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e mercati - Il grave terremoto del 1742 - Ripe riedifica la torre dell’orologio - Monterado edifica

un campanile nel pubblico palazzo - Il Colera del 1855 - I Cemeteri - Il tiro a segno. La società operaia

(pag. 283) Il medico ed il chirugo-barbiere furono da me ampiamente discus-si in un opuscolo101 stampato nell’anno 1898 (119). Per molto tempo regnò fra i tre Castelli un accordo mediante il quale fu possibile avere un sol medico per l’assistenza di tutto il Commissariato con l’obbligo di risiedere interpolatamente un anno a Ripe ed un anno a Tomba, ma questo concordato fu causa di continui attriti fra Ripe e Tomba per il che talvolta si fece ricorso fino ai Tribunali, come avvenne nel 1759, come rileviamo da una bolletta del 29 febbraio di quell’anno, nella qual bolletta si legge: «Fatta Bolletta di paoli 8 per la causa che ha avuta questa Comunità con quella di Ripe e Monte Rado sopra la mancia pretesa per la quinta parte del donzello Merlini ch’ebbe dal nuovo eletto medico». La elezione era fatta e discussa con la massima precauzione ed interessamento dei tre Comuni riuniti in un generale Consiglio a Tomba, e rappresentati da un dato numero di Consiglieri di ciascuno dei tre consigli: durava in carica per un anno, poteva essere riconfermato, ed il modesto stipendio ora veniva pagato in denaro riscosso mediante (pag. 284) apposita e separata Colletta, ed ora veniva

101 Vincenzo Palmesi, I Chirurgi-Barbieri. Notizie Storico-Bibliografiche e Spigolature d’archivio edite a cura della Società di Mutuo Soccorso fra barbieri e parrucchieri di Ancona, Tipografia Cesare Tabossi, Ancona, 1898, consultabile presso la Biblioteca comunale “Benincasa” di Ancona. Nei paragrafi VIII, Decreto di Francesco Maria II Duca di Urbino, p. 12; IX, I chirurgi-barbieri allo stipendio dei comuni, pp. 12-19; X, La colletta per il medico e chirurgo-barbiere, pp. 19-23, l’a. riporta molti documenti attinti negli archivi di Tomba e Ripe. Dato che i paragrafi in questione interessano direttamente le località di Trecastelli, si è ritenuto doveroso riprodurli nella Appendice alla fine di questo volume, poiché è un libretto di non facile reperibilità, precisando che essi non fanno parte della «Storia dei Tre Castelli».

pagato in grano riscosso dai contribuenti in ragione del denaro che avrebbero dovuto sborsare.

L’istessa procedura si aveva per la nomina del Chirurgo, ma si procedeva forse con cura maggiore, e ciò perché esso era anche obbligato a fare il barbie-re «barbierando il pubblico gratuitamente». Anzi nel 1797 (epoca nella quale Ripe si era separato da Tomba e teneva un medico a sé) il Consiglio decretò la unione con Tomba per la condotta chirurgica «per dare un doppio stipendio, ed avere un buon soggetto»; ma il Presidente Monsig. Salviati rispondeva o che facessero l’unione anche per il medico, o non approvava quella del chirurgo.

Ripe aderì all’ingiunzione presidenziale nominando i due esercenti a Tomba, ma questa rispose licenziandoli immediatamente. Abbiamo detto che obbligo imprescindibile del Chirurgo era quello di tenere una bottega nella quale do-veva radere la barba a tutti indistintamente e gratuitamente, d’onde il titolo di Chirurgo-barbiere; ma nel gennaio 1706 a Ripe vi fu una modificazione. Lo stipendio del Chirurgo fu fissato in denaro, ed in scudi 63 urbinati «coll’obbligo di barbierare tutti indistintamente e non volendo questo obbligo, gli si debba dare una dubla al mese (doppia di sc. 4:50) da pagarsi a bimestre per bimestre dal Camerlengo, e l’avanzo della provisione applicata ad un Barbiere da eleg-gersi da questo Pubblico». Infatti nel dicembre dell’istesso anno l’elezione cadde su di un tal Dott. Sperandini al quale fu tolto l’obbligo della barba; ed a Ripe lo stipendio al barbiere sparisce nei consigli del 1750, dal quale anno negli atti consiliari non se ne fa più menzione, forse perché tolto questo impiegato per ordine superiore. Infatti nel giorno 27 agosto del 1747 il Delegato ordinava di togliere il barbiere e dare lo stipendio di quello al Barigello, il che venne ap-provato dal Consiglio di Tomba, come scrivemmo al Capo decimo (pag. 285) della prima parte. Anche Tomba soppresse il posto di pubblico barbiere ma per brevissimo tempo perché nei verbali consiliari del 25 gennaio 1750 venne proposto «siccome in questa terra sia stato da molti anni a dietro il Barbiere per comune vantaggio delle famiglie, e siccome questo non è molti anni che è stato dimesso, così al presente che si crede possa aver la Com.tà qualche avanzo della Colletta del medico e Cerusico, si propone se paglia (sic, paia, sembri) bene ri-mettere il Barbiere in piedi, con l’assegnamento di scudi otto ducali l’uno, e col peso che debba pigliare a nolo una Bottega nel luogo». E la proposta incontrò il favore del Consiglio; e col tempo troviamo di nuovo questo impiegato. Infatti nell’anno 1767 vediamo rifermato il barbiere Domenico Nardini «con l’obbligo di stare il sabbato e fino alle ore ventitre a disposizione di chi vuol farsi la Barba»;

