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4. I risultati della ricerca

4.6 Dalle ipotesi di ricerca ai risultati

Come definito inizialmente, questa ricerca si è posta l’obiettivo di approfondire il lavoro dell’accoglienza cercando di restituire la percezione degli stessi operatori rispetto al ruolo di agency da loro svolto.

In relazione agli obiettivi della ricerca, possiamo innanzitutto osservare come gli stessi operatori attribuiscano, quasi all’unanimità, una grande importanza al proprio lavoro in relazione ai percorsi di accoglienza individuale, riconoscendosi un ruolo di azione chiave nel momento in cui i beneficiari dei progetti in cui lavorano necessitano di rivolgersi ad altri servizi territoriali. Non solo le équipe valutano spesso opportuno accompagnare i beneficiari presso altri servizi, ma la grande maggioranza degli operatori percepisce che il proprio intervento si configura come risolutivo in queste situazioni, aspetti che possono essere legati anche con il fatto che gli stessi riconoscono oggi i servizi come generalmente impreparati a risponde ad un’utenza migrante, aspetto confermato anche nel corso delle interviste, e come luogo spesso di discriminazione e di episodi di razzismo per i beneficiari dei progetti. Come emerge dalle risposte, non solo nel contatto con gli altri servizi gli operatori hanno riportato, frequentemente o più raramente, che tale occasione rappresenta un luogo per negoziare l’immagine dei migranti ma anche una certa necessità di intervento per far fronte a situazioni di discriminazione e razzismo.

Attraverso le due interviste, il ruolo di agency degli operatori è stato poi ulteriormente approfondito, andando a delineare come siano state realizzate fino ad oggi azioni rivolte a quella dimensione più collettiva e politica riconosciuta da molti studiosi come uno dei tratti principali del lavoro sociale. Le interviste, inoltre, confermano, come ipotizzato, che c’è ancora qualcosa in più su cui come operatori del sociale e dell’accoglienza sarebbe opportuno lavorare per poter implementare meglio la propria capacità di agency.

In secondo luogo, la ricerca si interrogava anche se, nel corso delle interazioni con i vari servizi e enti, fosse emersa la presenza di qualche forma di discriminazione non solo nei confronti degli utenti ma anche nei confronti degli stessi operatori: è possibile affermare che anche tale ipotesi è stata confermata sebbene, essendo questa l’esperienza di circa metà degli intervistati, non appare oggi così estremamente diffusa. Il questionario evidenzia, infatti, come, anche se non frequentemente e solo per la metà degli intervistati, siano stati percepiti commenti e atteggiamenti negativi nei confronti di sé proprio da parte del personale di diversi servizi: l’essere trattati con sufficienza, l’essere accusati di essere degli “scellerati”, il sentire ridere della propria organizzazione sono solo alcuni degli esempi raccolti dal questionario. Analogamente, anche l’ipotesi di un clima maggiormente ostile nei confronti degli operatori

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a partire dal contesto socio – politico è stata parzialmente riconosciuta: ancora una volta, infatti, solo circa la metà degli operatori ritiene che ci possa essere un legame tra questi due aspetti.

Infine, in relazione all’ultimo obiettivo di ricerca, possiamo osservare che il ruolo di agency riconosciuto dagli operatori stessi si contrappone di fatto con le conseguenze in termini di occupazione per gli operatori dell’accoglienza (già concretizzate o ipotizzabili nei mesi successivi alla ricerca) legati all’introduzione del Decreto Salvini: se da un lato, è emerso da parte degli operatori il riconoscimento del proprio ruolo e di possibilità di azione ancora da implementare o migliorare, dall’altro tali prospettive sono di fatto oggi ridotte in seguito alla chiusura di molti centri di accoglienza e al ridimensionamento o cambiamento delle posizioni lavorative occupate dagli stessi.

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Conclusioni

I primi capitoli dell’elaborato hanno permesso di mettere in luce il quadro di osservazione in cui si situa oggi il lavoro sociale dell’accoglienza.

L’analisi del contesto normativo, relativa alla protezione internazionale e alla procedura per il riconoscimento, hanno evidenziato come il diritto italiano in tema di immigrazione abbia conosciuto negli ultimi anni continue modifiche che sempre di più sembrano allontanarsi dai principi sanciti dalle convenzioni internazionali. Allo stesso modo, la gestione del sistema di accoglienza, la sua evoluzione e la relativa recente contrazione dei finanziamenti e della normativa mettono sempre più in luce quello scarto tra gli obiettivi dichiarati, ovvero quello di favorire i percorsi di inclusione, e le modalità di gestione dell’intero sistema, specchio della profonda contraddizione in cui il lavoro con le persone immigrate si situa: “da un lato, il servizio sociale ha un mandato universalistico e antidiscriminatorio dall’altro il servizio sociale, inteso come espressione del welfare state, non necessariamente” (Barberis, Boccagni, 85).

