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Storia delle varie Chiese e Cappelle esistenti nei tre Castelli, nei loro territori, nei due Appodiati

ed al Brugnetto

(pag. 307) Mons. Ridolfi nella sua Cronaca mss. ha lasciato ai posteri non solo succinte notizie di tutte le chiese, oratorii, cappelle della diocesi di Senigallia, che ai tempi suoi esistevano, ma ha corredato l’opera del disegno a colori delle facciate di tutte queste chiese ecc. Ed è così che abbiamo il disegno esterno di tutte quelle che alla fine del secolo XVI esistevano nei nostri paesi, nel Vaccarile e Porcozzone, e che il lettore troverà qui riprodotte111. Con la scorta degli atti consiliari ed altri documenti io illustrerò maggiormente quelle chiese dal Ridolfi ricordate, e dirò delle altre delle quali l’illustre vescovo non tenne parola.

E per incominciare da Tomba il Ridolfi accenna alla chiesa parrocchiale di S. Maria e Mauro Abbate edificata nel 1509, ricorda semplicemente l’oratorio di S. Giovanni ove esisteva anche la società del Sacramento, ed una cappel-la «sacellum» dedicata alcappel-la Vergine, e detta volgarmente S. Maria del Bottazzo

«distans a Castro ad iactum lapidis»112. Ricorda una chiesa antica di S. Mauro distrutta a’ suoi tempi, della quale appena apparivano le vestigia «distans per mille passus a Tumba»; di questa si parla nella bolla del 1300 di Papa Bonifacio VIII113, nella quale trattando del territorio di Tomba dice «usque ad Ecclesiam Sancti Mauri»114. A questa chiesa demolita certamente allude il seguente do-cumento: «Conti delle Chiese 1456. Tomba. La Chiesa de S. Mauro. Il Rev.

Rettore deve dare ogn’anno al Vescovado de Senigaglia il dì 15 agosto per la quarta delle Decime Grano some due, orzo soma una a misura di Sinigaglia come al libro Censuale (pag. 308) Sinodale». (127) Se questo è vero la Chiesa principale si trovava fuori del paese. La nuova chiesa parrocchiale edificata nel 1509 da Frate Bernardino Romandiolo è più e più volte ricordata negli atti consiliari. Nell’anno160l chiede del denaro per fare una campana nuova di

li-111 Vedi: Tavole.

112 «Distante dal castello quanto un tiro di sasso».

113 Su Bonifacio VIII, v. le osservazioni di A. Polverari, nella prima nota al cap. II, della Parte prima.

114 «Fino alla chiesa di S. Mauro».

bre 400, ed il consiglio in data 9 ottobre concede scudi 25. Il 10 marzo 1617 il Pievano chiede aiuto per il campanile che rovina, ma il consiglio gli niega qualunque sussidio, perché la spesa della chiesa è di pertinenza del Pievano; e riportata la questione nel consiglio 6 agosto, non ebbe miglior fortuna. Chiede del denaro per accomodare la sacrestia, ed il Consiglio 8 agosto 1638 accorda scudi 15 per elemosina, da darsi metà al principio, e metà alla fine del lavoro.

Nel 1642 il municipio nominò anche i deputati per l’acquisto di un nuovo organo. Dodici anni dopo, nel giorno 15 novembre i Sig.ri Priori proponevano

«di fare la Chiesa della nostra Pieve dentro la terra con li doi cento scudi offerti dalla Comunità da prendersi a censo, e da estinguersi in 8 anni coll’accumulo delle elemosine che si suol fare al Padre Predicatore, e con un risparmio fatto sulla provvisione del medico di scudi 10 annui». Frattanto l’autorità superiore incalzava per questo nuovo tempio, e fu così che nel consiglio 28 dicembre del 1659 fu incaricato un deputato per trovare il prete per officiare la nuova chie-sa che fu nominato il 3 maggio 1661 nella persona di Don Carlo Iacobilli di Mondavio. Ma la vecchia chiesa stava sempre in piedi, perché nel consiglio 12 settembre si chiedeva dal Pievano del denaro per accomodare il tetto della chiesa

