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Capitolo Quarto Il Corpo consiliare

(pag. 210) Non vi era un numero fisso di consiglieri, ma si andava innanzi molto a capriccio. A Ripe nella seduta del 18 aprile 1600 erano tutti presenti, ed erano 12, compresi i magistrati; ma dopo pochi anni si deploravano gli in-convenienti apportati da un numero tanto limitato. Venne allora proposto di portarli a 18 se piaceva così al Duca, il quale confermò con lettera dell’8 aprile 1611. Il 27 luglio 1631 erano 16, ed allora si chiese a S. Eminenza di aumentar-li: fu nella seduta del 12 agosto che i Priori annunziavano che era stato elevato il numero di altri 6. A Monterado nel 1738 erano restati a 10, se ne aggiunsero 4 nel dì 27 aprile «mentre per il passato, diceva il Priore, sono stati fino a 16».

Come capricciosamente veniva aumentato il numero, così capricciosa era l’am-missione. Ripe nel 1605 vedendo che scarseggiava il [numero dei consiglieri]

chiese a S.A. Serenissima che si potessero includere quelle famiglie benestanti che servivano da soldati per l’amministrazione dell’abbondanza. Era diritto del Comune di aggregarsi qualche persona ragguardevole; ciò vediamo essere avve-nuto il 4 maggio del 1600 nella persona di un tal Ludovico Ricci. Ma vi erano anche i consiglieri nominati in forza dei loro privilegi, e forse erano i più, come successe nel giorno 4 settembre 1685 di Carlo Simonetti; altri aveva imposti il Duca di Urbino, come si riscontra in altro atto consiliare. Alcuni pregavano con istanza di essere ammessi a far parte del corpo consigliare in luogo dei suoi antenati, come nel giorno 15 dicembre 1685 avvenne di Giuseppe Antonio Ugolini, perché prima ricopriva una tal carica lo zio; altri in luogo del padre, (pag. 211) come fu di un tal Francesco Ugolini, il quale lo chiedeva al consiglio del 28 dicembre del 1686, ma il Consiglio risolvé «di esaminare i libri consiliari per vedere se era vero che Cosimo Ugolini padre del richiedente lo era stato».

Venivano aggregati anche i patentati: nel 1 maggio 1750 a Ripe, fra gli altri entrarono nel consesso Gaudenzio Pierangeli, e Giovanni Domenico Montesi patentati di Monsignore. A Monterado faceva sempre parte del Consiglio il Reverendo Padre Ministro del Collegio Germanico ed Ungarico gesuita; e nel 1795 furono proposti alcuni coloni di detto Collegio, i quali trovarono oppo-sizione all’ammissione, perché tali, quantunque venissero proposti da un me-moriale presentato a nome del popolo. Vennero ammessi nel 12 febbraio, ma nella seduta del 13 prendendo possesso dichiararono «perché privilegiati per

esser coloni dell’almo Collegio Germanico Ungarico, non giova a verun con-sigliere alcun privilegio» né volendosene essi servire per quello che riguardava gli affari comunali, favorevolmente e di loro spontanea volontà rinunciarono a detto privilegio ed ad ogni altro, di cui potevano essere rivestiti «e si sottopon-gono come consiglieri alle vigenti leggi emanate dalla Sacra Congregazione del Buon Governo e ducali, sopra quelli che esercitano la carica di consiglieri». A Tomba il 22 gennaio 1728 [si] stabilì che il consigliere Lenci «essendo entrato nel Consiglio di Senigallia, ed essendo stato intimato più volte di venire alli consigli, e non essendo venuto, è bene mandargli un ambasciatoria mediante il Cancelliere di quella comunità, acciò dichiari quello [che] vuole risolvere di venire al consiglio o rinunciare». Ed i consiglieri dalla superiore autorità poteva-no essere depennati od espulsi seduta stante. Nel 1747 il Card. Legato spediva un decreto al Commissario col quale ordinava di togliere dal novero dei consi-glieri Nicolò Saginati, e le iscrizioni di altri 7 nuovi, essendo ridotto il numero a pochi. E nel consiglio 21 Decembre 1783 «Giovanni Fornacciari consigliere ultimamente aggregato» per aver chiesto informazioni «dello stato degli interessi di questa Comunità, e voler vedere tutto da sé; ma essendogli stato risposto, che per ora lasciasse dare le riferme senza frastornare l’ordine, che poi si sarebbe soddisfatto del tutto; ma non persuadendosi in modo alcuno, ed insistendo con (pag. 212) calore, di voler essere informato, il Sig. Commissario gli impose il silenzio, ma non volendolo ubbidire, decretò che dovesse partire immediata-mente dal Consiglio, e non più intervenirvi, dando a me ordine di depennarlo dall’Elenco, come infatti partì e fu depennato». Il nuovo eletto doveva prestare il giuramento: «accetto io qui infrascritto il detto luogo di consiglio, e mi ob-bligo di bene e fedelmente esercitarlo con osservare la bolla del buon governo et altre costituzioni de’ Serenissimi Duci e dell’Em. Legato d’Urbino sotto l’obligo camerale in forma et in fede. Ripe...»

