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CARATTERISTICHE PSICOLOGICHE E PSICODINAMICHE DEL PUERPERIO

PSICODINAMICA DELLA GRAVIDANZA E DELLA MATERNITA’

3.4. CARATTERISTICHE PSICOLOGICHE E PSICODINAMICHE DEL PUERPERIO

Con il termine “puerperio” si intende il periodo dei primi mesi successivi al momento del parto, durante il quale si definisce e si avvia, sul piano delle relazioni oggettuali, il legame mamma-neonato; le dinamiche puerperali sono sempre profondamente delicate e complesse, indipendentemente dalla gioia provata per la nascita del figlio.

Secondo la Deutsch (1945), il puerperio si configura come un’epoca molto felice che, tuttavia, risente dell’influenza della personalità materna e dell’intera condizione ambientale esterna, potendo assumere conseguentemente coloriture di vulnerabilità se non di autentica patologia. “Nonostante la gioia che prova per il bambino, la disposizione della donna è ancora fortemente narcisistica: per qualche tempo la madre vede ancora il mondo identico al proprio Io, si sente al centro di un’attenzione affettuosa, e suo figlio è considerato soprattutto opera sua, sua conquista. Solo a poco a poco egli avanza le sue esigenze, i suoi diritti, i suoi bisogni, e solo a poco a poco la relazione tra lui e la madre assume il carattere d’una relazione obiettiva (ibidem, pag. 253).

Pertanto, nella psiche della neo-mamma convivono ancora in opposizione tendenze progressive, che lottano per adattarsi al bambino reale, e tendenze regressive, che aspirano a ristabilire l’unità prenatale.

Il destino dei sentimenti materni dipende così dall’esito del conflitto tra queste due forze interne, dalla capacità di superare il desiderio di trattenere e di opporsi alla paura della rottura della simbiosi gravidica.

Quanto meno sarà equilibrata tale risoluzione materna, tanto maggiore sarà il rischio di evoluzioni psicopatologiche: il timore che la vicinanza del figlio determini un impoverimento di sé può comportare il prevalere di un eccessivo narcisismo che allontana dalle proprie responsabilità materne; al contrario, la paura di perdere il bambino può provocare il prevalere di un esagerato altruismo masochistico, con un’abnegazione radicale nei suoi riguardi e la tendenza a provare verso di lui paure nevrotiche.

Nel pensiero psicoanalitico attuale, il periodo immediatamente successivo all’aver dato alla luce un figlio viene riconosciuto come mentalmente molto difficile, poiché la rottura irreversibile della simbiosi madre-feto conferisce al

parto il significato di un “lutto della gravidanza”; alla puerpera è richiesto un considerevole processo di riorganizzazione del proprio mondo interno sulla base dei nuovi dati di realtà (Ferraro, Nunziante Cesàro, 1985; Scopesi, Viterbori, 2003). Ogni donna vive un proprio differente “tempo di adattamento”

per riuscire ad elaborare tale lutto, passando dal piano dell’illusione fantasmatica di fusione col feto al piano dell’attaccamento reale al bambino:

“Questo divario costituisce quello che si potrebbe chiamare il salto dalla gravidanza alla maternità: colmare questo spazio costituisce gran parte del lavoro della maternità” (Pazzagli et al., 1981, pag. 23).

In una prospettiva psicodinamica, al fine di una riuscita accettazione della separazione psicofisica dal bambino e di un positivo inizio della fase puerperale, può risultare profondamente rilevante la partecipazione attiva della donna al parto e la possibilità di riunirsi rapidamente al figlio, riversando su di lui l’energia psichica messa in moto dal travaglio per investirla nella creazione di una base relazionale primaria. Il contatto intimo precoce con il bambino sembra rappresentare una componente oltremodo significativa nella formazione di una relazione madre-bambino positiva, serena ed affettiva; difatti, pare ormai provata l’esistenza di un “periodo critico”, limitato alle primissime ore di vita, durante il quale la madre ha modo di toccare, guardare, abbracciare, conoscere il neonato (Klaus et al., 1998; Todros, La Prova, in Falcitella et al., 2001).