«che sta per allamarsi». Ed il 19 luglio 1676 il tetto minacciava ancora ruina

«con pericolo evidente e gran pregiudizio della medesima, e del popolo mentre sta in Chiesa». Ma il consiglio negò più volte il sussidio, perché tali spese erano di pertinenza del Pievano. Siamo alla fine del secolo XVIII ed ancora si agita la questione «della chiesa parrocchiale da costruirsi dentro la Tomba», perché nella seduta consiliare del 17 gennaio 1792 don Antonio Valentini deputato a ciò dal Cardinale Honorati, chiese la cessione «di quel sito che esisteva avanti la casa di Angelo Vici, come anche di altro sito (pag. 309) e di gittare a terra quelle case che farà duopo acquistare», la qual cosa fu concessa sotto alcune condizioni.

Nel 1794 si chiedeva qualche altra demolizione. Le demolizioni furono fatte, le fondamenta della nuova fabbrica furono gittate, ma non vennero mai fuori da terra, quantunque la vecchia chiesa venisse demolita.

La Chiesa di S. Maria, per la quale dava la Tomba «al Vescovado de Senig(allia) ogn’anno il giorno de Santo Paulino a’ dì 4 maggio per censo libra una de cera bianca» com’appare al 1º censuario sinodale (128) durò molto più.

Dai resoconti consiliari trovo altri due tempietti dedicati alla Vergine, l’uno detto «della Madonna della Costa» l’altro «della Madonna di Costantinopoli».

Allora quando si doveva fabbricare la nuova chiesa parrocchiale il Consiglio in seduta 4 maggio 1794 stabilì di chiedere al Vescovo (H)onorati il permesso della demolizione «della Chiesuola detta della Madonna della Costa, facendo tra-sportare l’immagine alla nuova chiesa, per togliere quella costa ed agevolare così la strada». In quanto all’altra abbiamo questo documento. «Il 21 maggio 1797

Luigi Giorgi patrono della Chiesa detta “della Madonna di Costantinopoli” a maggior vantaggio di questa popolazione acciò possa profittare della messa che in tutte le feste deve celebrarsi in essa chiesa, progetta di rifabbricarla e ridurla più ampla, comoda e decente». E siccome non può ciò eseguire senza occupare la strada che passa davanti alla sua abitazione e che si rende inutile a qualunque altro, ne domanda la cessione unitamente all’altro angolo contiguo dalla parte del di lui giardino, fino alla cantonata, che riesciva verso la strada dirimpetto al palazzo Comunale.

Della Chiesa di S. Giovanni non ho riscontrate memorie; trovo però ricordata una dedicata a S. Sebastiano. Il consiglio 8 marzo 1633 stabilisce che si procuri di ottenere la licenza dal vescovo per la riparazione della Chiesa di «S. Bastiano essendo successi dei danni». Il 26 aprile 1684 nel Consiglio si disse che «la Chiesa di Sebastiano minacciando ruina il Vescovo di Senigallia aveva ordinato di demo-lirla entro un (pag. 310) anno, per cui si nominavano i deputati che dovessero raccogliere le elemosine per risarcirla, e se fosse possibile di rifarla dai fondamenti, perché come altre volte era stato risoluto quella Nostra Chiesa e rettoria non fosse rimossa da quel luogo». Finalmente nel Consiglio 7 dicembre 1777 si lamentava l’inconveniente di tenere legati i majali d’intorno la Chiesa di S. Sebastiano, e suo spiazzo, intorno alle mura di dentro del castello. Esisteva ancora nel 1800.

