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La quale non mancò di conceder loro dei privilegi

(pag. 231) Solevano i municipi cogliere le più svariate circostanze per pre-sentare ai Duchi dei doni o per attestare la loro fedeltà. Sappiamo che Ripe nel settembre del 1597 incaricava Giovanni Battista Tomasi di andare ad Urbino, alla Corte, per rintracciare tutte le ricevute e memorie che vi esistevano «risguar-danti il donativo fatto al Serenissimo Duca il 27 settembre 1554». Nel 1597 Ripe voleva fare altro presente unitamente a Tomba e Monterado, ma queste contraddicendo, voleva che si facesse da parte propria isolatamente. Un anno dopo Ripe propone di donare al Duca scudi 40; e siccome nel 1599 il Duca prese moglie67, Ripe stabilì di regalargli scudi 100 di moneta, nella speranza che altrettanto facesse Tomba. E siccome la capitale del Commissariato fu di opinione di donarne solamente 80 «si stabilì di fare da sé; e per rinfrancare le finanze comunali si dovesse imporre una colletta sull’allibratico». Nel giorno 19 dicembre 1602 tanto a Ripe che a Tomba venne comunicata una lettera ducale, annunziante la morte della «Serenissima Madama et fil(ia)»68, per il che venne fissato di fare ciò che facevano gli altri per i funerali, dovendo essi, secondo il Consiglio di Tomba del 2 gennaio 1603, [celebrare un funerale solenne] nella

67 Il duca Francesco Maria II della Rovere, rimasto vedovo nel 1598 della prima moglie Lu-crezia d’Este, sorella del duca Alfonso I di Ferrara, sposò nel successivo anno 1599, in seconde nozze, Livia della Rovere, figlia del cugino Ippolito della Rovere, marchese di S.

Lorenzo in Campo. Dal matrimonio nacque Federico Ubaldo della Rovere che morì in età di anni 18, avendo procreato dal suo matrimonio con Claudia de’ Medici, figlia di Cosimo II e sorella del granduca di Toscana Ferdinando II, solo una femmina, Vittoria Feltria della Rovere (nata il 7 gennaio 1622). Di conseguenza il ducato di Urbino rimase privo di eredi maschi e ciò determinò nel duca Francesco Maria II la decisione di devolvere il ducato di Urbino, dopo la sua morte (1631), alla Santa Sede.

68 Il 15 dicembre 1602 morì a Pesaro all’età di 82 anni, la duchessa Vittoria Farnese, figlia di Pierluigi Farnese duca di Parma e Piacenza, madre del duca Francesco Maria II della Rovere, nato a Pesaro il 20 febbraio 1549 dal secondo matrimonio del duca Guidobaldo II della Rovere (che in prime nozze aveva sposato Giulia da Varano, figlia di Giovanni Maria, duca di Camerino, la quale morì all’età di 24 anni senza figli maschi, avendo partorito solo una femmina, Virginia della Rovere).

Chiesa parrocchiale del capoluogo, chiamando a contributo Ripe e Monterado.

Si dovesse in pari tempo scrivere una lettera di condoglianza «ed eleggere del-le persone da mandarsi a Pesaro in rappresentanza ai (pag. 232) funerali colla retribuzione di quattro giulj». Anche Ripe determinò di mandare rappresen-tanze, di fare il funere in società con gli altri due paesi ecc., ma che in quanto al luogo da farsi, si rimetteva la decisione al giudiziando del Commissario, il qual Commissario se dichiarava doversi fare alla Tomba «non doveva la cosa sembrare come soggezione di Ripe alla Tomba, ma come solo incidente senza farlo passare in consuetudine in simili casi: il che si faceva per rendere la cosa più degna». Furono invitati tanto i sacerdoti di Montenuovo quanto quelli di Corinaldo con i musici dell’uno e dell’altro luogo «ma, amendue accettando, pretendevano il primato nella direzione (nel reggere) della musica». Stante que-sto disparere «si stabilì che ogni comune facesse da sé per evitare disordini e per evitare dei passi, tanto più che si temeva nascesse qualche disgusto fra le comu-nità del Commissariato in materia di precedenza di posti della magistratura. Il Priore poi doveva vestire da Corotto69».

Il 16 maggio del 1605 a Pesaro la Duchessa dava alla luce un figlio70, per il quale fausto evento Tomba stabilì di fare un presente di 100 scudi. Il 22 settembre il Duca faceva scrivere che dovendosi fra qualche giorno battezzare solennemente il nuovo nato fra le «13 o 14 hore del 16 maggio» se il municipio voleva intervenire restava invitato. Per la rappresentanza fu delegato il nota-io Terenznota-io Bartolomei, ma gli vennero negati i mezzi per accedere sul luogo, del che il Bartolomei essendosi lamentato con il Duca, questo così scriveva al Commissario in data 20 ottobre da Urbino: «È ricorso alla nostra Udienza S.