Le conseguenze di tale conoscenza precoce tendono ad essere importanti per entrambi: le madri sviluppano una più intensa comunicazione con il figlio in termini di vicinanza fisica, contatti visuali, sorrisi, vocalizzi, propensione all’allattamento; i bambini, durante tutto il primo anno di vita, tendono ad avere una salute fisica più salda, un accrescimento ponderale maggiore, più frequenti sorrisi, pianti meno lunghi ed insistenti (Camaioni, 1980; Attili, 1993).

In particolare, per il neonato lo sperimentare l’abbraccio e il calore materno sin dai suoi primi istanti di vita rappresenta un’esigenza vitale. Egli riesce a vedere ma non è in grado di riconoscere forme e dimensioni, manca della capacità di coordinare i movimenti destinati alla visione binoculare non potendo così mettere bene a fuoco gli oggetti; ciononostante, gli è possibile percepire la persona che lo tiene in braccio attraverso il modo di sostenerlo, di muoversi o mediante l’odore; principalmente la madre viene da lui immediatamente individuata sentendone il battito cardiaco che ha conosciuto ed ascoltato per

nove mesi (Brustia Rutto, 1996). A conferma di tale argomentazione, d’altro canto, è stato ripetutamente dimostrato come bambini piccoli abbandonati, deprivati di ogni cura e di qualsiasi forma di contatto amorevole con una figura materna capace di prendersi cura di loro a partire dalla nascita tendono inevitabilmente verso un decadimento psicofisico, indebolendosi ed ammalandosi più facilmente, entrando in uno stato di depressione reattiva, la cosiddetta “depressione anaclitica”, la quale può tragicamente evolvere verso il marasma, il lasciarsi morire (Spitz, 1946).

Oltre a questo, un elemento in primo piano nella relazione madre-bambino durante il puerperio è costituito dall’allattamento, un evento dalle forti implicazioni psichiche, affettive e comunicative, considerabile come “il primo scambio tra le esigenze del figlio e l’inclinazione materna a soddisfarle, tra prendere e dare” (Deutsch, 1945, pag. 45). L’Autrice afferma: “Io credo che, durante il periodo dell’allattamento, il cordone ombelicale psichico unisca il seno della madre alla bocca del bambino, e passi attraverso il campo di battaglia dove si scontrano le tendenze egoistiche e le forze altruistiche della maternità.

E’ dall’esito di questo conflitto che dipende l’esito buono o cattivo dell’allattamento” (ibidem, pag. 271).

Una capacità positiva di dare nutrimento al figlio si determina quando dedizione fisiologica e psicologica coincidono nella madre, per cui questa funzione non viene da lei ritenuta un dovere secondario, ma di primaria importanza emotiva.

Difficoltà di allattamento si verificano, invece, quando la madre si sente inconsciamente minacciata ed aggredita dai bisogni orali del piccolo, vivendo fantasie e paure di divoramento e di annientamento, per cui: “L’aggressività stessa della madre si proietta sul figlio, e la sua ansiosa agitazione forse gli trasmette dei segni che provocano in lui una specie di riflesso. Questo riflesso si manifesta semplicemente col rifiuto d’attaccarsi al seno, oppure, se le tendenze aggressive del bambino sono più forti, col mordere il seno stesso”

(ibidem, pag. 277).

La delicatezza del parto e del periodo puerperale rende necessario un solido sostegno da parte del partner, della rete familiare e sociale e della struttura ospedaliera, affinché possa operarsi una funzione di contenimento della nuova diade madre-bambino, che sia presente ma non invasiva; ciò faciliterà il loro reciproco incontro e riconoscimento, limitando ansie e timori della neo-mamma.

Mancanza di conforto, di comprensione, di aiuto sia materiale sia psicologico diventa, invece, fattore accertato di relazione disturbata o anche di scompenso psicopatologico postpartum (Logsdon et al., 2000; Beck, 2002; Eberhard-Gran et al., 2002; Horowitz et al., 2005).