Altre memorie ci informano di due chiese dedicate a S. Marina. La più anti-ca che io conosanti-ca risale al 1629 nel quale anno minacciava ruina, era anti-caduto il tetto, quindi il Consiglio del 6 gennaio opinava di ricorrere al Vescovo, perché riparasse i danni chi godeva il frutto delle terre. E siccome padroni di detta Chiesa erano i P.P. (Padri Predicatori) del monastero di S. Maria degli Angeli di Pesaro, così in altro consiglio dell’istesso anno si stabilì di scrivere a quelli invitandoli alle necessarie riparazioni «altrimenti scrivere a chi si doveva e fare ogni diligenza che si accomodi detta Chiesa, acciocché non cada in rovina». Da documenti del 1634 sappiamo che «si viene a lamando». Nel 1640 il P. Abbate fece intendere che avrebbe ceduto alla Comunità la chiesa colle terre annesse

«chiesa posta nel territorio della Tomba» con risposta di scudi 9 all’anno con

«fare un Jus patronato a favore di questa Comunità».

Il Consiglio annuì, a patto che i 9 scudi andassero a beneficio del sacerdote che doveva ufficiarla, unitamente alle terre. Ma la questione restava insoluta l’11 marzo 1646 perché al Consiglio di quel giorno il P. Abbate indirizzava una let-tera colla quale offriva una certa somma, pensando il comune alle riparazioni, il che fu accettato. Nel 1661 era stata edificata una nuova chiesa a S. Marina «per opera della b(uona) m(emoria) del Molto Rev. Sig. Pievano Galletti, il quale ha lasciato che la Comunità sia patrona della nuova Chiesola di S. Marina fatta da lui, e perché di presente si sa essere stato portato via il Messale, Campanella e

Campana, et altro onde sarebbe bene procurare che se restiduisca (sic) le dette robbe, e bisognando se ne dia parte a Mons. Rev. Vescovo di Sinigallia, acciò che si riportino (pag. 311) dette robbe in detta Chiesa ...» Per rappresaglia i frati di Pesaro opposero che il Vescovo non voleva più che luogo di rifugio di guardie fosse la casa attigua alla Chiesa, ma i Priori osservavano che questa chiesa «era ridotta albergo di bestiame, e la casa suddetta attigua in potere di chi la vuo-le albergare quindi molto più disdicevovuo-le indecente alla riverenza». Nell’anno dopo si affittarono le terre a quota fissa «a vantaggio di qualche sacerdote ad effetto possa ufficiare la Chiesa senza che questa comunità senta incomodo». Ma anche questa seconda chiesa non tardò molto a cadere in abbandono, perché il 3 giugno 1739 dal Consiglio veniva stabilito di far sapere a Mons. Vescovo di Senigallia che «ritrovandosi la chiesa di S. Marina situata in questo territorio dove annualmente si va processionalmente la terza festa di Pasqua, in pessimo stato, anzi interdetta da circa 6 anni da Mons. Castelli ove non si celebra più messa in pregiudizio del popolo, che ne voglia sopra ciò dare il dovuto procedi-mento pel maggior decoro di Dio e della suddetta Chiesa».

Nell’anno 1610 «le decime della Pieve della Tomba un anno per l’altro sono some 46047 di grano, e some 50 di vino». (129)

Le chiese di Ripe ricordate da Mons. Ridolfi sono S. Maria, il Sacramento, S. Pellegrino, il Crocefisso e SS. Gervasio e Protasio. Una volta era la Chiesa di S. Pellegrino cura di anime, ed il «Rev. Rettore deve dare (1456) ogn’anno al Vescovado de Sinig. a’ dì 15 Agosto some due di grano, e soma una d’orzo a misura de Senig(allia) per la quarta delle Decime, come al 1º Sinodale censuale. E più per l’oratorio de Santa Maria di detto Castello ogn’anno libra una de cera la festività de San Paolino a dì 4 maggio come al 1º Censuario sinodale». (130)

Nell’Archivio di Senigallia esiste un verbale o incartamento di una lite fra Monsig. Antaldo Antaldi vescovo della diocesi e Don Giulio Bonomi Rettore di Ripe per il Catetratico, avvenuta dal 23 marzo al 30 aprile dell’anno 1620. Furono vari i testimoni intesi, e dal verbale risulta che fino dal 1479 si allibravano le cose che annualmente le chiese della diocesi davano per il cattedratico al Vescovo. (131) (pag. 312) Della piccola chiesa dedicata ai SS. Gervasio e Protasio, giammai ho potuto rintracciare documento alcuno. In quanto alla Chiesa del Crocefisso si sa che sorgeva dove esiste l’attuale, oggi ridotta a casa colonica, e riedificata qualche secolo fa da un sacerdote Lavatori115. Nel Consiglio 17 settembre del