È in questa incongruenza che si gioca il ruolo degli operatori dell’accoglienza, autori di un lavoro sociale che, come ben evidenziato dagli studiosi, non può prescindere dal riconoscere le proprie basi nel contesto socio – culturale e temporale di una determinata comunità, a cui rimane poi inevitabilmente legato. Non solo gli operatori sociali sono dei policy maker de facto in quanto il margine di discrezionalità di cui godono nelle loro scelte professionali di fatto influenzano l’accesso e l’erogazione dei servizi di welfare, ma “assumono, a livello individuale o corporativo, un ruolo più o meno incisivo nel dibattito pubblico sull’immigrazione, che richiama questioni – come l’accesso ai diritti sociali, l’uguaglianza e l’inclusione sociali – centrali per il mandato deontologico delle professioni sociali” (Barberis e Boccagni, 2017, 156) e possono quindi essere soggetti attivi che “influenzano gli eventi intorno a sé” e che “possono cambiare la struttura della società” (Barnes in: Jeffery, 2011, 6). Sebbene gli studi di servizio sociale testimoniano come gli operatori sociali privilegiano la relazione d’aiuto con i singoli utenti, faticando invece a riconoscere al proprio lavoro una dimensione maggiormente comunitaria e connotata politicamente, come professionisti è necessario rimanere consapevoli del contributo che il servizio sociale in ogni ambito può portare alle politiche sociali e alla comunità in generale per cogliere tutte le potenzialità del lavoro stesso.

È innanzitutto su questi temi che il questionario e le interviste si sono concentrate, portando così alla registrazione di alcune esperienze e alla raccolta di opinioni che hanno permesso di

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mettere in evidenza quali sono oggi secondo gli operatori gli spazi di azione possibile ma restituendo anche come i più recenti cambiamenti normativi abbiano in qualche modo fermato o rallentato l’agire possibile.

Innanzitutto, l’analisi dei questionari ha complessivamente restituito la percezione degli operatori di un lavoro sociale di accoglienza considerato importante e facilitante per i processi di inclusione dei singoli beneficiari e, attraverso le risposte, ha confermato proprio il ruolo chiave giocato in questi percorsi nella relazione con la realtà esterna all’accoglienza, aspetto che rimanda ad un riconoscimento del legame tra il servizio sociale e una sfera sociale più ampia. Le due interviste successive hanno poi esplicitato la consapevolezza di una dimensione politica nel lavoro dell’accoglienza, un aspetto che secondo le stesse è traducibile anche nella pratica quotidiana in diverse dimensioni dell’agire professionale.

Uno degli elementi riconosciuti dalle intervistate, già individuato da Jeffery come espressione della capacità di agency nel sociale, è sicuramente quel ruolo di advocacy che il servizio sociale può esercitare. Il concetto di advocacy, ovvero il “farsi voce” di coloro che vivono una situazione di marginalità, come riportato nel Dizionario di Servizio Sociale, è un termine che di fatto sembra sempre più emergere nel lessico delle organizzazioni che lavorano per la tutela e la promozione dei diritti; in particolare, si sottolinea questo ruolo nell’ambito della tutela dei minori mentre, nel Dizionario, non sembra ad oggi essere riportata una specificità rispetto al lavoro con le persone immigrate.

Dall’altro lato, dalle interviste è emerso un’altra possibilità di azione che, per certi versi, sembra contrapporsi all’idea di advocacy ma che di fatto ne è complementare, ovvero quella di lavorare per accompagnare il beneficiario stesso in un percorso di crescita di consapevolezza rispetto ai propri diritti e doveri, strada che se da un lato nell’accoglienza con le persone immigrate deve partire dalla conoscenza della provenienza culturale dei beneficiari, dall’altro deve tenere in conto di lavorare anche con le istanze di rivendicazione, atteggiamento che entrambe le intervistate hanno riportato come spesso presente nei comportamenti delle persone con cui lavorano. È significativo ricordare che questo lavoro verso la creazione di una coscienza di diritti e doveri è esplicitato nel Codice Deontologico degli assistenti sociali, all’interno del Capo III dedicato proprio alle responsabilità del professionista nei confronti della società. Il secondo punto del paragrafo recita, infatti, che “l’assistente sociale deve contribuire a sviluppare negli utenti e nei clienti la conoscenza e l’esercizio dei propri diritti - doveri nell’ambito della collettività”.

Un terzo spazio di azione individuato dalle intervistate è quello di un servizio sociale di comunità, ovvero di uno spazio di lavoro che esca dalla relazione con il singolo utente per

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rivolgersi direttamente all’esterno, una strategia per indurre una maggiore partecipazione e promuovere processi di conoscenza e di responsabilizzazione della collettività. Le esperienze delle intervistate testimoniano l’importanza e i riflessi di un lavoro di questo tipo.

