POST-PARTUM
4.4. CONSEGUENZE PSICO-SOCIALI E RELAZIONALI DELLA DEPRESSIONE POST-PARTUM
4.4.3. EFFETTI SULLA RELAZIONE CON IL BAMBINO
L’evoluzione psicologica, intellettiva e sociale del bambino è fortemente determinata dal clima emotivo ed affettivo in cui si trova a crescere e dalle esperienze relazionali precoci con le sue principali figure di accudimento, tra le quali risulta fondamentale la madre quale oggetto d’amore primario, capace di fornire cura, protezione, affetto, calore, stimolazione, gratificazione dei bisogni fisici ed emotivi del bambino (Brustia Rutto, 1996).
La psicoanalisi ha ormai da tempo confermato l’indubitabile importanza della figura materna nelle primissime fasi dello sviluppo infantile.
La “madre sufficientemente buona” descritta da Donald W. Winnicott (1956) attraversa, già durante la gravidanza e soprattutto nelle prime settimane del puerperio, uno stato psicologico temporaneo di benevola regressione e chiusura in se stessa, denominato “preoccupazione materna primaria”, funzionale allo stabilirsi di un profondo legame affettivo col neonato, identificandosi con i suoi vissuti emotivi al fine di riuscire a recepire e a rispondere adeguatamente ai suoi bisogni di amore e vicinanza.
La madre gradualmente sviluppa una funzione di contenimento (holding), ovvero la capacità di ricezione e rispondenza attenta e coerente ai bisogni del piccolo. Il contenimento, oltre a trasmettere sentimenti materni amorevoli, svolge una fondamentale attività di significazione e di integrazione, assegnando un significato ad ogni gesto e stato mentale del bimbo tramite una pronta risposta materna. Il ruolo della madre è cruciale nello sviluppo del pensiero del bambino, in quanto le abilità cognitivo-intellettive si legano profondamente alla sfera emotiva determinata dall’interazione con la propria figura di accudimento.
Nel pensiero di Wilfred Bion (1962), la funzione di revêrie materna, ovvero la capacità di immedesimarsi a livello emotivo-preconcettuale nei vissuti del piccolo restituendoli a lui rielaborati e dotati di senso, consente al bambino stesso di passare da semplici afferenze sensoriali ed emotive grezze e disorganizzate (elementi beta) alle prime forme di pensiero organizzato e coerente (elementi alfa).
Bowlby (1988) definisce la madre come figura di accudimento fondamentale, verso la quale il bambino instaura uno specifico legame di attaccamento, fondato non sul soddisfacimento di bisogni alimentari o fisici, ma sulla base di bisogni innati di calore, affetto, vicinanza, sicurezza, stabilità e protezione; la
madre viene considerata dal bambino come una “base sicura” che fornisce forza e sicurezza per poter crescere ed affrontare il mondo esterno, ma a cui si può ritornare sempre in caso di paura ed angoscia, con la certezza interiore di potervi ritrovare rifugio.
Molteplici ricerche hanno ormai indubitabilmente comprovato l’esistenza di una forte influenza della depressione post-partum sulla qualità della relazione madre-neonato e sullo sviluppo emotivo, cognitivo e comportamentale del bambino stesso (Brennan et al., 2000; Veltema et al., 2002; Righetti-Veltema et al., 2003; Hay et al., 2003; Murray et al., 2003).
Una meta-analisi condotta su ricerche pubblicate in svariate nazioni ha dimostrato come la depressione post-partum abbia un moderato-forte effetto sull’interazione madre-bambino (Beck, 1995) e un effetto più lieve ma sempre importante sullo sviluppo emotivo e cognitivo del piccolo (Beck, 1998b).
La correlazione tra disturbi dell’umore materni e negative conseguenze psichiche sul bambino può essere determinata dall’impatto diretto della sintomatologia depressiva, la quale può ostacolare profondamente la capacità materna di accudimento e di responsività nei confronti dei bisogni del piccolo, suscitando indirettamente stili di comunicazione e di interazione negativi che si ripercuotono su modalità di attaccamento insicure, disadattive, alterate dalla profonda sofferenza materna (Murray et al., 2003).
