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Di alcuni ufficiali e graduati delle dette milizie

(pag. 249) L’8 agosto del 1583 Francesco Maria II Duca di Urbino decretava, ed il l3 dicembre faceva pubblicare in quella città «che gli ordini e capitoli della milizia del nostro Stato introdotta dall’avo Francesco Maria I, conservata et accresciuta dal nostro padre Guido Ubaldo non sono in tutta quella osservanza che bisognerebbe, e spetialmente che li soldati delle legioni non godono intie-ramente li Privilegi, et essentioni, ch’ sono stati loro conceduti a comandare ch’

di nuovo siano pubblicati, et notificati con l’aggiunta d’alcuni altri pochi, che per la qualità dei tempi sono stati giudicati necessari, i quali tutti comandiamo, ch’inviolabilmente siano da chi tocca esseguiti, et osservati per quanto si stima, et ha cara la gratia nostra ...»

Perché il lettore possa formarsi un’idea delle milizie di quei tempi, trascrivo qui qualche capitolo del regolamento. Il Duca dopo di aver ricordato che la reli-gione è di tutto il fondamento, e che nessuna cosa può essere bene ordinata «se non precede il timore, et debita riverentia verso il nostro Sig. Dio et osservanza della Santissima Religione ...» stabilisce al paragrafo 1. che l’elezione dei Fanti deve esser sempre fatta dai Capitani «li quali potranno anco eleggere tutti li officiali loro dal Cancelliero in poi». Art. 2. «l’età del soldato dai 18 ai 50 anni».

Art. 9. «Saranno avertiti li Capitani di operare circa l’armare le Compagnie loro ch’ il numero de corsaletti con picche non sia minore del dieci per cento, et più ch’ si può dalli dieci in su». Art. 10 «Degli Archibugi con Morioni sessanta per cento». (pag. 250) Art. 11. «Per essercitarsi i suoi soldati faranno li Capitani la rassegna almeno quattro volte l’anno esercitandoli in essa in tutti i modi, et massimamente nello sparare gli Archibusi, maneggiare le Picche ...»

Nel Capitolo intitolato «Degli obblighi, Prohibitione, et Pene de soldati»

all’art. 1 stabilisce «a nessuno soldato sia lecito portare Archibugio o Armi Hastati dentro le Chiese, et in questo caso non sia da farsi differenza alcuna da loro, agl’altri che non sono della militia». Art. 3 «Che niuno Fante descritto pos-sa partire dallo stato nostro per qualsivoglia cagione senza esprespos-sa licenza del Capitano, per più spatio di tempo di quattro, o sei giorni, sotto pena di mezzo

scudo per ciascuna volta ...» Art. 4 «Non possono li soldati impegnare, né ven-dere per qualsivoglia occasione o bisogno l’armi loro ... sotto pena di dui tratti di corda, et di uno scudo ogni volta che contraveranno». Art. 8 «Compareranno sempre comandati alle rassegne honorevolmente vestiti, secondo le forze loro, a ch’ se mancheranno la prima volta pagheranno mezzo Giulio al Capitano, la seconda un Giulio, la terza due, la quarta et ogni altra volta mezzo scudo». Art.

9 «Se alla Rassegna generale di tutto lo Stato s’astringerà a pagare al Capitano tre scudi». All’articolo ultimo di questo capo si stabiliva «Il Fante che sarà levato dalla militia vituperosamente sarà infame, e non potrà mai comparire nella città, o luoghi ne quali si troverà la persona nostra». Francesco Maria II concesse an-che dei privilegi ai soldati, come avevan fatto i suoi antecessori, ma allargandoli.

Art. 2 «Concedesi agli armati di corsaletto piena, et libera essentione di tutti li pesi, fattioni, e gravezze personali ...». Art. 3 «Alli medesimi armati di Corsaletto concediamo ancora che possano portare arme Hastate, et Archibugi a Mercati, et Feste non ostante il bando ...» Art. 5 «Tutti gl’altri descritti nella militia, ch’

non saranno armati di Corsaletto, vogliamo che siano essenti da tutti li pesi, et fattioni personali, eccettuatamente però quelle che appartengono alle ripara-tioni, et fortificationi della Città, e luoghi ...» Art. 7 «Non possano li descritti esser condannati da Giudice alcuno nella pena della frusta, mitra90 o (pag. 251) bollo91, né puniti d’altra pena d’infamia senza espressa licenza nostra ...» Art. 9