115 Forse un lapsus dell’autore che doveva scrivere “qualche decennio fa”, perché la chiesa del Crocifisso fu ricostruita da don Nicola Lavatori nel 1881, quindi solo una ventina di anni prima che Palmesi scrivesse la sua Storia dei tre Castelli nel 1903; cfr. A. Lavatori, Un secolo

1656 venne in discussione. «Essendo allamata la Chiesa del SS. Crocefisso di grandissima divotione; et non essendo chi procuri il risarcimento, sarebbe bene darne parte a chi si deve, acciò la Chiesa sia tenuta come si deve, et non permet-tere sii affatto demolita». E si decise di darne parte a Mons. Vescovo «acciò prov-veda, et sforzi quelli che debbano fare il risarcimento». Nel Consiglio 27 feb-braio 1659 si lesse una istanza della Confraternita, la quale chiedeva in prestito

«fino all’estate quella poca pietra accumulata per rifare il ponte del Castello, offerendosi renderla in detto termine» il che fu concesso.

In quanto alla Chiesa del Sacramento si discusse nel Consiglio 16 aprile 1704. In quello il Dott. Antonio Lenci, come uditore assessore di questo vi-cario foraneo fece avvisati che con precetto penale voleva che venisse tolta la fratta «da questo pubblico fin da 40 anni in qua fatta per servizio del Maestro di scuola, perché vi era ivi l’orto vicino, ossia contiguo alla Ven. Chiesa del SS.

Sacramento ... si decide di ricorrere a S. Em.» E questa Chiesa, come fra poco vedremo fu demolita allorquando fu costruito l’attuale tempio parrocchiale.

La Chiesa dedicata al S. Protettore fu demolita verso la metà secolo XVII come apprendiamo dal Consiglio dicembre 1643. «I Priori dissero essendosi

di storia a Ripe, cit., p. 43.

Fig. 32. Ripe, Chiesa del Crocifisso

già avuta licenza di fare una Chiesa dentro Ripe nella stanza donata a questa Comunità dall’Ill. Sig. Conte Jacopo della Genga par bene di effettuare questa buon opera, e deputare dui, che habbiano sopra ciò ogni facultà necessaria, e quel più, che occorra sopra questo, il che fu approvato ad unanimità di voti 10» e furono nominati con voti parimente unanimi Ill.mum D.num Nicolam De Rubeis, e D.num Angelum Saginati, ai quali il 29 dell’istesso mese ed anno fu rilasciato amplo mandato di procura «per fare qualsivoglia (pag. 313) obligo in nome di detta Comunità, obligare i beni di essa, e tutte le clausole necessa-rie, et opportune, tanto avanti Mons. Rev. Vicario generale di Senigallia, come anco avanti l’E.mo S. Card. Vescovo, e l’Em. Card. Collegato, e avanti qual-sivoglia altra persona, et ottener licenza dall’E.mo Sig. Card. Collegato». Un ricorso contro il Pievano D. Francesco Maria Lenci116, che demolì la Chiesa di S. Pellegrino sita poco lontano dal paese e che rifabbricò la prima dentro il paese che poi fu ingrandita, ricorso diretto alla curia di Senigallia ci fa conoscere cosa era questa nuova chiesa ... «Et il medesimo Pievano in questo tempo, che gode questo Beneficio ha distrutto, e distrugge affatto il legname delle terre della sua Chiesa, le sostanze della quale servono solamente per mantenimento di bravi, putane, cacci(e) e cavalli, mantiene Ser(vitù) con mog(li)e e cinque figli, quattro di quali nati in propria casa, et i poveretti rabbiano, perché per loro non ci è un tozzo di pane, abbenché questa Piove (Pieve) porti un notabil frutto senza veru-na pensione, anzi dirocò la Pievania antica di S. Peregrino, chiesa assai grande, et invece di convertire le macerie di questa, anco com’è consacrata in edificazio-ne di altro luogo pio, solamente fabricò una piccola Chiesa edificazio-nel medesimo luogo e con la maggior parte della materia fabbricò la casa e Palombara in Campagna, quando che la Chiesa ha una estrema necessità di Clero». (132)