Da due documenti apprendiamo che non erano tutti fior di galantuomini:

nel consiglio 28 dicembre 1635 a Ripe i Priori propongono: «poiché sono fuori molti consiglieri quali banditi, quali contumaci, et altri altrimenti, pertanto nella seduta di oggi non sono più di 8, e considerando che con sì piccolo nu-mero non possi sostenere il peso del pubblico...» Dal Consiglio si nominavano i Priori e Gonfalonieri; ci si entrava come consigliere di primo grado, per passare poi al secondo e terzo, ossia priore e gonfaloniere. I magistrati o priori venivano estratti in ogni due mesi, ed il loro ufficio durava due mesi, ma col tempo si stabilì di estrarli in ogni fin d’anno, e duravano per un bimestre; quindi alla fine di ogni anno si sapeva quali erano i 12 Priori che dovevano comandare nei 6 bimestri. Limitato era il loro potere sapendosi da una lettera del 20 marzo 1720

di Mons. Presidente che non potevano spendere nei loro bimestri più di 5 scudi, e se occorreva una maggior spesa, dovevano interpellare il consiglio; quindi il Preside(nte) lamentava la spesa in più fatta, della quale i due magistrati doveva-no rispondere. Da Priore si passava Gonfaloniere: l’8 luglio 1703 a Ripe «veniva avanzato per risoluzione consiliare il sig. Tenente Antonio Saginati al grado di Gonfaloniere, perché il numero di questi si è ristretto per la morte di uno, e la lontananza di altri»; e il 18 aprile 1706 il Sig. Giovanni Battista Bartolomei «di questa Com.tà, cittadino di questa terra, et abile a detta carica» veniva aggregato al Gonfalonierato.

Nel 1704 si volle dividere il bussolo per le risoluzioni, e se ne fecero due «uno per li SS. Gonfalonieri, e l’altro di 2 e 3 grado, e mettere nel primo tutti gli altri che sanno leggere e scrivere (pag. 213) benché siano di 2º grado. E l’arringatore approvò perché si era veduto colla esperienza a Ripe, negli altri consigli passati, che alcuni non si sanno esprimere nelle loro aringhe. Altri parlò contro, ma la proposta passò con voti 10 contro 5».

Il Commissario presiedeva le sedute ed aveva diritto a due voti; ma nel con-siglio 7 gennaio 1682 Ripe determinava di chiedere a S. Eminenza «di togliere ai Giudici la facoltà di ballottare». Nel 19 gennaio 1642 Ripe stabilì che l’ufficio

«di Cancelliere pubblico in ogni anno si dasse a que’ consiglieri che si ritenes-Fig. 13. Ripe, antico bussolo del 1704 per le votazioni del Consiglio

sero più abili». L’ufficio di Camerlengo apparisce la prima volta nel 1668; e nel Consiglio 8 gennaio del 1672 si determinò di dare quel posto ad un consiglie-re da estrarsi dal bussolo; ma poco durò, perché dopo qualche anno fu posto all’incanto. Nel Consiglio 16 agosto 1649 Ripe faceva precetto al consigliere Simonetti di assumere l’ufficio di cassiere dell’abbondanza, sotto pena di uno scudo al giorno di multa.