La quarta azione fondamentale su cui i servizi dell’accoglienza lavorano in una dimensione più collettiva e politica è quella del lavoro di rete: l’individuazione di altri servizi e la creazione di nuove relazioni con queste non si pone solo come necessaria per accompagnare le persone nel percorso verso la ricerca della tutela dei propri diritti, ma significa anche adottare una mentalità di rete che permetta di recuperare una dimensione collettiva di cura. Significativo è come, dall’analisi dei questionari e dalle interviste, emerga una sostanziale unanimità nel riconoscere oggi i servizi territoriali come impreparati a rispondere ad utenza straniera, una situazione che una delle intervistate propone di inquadrare in una cornice più ampia, cioè come il risultato della mancanza di un pensiero complessivo di inclusione sociale di cui chi definisce le politiche sociali e chi si occupa dall’alto della gestione delle risposte operative ne è responsabile.

Rispetto a questo aspetto, i dati raccolti nei questionari dimostrano come l’accesso quotidiano dei beneficiari ai servizi rappresenta un ulteriore spazio per l’esercizio della capacità di agency degli operatori, una dimensione da presidiare per favorire percorsi di inclusione sociale individuale. La decisione di accompagnare i beneficiari dei progetti nell’accesso ai servizi è trasversale a diverse équipe e territori: la maggior parte delle risposte al questionario ha infatti rilevato come frequentemente la scelta di accompagnamento è stata assunta per facilitare il raggiungimento dell’obiettivo prefissato e che, secondo la percezione degli operatori, la propria presenza si è rilevata spesso risolutiva per portare al raggiungimento dell’obiettivo. Se gli operatori sono concordi nel ritenere oggi i servizi non in grado di rispondere ad una diversa utenza, gli stessi percepiscono anche la presenza di un certo razzismo, ancora una volta trasversale alle aree geografiche di loro appartenenza: non solo la maggior parte ha dichiarato che i beneficiari dei progetti in cui lavorano hanno riportato loro di essere stati vittime di episodi di razzismo ma anche gli stessi operatori hanno dichiarato di avervi assistito in prima persona, situazioni in cui riconducono di essere per lo più intervenuti, sebbene sia emersa la condivisione di essersi sentiti in una dimensione di disagio. È questo, quindi, uno spazio diretto in cui gli operatori sono chiamati a mettere in atto quell’approccio antirazzista che la letteratura di servizio sociale ha già riconosciuto e descritto.

Se il lavoro con la comunità rappresenta una sfera di lavoro da ampliare, così secondo le intervistate c’è un ulteriore dimensione di agency che oggi è necessario sviluppare: la

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produzione di narrazione e di documentazione scientifica da parte degli operatori e delle comunità professionali, una dimensione scarsamente presidiata già notata dagli studiosi. Raccontare la propria professione e le proprie analisi rientra in quel compito di sfidare i processi di etichettamento e di narrazione producendo narrazioni alternative (Barberis, Boccagni, 2017, 41), oltre che essere uno dei modi anche per esercitare quella dimensione di advocacy già discussa precedentemente.

In relazione a questa narrativa alternativa, possiamo osservare che la rivendicazione della propria dimensione professionale e delle proprie competenze rappresenta anche uno degli strumenti possibili per contrastare una certa discriminazione del lavoro sociale, ipotizzata prima della ricerca e confermata, anche se solo in parte, dai risultati del questionario, messa in atto dalla società nei confronti dei professionisti. Se, secondo la percezione di alcuni operatori, la frequentazione abituale ai servizi ha però di fatto introdotto migliorie nei rapporti con il personale degli stessi, la maggioranza ha invece riportato un peggioramento nella relazione con i servizi, situazione che viene letta da questi ultimi anche come una delle conseguenze del clima politico e di odio attuale.

È questa una delle conseguenze percepite oggi nel lavoro sociale dell’accoglienza rispetto alla situazione politica e normativa, accanto alla perdita dei posti di lavoro o a cambiamenti delle mansioni e alla maturazione tra gli operatori di un clima sempre più di sfiducia, aspetti che sembrano in contrasto con la valutazione che gli stessi operatori hanno riconosciuto al proprio ruolo e che ostacolano quelle possibilità di azione ancora da implementare o da migliorare.

In conclusione, riprendendo le osservazioni e le esperienze delle intervistate, possiamo osservare che non solo il clima politico attuale ha portato ad una maggior senso di sfiducia tra gli operatori stessi ma sta anche rallentando quel movimento di pensiero in tema di inclusione sociale che il lavoro dell’accoglienza aveva innescato e alimentato, una dimensione di riflessione che guardava anche alla dimensione collettiva più ampia e che oggi può essere nuovamente stimolata attraverso un lavoro di recupero e di approfondimento sulla storia del servizio sociale e dalla lettura di coloro che ne hanno studiato il senso più profondo.