Della interna decorazione sappiamo quanto ci basta. Nell’anno 1704 un tal Giuseppe Giulianelli propose di indorare la cona (icona) della Madonna del Rosario per scudi 80 romani; se pagato in oro od argento chiedeva scudi 60, ma la proposta non fu accolta per mancanza di denaro. Munitosi il Giulianelli di un permesso di Urbino il 13 settembre dell’istesso anno ottenne di eseguire la doratura dell’altare di S. Giovanni Battista, detto delle cone (icone); ed il paga-mento fu effettuato col denaro ricavato dall’atterrapaga-mento di alcune quercie in contrada Valliscie, in numero di 40. All’istesso artista il Consiglio del 28 aprile 1709 concedeva un compenso «havendo nobilitato, e dipinto le partite delli reliquarij in questa Parocchiale».

(pag. 314) Era da quasi un secolo edificata questa seconda chiesa di S.

Pellegrino, e Ripe sentiva urgente il bisogno di una terza, per ottenere la qual

116 A piè pagina 313 del ms., con grafia diversa da quella di Palmesi, è scritta a matita la seguen-te annotazione (1): «V. Atto di morseguen-te del med. vol. III, fog. 111, 20 agosto 1716».

cosa molte e lunghe pratiche fece colle autorità. E fu al consiglio 11 marzo dell’anno 1781 che il magistrato parlò nei termini seguenti. «Pare che la divina misericordia voglia esaudire le pie intenzioni di noi tutti nudrite da molti anni a questa parte per edificare una nuova Chiesa parrocchiale in luogo della presente così angusta per l’esercizio delle divine funzioni che ivi si fanno per comodo maggiore di questo nostro popolo. Si è fatto di ciò un progetto al nostro degnis-simo Sig. Pievano Borbiconi117, il quale per mancanza di altri effetti prenderà ad interesse scudi 1000 e ne pagherà annualmente i frutti fino alla sua morte. Le nostre compagnie del Sagramento e del Rosario sono pronte di cedere le loro ri-spettive chiese da demolirsi, o vendersi per l’ampliazione anzidetta, cedere le case di questa confraternita demolite, o pure vendere il materiale e darne il ricavato per l’ampliamento della Chiesa suddetta. Il municipio poi come amministra-tore della Chiesa di S. Rocco, la demolisce, dà il materiale ed il ritratto in caso di vendita al Pievano con tutto il legname, ferrami e campane, cogli obblighi però che ha attualmente questa chiesa, e con quelli di eriggere nella parrocchia l’altare di S. Rocco. Di più la perizia del Capomastro muratore essendo di scudi 364:34 romani per il rifacimento delle mura castellane, di questa somma som-ministra scudi 200 in tanto materiale di pietra, al prezzo condotto di paoli 42 che somministra il Cap. Giacomini in iscomputo del suo debito colla cassa or-dinaria. Il residuo poi s’impiegherà per fare gli speroni capaci a sostenere il rima-nente delle mura». Ma il permesso di Roma si fece attendere abbastanza, perché la nuova discussione si fece solamente nel consiglio del 3 febbraio del 1783, nel quale si nominò il deputato per andare alla curia di Senigallia per stipulare l’atto di cessione della Chiesa di S. Rocco, nella persona del Capitano Giacomini che allora era Gonfaloniere. Nel (pag. 315) marzo dell’istesso anno ricercavasi «altro sito per ingrandire la chiesa dalla parte della strada della sagrestia, qualora non voglia piantarsi in quello presente colla casa annessa. L’aspetto migliore sarebbe sotto le case della Contessa Anderlini, e nella Chiesa del Sacramento, dilatan-dola verso lo stradello pubblico che converrebbe cedere, ricevendo la Comunità altro sito in compenso ...» A questo oggetto furono nominati due deputati colle opportune facoltà, e furono il Cap. Giacomini e Piermaria Bellagamba.