L’ufficio di Sindaco equivaleva a quello di un nostro esattore comunale. In sulle prime [l’incarico] si dava estraendo un nome dal bussolo dei consiglieri, ma nel 26 dicembre 1644 si volle dare ad estinzione di candela ed era lecito a tutti di concorrere; si aprì l’asta ma andò deserta, quindi l’ebbe Paolo Ciuffi per annui scudi 14. Ma ben presto si tornò all’antico; il Sindaco doveva essere consi-gliere e doveva saper leggere e scrivere. Nel 1655 si stabilì di nuovo che Sindaco doveva essere un consigliere perché, avendo voluto fare di nuovo l’esperimento dell’asta per 3 volte non vi era stato un offerente; così il 5 febbraio l’estrazio-ne portò fuori il nome di Michelangelo Saginati, colla provisiol’estrazio-ne di scudi 18.

Nell’anno 1731 la combinazione portò fuori dalle urne il nome di Nicolò Rossi, e siccome sembra che tergiversasse, in giorno 7 marzo «si ebbe notificato un de-creto del Commissario, col quale gli si faceva precetto di presentare la sicurtà nel consiglio del 10, al quale doveva intervenire sotto la pena contenuta nel decreto ducale». Tutto ciò accadeva a Ripe, dove nel 1642, 10 gennaio, al sindaco veniva proibito di essere contemporaneamente moderatore del pubblico orologio.

Ma i Consiglieri non erano troppo esatti nel frequentare le sedute, donde la necessità di pene pecuniarie a coloro che non intervenivano. Il 3 marzo 1605

«essendovi difficoltà di fare i consigli per mancanza di numero si (pag. 214) propone che si debba imporre la pena di paoli 3 per ciascuno che manca, e detta multa da applicarsi tutta nella fabbrica del SS. Rosario di Ripe»; ma prevalse il concetto «di prelevare un grosso da detta pena da darsi alli essecutori». Il 28 febbraio del 1616 Tomba decretò che alla sera innanzi del consiglio «si suo-nasse la campana, e chi mancava si considerasse come citato e non comparso, e tenuti alla pena et questo per honore et reputazione di detto luogo». Ma essi erano ricalcitranti, perché nella seduta 18 luglio 1649 si fece un precetto a tutti singolarmente di scudi 100 se mancavano alla seduta. A Ripe il 21 agosto del 1661 si trattava dell’appalto del forno, ma non erano presenti che 6 consiglieri solamente; allora i presenti stesero una protesta contro gli assenti da spedirsi al Cardinal Legato, chiamandoli responsabili dei danni.

Il 25 maggio 1682 il Card. Legato scriveva al Comune di Ripe una lettera colla quale dichiarava che i consiglieri non intervenuti fossero tenuti a tutti i danni e pregiudizi. L’8 febbraio 1707 il Card. si lamentava che intimato più volte un consiglio per effettuare un certo pagamento non si era mai riunito;

ordinava una nuova convocazione «facendo precetto a tutti di intervenirvi,

sot-to quella pena che le piacerà». Sempre a Ripe nel consiglio 30 otsot-tobre 1731 si decise che quei consiglieri che non intervenivano fossero condannati alle pene del libro decretale «ed anche se abbiano ricorso alla Em. Udienza». Il 30 luglio del 1800 «si adunò il consiglio di Monte Rado intimato per le ore 12 di questo giorno sotto pena a chi manca di uno scudo d’oro, come dal precetto formale avuto in iscritto dal pubblico donzello, che riferì».

Nonostante le loro indolenza, precursori dei Deputati della Camera italiana, chiedevano e compensi in denaro, e vitto in certe date circostanze ed esenzione dalla tassa del chirurgo. I consiglieri di Tomba nel consiglio 14 maggio 1634 si lamentavano perché dalla frequenza delle sedute ad essi derivava piuttosto fatica e danno che utile, per questo si stabilì di chiedere la concessione «di qualche recognitione mentre che dai detti SS. Consiglieri escano di Priori, almeno di scudi cinque per ciascun (pag. 215) priorato in doi mesi». A Monterado nel dì 10 dicembre 1782 si discusse la questione di compensi. «Oltre che il dovere intervenire frequentemente ai consigli, non solamente del luogo, ma alla Tomba ad acqua, vento, ed altre intemperie dell’aria, agl’incanti pubblici, agl’istrumen-ti, alle deputazioni, e varie incombenze che occorrono frall’anno, ex officio, e senz’alcuna ricognizione ... Eppure sembra, che tanti incomodi dovessero me-ritare la sua ricompensa la più giusta ed equa che il pubblico la comporti ...