«Ne le persone loro potranno essere ritenute per debito, o pena ch’ non passi dieci lire». Art. 12 «Li Padri, figliuoli, et fratelli di quei soldati ch’ moriranno in qualche fattione per servigio nostro godranno li medesimi Privilegij per tempo di quattro anni». Art. 14. «Le Comunità delli Castelli, et Ville siano obbligate quando li Fanti saranno comandati d’andare alle Rassegne, et altre fationi mi-litari di dar loro uno, dui o più cavalli secondo il bisogno d’essi, et qualità di luoghi, nel qual caso siano anco obbligate le Communità dal primo giorno in su far loro le spese di pane e vino solamente». Art. 16 «... Però vogliamo che subbi-to ch’un soldasubbi-to sia giunsubbi-to agl’anni cinquanta possa havere honorata licenza, et godere nondimeno tutti li Privilegij come se fosse soldato». (95)

Le concessioni fatte dai tre Duchi ai militi ed a quelli che avevano fatto nelle milizie un onorato servizio furono talvolta causa di recriminazioni nelle sedute consiliari, quando necessità s’imponevano. D’altronde giustamente se ne

vole-90 Mitra: il famoso «cappello d’asino» (usato anche dai maestri di scuola fino agli anni 50/60 del secolo scorso) che veniva messo in testa al reo, conducendolo sopra un asino per le pubbliche vie e piazze per esporlo al pubblico schermo, oppure legandolo ad una gogna.

Talvolta gli veniva appeso al collo o sulla schiena anche un cartello o bollettino che sinte-tizzava la mancanza commessa.

91 Bollo: generalmente la marcatura con un ferro rovente sulla schiena.

va servire chi ne aveva acquistato il diritto. Il Consiglio di Ripe nel dì primo agosto 1605 risolveva che «stante la riduzione del numero degli abbondanzieri a 4 o 6, quelli che sono così ridotti dicono che in detto numero si debbono includere quelli altri benché siano de’ soldati stante che siano consiglieri, come da decreti 30 agosto 1602. Di più conforme ad altro decreto del 3 settembre 1533 dicevano che si debbano anco includere in detto numero altri che sono de’

soldati fattone però eccetione del Capitano e Sig. Cancelliere». Nel 25 febbraio 1661 si determinò che «secondo un ordinanza di S.E., la Comunità non può far pagare a’ soldati i pesi comunitativi, se non quello che pagavano sotto il Duca di Urbino». Queste discussioni si rinnovarono spesso a Ripe e fra le altre il 12 agosto 1632, e 19 febbraio 1634. Nella prima si trattava di alcuni «perché sono soldati pretendono di esentarsi dai pubblici offici specie di abbondanzieri; ma il Consiglio risolvé di mandare un (pag. 252) memoriale in udienza rispondendo che i medesimi tre abbondanzieri estratti Spaccalosso, Ventura e Panseri hanno esercitato altre volte da che furono soldati». Nella seconda si trattava di ricorrere in udienza «sopra quei che non vogliono intervenire alle fazioni sotto pretesto di esser soldati in danno delle strade pubbliche. Quindi si decide, che tutti quelli che tengono bovi e bestie siano soldati». Ecco un documento che tratta della esenzione e privilegi concessi ad un militare.

«Gasparo Altieri Generale di Santa Chiesa. Desiderando ritirarsi dal servi-tio che per spaservi-tio d’anni 24 hà honorevolmente prestato alla Sede Appostolica Luc’Antonio Mazzaferro habitante nella Tomba soldato volontario come dalla retroscritta fede conforme alli Bandi et havendone dimandata licenza volen-tieri gli habbiamo conceduta, et in risguardo del suo merito, habbiamo volu-to honorarlo del presente benservivolu-to conforme alla disposizione de’ Privilegj militari in virtù de i quali dovrà ad ogni modo godere la facoltà et essentione medesima che goderebbe se attualmente / e ne è notato nel portar dell’armi quanto in ogni altra cosa. Comandiamo però al suo Capitano: Che si astenga da qui avanti dal molestarlo più a fattione alcuna che di questo nostro ordine faccia nota nel margine del suo rolo per darne parte nella prima visita al nostro Collaterale Generale che dovrà cassarlo. E di commissione di Mon Sig.re ordi-niamo a chiunque spetta, che inviolabilmente gl’osservino i suddetti Privilegij.

E così in fede. Dato in Roma lì 22 luglio 1670.