nel 1778 dovendosi fare una nuova nomina gli Arringatori dissero «si venga a cotale elezione cogli soliti pesi, ed emolumenti, e coll’obbligo segnatamente di andare a far la barba a Palazzo ai Sig. Commissari pro tempore tutte le volte, che

a’ medesimi Sig. Commissari parrà e piacerà». Ed al barbiere che nell’anno dopo chiedeva un aumento veniva concesso «prendendo il denaro dagli avanzi del me-dico e chirurgo perché l’ufficio di Barbiere spettava alla cassa del chirurgo»; nella riferma del 1780, si legge nel verbale consiliare, l’ottenne «coll’obbligo però di far la barba generalmente a tutti, niuno eccettuato, il giorno solamente di sabato».

Mentre Monterado non ebbe mai farmacia, i Municipi degli altri due Castelli facevano delle loro argomento di discussione seria e interessante quasi in tutti gli anni. La prima memoria della farmacia a Tomba si ha dal Consiglio 18 ottobre 1613 nella quale tornata il farmacista ricorda con una lettera «come altre volte aveva avuta occasione di esporre il cattivo stato in cui quel luogo era tenuto»;

ed il Consiglio aveva deputati due individui a trovare 100 scudi per rimetterlo a modo. Dopo 3 anni dovendosi rifare la prigione di nuovo, «dove al presente trovasi la farmacia, però si dice (in Consiglio) dove si deve mettere la spezieria, (pag. 286) (la quale andava esercitata per conto del municipio da un farmacista il quale era eletto come qualunque altro impiegato e sottoposto a riconferma), et tenere bottega conforme al solito acciò si possi esercitare detta spezieria a be-neficio del pubblico»; ed il Consiglio stabilì che si dovesse portare dove stava il macello ... Nel maggio 1721 fece istanza per essere eletto alla direzione od eser-cizio della farmacia il veneziano «Carlo Brunetti esercente farmacia in Monte S. Vito»; ed il 25 giugno il Brunetti già era sul luogo dopo che «la spezieria era stata riserrata da tanto tempo in pregiudizio universale di questi popoli». La farmacia proseguì ad essere aperta dopo la partenza del Brunetti, sembra per debiti, e venne esercitata da un tal Stefano Romagnoli «di Montenovo abitante in Orciano», poi da Gregorio Orlandi, il quale fu licenziato nella seduta dell’11 marzo 1730 «perché nella farmacia non aveva nulla, e chi aveva bisogno do-veva andare altrove, e frattanto si godeva gratis la spezieria, le case e l’orto».

All’Orlandi seguì un tale Mignini, poi un Lenci ed alla morte di questo Lenci Giuseppe seguì il figlio Girolamo. Morì anche Girolamo e venne nominato Camillo, fratello del defunto. La spezieria esisteva ancora nel 1851 perché quel farmacista chiedeva al Consiglio del 2 marzo l’ingrandimento del laboratorio

«per esser troppo stretto, non potendo che con difficoltà e pericolo della vita eseguire le relative operazioni chimiche».

