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e i due Castelli Tomba e Ripe

(pag. 235) Allorquando i Castelli del Commissariato facevano parte del Comitato di Senigallia avevano la esenzione delle seguenti gabelle: 1 - imposta sopra ogni carro che si introduceva in città, 2 - imposta sopra il vino forestiero, 3 - sopra il pesce che dalla città si estraeva, 4 - esenzione da ogni tassa sopra il mosto che nella città si fosse introdotto. Avvenuta la separazione del territorio di Senigallia da quello dei Comuni per ordine del Duca nel 1552, la quale sepa-razione «volutasi tanto da questi luoghi, Tomba, come dice un consiglio dell’8 settembre l768, come apparisce da più loro ricorsi, quanto anche, e molto più dalla stessa città, quale vedendo volere robarsi da dazieri, confermò con sette sue lettere di volere; anzi pretendere la continuazione della stessa confederazione, e dell’essenzione dovutasi per più secoli, ed al tempo del Sig. Duca. Inoltre la se-parazione fu confermata con suoi due pubblici pieni consigli negli anni 1647, e 1663, ed ancor più chiese con lettera supplichevole a Mons. Vice-Legato dell’E-minentissimo [...]75 ed ottenne che da dazieri non venisse interrotta la reciproca confederazione, ed esenzione dalle gabelle, perché le persone di Sinigallia non restassero obbligate a dovere pagarle in questo Commissariato». Di più l’Em.

Rasponi nel 1668, l’Em. Altieri nel 1676, e l’Em. Rubini nel 1692 in giudizio (pag. 236) contenzioso, con una Rejudicata mai più controversa fino alla se-conda metà del secolo XVIII (1768), vennero questi tre luoghi dichiarati del

75 Con un lapis blu è stata calcellata dal testo la seguenta frase: «... dell’Eminentissimo Raspo-ni nel 1668, l’Em. Altieri nel 1676, et l’Em. RubiRaspo-ni nel 1692 in giudizio contenzioso ...».

Questa cancellazione è stata fatta dall’a., che ha spostato la frase di alcune righe.

Fig. 26. Ripe, il castello nel 1819. La pianta gentilmente fornita dall’Ufficio Tecnico del comu-ne di Trecastelli, è quella del Catasto Gregoriano del 1819, dal cui brogliardo è stata sintetizzata la legenda.

distretto, e come tali esenti dalle gabelle equalmente che le stesse persone della città e suo territorio. E le tre risoluzioni dei Legati furono ricordate dall’Em.

Salviati nel 1723 e dall’Em. Branciforti nel 1764.

Anche prima del 1552 Ripe e Monterado erano riluttanti al pagamento, per cui i Senigalliesi ricorrevano al Duca con la seguente.

“Ill. Sig. Duca. La Università, e Consiglio della Città di Senigallia di V. Ecc.

fedelissimi, Espone [che] gli huomini de Ripe e Monterado quali concorrono al pagamento delle colte ordinarie delle loro terre et estimi in detta città mai curano venire al pagamento di esse al tempo debito come fanno gli altri castel-li76. Per il che la Com.tà di detta Città ne patisce assai, né giova scriverle ogni anno più fiate al Vicario di detti Castelli, che mai è possibile conseguire quanto devono, se non occorre per sorte che quei tali siano trovati per il Canceliero de Senigalia. Però considerando detta Comunità potere più agevolmente conse-guire dette colte, ma(tura)te, hora che ne haverà extremo bisogno, per rispetto della colta della nuova fabrica, non havendo detta Com.tà altra intrada: supplica

76 Nel ms. originale questa frase è stata ripetuta due volte dall’a. Qui si è eliminata la ripetizio-ne.

Fig. 27. Castello di Ripe nell’anno 1724 circa. Fa da sfondo l’immagine del quadro con S.

Rocco a sinistra e S. Sebastiano a destra, sul primo altare a destra dell’ingresso della chiesa par-rocchiale di S. Pellegrino di Ripe. (Foto L. Perini)

humilmente Padrona Vostra Eccellenza se voglia degnare concedergli, che non venendo detti castelli per l’avenire, a sodisfare dette colte al debito, si delle pas-sate, come delle future perpetuamente, usata prima diligenza con i loro vicari, et non giovando li possa far ritenere in bonis et personis77 sino al intero pagamen-to, ogni volta che di loro o sue robbe saran’ trovate in detta città o sua corte:

Anchorche non fossino quei medesimi che dovesseri pagare, ma purché siano di essi Castelli, o corte di essi: il che quantunque giusto li parà, no’ dimeno lo ricevera di dono spetiale da quella. Quam Deus etc.