Terentio dolendosi essere stato eletto dalla Com.tà a venire qua nella ceremonia del battesimo senza volerseli somministrare dal pubblico la spesa di cavalli, e vitto, mentre verrà a stare quà per detto servigio. Il che ci pare assai strano, e però osserverete che questo no’ sia astretto (pag. 233) spendere del suo in detta occasione». (48) Ripe più sollecita aveva discusso anche prima che avvenisse il parto cosa era da farsi, per cui i Priori nel giorno 5 aprile proposero che ve-nissero eletti due deputati «per provedere schioppi, polvere e moschetti et altri istrumenti atti et opportuni in simili allegrezze con autorità di poter comanda-re, provvedecomanda-re, disporre e far quel tanto che sarà di bisogno intorno a questo

69 Forse contrazione di corvotto, nel senso che il Priore doveva indossare una livrea nera e lucida come il piumaggio di un corvo.

70 Si tratta di Federico Ubaldo della Rovere, di cui si è fatto cenno alla prima nota di questo capitolo. Sebbene fosse nato fra le «13 o 14 hore del 16 maggio» 1605 e privatamente bat-tezzato dal vescovo di Pesaro, la cerimonia ufficiale del battesimo avvenne in Urbino il 28 novembre (e non settembre come scriverà fra poco Palmesi) di quell’anno.

particolare. I Priori dissero che la Tomba aveva fatto consiglio per il dono da presentarsi e che potevano unirsi alla Tomba» ma il Consiglio opinò di fare da sé. «Allora i Priori proposero scudi 100 e più se ci fusse bisogno e o pigliarli a censo dalla compagnia d’offitio, o in altro modo» cosa che fu approvata. Anzi il dono possibilmente doveva farsi nel modo seguente: comprare tanto grano, e colla vendita fare il presente sperando di ritrarre da questa vendita del guada-gno, se in altro modo non era possibile trovare del denaro. Per questo nel gior-no 3 maggio 1605 fu risoluto di gior-nominare quattro deputati, i quali dovevagior-no andare a Corinaldo, Pergola, Montalboddo e Fossombrone, uno per luogo per trovare la somma occorrente, ed ai quattro passare vitto e cavalcatura. Trovato il denaro fu determinato di farlo presentare «a mezzo del Sig. Emilio Emili segre-tario degnissimo di S.A.S., e di fare come le altre città dello Stato un ufficio di 8 o 10 messe dello Spirito Santo, far processioni, et poner le quaranta hore, et far oratione devotamente acciò ne receviamo dal Sig. Iddio buona gratia in salute dello stato però sì dell’anima che del corpo dando alli sacerdoti l’elemosina, et pagandogli da mangiare, come riceva il patto et solito». Fu nel giorno 3 maggio risoluto anche di chiedere a S.A.S. la grazia di poter mandare un ambasciatore per rallegrarsi. «E si determinò che quantunque tutte le risoluzioni si debbano fare per ballottazione, pure quelle per il Principe si faccino a viva voce, essendo sconveniente la ballottazione». Ambasciatori (pag. 234) furono l’Avvocato del Comune ed il Consigliere Muzio Guglielmi, i quali ebbero anche incarico «di ringraziare il Sig. Emilio che aveva presentato i 100 scudi, e ringraziare anche il Sig. Giulio Giordani Segretario degnissimo di S.A.S. per aver data la nuova del parto». E siccome Senigallia ed altri luoghi avevano dato agli ambasciatori quattro servitori, così Ripe il 29 maggio risolvé che si dovesse dare «almeno un servitore per ciascuno dei due, somministrando la provvisione per poter vivere».

