accoglienti ma altrettanto tanti che ci chiedevano “li dovete accompagnare voi” perché altrimenti non lo vedo. Si la loro percezione [dei beneficiari], ma sicuramente anche dall'altra parte è un sistema che non favorisce, non si applica nemmeno a volersi mettere lì… È vero, magari non ti parlerà benissimo italiano, ma come noi mettiamo lì e diciamo “Aspetta, fammi capire, ripeti” quella che sta dietro allo sportello con vetro ma figurati se si mette lì con la fila che c’é.

Inoltre, l’intervistata n˚ 1, raccontando del proprio lavoro di costruzione di reti sul territorio dove era presente il centro di accoglienza dove lavorava, riporta come:

per esempio i CPS, i SERT ci dicevano che la [loro] lacuna è quella di non avere esperienza in campo di immigrazione, cioè sì di rumeni, albanesi ma non di migrazioni dove c'è anche un passaggio in Libia ecco (…) Sull’immigrazione assolutamente no [non sono preparati], nell’hinterland milanese i CPS, i SERT, i NOA completamente zero esperienza in etnopsichiatria….questo dicevamo “caspita eh” …ci chiedevano loro a volte a noi “ah ma se volete ci venite a fare formazione”.

Anche l’intervistata n˚ 2 condivide tale sguardo e, con un esempio, prova a spiegare come la presenza degli operatori sia necessaria anche per porre attenzione su alcuni aspetti, altrimenti dati per scontati, ma che di fatto possono mettere in difficoltà il beneficiario:

C'è anche un modo di lavorare nei servizi che deve essere, come dire, attenzionato anche in tutti quegli operatori e operatrici che invece un'attenzione ce l'hanno. Ti faccio un esempio brevissimo che riguarda la mia vita privata. Io sono tutrice di un minore straniero non accompagnato: è un sedicenne pakistano che è partito a 14 anni e arrivato

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a 15. Il mio ragazzino deve fare le vaccinazioni chiaramente adesso, la sua storia sanitaria nessuno la conosce, non ha mai fatto nessun tipo di vaccinazione. (…) Allora l'ho accompagnato e la prima volta che abbiamo fatto la vaccinazione - lui era arrivato da 5 mesi in Italia - non è che capisse. Gli fanno le vaccinazioni e alla fine delle vaccinazioni - in un posto molto accogliente, con queste dottoresse, infermieri, assistenti sanitarie che chiaramente facendo vaccinazioni lavorano con i bambini e hanno questo approccio comunque molto accogliente...quindi ci accolgono appunto in maniera accogliente, tutti gentili…- dopo che gli hanno fatto queste quattro punture l'assistente sanitaria gli dice a cosa deve stare attento dopo le vaccinazioni, quindi quali sono i sintomi che deve attenzionare, che cosa deve succedere, che cosa deve fare e gli spiega una serie di cose in maniera velocissima ma perché quello era il suo modo di parlare e con tutta una serie di termini tecnici. Per cui alla fine di questa roba lui, seduto sul lettino, mi ha guardato con gli occhi di un gatto in autostrada perché non ha capito niente. Gli ho detto “guarda, anch'io ho capito la metà delle cose, adesso ci facciamo spiegare un po' più lentamente così io le capisco, perché ha usato un linguaggio tecnico, e poi te le dico”. Allora questa donna, bravissima, parlava in quel modo con qualsiasi genitore passasse di lì, quindi non solo con me e il mio ragazzino, quello era il suo modo di spiegare. Allora come puoi andare a parlare in quel modo spiegando delle cose tecniche, no?

Sempre l’intervistata n˚ 2, inoltre, offre una lettura interessante di tale situazione, allargando la cornice ad un pensiero di politica sociale più ampio:

Sicuramente dal punto di vista delle migrazioni e dei migranti quello che è tanto fragile ancora è il non capire o il non avere un pensiero rispetto al tema dell'inclusione dei migranti ma inclusione dei migranti vuol dire, non che li ghettizzo o creo delle condizioni privilegiate perché sei migrante, ma come ad esempio i servizi di welfare sono o diventano capaci di approcciarsi con una persona che ha un aspetto culturale una concezione culturale della cura, della salute dei diritti, della casa, del lavoro, del genere diversa dalla nostra. Allora per un assistente sociale che sta in un servizio pubblico è importante capire che se ti rapporti con una donna rom o con una donna egiziana non è la stessa cosa che rapportarsi con una donna italiana… questo non solo le assistenti sociali o il singolo educatore ma è un tema di politica dei servizi e di cultura dei servizi che quindi afferisce a chi impronta la gestione e le risposte che danno il servizio dal punto di vista operativo, quindi tecnici, i dirigenti dei servizi sociali o delle Aziende Ospedaliere o gli assessori o i direttori delle aziende sanitarie che dovrebbero avere in mente delle linee di questo tipo.