Interazioni precoci, esperienze, vissuti emotivi, qualità dell’attaccamento e dell’accudimento conseguenti ad una patologia affettiva materna (talora persistente, durevole o tendente alla cronicità) possono intaccare e deteriorare profondamente la crescita psicologica e comportamentale del bambino, soprattutto qualora la deprivazione materna non sia compensata da altre figure familiari significative che possano fornire al piccolo nutrimento affettivo e alla madre l’aiuto di cui necessita per superare il suo dolore e riuscire a legarsi positivamente col figlio (Brennan et al., 2000).
Gli effetti della depressione post-partum sulla madre e sul bambino possono persistere considerevolmente nel corso del tempo, anche qualora la patologia non sia più conclamata, in quanto contribuiscono a costituire le basi fondanti di una relazione negativa e disfunzionale che danneggia ed ostacola la capacità materna e lo sviluppo psichico del bambino negli anni della sua infanzia (Murray
& Cooper, 1997).
- In primo luogo, le madri depresse denotano una grande difficoltà e rigidità nelle manifestazioni di calore ed affettuosità, una scarsa propensione alla comunicazione, alla partecipazione e al coinvolgimento in tutto ciò che riguarda la vita del piccolo, determinando in tal modo l’instaurarsi di un legame difficoltoso e problematico.
Un interessante studio (Righetti-Veltema et al., 2002) ha valutato la qualità dell’interazione di madri depresse con il loro neonato di tre mesi; i risultati hanno evidenziato la presenza di relazioni povere, con scarsa comunicazione vocale e visiva, poco contatto corporale e pochi sorrisi; i bambini soffrivano di difficoltà alimentari e del sonno. In particolare, madri primipare rilevavano particolari difficoltà nel maneggiare fisicamente il piccolo, soprattutto nel momento del bagno; madri multipare apparivano generalmente più stanche ed apatiche. Una successiva ricerca (Righetti-Veltema et al., 2003) ha esteso il campo d’indagine, analizzando l’influenza della depressione post-partum sullo sviluppo del bambino a diciotto mesi di vita, dimostrando come tale patologia affettiva eserciti un impatto forte e decisivo sull’evoluzione psichica del neonato e sulla qualità dell’interazione con la madre, nonostante i sintomi manifesti della sofferenza fossero superati. In questo studio, le madri non dimostravano consapevolezza della propria depressione, ma riconoscevano perfettamente la loro irritabilità e la rabbia nutrita verso se stesse e verso gli altri, l’ansia e la preoccupazione; rilevavano bassa affettività e sensibilità, forte ansia ed irritabilità, emozioni negative verso di sé e verso il bambino, scarsa interazione e comunicazione verbale e non verbale, scarso coinvolgimento nelle attività ludiche. I bambini comparivano tristi, infelici, poco sorridenti, ansiosi, solitari, apatici, con bassi livelli di energia e di dinamismo, con scarsa capacità di concentrazione e di attenzione, basse facoltà cognitive, minore abilità motoria fine evidenziabile nei giochi e negli scarabocchi; apparivano poco spontanei, più timorosi verso gli estranei, poco responsivi verso l’ambiente esterno e verso la madre. Sottoposti alla Strange Situation (Ainsworth et al., 1978), denotavano immediatamente la tendenza ad instaurare un attaccamento insicuro-evitante nei confronti della madre; la ricercavano poco durante la separazione e la evitavano durante le riunioni, ignorandola, girando la testa da un’altra parte, evitando l’incontro oculare, vocalizzando di rado.
Un’ulteriore ricerca (Harel et al., 1999) ha dimostrato la tendenza nelle donne depresse a provare sentimenti di distacco, estraneità, indifferenza, avversione o rifiuto verso il proprio bambino; la tristezza, la sofferenza e la preoccupazione permeavano completamente i loro pensieri, al punto da non riuscire a dimostrarsi sollecite, responsive ed emotivamente disponibili verso il figlio.
Lo stato depressivo materno determina generalmente una percezione distorta dell’ambiente circostante, vissuto come difficoltoso ed ostile; in tale visione negativa viene incluso anche il figlio, il cui temperamento viene considerato difficile, nervoso, ingovernabile, capace di suscitare pensieri di rifiuto (Tarkka et al., 1999). Inoltre, tali madri avvertono maggiore stanchezza, oppressione e difficoltà nei compiti di cura, provano sentimenti di inadeguatezza, colpevolezza e sfiducia nelle proprie capacità materne, tanto da non riuscire ad impegnarsi nel loro nuovo ruolo, sfociando nell’indifferenza o nella negligenza (Murray, Fiori-Cowley et al., 1996).