Per il battesimo fu eletto deputato Piergirolamo Benedetti; ma siccome il duca voleva che l’ambasciatore di Ripe dovesse andare unitamente a quello di Tomba

«la quale invece pensava di voler gratificare questa nostra comunità in haversi a mandare detto eletto nostro ... intendiamo di non andare a richiesta né della Comunità di Tomba né d’altri, ma solo adempiere la buona volontà del nostro Principe ... quindi doversi di nuovo scrivere a S.A.S., et far quanto che sopra tal proposito sarà più espediente acciò non veniamo defraudati di qualche nostra buona ragione». La risposta del Duca confermava la prima volontà che Ripe

«habbi d’andare in compiacenza della Com.tà della Tomba». Sopra il qual par-ticolare Ripe avendo chiesto il parere di due dottori, si stabilì «di fare il protesto e mandare la supplica a S.A.» Frattanto essendo arrivato il momento di pagare per il denaro occorso e preso in prestito (in some 13 e mezzo di grano) si impose la colletta sopra l’allibratico in bolognini 10 per libra. Oltre a che nel 30 luglio

del 1606 il Consiglio chiese in prestito al Duca del denaro, elesse a ciò deputati, avendo S.A.S. concessi scudi 200 a mutuo, da convertirsi dopo soli 3 giorni dal ritiro in grano, e dispensarlo ai poveri.

Nell’anno 1620 … [intero rigo lasciato in sospeso dall’autore, ma si capisce dal prosieguo che Federico Ubaldo, figlio del Duca Francesco Maria II della Rovere stava per sposarsi]

ed il Consiglio di Ripe votò per questo avvenimento scudi 100 da offrirsi in oro a mezzo del Sig. Giulio Giordani. Anche Tomba (pag. 235) stanziò nel suo bilancio scudi 100, e si occupò «del modo da tenersi tanto nello scrivere, che nella nomina dei deputati da mandare, insomma che si doveva fare tutto quello che avevano fatto le altre città specialmente Senigallia, e trattare anche con le al-tre comunità se volevano unirsi nella offerta». Ma il Principe in data 16 febbraio del 1620 scriveva alla Comunità:

«Spettabili dilettissimi nostri,

Apprendiamo assai hamorevolmente l’offerta che ci fate per l’occasione delle prossime nozze del Principe nostro figlio ma perché desideriamo che il tutto passi con sodisfattione ... per hora non ci occorre di valersene poiché la divina Maestà concede al presente a questa casa tanta Commodità, che senza travaglio ... può portare questa spesa; che il S. Iddio vi guardi e contenti.

di Pesaro il dì l6 febbraio 1620.

Francesco Maria». (49)

Sta scritto nel verbale consiliare del 5 aprile che «havendo S.A.S. rengraziato questa Com.tà dell’offerta fattale come si vede dalla risposta fatta a questa Com.

tà si disse se se li deve far altra offerta e sopratutto bene offrire quella quantità di roba che parerà a questa Com.tà facendoli intendere anche alla Com.tà di Monterado che si giudica che questa offerta aggradirà assai più a S.A.S. non havendo voluto accettare denari»; nel maggio venne prescelta la persona la quale doveva presentare il donativo.

La principessa partorì71 e Tomba cercava il denaro per fare un dono alla puerpera, dovendo esso consistere «in quattro candilieri d’argento di doi (due) libra l’uno» ... «i candilieri verranno da Ancona, saranno di soddisfazione della Comunità» così rispondeva da quella città il Sig. Girolamo Trionfi, il quale si

71 Dal matrimonio fra Federico Ubaldo della Rovere e Claudia de’ Medici, di cui si è riferito nella prima nota del presente capitolo, nacque il 7 gennaio 1622 Vittoria Feltria della Ro-vere, principessina di Urbino, la quale nel 1637, 6 luglio, sposò Ferdinando III de’ Medici, granduca di Toscana.

offriva di assistere il Comune in questa occasione ... «il 27 maggio 1621 fu fatta la radunata del Consiglio, i quali deputarono et elessero per andare a fare il do-nativo alla Serenissima Principessa ...»

(pag. 236) Mentre Tomba faceva questi presenti prendeva in prestanza, come Ripe, da S.A.S. scudi 200 all’interesse dell’8. Gli atti consiliari del 26 maggio 1623 registrano «li ministri di S.A.S. fanno sapere che se li debbono restituire li scudi doicento havuti dalla Serenissima Camera per servizio dell’Abbondanza».

Vennero rimborsati scudi 50, e sui residuali 150 venne offerto il 12 per 100.