Per la interna decorazione si pensò di costruire l’altare delle cone (icone) col-la vendita di poche quercie esistenti nei poderi delcol-la Cappelcol-la Bernabei. Nel gennaio del 1787 l’altare di S. Rocco era compiuto e si era speso per ciò scu-di 46:13; all’altare scu-di S. Giovanni si era già messo mano dai fratelli Mercoli di Roccacontrada, con lavori a stucco, e la spesa era già salita a scudi 45:92.

117 Dal Registro dei Battezzati della Parrocchia di S. Lorenzo in Campo (prov. PU), Libro VI, p. 9, n. 2, sappiamo che Don Silvio Borbiconi, figlio di Pietro e Franca, nacque il 16 marzo 1704 e fu battezzato nel medesimo giorno. Morì a Ripe in età di anni 86 il giorno 11 aprile 1790 (Arch. Parr. Ripe, Registro dei Morti, V, pagine non num.)

Mancava il campanile intorno al quale si discusse nella seduta 23 novembre 1788.

«Affinché sempre più maestosa si rendesse la nuova chiesa parrocchiale fatta riedificare dal Sig. Don Silvio Borbiconi pievano di questa nostra terra, [egli]

pensò di costruire ancora il campanile. Eseguì questo suo pensiero, così che in breve tempo si è veduto elevato e riuscito di somma bellezza. Si è adesso risoluto in maggior gloria di Dio e decoro di questo luogo formare una nuova campana corrispondente al bell’inteso campanile». Chiese ed ottenne scudi 29. Tre altre volte il Municipio aveva contribuito a questo oggetto, come si ha dagli atti del Consiglio. Nel 1604 «la famiglia del Pievano avendo rotta la campana, dette a questo un sussidio di scudi 25, coll’obbligo di farla del peso di libre 550». Altro sussidio fu dato nel 1701, perché risulta dalla seduta 7 maggio 1738, che in quest’ultimo anno il Priore avendo chiesto un sussidio, stabilì di dare scudi 20 ducali «in vista del sussidio che aveva dato nel 1701, essendo cosa conveniente e decorosa non tanto per l’onore di Dio, quanto per il pubblico bene». Ma la campana si ruppe ancora e nel verbale consiliare del 5 giugno 1827 troviamo scritto «Essendosi rotta la pubblica campana fu deciso per assecondare i voti dell’intera popolazione presentati all’ufficio municipale di rifonderla

pensò di costruire ancora il campanile. Eseguì questo suo pensiero, così che in breve tempo si è veduto elevato e riuscito di somma bellezza. Si è adesso risoluto in maggior gloria di Dio e decoro di questo luogo formare una nuova campana corrispondente al bell’inteso campanile». Chiese ed ottenne scudi 29. Tre altre volte il Municipio aveva contribuito a questo oggetto, come si ha dagli atti del Consiglio. Nel 1604 «la famiglia del Pievano avendo rotta la campana, dette a questo un sussidio di scudi 25, coll’obbligo di farla del peso di libre 550». Altro sussidio fu dato nel 1701, perché risulta dalla seduta 7 maggio 1738, che in quest’ultimo anno il Priore avendo chiesto un sussidio, stabilì di dare scudi 20 ducali «in vista del sussidio che aveva dato nel 1701, essendo cosa conveniente e decorosa non tanto per l’onore di Dio, quanto per il pubblico bene». Ma la campana si ruppe ancora e nel verbale consiliare del 5 giugno 1827 troviamo scritto «Essendosi rotta la pubblica campana fu deciso per assecondare i voti dell’intera popolazione presentati all’ufficio municipale di rifonderla