Potestas Senogallie constituto de allegata dilligentia, cogat per detentionem personar(um), et bonorum ut petitur: dummodo (pag. 237) executio fiat in civitate vel comitatu.

G(uidus) U(baldus) D(ux). Pisa(u)ri ij Decembris 1545»78. (78)

«Il Duca di Urbino.

Luogotenente. Agli huomini di Ripe par strana cosa che ad istanza di cotesta Com.tà si debbino riscuotere le colte de li beni che erano delli Conti Landriano posti nella Corte di detto Castello per vigore di una concessione alli mesi passati fatta a cotesta Com.tà da pottere esigere dette colte per li beni che quei Conti havevano in cotesta città e suo territorio, et essendo per questo li detti di Ripe ricorsi a noi vi diciamo che per minor spesa et miglior loro comodità intendiate voi quanto dall’una et l’altra parte si pretende et bene informate come farete solutione vera et sincera senza spesa alcuna delle parti che ordinaremo quanto si dovra fare et in questo mentre farette soprassedere l’esigere delle colte per li suddetti beni posti nella corte di Ripe dicendoci anche che sorta di colte sono quelle. Di Pesaro il dì 23 ottobre 1576». (79)

E nel dì 24 aprile 1578 i Reggitori di Senigallia avendo chiesto «Che gli huomini di Ripe habbiano pagare le colte a Sinigallia com’ facevano innanti l’indulto concessogli dall’Ill.mo et. Ecc.mo Sig. Duca Guido Baldo di felice me-moria atteso che li fosse all’hora concesso a beneplacito, qual’è estinto»; il Duca

Un mese dopo questo rescritto da quei di Ripe veniva inoltrata al Duca la seguente istanza:

77 «Nei loro beni e persone».

78 La risposta del Duca: «Che Dio (aiuti). Il Podestà di Senigallia, sulla base dell’allegato adem-pimento, costringa (al pagamento) per mezzo di detenzione di persone e di beni, come richiesto:

purché l’esecuzione avvenga dentro la città o nel suo comitato. Guido Ubaldo Duca. Pesaro, 2 dicembre 1545».

rispondeva «alias deliberabit»79, in data 29 aprile. (80)

79 «Delibererà diversamente».

«Ill.mo ed Ecc. Sig. Duca. Noi gli Homeni et Università del suo Castel di Ripe humilissimi sudditi di V.E.I. brevemente gli espongono qualmente il Luogotenente di Senig(allia) ad istanzia della Comunità di detta Città di Senig. astringe certi lavoratori del Sig. Marchese di Sorbello al pagamento della colta delle terre del detto Marchese, et perciò ha ricercato molte volte il suo Commissario del detto luogo che vogli mandare dei lavoratori a Sinig. per po-tere astringere al (pag. 238) pagamento. Et perché l’Ill.mo et Ecc. Sig. delle dette possessioni sono nella giurisditione et territorio de Ripe et no’ in quello de Sinigallia come s’è tenuto et tiene propria giurisditione de Ripe; pertanto hanno ricorso humilmente alli Clementissimi piedi di V.E.I. acciò vogli prohibire che non potesse astringere quelli di Senig. né Padroni ne lavoratori al pagamento delle colte o impositione a Sinig. ma che l’homini del detto Castello di Ripe stiano nel medesimo possesso sinche non hanno mostrato et liquidato le sue ragioni che pretendono havere in detta possessione per la Colta, et così adiman-dano quella provisione conveniente a questo fatto il che si...

Praetor Senogalliae, vocato Synodo Universitatis ejusdem Civitatis audiat, pro-cedat summarie extraiudicialiter et visa tamen veritate, provideat eorum indemni-tati ut juris erit, et justitiam faciat expeditam80.

F(ranciscus) M(aria) D(ux) Urbini 2 Junii 1578». (81)

Non ostante le lettere declaratorie che venivano da Urbino ed i saggi consi-gli, pure la questione all’iniziarsi del secolo XVII era allo stato di prima, perché nel Consiglio di Ripe tenutosi il dì 4 ottobre del 1606 si stabiliva di scrivere alla Comunità di Senigallia che «secondo il solito, quei giudici non faccino pagar ai ripesi i Capisaldi (leggi: Caposoldi), e che i Gabellieri non obblighino al paga-mento di detta gabella». E nel consiglio 21 febbraio 1610 si ricorreva a Senigallia

«sopra l’innovazione di far pagare la gabella ai ripesi contro le antiche consuetu-dini reciproche». E 6 giorni dopo si determinava di scrivere nuovamente «su tal disordine, perché più volte avendo fatte rimostranze, ancora non si è rimediato;

e se ciò non bastasse mandare uno appositamente da M. Bernabeo Bassi con il sigillo, acciò si scriva sopra tal particolare formatamente et lassare che detto m.