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Oltre all’impreparazione dei servizi, ciò che il questionario restituisce è anche la diffusione di un certo razzismo, che sembra essere oggi un aspetto trasversale alle diverse aree geografiche rappresentate nella ricerca. Come riportato nel grafico 4.4 alla pagina seguente, solo due operatori, infatti, hanno negano che nell’ultimo anno i beneficiari dei loro progetti abbiano mai riportato loro di essere stati protagonisti di episodi di razzismo durante l'accesso ad altri servizi; gli altri operatori, invece, affermano di essere venuti a conoscenza di questi episodi frequentemente (dodici operatori), raramente (dodici) o almeno una volta (dieci).

Benché, dunque, questi due aspetti non possono certamente essere considerati esaustivi circa le difficoltà che ostacolano gli utenti stranieri ad accedere in autonomia ai servizi (possiamo, infatti, presupporre anche la presenza della barriera linguistica e di altri aspetti che questa ricerca ha però tralasciato non essendo questo il focus del lavoro), ci restituiscono però sicuramente una prima immagine di quello che gli operatori dell’accoglienza osservano dalla loro posizione, ovvero quella di servizi oggi presenti sul territorio che non sono stati in grado di adattarsi ai cambiamenti demografici e culturali che il nostro paese attraversa ormai da anni e che, al contrario, sembrano oggi riflettere quella crescita razzista di cui si è ampiamente discusso nelle pagine precedenti del presente elaborato. Alla luce di questo, e sempre a partire dalla percezione degli operatori, sembra quindi oggi essere di primaria importanza la presenza di un operatore per facilitare il superamento di ostacoli e barriere.

Sempre rimandando all’esperienza dei singoli operatori si è cercato di approfondire se, durante gli accompagnamenti presso vari enti e servizi sul territorio, fosse mai capitato loro di assistere in prima persona a commenti o atteggiamenti negativi nei confronti degli utenti che accompagnavano. Anche il risultato a questa domanda, riportato nel grafico 4.5, appare particolarmente significativo: tra gli operatori sociali solo uno di essi ha dichiarato che tali episodi non si sono mai verificati. Accanto a lui, altre due figure, quella amministrativa e quella della psicologa dichiarano di non aver mai assistito a tale evento. Le risposte degli altri intervistati raccontano, invece, una realtà ben diversa: il 94% degli altri operatori, infatti, riporta avvenimenti di questo tipo. Tra questi, quasi il 30% afferma che avvengono frequentemente; la restante percentuale, invece, che si verificano ma in rare occasioni. Ma quale atteggiamento gli operatori dell’accoglienza adottano in queste situazioni? Riescono ad essere “soggetto attivo che interviene costantemente nel corso degli eventi in corso intorno a sé” (Barnes in: Jeffery, 2011, 6) e ad influenzare gli eventi intorno a loro?

Per cercare di approfondire la capacità degli operatori di agency degli operatori, è stato richiesto allora di riportare quale comportamento avessero adottato nell’eventualità che abbiano assistito ad atteggiamenti negativi nei confronti degli utenti, permettendo loro di

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scegliere tra alcune opzioni già codificate di risposta ma lasciando comunque la possibilità di descrivere un eventuale loro altro atteggiamento. Tra coloro che hanno riportato di assistere ad atteggiamenti negativi nei confronti degli utenti che accompagnano alla fruizione dei diversi servizi, solo tre hanno individuato, tra le possibili opzioni offerte, che, sentendosi a disagio, non sono intervenuti; altri cinque hanno riportato che hanno cercato di spostare l’attenzione su altro mentre una figura educativa ha riportato di aver sollecitato il personale a compiere il proprio dovere “com’è tenuto a fare”. Se la maggioranza, invece, ha dichiarato di essere intervenuta, la maggior parte tra questi ha comunque ammesso di aver condiviso un sentimento di forte disagio per la situazione.

La capacità di azione degli operatori sembra quindi aver trovato anche in queste situazioni uno spazio per esprimersi. Allo stesso modo, significativo è come gli operatori riportino anche la frequenza, con cui, si sono trovati a discutere con gli operatori dei servizi dell’immagini dei migranti (grafico 4.6), dato che sembra dimostrare ancora una volta come l’interazione con altri sia di fatto uno spazio di azione per veicolare la realtà del fenomeno.

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Gli ospiti hanno riportato di essere stati protagonisti di episodi di razzismo durante

l'accesso ad un servizio Grafico 4.4 Risposte al quesito: "qual è la frequenza con cui, nell'ultimo anno si sono verificate le seguenti situazioni?" (Numero di intervistati per risposta espressa)

Frequentemente Raramente Almeno una volta Mai

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Grafico 4.5 Risposte al quesito: "durante gli accompagnamenti presso vari enti e servizi sul territorio, ti è mai capitato di assistente a commenti o atteggiamenti negativi nei confronti degli utenti che accompagnavi da parte del personale preposto al servizio?"

Si, spesso

Si, ma solo in rare occasioni No, mai

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