A(ngelo) Abbate Baglioni Segretario». (96)

Papa Urbano VIII aveva fatto larghe concessioni ai militari in ritiro, come ri-sulta dalla seguente lettera di «Mons. Astalli Chierico di Camera, e Commissario Generale dell’Armi» diretta al Podestà di Montalboddo.

«Molto Illustre et Ecc.mo Sig.re

Alli soldati, ed Ufficiali giubilati92 si concede dalla Santità di Nostro Signore qualunque privilegio contenuto nel motu proprio, nella forma istessa, che gli godrebbe, se attualmente servisse. E per che sento, che V.S. non voglia per-mettere a Pier Maria Menchetti (pag. 253) Tenente giubilato che possa nomi-nare un Paggio a sua elezione sono a significarle che si compiaccia astenersi da tale impedimento havendo il medesimo Menchetti questa facoltà concedutali dagl’Indulti militari, nell’osservanza de quali Io devo sommamente invigilare, e di cuore le baccio le mani.

Di Vostra S(ignoria) M(onsignor) Ill.mo et Ecc.mo Roma 27 febraio 1686

Affezionatissimo per servirla

Fulvio Astalli Commissario Generale». (97)

Le nomine le faceva il Capitano, ma talvolta a titolo di onore anche il Duca direttamente. «Francesco di Menco di Ripe, figlio del Caporale Menco di Marco in virtù delli privilegi militari concessi della Santità di N.S. Urbano VIII alli sol-dati a piedi nominato (dal suo Capitano) Alfiere. 18 gennaio 1635». (98)

Nomina fatta dal Duca.

«Il Duca d’Urbino. Com’ogni volta, che Pietro Giacomo Benedetti da Ripe si sarà procurato di Corsaletto, et picca, et havrà presentato a noi per tenerla poi a nostra requisitione ci contentiamo, che possi portare liberamente l’armi per tutto lo stato nostro purché non siano di quelle, che sono espressamente et specialmente prohibite per li nostri decreti et Bandi mandati sopra ciò, et che non le porti in quelli luoghi, che medesimamente sono vietati da noi, et così permetterete, et possi fare restituendole la sua padente (patente) come haverete fatto porre al Ruolo degl’altri, che godono simile licenza.

Da Castel Durante il dì 19 di Giugno 1604. Franciscus Bellutius» (99) Il 14 agosto Pietro Giacomo Benedetti presentava al Vicario «un Corsaletto, et munitione, con la picca ferrata».

I soldati se ne stavano tranquilli alle loro fatiche, e quando il governo li chiamava od il comune, dovevano accorrere. Il 13 maggio dell’anno 1595 il Duca scriveva «Nostra intenzione è stata che in questa leva di soldati che al presente si fà per occasione di Guerra in servigio della Cattolica Maestà del

92 Giubilati, ovvero pensionati.

Re di Spagna quelli soldati che saranno eletti vi vadino senza speranza di poter fare conti, prohibendo espressamente fin dal principio che fu ordinata sotto pena di gravissimo castigo come si contiene nelle nostre lettere sopra ciò (pag.

254) per tutti i luoghi del nostro Stato. Hora ... per questo bando di nuovo replichiamo, et comandiamo che sotto pena della vita non sia alcuno di qual grado, conditione o stato si sia, che ardisca o presuma di farlo o accettar cambi facendo incorrere nella egual pena tutti quelli che aiutassero a far ciò o lo fac-cino etc., come Luogotenenti, Podestà, Commissarij; et altri officiali; et anco li stessi Capitani che lo permetteranno o a quello acconsentiranno». (100) Nel 1601 Ripe somministrava denaro ai soldati che partivano per la guerra, ed il Consiglio incaricava il Sindaco di trovare mezzi per sovvenire anche altri quat-tro militari che dovevano partire. E nell’anno dopo, in data 2 aprile il Duca scriveva da Pesaro ringraziando e lodando l’ubidienza prestata dalle Terre del Commissariato inviando il corpo della fanteria per servizio di Nostro Signore in numero di due compagnie; si augurava che in altre occasioni venisse prestata l’istessa obedienza, per cui pregava che pensassero al modo con il quale più facilmente, per sua quiete, si potessero eseguire gli ordini (101). Ed il 4 luglio, oltre che al Commissariato, scriveva anche al Vicariato di Mondolfo, perché allestissero truppa di Fanteria e Cavalleria affine di estinguere i briganti e mal-viventi alloggiati e ricoverati nello Stato, pagando i relativi municipi 6 scudi al mese per i militi a Cavallo, e 3 per i Fanti. Nel 1612 le milizie delle nostre terre furono spedite anche a Parma, e Ripe aveva designati «ad andare al presidio del Serenissimo Sig. Duca di Parma quelli tre giovani, ch’abbiano ad havere rico-noscimento dalla Com.tà nostra stante la loro povertà, et ancor l’animo pronto ch’hanno mostrato in offrirsi al comando de’ Padroni». E questa proposta trovò il plauso del Consiglio, destinando la retribuzione di due scudi per ciascuno.