In mezzo a queste strette ecco un nuovo debito di altri 200 scudi per altro donativo a S.A.S. nel 1626, deputando un Consigliere perché vada in Urbino a trovarne. E sembra che questa volta il dono avesse avuto luogo cumulativa-mente fra le tre Comunità, perché con lettera 8 settembre «Sua Sig. Ill.ma et Eccell. fece sapere che li scudi cinquecento per il donativo fatto da queste tre comunità, impiegati in argenti importano più de scudi cinquecento, però si dee supplire da queste Com.tà alla mancanza che tocca a questa comunità sette delle spagnuole72 tanto a Ripe, et a Monterado tre e mezzo, et dovendosi fare detto supplem(ento) si dica dove si debbono pigliar detta denari per darli in mano al Sig. Commissario conforme alla detta lettera». Da quest’epoca fino alla devoluzione del ducato alla Santa Sede fu un continuo discutere in qual modo si dovevano pagare i fruttati ed il denaro preso in prestito dai duchi, fino a che un anno dopo di detta devoluzione la Duchessa erede73 dichiarava di non volere più aspettare il rimborso dei 100 scudi. Nel 1648 l’agente della Serenissima Gran

72 Probabilmente con questo termine si indicavano le monete d’oro italiane di valore corri-spondenti al doblone (due doble, cioè quattro scudi) o doppio escudo spagnolo, detto più genericamente dubla o dublo, che secondo Palmesi valeva 4 ½ scudi romani. I dobloni spagnoli si diffusero anche in Italia soprattutto alla fine del 1500 dopo il regno di Filippo II, durante le guerre di successione spagnola, e furono imitati da vari Stati italiani, compre-so quello pontificio. Considerando che Tomba doveva contribuire con 7 spagnole (scudi 31,5), (altret)tanto Ripe (scudi 31,5) e Monterado tre e mezzo (scudi 15,75), il totale mancante al completamento del donativo assommava a sc. 78,75 che, con l’interesse legale al 4% per 5 anni comportava circa sc. 100 (esattamente 99,13, conteggiando gli interessi dal successivo 1627); infatti la Duchessa nel 1632, anno dopo la devoluzione del Ducato di Urbino alla S. Sede, dichiarava di non voler più attendere il completamento del donativo dei 100 scudi del 1626.

73 La duchessa erede era Vittoria Feltria della Rovere, che subito dopo viene indicata come

“Serenissima Granduchessa di Firenze” perché sposò Ferdinando III de’ Medici, come anti-cipato alla nota 5. Ereditò solo i beni materiali dell’ex duca di Urbino Federico Ubaldo (per cui i beni non immobili, quali quadri, mobilio, documenti, preziosi, ecc., furono trasferiti in gran parte a Firenze) ma non il ducato che era stato devoluto alla Santa Sede nel 1631 dal nonno Francesco Maria II della Rovere.

Duchessa di Firenze, erede della casa di Urbino, richiedeva a Tomba i censi ma-turati e non pagati; e nell’anno dopo minacciava l’esecuzione.

Gli eredi della casa di Francesco Maria incominciarono dal rifiutare di pagare le Collette «che erano obbligati a pagare, come appare da giustificazioni, per cui fu deciso di scrivere al Sig. Francesco Fabri uno dei ministri della Granduchessa erede, che voglia rispondere alle scritture lasciate in mano del Sig. Ferdinando Grati in assenza, e risolva sopra tal partito, e non dando risposta si facci (pag.

237) esecuzione contro i beni». Così decretava il Consiglio del 6 gennaio 1645 di Ripe. E nel 19 marzo dell’istesso anno i Priori annunciavano che «avendo il Sig. Capit. Nicola Rossi trattato col Sig. Francesco Fabbri, si era concluso che dai ministri della medesima si dovevano pagare le collette dal 1634 in qua a ra-gione di mezzo scudo per soma di terra, e così ogni anno senza diminuzione, al che furono nominati i deputati». Sembra che fosse incominciata contro gli eredi una certa rappresaglia, la quale determinò il cardinal D’Elci Legato a scrivere in data 6 gennaio 1661 al Commissario dei tre Castelli perché facesse bandire alcu-ne severe pealcu-ne contro coloro che osassero apportar danni ai beni del Serenissimo Gran Duca di Toscana, esistenti nei loro territori.

Dei privilegi accordati dai Duchi di Urbino al Commissariato, quando que-sto si trovava sotto i Landreani parlano alcuni documenti. Senigallia, avvenuta la morte dell’ultimo dei Landreani supplicò il Duca per l’abolizione dell’esen-zione di certe tasse concesse da alcuni anni.

«Ill.mo et Ecc. S. Duca

La Com.tà di Sinig(aglia) fedelissima di V.E. Ill. reverentemente l’espone, qualmente altre volte ha ottenuto da lei [che] gl’heredi del Conte Antonio e Conte Giovanni Francesco Landreani per le terre che possedono nel territorio di Siniga(glia) ... pagassero le colte come fanno gl’altri cettadini ... Et il simile si degni concederli, che faccino gl’huomini di Ripe, poi che per la morte del Ecc.mo Suo Padre, il privilegio concessoli nò habbi più vigore, e che però detti huomini habbino a pagar le colte come prima facevano.