Ma prima di quest’epoca la farmacia era stata chiusa di nuovo, e chi la di-rigeva, l’aveva riaperta a tutto proprio rischio, perché prosegue il verbale del 2 marzo «il farmacista chiedeva la cameretta attigua al laboratorio per ingrandirlo, e che il Comune ne sostenga le spese per il lavoro, in considerazione ancora dei vantaggi che ora ne risente la popolazione per la riapertura della spezieria, tanto più che nella istituzione della spezieria il Comune non ha contribuito in

modo alcuno alla spesa, né tampoco dandogli annualmente cosa alcuna a titolo di compenso».

Per Ripe la spezieria più antica risale al 1601: nel consiglio dell’11 novembre si disse: «dovendo venire a fare bottega di spezieria M. Placido da Orciano, la nostra Comunità si obbliga a pagare il nolo della bottega»; ma forse il farmacista non venne perché nel giorno primo aprile del 1612 si nominarono (pag. 287) gli elezionari per erigere una spezieria «per esserci ammalati, quali non si possono aiutare, con servitio universale, et massime vedendosi l’influsso di questo anno, che regnano tante malattie, et di tante conditioni che ne periscono molti, acciò il pubblico si possa aiutare». E la farmacia fu aperta o sul declinare del 1612, o forse più probabilmente nel 1613 da un tal M. Francesco Probati «speziale della Roccacontrada102», il quale perché «si allontanava da Ripe talvolta senza permes-so», nel Consiglio 6 settembre 1615 fu minacciato di sopprimergli il pagamento

«del nolo di casa e bottega». Col tempo anche a Ripe venne la farmacia soppres-sa, e lo sappiamo dal verbale consiliare del 21 settembre del 1719 nel quale è re-gistrato il seguente brano: «Vedendosi l’utile e il comodo della popolazione per esser stata aperta da molti mesi in qua la spezieria dal Sig. Giovanni Guerinoni piacentino, che si sa per esperienza la di lui virtù nell’esercitarla, e perché questo povero galantuomo vorrebbe mantenersi con tutto honore, vorrebbe almeno 4 scudi romani, per pagare la metà del nolo di casa dove abita ...» Nel Consiglio del giorno 19 gennaio del 1788 un arringatore diceva a Cesare Lucilla che te-nendo esso e «mantete-nendo del proprio una spezieria, non può secondo le buone leggi interloquire nella elezione del medico». Nel 1835 conduceva la farmacia un tal Gioacchino Masi il quale essendo stato eletto farmacista a Morro, chiese a Ripe 12 scudi annui; che se gli venissero negati avrebbe accettato la elezione di Morro. Gliene vennero concessi solamente 6 «visto il danno che ne veniva alla popolazione colla partenza del Masi che da tanti anni abita in questo luogo, sia per la sua somma capacità nella professione, sia per le di lui buone qualità politiche e morali, sia per ultimo per la difficoltà, o quasi impossibilità di rinve-nire un altro farmacista». Il Legato limitò il compenso o sussidio a tutto l’anno 1837; e siccome il Consiglio aderì anche a proseguire il sussidio dopo il biennio ad una istanza che inoltrò il Masi, il Legato chiedeva «se alla continuazione di detto sussidio fosse di ostacolo il collocamento del bigliardo in una parte del locale della spezieria, o pure volesse continuarsi (pag. 288) non ostante questo».

Giovanni Battista Bellagamba disse che «siccome il Masi aveva ridotto a bottega di caffè, e bigliardo quasi tutto il locale, che prima serviva per uso di spezieria e suo laboratorio, così sembrava giusto, che il Comune diminuisse l’elargizione

102 Roccacontrada è l’odierna Arcevia.

di 6 scudi annui, assegnandogliene solamente uno». Ma il Consiglio concedé scudi quattro.

Altra cura grave era per il municipio il pubblico orologio. Sul declinare del secolo XVI a Ripe non vi era il pubblico orologio perché la proposta «di fab-bricarne uno sopra la porta del palazzo pubblico» fu fatta nel consiglio del 3 maggio 1593. La questione fu di nuovo agitata nel 1602 e nel 1605, nella quale epoca si stabilì di chiedere alla Signora Duchessa «di fare un orologio da campa-na in servizio e sodisfazione del popolo» ma questa supplica si doveva presentare dopo che la Duchessa avesse partorito, impegnando per la spesa di detto orolo-gio il guadagno del dazio del forno; ma l’impianto definitivo non si fece che nel 1616 nel quale anno nel bilancio «non essendoci altro assegnamento, ed essen-doci cinque some di grano del valore di cinque scudi la soma, dette cinque some devono esser vendute per la fabbrica dell’orologio». Ed infatti nell’anno dopo si elessero i revisori dei conti «di ciò che era stato speso per l’orologio e per il palazzo». Mancava però «l’orologio e la campana» perché nel Consiglio 20 mag-gio del 1618 si discusse l’acquisto, essendo compite le fabbriche «dell’orolomag-gio e della campana, perché erasi ottenuto dall’Ill.mo Sig. Padrone di fare l’orologio, ed essendoci il campanile doveva comprarsi la campana per non lasciare la cosa incompleta». Il 21 ottobre fu approvata la spesa dell’orologio in scudi 50, e il 21 maggio dell’anno dopo fu nominato il moderatore o temperatore nella persona di M. Torquato «colla provisione che si dà dalla Comunità di Tomba».