I Priori del Comune di Tomba annunziavano ai Consiglieri riuniti in seduta del 2 settembre 1646 che per ordine di Sua Emin. «per li presenti rumori che si sentono, la Santità di Nostro Signore ha destinato mettere alle Marine tre Compagnie, doi [di] Fanti et una di Cavalleria, per il bon governo che ha della (pag. 255) Cristianità; con ordine che le Comunità debbono concorrere al pa-gamento, e mantenimento di dette tre compagnie»; e la Tomba era tassata anche in 28 scudi. Oltre a che i militi dei paesi e Castelli dovevano fare «delle fazioni sì d’andare per guardia con l’officiale come anche fare il Gualdaro al Principe et alla sua Città, et altre fatiche, dovendosi nominare ad uno ad uno ...» Questa proposta discussa al consiglio di Ripe nel dì 9 febbraio del 1605, venne accolta ad unanimità. Ed al Consiglio 26 aprile 1643 veniva proposto «dalli SS. Priori esser stato assegnati da Mons. Vice-Legato buona quantità di soldati, che deb-bono andare alla guerra e particolarmente alcuni ammogliati con figli e soli che

bisognando andare resteranno a fatto rovinati e per necessità abbandonare non solo la famiglia ma ancora le possessioni et andare; perciò sarebbe bene ricorrere da Mons. V. Legato che volesse liberare 5 o 6 di quelli fra più bisognosi; come ancora sarebbe bene ricorrere dal Governatore della Città di Senigalia, che vo-lesse scrivere al medesimo Sig. Vice Legato, che non vovo-lesse levare la soldatesca di questo luogo, ma che si dovesse lasciare per ogni occorrenza e bisogno della Città, com’è stato sempre solito».

Il progetto di sopprimere la Compagnia a Tomba, e metterla sotto Ripe e viceversa fu più di una volta agitato con gran spavento dei due Castelli. Nel con-siglio 9 maggio 1604 a Ripe si discusse intorno al ricorso avanzato da Tomba al Duca per conservare l’insegna di Ripe dichiarando che «il privilegio del Capitano delle milizie, o sia insegna militare fu sempre goduto da Ripe e non da Tomba, come era stato sempre, non essendovi memoria in contrario, perché in questo Comune vi erano buoni ed esperti militari che avevano sempre resi servigi a S.A.» Ed il 29 agosto 1633 il Sig. Capitano Antonio Lenci riferì al Consiglio che era stato chiamato dal Sig. Catalani, il quale gli comunicò che aveva ordine che la milizia di Ripe fosse posta sotto il comando della Tomba; ma il Consiglio rispondeva che alla carica di Capitano doveva essere eletto, secondo l’antico co-stume, uno di Ripe e non di Tomba. Il 22 maggio 1646 il Consiglio di Tomba (pag. 256) si preoccupava di un ordine del Marchese Miraglia «comandante le soldatesche di questi luoghi» con il quale aveva ridotta «la sua compagnia di 200 fanti ad 86, avvertendo che voleva mettere i soldati della Tomba sotto Ripe, et essendo che la Compagnia e militia sia stata sempre per questo Capo Luogo della Tomba, si deve ricorrere a Roma». Il 23 settembre del 1668 al Consiglio di Ripe si proponeva dai Priori che «scrivendosi di presente da quell’Ill.mo Sig.

M(aest)ro di Campo a questo Pubblico esser mente dell’Ecc. Sig. Generale di S.