Placet quo(d) ad onus Fabric(ii) a morte G(uidi) Ubaldi Genitoris mei fel(icis) mem(oriae). 17 Marz(o) 1578» (Si approva che sia a carico di Fabrizio, dalla morte di Guido Ubaldo mio padre di felice memoria). (50)

Questo per le colte: per la tratta dei grani vi sono altre concessioni contenute nelle seguenti lettere.

«Dux Urbini. Officiale.

Habbiamo scritto al nostro Luogotenente di quanto vi occorre e per conto della Tratta de’ grani et altre (pag. 238) biade delli Castelli del Conte Antonio

Landreani farete seco dov’anco il S. Vicario di detti Castelli et esseguirete quan-to è ordinaquan-to ad esso Luogotenente che si faccia: Avertendo sempre nò se co-mettino fraude, si della tratta et predetti castelli, come de gl’altri luoghi miei: et di quelli della Signora nostra Madre e del Sig. nostro fratello ch’a quella citta li portassero grani: tenendone particolar conto di quelli delli publici privilegi per-ché il medesimo facciano a lor agenti delli grani dei mej sudditi. Rescrivendo, si altro per tal cosa di Tratta vi occorresse, che sin hora non vi fusse proposito:

Circa il pagamento delli grani [che] vanno sì dalli Castelli e luochi della predet-ta detpredet-ta mea Madre et del Sig. meo fratello: vi diciamo che tratpredet-tandoli come forestieri, gli facciate solo pagar bot(ti) q(u)a(t)tordici per soma perché il resto pagherano alli predetti Sig.ri. Et volendo quelli delli medesimi Castelli et luoghi cavar grano de Sinigaglia o suo distretto gli farete pagar la tratta: che così è stata fatta resolutione ...» (51).

«Il Duca d’Urbino. Dilettissimo nostro. Per l’avvenire farete che i grani ch’ac-capitaranno lì delli Castelli del Conte Antonio Landriano, siano trattati come quelli appunto che ci vengono dalli Castelli di Mons. R.mo nostro fratello, cioè che nel uscire non paghino più la tratta come terrieri, ma come forestieri.

Perché così avemo risoluto noi per convenienti e degni rispetti. E provederete che quanto è nostro ordine si descriva in luogo che da ogni vostro successore, et perpetuamente sia osservato; e state sano.

Di Senigaglia li XV di Marzo 1552.

Guid. Ubaldo» (52)

«Il Duca d’Urbino. Dilettissimo Nostro. Quello che vi scrivemmo, et ordi-nammo nel mese passato circa li grani che venivano in Sinigaglia dalli Castelli del Conte Antonio Landriano cioè che siano trattati, come quelli che vengono dalli Castelli (pag.239) di Mons. R.mo nostro fratello et habbiano da pagarsi la tratta come forestieri e non come terrieri: Vogliamo s’intenda ancora delli orzi, et in ciascuna altra sorte di biada, a’ punto in tutto e per tutto, come si fa in quelli che vengano dalli predetti castelli di S.S. R.ma così dichiariamo ed aggiungiamo per questa, la quale non mancherete di mettersi in buona osserva-tione, e che sia registrata nei libri consueti ... Bene valete (State bene).

3 Aprile 1552». (53)

Le due seguenti lettere poi stanno a dimostrare l’affetto che il Duca portava ai Landreani ed ai castelli a lui sottoposti.

«Il Duca d’Urbino. Magnifici Nostri Dilettissimi.

È mente e volontà nostra ch’alli huomini de Castelli del Conte Antonio Landriano, se habbia nell’occorrentia loro ogni conveniente rispetto, per l’onor et benevolentia che portiamo a lui. Il quale e per la congiuntione (parentela) che ha con Noi, et per le virtù et ottime qualità sue, amiamo singularmente, et teniamo carissimo. Et perché sappiano che in cotesta giurisdizione sogliono conversare assai spesso; Ci è parso con la presente farvi consapevoli di tal ani-mo nostro, acciò ché voi anchora possiate, quando accadrà conformarvici con gl’effetti: Dicendovi inoltre che non vogliamo che contro detti huomini alcuno di voi possa procedere ad eccetione veruna senza saputa nostra. Ma ogni volta che accadrà caso alcuno, il rimedio del quale non havesse evidente necessità di subbito provisione daretecene avviso, per ospittam. (sic) poi commission. (sic).

Però farete di osservare tutto questo inviolabilmente. Et acciò possa essersi noto

Però farete di osservare tutto questo inviolabilmente. Et acciò possa essersi noto