Bernabeo debba proseguire et stabilire il tutto». Inoltre volle il Consiglio che si ricorresse al Duca contro i gabellieri; anzi nell’anno dopo, e precisamente nel dì 30 luglio, volle il Consiglio di Ripe che venisse inoltrata una istanza a S.A. «per

80 «Il Pretore di Senigallia, convocato il Consiglio della Università della medesima Città, ascolti, proceda sommariamente stragiudizialmente e, verificata infine la verità, provveda al loro inden-nizzo secondo diritto, e faccia velocemente giustizia».

l’aggravio (pag. 239) incessante che soffrono i ripesi dalla curia di Senigallia per il pagamento dei Capisaldi (leggi: Caposoldi)». Fra quest’epoca ed il 1612 vi fu la questione innanzi ai giudici di Senigallia, e siccome ebbero la peggio i ripesi, il Consiglio di quel castello nel 2 dicembre del 1612 prese la determinazione di ricorrere al Duca «che contro l’antica usanza e consuetudine il Tribunale di Senigallia aveva presa la innovazione di far pagare i Capisaldi (leggi: Caposoldi) ai Ripesi»; oltre a che chiesero al Duca la conferma di una lettera da lui scritta che i ripesi non potevano essere convenuti in Senigallia. Il 4 marzo 1618 si prese la risoluzione che i ripesi «per antica consuetudine non debbano pagare né capisaldi (leggi: caposoldi) né gabelle e così viceversa»; ma siccome quei della città facevano pagar la gabella dell’estrazione e del passo, il consiglio di Ripe in data 22 gennaio 1640 venne ad una rappresaglia, facendo ai Senigalliesi l’istesso trattamento. Nel 1644 la questione era sempre agitata in seno ai consigli; anzi il 14 gennaio 1662 la Comunità di Ripe ricordava a Senigallia che e sotto i Duchi ed in seguito godé sempre l’esenzione di poter estrarre ogni sorta di roba senza dover pagare gabella, per essere un suo castello e osservare il medesimo statuto. Ingiustamente quindi quei dazieri da certo tempo colpivano di gabella gli abitanti di Ripe che portavano o fuori o dentro le robe. Ed il Consiglio nella risposta che fece alla lettera dei priori di Ripe diceva di aver deciso una inchiesta sui fatti lamentati. (82)

Una notificazione del Card. Rubini Legato sul dazio del passo e tratta d’ani-mali in data 11 novembre 1692 avvisava che «per ovviare a degli inconvenienti per il pagamento da farsi di detto dazio dalle persone di Senigallia e suo distretto debba osservarsi puntualmente detto Statuto, Rubrica IX, tanto se fosse al cit-tadino sì tanto sopra l’assegno delle bestie che si conducono in città e territorio, quanto per il pagamento delli sei bolognini per bestia che si estrahesse doppo sei mesi, e se prima si osservi il tenore antecedente della Rub. IX di modo che lo Statuto alla Rub. X s’intenda, e debba osservarsi solamente per le persone fore-stiere e non per quelle della Città di Senig(allia), suo territorio e distretto, (pag.

240) compresevi detta terra della Tomba, Ripe, M. Rado, e non altrimenti, né in altro modo» (83). E siccome gli abusi si rinnovavano, il Vice-Legato Prospero Caffarelli rinnovò la notificazione suddetta (84).

Ma nel secolo XVIII si ricorse ai Tribunali, e lo sappiano dai verbali con-siliari di Tomba del 13 marzo 1774 nei quali è registrato che una lettera di Paolo Sarnani curiale in Roma avvisava che «nella causa della gabella contro i Senigalliesi fin da principio esso comparve in Roma tanto in nome della Comunità di Ripe, quanto in nome di questa nostra Comunità, e che perciò es-sendosi perduta la causa, richiede la procura di questa Com.tà per ricominciare la detta causa». Ma il Consiglio decise che «siccome dopo perduta la suddetta

nostra Comunità non era nelle condizioni di quella di Ripe, come che non compresa nel numero delle Comunità distrettuali di Senigallia, perciò questo nostro Consiglio non ha fatto mai alcuna risoluzione di voler proseguire positi-vamente una tal causa in Roma, né ha mai molto meno per conseguenza fatto alcun mandato di procura a tal fine al suddetto Sig. Sarnani, avendo la causa medesima proseguita soltanto la Com.tà di Ripe» (85). Il curiale Sarnani scrisse anche a Ripe, e la lettera venne comunicata ai consiglieri il 14 gennaio 1774, quantunque la sentenza in Urbino fosse stata emanata fino dal l768. Perdutasi da Ripe e Tomba la causa, il Presidente Pascale Acquaviva d’Aragona che era il presidente del Tribunale scrisse al Luogotenente di Senigallia la seguente:

«Doppo che è stata da noi decisa con nostra sentenza la causa fra Codesta Com.tà e quella del Commissariato di Tomba, e Ripe in vigore di cui vengono gli uomini di queste ultime condannati al pagamento della Gabella per l’in-troduzione del vino in codesta città nella forma e quantità che vien pagato da altri forestieri, avendo gli uomini di detto Commissariato interposta da questa nostra sentenza l’appellazione, sono a noi (pag. 241) ricorsi coll’ingiunto me-moriale li pubblici Rappresentanti di Senigallia, facendoci istanza [che] obblighi anco detti uomini al pagamento di detta gabella ad instar Civium.81 Noi pertan-to avendo riconosciupertan-to, che la questione avanti di noi agitata versa sul dubbio, se i Ripesi ed altri consorti della lite dovessero pagar la Gabella sudetta, o come forestieri o come cittadini, abbiamo altresì rilevato, che l’istanza di Senigallia è troppo giusta una volta che pendente l’appellazione domandano il pagamento di ciò, che non cade in disputa, vale a dire il pagamento da farsi da detti Uomini ad instar Civium, riservate però alle parti le ragioni hinc inde82 competenti, Voi obbligherete gli Uomini di Tomba, e Ripe intanto a pagare detta Gabella a quella ragione che la pagano li Cittadini di Senigallia, facendo prendere nota dal deputato della Città di quel vino che gli Uomini suddetti introducono per averne ragione per ogni maggior pagamento a suo tempo e luogo. Pesaro 18 lu-glio 1768» (86). L’appello, che fu deciso in Roma da Padre Francesco Antamori, confermò la sentenza del d’Aragona nel giorno 2 settembre dell’anno dopo. (87) Si andò in appello ossia in Sacra Rota, ma la questione restò indecisa per la pa-rità dei voti. Allora si venne alla saggia determinazione di rinunciare ad ulteriori litigi, anche per la ragione che nel gennaio del 1774 posto il solito dubbio «an constet de re iudicata»83 dal Presidente fu risposto affermativamente.

81 «Allo stesso modo dei cittadini».

82 «All’una e all’altra parte».

83 «Si tratta di cosa giudicata».

Le questioni dei confini territoriali fra le comunità di Ripe e Tomba contro Senigallia furono non meno ardenti di quelle intorno alle gabelle. Fino dai tem-pi dei Duchi Tomba si lamentava per usurpazione di confini come risulta dalla seguente lettera od istanza.

«Li Uomini della Tomba sudditi del S. Conte Antonio Landriani ricorrono al Duca di Urbino esponendole esserle stato occupato alcuna parte del territorio loro parte dalli Uomini di Roncitelli, et parte da quelli di Scapezzano Com.tà di Senigallia come si può vedere per una Bolla del Papa Bonifacio nono dove sono descritti li confini (pag. 242) del detto territorio e si dimostra anco per un antico e de molti anni estimo ovver Catasto del ditto Castello, onde supplica le sia restituito l’occupato».

E il Duca fece il seguente rescritto:

«Luog. Senog. procedendo ut petitur provideat, et restitui faciat prout de iure ...»84 (88).

Ma l’aspettare fu lungo, perché apprendiamo da un documento che il 28 giugno del 1759 Carlo Rosati Vicario di Scapezzano che era stato incaricato di assistere all’apposizione dei termini fra Roncitelli e Tomba, chiese al Cardinal Legato Merlini il relativo pagamento; ed il Cardinale approvò. (89)

La questione dei confini tra Senigallia e Tomba si trova ampiamente discussa negli atti consigliari senigalliesi del 18 e 27 ottobre 1551; 4 gennaio, 20 e 30 marzo e 26 giugno del 1552; e 15 ottobre del 1553. (90)

Nei consigli di Ripe se ne trattò nel gennaio del 1577, e vennero nominati alcuni ambasciatori i quali nulla conclusero perché riferirono che «essendo nata questione per conto del linerato, quelli di Ripe dicono havere di linerato 770 linere in 10, e la Com.tà di Sinig(allia) pretende che siano 800, e fu risoluto che per il passato si facci il conto sopra 700 senza però pregiudizio delle ragioni della Com.tà; quindi regolare la cosa, se più di 770 rimborso dalla parte di Ripe, se meno dalla parte di Senigallia». (91) Ma noi sappiamo da altra fonte che Ripe era preparato alla lite anche prima, perché fin dal 30 luglio 1550 quella terra