Dal che sappiamo che a Tomba il pubblico orologio fu impiantato prima di Ripe; anzi apprendiamo dal Consiglio 7 novembre 1626 celebratosi a Tomba che fu fatto accomodare «da M. Gian Antonio di Senigallia, non essendoci nes-suno sul luogo».

Una questione fra la casa ducale di Leuchtentburg ed il Comune di Monterado ci fa sapere che l’impianto dell’orologio in quel Castello coincide colla fabbrica del Palazzo germanico di Monterado. Il 21 agosto 1829 il Municipio scriveva al Delegato Apostolico (pag. 289) di Pesaro che l’agente dei beni del Venerabile Collegio Germanico-Ungarico residente a Pergola aveva disposto, in seguito agli ordini ricevuti «di far trasportare colà tutte la mobilia che tenevansi nel palazzo di Monterado, compreso l’orologio che sempre era servito per comodo del paese e della popolazione fin dal tempo dell’erezione del palazzo suddetto; e da circa 20 anni il mantenimento dell’orologio era andato a carico del comune, come anche le spese del moderatore». Il Legato rispose «che aveva inteso l’agente, che della proprietà del Collegio parlavano i libri di quella amministrazione, gli inventari dei mobili, non che gli atti di consegna fatti nel 1800 agli affittuari della tenuta M. Giberti e Bottoni. Che se il comune si trovasse in bisogno di possedere la detta macchina converrà che se ne faccia la compra dall’agente, il

quale a suo riguardo si trova disposto e preferirlo a qualunque altro acquirente.

Bene inteso che in tal caso la casa ducale di Leuchtentburg successa al Collegio, non vuole nel suo palazzo somigliante servitù». Quindi era necessario mettersi d’accordo coll’agente, «e riunirà il Consiglio per la spesa». Ed infatti nel dì 27 dicembre del 1829 si chiedeva al Sig. Giovanni Cingolani agente della casa du-cale Leuchtentburg proprietaria del Venerabile Collegio Germanico qual prezzo voleva per «la Macchina oraria».

Il forno ed il macello attirarono l’attenzione e le cure dei municipi più che qualunque altra cosa partendo forse dal principio che il relativo benessere del-le popolazioni influisce immensamente alla quiete e tranquillità pubblica. In ogni anno si affittava con pubblico incanto il forno, se ne redigeva dal notaio il contratto e il deliberatario doveva firmare il Capitolato. E perché non mancasse giammai il grano il municipio prendeva cura grandissima a fornirsi di grano specialmente negli anni di penuria.

Anche l’affitto del macello era una preoccupazione per i pubblici poteri;

diamo qui alcuni articoli del Capitolato per l’affitto dell’anno 1706 a Tomba.

«2. Carne di castrato dai 25 di giugno sino a Natale, e come è solito a dirsi da un San Giovanni all’altro. 3. che il macellaio non possa macellare pecora den-tro il macello. 4. che debba fare carne di bue per Natale e carnevale, conforme sempre è stato solito, e non possa pretendere (pag. 290) dubli per la libra103».

Nel 1765 «fu licenziato nelle forme solite il pubblico macello di questo luo-go per un anno, da incominciare a Pasqua prossima di Risurrezione, e finire come siegue cogli seguenti capitoli, cioè: che il castrato debba macellarsi da un S. Giovanni all’altro, e debba vendersi quattrini dodici la libra - vitella grossa quattrini 12 romani - vitella da latte quattrini 12 - bove al Natale quattrini 12

½ - bove rifatto fuori del Natale quattrini 11 - bove 10 - le altre carni a stima de’ Sig. grascieri104 pro tempore, sotto pena di fraude e di scudi tre in ciascu-na contravenzione, e per ciascuciascu-na volta, da applicarsi ad arbitrio dell’Ill. Sig.