Ripe ce ne dà l’esempio ... e ne hanno dalla bontà di S. Em.za Rev.ma riportata la grazia. Anche noi speriamo possiamo dalla sua sperimentata clemenza un sì tenue emolumento; ed allora tutti si faranno un dovere di esercitare le pubbliche incombenze con maggiore premura ed attenzione». E la proposta fu votata con voti 10 favorevoli contro 1. Sulla questione si ritornò il 22 febbraio del 1788

«Considerando quanto sono laboriose le ingerenze di questa Comunità per cui sono costretti li SS. Consiglieri non rade volte intervenire a’ pubblici consigli anche in tempi contrari e tralasciare il proprio interesse per accudire alla pub-bliche ingerenze senza ritrarre compenso veruno ... si è creduto di proporre e stabilire una mensa priorale consistente per ogni bimestre di scudo uno ducale all’Ill. Sig. Gonfaloniere, e di paoli 5 per ciascuno dei SS. Priori, e si stabilisce di chiederne l’autorizzazione, essendo la cassa in qualche avanzo».

A Tomba nel dì 6 maggio 1629 si propose che come nelle feste di Ripe pri-mo maggio votiva, e nel giorno di San Patrignano a Monterado «è soliti farsi qualche poco di spesa la mattina per mangiare per li Sig. Officiali et magistrato che sono giorni di festa si disse che questa Com.tà anco lei deve far l’istesso nel-la festa di S. Marina festa votiva», ma nel-la proposta fu scartata con voti 8 contro 5. Ed infatti Monterado aveva stabilito che nella festa di S. Paterniano «dopo haver fatto colazione l’Ill.mo Commissario si riconoscano quelli del Consiglio, acciò sendo sottoposti alle fatiche habbiano anco questi recognitione con simile festa».

(pag. 216) Nel Consiglio 3 gennaio 1751 venne proposto che i consiglieri godessero la esenzione della Colletta del medico e chirurgo «come godesi dalla terra della Tomba, tanto più che si sapeva essere in detta colletta un annuo avanzo, e fu risoluto sentire intorno a ciò Sua Em. Padrona». Il consiglio di Ripe ritornò su questa questione il dì 14 gennaio 1753 non essendosi venuti nella prima volta ad alcuna conclusione, e l’unanime consenso fu di supplicare S. Em. per la concessione. Il 12 aprile dell’istesso anno si agitò per la terza volta la questione, e lo sgravio dalla colletta ebbe la unanimità. Ma sembra che nulla ottenessero i consiglieri ripesi dalla superiore autorità, perché col 1º novembre 1777 fecero la seguente risoluzione: «Ognuno vede quanto laborioso sia reso il nostro stato di consiglieri, e privo affatto di quei privilegi ed esenzioni che si godevano in passato, e che pur godono per antichissima consuetudine gli consiglieri di Tomba, di non pagare cioè la colletta del medico e chirurgo, ed essere da’ medesimi serviti gratis, per le tante cure che ingombono sopra di noi ...», quindi fu proposto ed accettato ad unanimità «che il Gonfaloniere avesse in ogni bimestre 6 paoli, ed i Priori mezzo scudo romano per ciascuno, il che porterebbe una spesa di annui scudi 9:80 in tutto». L’importuno vince l’avaro; i richiedenti di fatto non avevano pagata l’annua tassa sanitaria, e così ottennero la seguente concessione di cui si parla nel verbale del Consiglio 31 dicembre 1781: «Fu letto il memoriale de’ Sig. Consiglieri debitori della cassa del me-dico e chirurgo per 7 anni addietro, i quali hanno riportata da S. [Eminenza]

Padrona la grazia di potersi sgravare di detti arretrati colla provvisione bimensile della mensa priorale già fissata».

La vecchiaia dava diritto ad uscire dal consiglio, come successe a Carlo Loci che lo chiedeva al Consiglio 8 febbraio 1688; come anche l’aver sostenuto gradi militari. Il Capitano Carlo Simonetti egualmente al consiglio di Ripe, come il Loci, nella seduta 7 marzo 1673, chiedeva che: «avendo ottenuto il suo benser-vito di Capitano dall’Ecc.mo Sig. Principe di S. Chiesa, che perciò faceva istan-za in rinunciare di godere de’ privilegi (pag. 217) militari, e di non poter esser forzato di intervenire in Consiglio, né all’amministrazione d’altri offici pubblici, riservandosi di fare quel tanto ordinerà l’Eminentissimo Sig. Card. Legato». La rinuncia fu accettata con riserva dal Cardinale.