La depressione post-partum può costituire un fattore di rischio non sottovalutabile per l’incolumità fisica del bambino, a causa di possibili episodi di aggressività fisica o verbale, maltrattamento, noncuranza, negligenza o vero e proprio abuso; tali comportamenti possono essere interpretati come “acting-out”
dei vissuti interni di odio e di rifiuto del bambino, o come proiezione sul figlio dei propri sentimenti di disprezzo e di colpevolezza (Zuravin, 1989).
- In secondo luogo, i bambini di madri con grave depressione post-partum mostrano frequentemente un significativo ritardo nello sviluppo emotivo, sociale ed intellettivo, nonché una relazione disturbata con la propria genitrice.
La maggioranza degli studi riguardano l’impatto della depressione post-partum nei primi mesi dalla nascita, mentre poche ricerche sono state condotte a lungo termine. I neonati cresciuti con madri gravemente sofferenti tendono a rilevare maggiore irrequietudine e lamentosità, frequenti crisi di pianto difficilmente consolabili, difficoltà ad addormentarsi e a calmarsi, disturbi dell’alimentazione e del sonno, instaurando con la madre un’interazione connotata da una povera comunicazione vocale e visiva, scarsa giocosità ed affettuosità, pochi sorrisi e contatti di vicinanza fisica (Righetti-Veltema et al., 2002).
Tali bambini manifestano frequentemente forti difficoltà temperamentali, denotando maggiore nervosismo, irritabilità, agitazione e confusione, ansia, pianti difficilmente placabili, difficoltà ad addormentarsi (Edhbog et al., 2000).
Talora dimostrano una crescita fisica ed intellettiva rallentata, con minor peso corporeo, bassi segni neurologici, scarsa propensione esplorativa, minori abilità cognitive ed intellettive (Rahman et al., 2004).
Il comportamento generale può denotare scarsa spontaneità, mancanza di interesse e curiosità verso gli stimoli appartenenti al mondo circostante, con una generale apatia ed inerzia; bambini di diciotto mesi hanno manifestato problemi comportamentali e disturbi dell’attaccamento e una ridotta capacità di partecipazione ed espressione emotiva (Righetti-Veltema et al., 2003).
Bambini un po’ più grandi, nel corso dello sviluppo, hanno dimostrato significativo ritardo cognitivo (Murray, Hipwell et al., 1996), nonché una maggiore probabilità di sperimentare essi stessi, in età infantile e adolescenziale, disordini affettivi, essendo stati figli di genitori con disturbi dell’umore (Beardslee et al., 1996).
Una ricerca longitudinale (Sinclair & Murray, 1998) ha valutato il livello di adattamento scolastico di alunni delle scuole materne ed elementari (età media di sei anni), figli di donne che avevano vissuto sintomi depressivi nel puerperio.
L’ipotesi di partenza era quella di una possibile influenza negativa della depressione materna sull’adattamento emotivo-sociale del figlio, a causa della ripetuta esposizione alla sofferenza della genitrice, delle inevitabili difficoltà e discordie familiari e dello scarso coinvolgimento materno nelle amicizie e nelle attività scolastiche. Nonostante la maggioranza delle differenze comportamentali dei bambini fossero correlate con la classe sociale di appartenenza e con il genere, l’ipotesi venne confermata.
Quanto più recentemente la madre aveva sofferto di depressione, tanto più il figlio appariva immaturo, emotivo, distraibile, iperattivo e soprattutto mostrava disturbi del comportamento. Gli effetti delle depressione post-partum materna erano più evidenti nei maschi rispetto alle femmine e tra gli appartenenti a famiglie di basso ceto sociale.
Un imponente ed ambizioso studio inglese (Hay et al., 2003) ha indagato l’ipotesi di un possibile effetto della depressione postnatale materna sullo sviluppo di un comportamento violento ed aggressivo nei bambini nel corso della loro infanzia. Le donne sono state intervistate durante la gravidanza, a tre mesi dal parto e quando i rispettivi figli avevano uno, quattro e infine undici anni;
in quest’ultima tappa temporale, le interrogazioni sono state rivolte anche agli
insegnanti e ai ragazzini stessi relativamente a loro possibili manifestazioni violente. Come ipotizzato, i figli undicenni di donne sofferenti di depressione nei mesi immediatamente successivi al parto tendevano a presentare una pulsione aggressiva più forte, preminente e meno controllabile, specialmente nel caso in cui le madri avevano sperimentato alterazioni affettive anche successive al periodo del puerperio.