103 L’espressione dubli per la libra va intesa nel senso che il macellaio non doveva richiedere un prezzo superiore (essere pagato in dubli anziché in scudi) rispetto a quello fissato dal capitolato per ogni libbra di carne (il cui prezzo di vendita era in scudi). Si tenga presente che la doppia era una moneta dello Stato Pontificio del valore di 3 scudi; ma, secondo Pal-mesi, una dubla corrispondeva a scudi 4:50. Una libra dell’epoca equivaleva a hg 3,391 ed era suddivisa in 12 once di 24 denari; ogni denaro era suddiviso in 24 grani, ed un grano corrispondeva a gr 0,05 ca. dell’attuale sistema di peso in grammi.

104 Grascieri erano gli ufficiali addetti a vigilare sulla sanità e qualità della grascia, termine che nell’età medievale indicava le vettovaglie in genere, soprattutto i cereali, ma che nello Stato Pontificio indicava in special modo il dazio o imposta di consumo sulla introduzione dei generi alimentari in città, in particolare delle bestie da macello che dovevano essere intro-dotte vive prima della macellazione; il prezzo dei vari generi di carne era fissato dallo Stato.

Commissario, ed Ill.mo Magistrato pro tempore. E che le suddette carni debba-no macellarsi o qui in Tomba, o nel Commissariato, e portandosi da altronde carne grossa prima di quella vender, si debba farsi estensibile ai Sig. grascieri pro tempore la fede autentica dove sia stata macellata; ed accadendo che il macellaio abbia due o tutti e tre i macelli di questo Commissariato, debba questi macellare una settimana per luogo, sotto pena ad arbitrio ecc. ...»

Anche la vendita del vino era regolata dalla pubblica amministrazione. Le due delibere consiliari che qui riferisco di Tomba la prima e di Ripe la seconda se da una parte ci dicono quale immenso sviluppo ha preso il territorio nella col-tivazione dei vini, dall’altra ci assicura ancora che erano più morigerati i nostri antenati. Consiglio di Tomba del 26 aprile 1821 «Si dichiara impossibile il rea-lizzare sul dazio del vino 32 scudi, perché in tutto l’anno non si consumano più di 40 some di vino circa; e l’aumento del dazio sarebbe ingiusto per la grandine caduta nell’anno innanzi». E a Ripe nel giorno 12 gennaio del 1800 si stabiliva

«di chiedere al Tribunale di Tomba un precetto penale, con il quale si ordini al bettoliere di vendere un solo barile di vino al giorno feriale, e due nei festivi, stante la scarsità del vino ed a soli 3 baiocchi e mezzo la foglietta105, e ciò anche per il grande abuso che si fa in questa terra del vino».

(pag. 291) Mercati e fiere a Tomba. Nel gennaio del 1602 S.A.S. concesse il permesso di fare i mercati nei giorni di venerdì, la qual concessione ebbe la sua conferma nell’anno 1640. Il Consiglio aveva stabilito certe pene contro coloro i quali pur essendo obbligati per il loro genere di industria non venivano ai mer-cati nella seduta del 21 settembre 1612; ed in quella dell’istesso giorno e mese di cinque anni dopo i Signori Priori dissero «essendosi fatti dei pegni ad alcuni per non essere venuti al mercato, conforme altre volte si è fatto, e perché fu ottenuto da S.A.S. per un certo tempo solamente che dovessero venire al mercato altri-menti farli pagare le pene [contenute] nella supplica, e per che il Serenissimo non dice per il passato, perciò si dica se detti pegni si devono restituire alli padroni senza far pagare pena alcuna essendo passato il tempo, come di sopra ottenuto».

Gli Arringatori sostennero che il mercato si dovesse fare e le pene si dovessero pagare conforme il rescritto di S.A.S.

Nel 1623 avanzava il Comune istanza per ottenere una fiera nella festa della Madonna del Carmine colla lettera seguente.

105 Foglietta o fojetta, indicava una misura di poco inferiore al mezzo litro.

«Em. e Rev.mo. Sig.re

La Communità della Tomba ... espone havere risoluto con buona, e Santa gratia di V.E. introdurre una fiera nella festa della SS.ma Maddonna (sic) del

La Communità della Tomba ... espone havere risoluto con buona, e Santa gratia di V.E. introdurre una fiera nella festa della SS.ma Maddonna (sic) del