Chiesa di remuovere la Compagnia de soldati da questo nostro luogo quando esse non siino almeno di cento; che però dicano se sia bene d’accrescere li soldati sino al numero suddetto ad effetto che questa Compagnia resti in piedi, et non vadi sotto il servitio d’altro Capitano; non scorgendosi che ciò possi pregiudica-re punto gl’intepregiudica-ressi pubblici con supplicarne anco l’Em. Sig. Cardinale Legato per ogni licenza che ne facesse bisogno. E così restò approvato». Dall’anno 1634 al 1654 Ripe non cessò mai di occuparsi della nomina del Capitano: il 19 feb-braio 1634 si stabilì «di scrivere da parte della Communità al Principe Pamphili et al Sig. Maestro di campo et dove farà bisogno, con dimostrare che in questo luogo vi sono persone atte a questa carica di capitano, et non vogli farle questo pregiudizio». Nel giorno 13 marzo 1645 si votò la proposta «di ricorrere al Principe Pamphili perché si degni dare la carica di Capitano di milizia a uno di Ripe»; e nel giorno 17 marzo si ritornò sull’argomento, perché fin dall’anno

1611 e 1633 si era stabilita la massima che quel grado doveva essere occupato da uno di Ripe e non di Tomba. Il verbale consiliare del 13 marzo 1654 così si esprime «Perché si va presentendo che all’officio del Cap. vacante di questo luogo delle militie a piedi aspiri et ambisca essere ammesso a tale carica un certo M. Scipione Cecchinelli fuori d’ogni dovere stante che in questo luogo vi siano sogetti habili alla medesima carica, et migliori di conditione del medesimo non solo nell’officialità della medesima militia di Ripe, ma fuori ancora essendovi huomini di buon conditione et fama che aspirano alla medesima carica; per tan-to detti Signori Priori il tuttan-to rappresentando alle S.V. dichino (pag. 257) che espediente in ciò doverassi pigliare». E gli arringatori opinarono che la Comunità doveva scrivere al Principe Pamphili «et al Sig. M(aest)ro di Campo et dove farà bisogno con dimostrarli che in questo luogo vi sono persone atte a questa Carica di Capitanato et non vogli fargli questo pregiuditio». E il 17 maggio dell’istesso anno il Corpo consiliare riconfermò «di scrivere al Pamphilis et ad altri, et ove facesse bisogno anche al Legato» essendovi a Ripe varij soggetti per tal carica «ol-tre che il Sig. Capitano Nicolò Rossi potendo essere reintegrato alla detta carica».

Fra i pesi che Tomba e Ripe avevano verso la città di Senigallia vi era quello di mandare dei militari in quella città alla vigilia della Maddalena93 per la guar-dia. Ora sappiano di un incidente occorso nel 1645 che venne molto discusso nei consigli di Tomba «e che per il passato anno si vede essere stata fatta indi-screctione per essere stati mandati prima in detto giorno li soldati di Ripe contro il solito antiquo, però si dice che saria bene ricorrere dall’Em. Sig. Cardinale Vice Legato che volesse ordinare per l’avvenire in occasione di detta Fiera si osservi il solito conforme è stato sempre solito». Al ricorso inoltrato da Tomba così rispondeva S. Em. al Luogotenente di Senigallia.

«Il Card. Cybo Legato. Luogotenente.

Havertirà la Comunità della Tomba, che venendo chiamate con l’occasione della fiera di S. Maria Maddalena, le militie di quel luogo e di Ripe a Cotesta Città conforme al solito non naschi qualche disordine per respetto della prece-denza tra quelle Compagnie ben che habbia preceduto sempre come asserisce quella della Tomba, doverete così far sapere a cotesto Governatore d’Arme, e chi altro si deva che osservino il solito tanto nel chiamarli come nel darli i luoghi, e di cosa havenisse subito me ne darete avviso.

Urbino 16 Giugno 1646.

Il Cardinal Cybo Legato». (102)

93 Si tenga presente che con la festa di S. Maria Maddalena, il 22 luglio, aveva inizio la famosa fiera franca di Senigallia.

Unitamente al contingente dato dai Castelli e da Senigallia nella circostanza della fiera per la guardia venivano assoldati anche alcuni Corsi; ma nel (pag.

258) 1662 a Senigallia si stabilì di non più chiamarli, essendo sufficienti le mi-lizie dei Castelli e locali, come apprendiamo dalla seguente lettera.

«Il Card. Bighi Legato. Luogotenente di Senig.

Essendosi sentito dalle v.re del primo stante (mese corrente) che nel-la Congregazione da Voi tenuta coll’intervento del Magistrato, Castelnel-lano e Capitano delle milizie, habbiano tutti stimato che bastino i soldati di cotesto territorio, della Tomba e Ripe e occorrendo anche del Vaccarile, sospenderò la

Essendosi sentito dalle v.re del primo stante (mese corrente) che nel-la Congregazione da Voi tenuta coll’intervento del Magistrato, Castelnel-lano e Capitano delle milizie, habbiano tutti stimato che bastino i soldati di cotesto territorio, della Tomba e Ripe e occorrendo anche del Vaccarile, sospenderò la