«costituì per suo patrocinatore Simon Angelo Blasci della Tomba, e particolar-mente per esser ritenuto in detta Città Luca di Guido abitante di Campo de Fiore per le collette dei beni del Sig. Marchese di Sorbello». (92)

Da una lettera del Card. Legato Branciforti datata da Urbino 21 agosto 1760

84 «Il Luogotenente di Senigallia, procedendo come si chiede, provveda e faccia restituire secondo

sembrerebbe che l’accordo fosse già avvenuto, invece dopo 9 anni vediamo di nuovo tornare in Consiglio l’istessa questione. Ecco la lettera del Branciforti diretta al Luogotenente di Senigallia.

«Dovendo questi Pubblici Rappresentanti spedir deputati ad assistere all’ap-posizione di termini territoriali da stabilirsi e fissarsi tra (pag. 243) confini di Codesta città, e quelli di Ripe, e Noi concediamo a quella permissione, che coll’ingiunto comune memoriale ci chiedono».

Per notarli il Legato troppo spese: «due soli siano i deputati, assegnando a ciascuno paoli l0 al giorno». (93) Ed ecco come dopo 9 anni è risorta la que-stione: nel consiglio di Ripe dell’11 giugno 1769 furono eletti due deputati per delimitare i detti confini; e due anni dopo 25 maggio 1771 il Gonfaloniere e Priori di Ripe indirizzavano la seguente a quei di Senigallia.

«Ill. Sig. Sig. e Priori Colendissimi

Dopo la imminente fiera di Sinigaglia, qualora alle Sig. Loro Ill. stia com-modo, noi saremo in stato di venire alla terminazione del nostro territorio e quello della loro città. Per dilucidare però bene le difficoltà insorte, per cui restò sospesa la terminazione medesima ne’ prossimi passati anni, in cui fu rinnova-to quesrinnova-to nostro appasso, converrebbe dare un occhiata all’antico appasso di questo luogo, e a quello della stessa loro città, che trovansi entrambi in codesta loro Segreteria; che però quando si degnassero di ammettere le nostre premure, spediremo costà un deputato per riconoscere quanto bisogna». (94)

A dì 23 agosto del 1775 la questione non si era avanzata di un sol passo stante che nel giorno 23 agosto di quell’anno a Ripe il Consiglio si occupava di nuovo dei confini «non essendo dovere di continuar più l’intollerabile abuso di vivere così ciecamente senza sapere fino a dove si estenda ... come altresì non doversi più continuare l’altro abuso di bonificare ogn’anno la colletta dovuta alli Signori Bonomi di Senigallia che pretendono essere nel territorio di detta città o nella Contea di Porcozzone ...» Si decise di far delle prattiche per portare a fine le due questioni e si elesse anche il perito geometra. L’11 luglio del 1779 si rifece la questione dei confini «che da tanto tempo rimane indecisa per li beni situati lungo il confine di Roncitelli sino al confine di Tomba da Capo, e sino alla strada imperiale del piano da piedi, nei quali si comprendono le possessioni Giannini, Pasquini e Carpegna» (pag. 244); e siccome l’avv. Giuseppe Mancini aveva esaminate le ragioni di Senigallia e di Ripe, rispose che essa era abbastanza buona, quindi, ad unanimità di voti, venne deciso di iniziarla.

Il 16 aprile dell’anno dopo il Consiglio stabilì di proseguirla, e siccome non era stata fatta alcuna risoluzione per ottenere il permesso da S.E.R. vennero incaricati i Priori di supplicare per la detta approvazione; ma finalmente si poté arrivare ad una soluzione.

Urbano VIII nel dì 29 dicembre 1632 aveva concesso ai pergolesi di potere in perpetuo asportare dalle loro possidenze che avevano fuori del territorio della Pergola «per una giornata» «da detti territori e luoghi li grani, biade, olive, e vini che vi raccoglievano, e portarli a detta loro terra, lasciando però il bisognevole

Urbano VIII nel dì 29 dicembre 1632 aveva concesso ai pergolesi di potere in perpetuo asportare dalle loro possidenze che avevano fuori del territorio della Pergola «per una giornata» «da detti territori e luoghi li grani, biade, olive, e vini che vi raccoglievano, e portarli a detta loro terra, lasciando però il bisognevole