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Appendice A

Presentazione del questionario Buongiorno,

sono una studentessa del corso di laurea magistrale in " Lavoro, cittadinanza sociale, interculturalità " dell'Università di Venezia, che lavora come operatrice sociale nell'ambito dell'immigrazione.

Ti chiedo qualche minuto per contribuire al mio lavoro di tesi compilando questo questionario, che cerca di approfondire il lavoro sociale degli operatori dell'accoglienza che hanno lavorato/lavorano nei diversi centri di accoglienza per i richiedenti asilo / titolari di protezione e ad approfondire la valutazione in merito al ruolo svolto.

Grazie del tuo contributo,

Sofia

Il questionario

1. Età: _____ 2. Sesso: F M 3. Titolo di studio:

§ Diploma Scuola superiore secondaria § Laurea triennale

§ Laurea magistrale § Altro: _____

4. A quale area disciplinare appartiene il tuo titolo di studio? § Educativa/ Formativa § Giuridica § Psicologica § Sociologica § Umanistica § Altro:_______

5. Per quale tipologia di ente lavori? § Ente pubblico

§ Fondazione

§ Cooperativa o consorzio di cooperative § Associazione

§ Società privata (es. hotel) § Altro: ___

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6. In quale sistema di accoglienza lavori? (sono ammesse più risposte) § CAS

§ SPRAR/SIPROIMI § Altro, specificare: ____

7. In che tipo di struttura lavori? § Struttura comunitaria

§ Rete di appartamenti § Altro:

8. In quale provincia lavori?

9. Quale mansione svolgi all’interno del servizio? § Assistente sociale

§ Educatore

§ Mediatore linguistico – culturale § Operatore legale

§ Operatore sociale generico § Altro: ____

10. Da quanto tempi lavori / Per quanto tempo hai lavorato nel circuito dell’accoglienza? § Da meno di un anno

§ Da un anno a tre anni § Da più di tre anni

11. Qual è la tipologia di contratto con il quale lavori/hai lavorato prevalentemente? § Indeterminato

§ Determinato § Ritenuta d’acconto § Consulenza partita iva § Altro:

12. L’introduzione del Decreto Salvini ha avuto un impatto sulla tua posizione lavorativa? § Si, un Impatto diretto positivo

§ Si, un Impatto diretto negativo

§ Non ha avuto nessun impatto diretto al momento, ma ci saranno delle conseguenze negative § Non ha avuto nessun impatto diretto, ma ci saranno delle conseguenze positive

§ Non ha avuto nessun impatto né ritengo avrà delle conseguenze

13. Se si, puoi brevemente descrivere il cambiamento?

14. Secondo una scala da 1 a 10, esprimi il tuo accordo con le seguenti affermazioni? (1 = totalmente in disaccordo – 10 = totalmente d’accordo)

§ Il mio profilo professionale è adeguato per le mansioni e il ruolo che svolgo

§ Il profilo professionale dei miei colleghi è adeguato per le mansioni e il ruolo che svolgono

§ La maggior parte degli ospiti della struttura in cui lavoro è in grado di rivolgersi in autonomia ai vari servizi del territorio di cui può avere bisogno

§ Il lavoro di supporto e di accompagnamento degli operatori sociali si rende necessario solo per le persone particolarmente vulnerabili o per le persone appena arrivate sul territorio.

§ Il lavoro di supporto e di accompagnamento degli operatori sociali è in generale necessario per tutti gli ospiti accolti, non solo per le persone particolarmente vulnerabili o per gli ospiti appena arrivati.

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15. Qual è la frequenza con cui, nell’ultimo anno di lavoro, si sono verificate le seguenti situazioni? (Frequentemente – Raramente – Almeno una volta – Mai)

§ È stato necessario un mio intervento, a fronte di un ostacolo, per permettere ad un ospite di raggiungere l’obiettivo prefissato presso un servizio / ente.

§ L’équipe in cui lavoro ha valutato opportuno accompagnare un ospite presso un servizio al fine di facilitare il raggiungimento di un obiettivo prefissato (svolgimento di pratiche burocratiche, visita medica…)

§ Gli ospiti / Gli operatori hanno osservato difficoltà nell’accesso ai servizi / nello svolgimento di pratiche a causa del fatto che il servizio era impreparato a rispondere ad un’utenza straniera

§ Gli ospiti hanno riportato di essere stati protagonisti di episodi di razzismo durante l’accesso ad un servizio § Durante un accompagnamento presso un servizio / ente mi sono trovato a discutere del fenomeno e