L’aggressività tendeva a manifestarsi più frequentemente nei maschi che nelle femmine, manifestandosi con accentuata irritabilità, collera, litigiosità, impulsività, frequenti episodi di violenza verbale e/o fisica quali sproloqui, ingiurie, bullismo, risse coi compagni, prepotenze, percosse, ferimenti. Tale comportamento difficile ostacolava in modo significativo la vita relazionale e sociale, le amicizie, i rapporti scolastici, con frequenti richiami e sospensioni.
Analoghi risultati sono stati ottenuti da una ricerca attuale (Hipwell et al., 2005), la quale ha rilevato un minore comportamento prosociale ed una maggiore tendenza alla conflittualità coi coetanei in bambini in età scolare, i quali avevano avuto una madre depressa nel periodo dopo la loro nascita.
Sebbene la violenza non sia ovviamente l’inevitabile conseguenza della depressione post-partum materna, sicuramente il crescere in un ambiente familiare precoce freddo, disattento, incostante può suscitare con maggiore probabilità incapacità di gestire le emozioni, scarso autocontrollo, disturbi dell’attenzione, risentimento e rabbia nel bambino, tutti sentimenti facilmente destinati a tracciare un evidente sentiero verso il disadattamento.
Un ulteriore studio (Shing-Yaw Wang et al., 2005) condotto nello stato di Taiwan ha avuto lo scopo di analizzare, ad un anno dopo l’evento del parto, lo stato psicologico di madri che avevano sofferto nei primi mesi di depressione post-partum e le condizioni evolutive dei loro bambini. Nonostante il trascorrere del tempo, sebbene i sintomi fossero diminuiti rispetto all’intensità iniziale, la sintomatologia depressiva permaneva ancora ad un livello medio-moderato, esercitando una negativa influenza sulla salute psicosociale della donna (con scarsa autostima, insicurezza, sensazioni di inadeguatezza, difficoltà nel fronteggiare i compiti quotidiani legati alla famiglia e alla cura del figlio, elevati livelli di stress e basso supporto sociale percepito). Tuttavia, la ricerca non ha rilevato nessuna particolare influenza della depressione postnatale sullo sviluppo del bambino; rispetto al gruppo di controllo i bimbi mostravano minori
progressi riguardo a variabili quali: sviluppo motorio, linguaggio, comportamento sociale e capacità concettuali, ma le differenze non erano significativamente correlate allo stato emotivo materno.
Gli stessi Autori hanno commentato criticamente tale risultato, nettamente in contrasto con la letteratura vigente, determinato probabilmente da scelte metodologiche da loro effettuate (l’aver usato un campione piccolo, l’aver fatto valutare direttamente alle madri le abilità psico-cognitive del figlio non considerandone le possibili tendenze a sovrastimarne le capacità, l’aver definito la depressione post-partum unicamente in base ai punteggi alla Beck Depression Inventory (BDI), quindi evidenziando condizioni probabilmente meno gravi rispetto a diagnosi psichiatriche vere e proprie.
Data l’importanza fondamentale dei primi mesi del post-partum per lo stabilirsi di una relazione soddisfacente tra madre e bambino, funzionale ad un positivo sviluppo del piccolo, l’eventuale disagio vissuto dalle neo-mamme deve essere individuato ed adeguatamente affrontato, fornendo interventi di aiuto finalizzati a sostenere la conoscenza reciproca e l’intesa della nuova coppia.
Intervenire con successo sulla depressione materna non garantisce in sé un miglioramento dell’interazione col neonato; tentativi di cura centrati sulla qualità del legame, indipendentemente dagli interventi sulla madre, si sono dimostrati più efficaci (Field, 1998; Tarkka et al., 1999).
Sono stati tentati vari approcci, quali una psicoterapia breve madre-bambino (Cramer et al., 1990); terapie cognitivo-comportamentali per migliorare le capacità di concreto accudimento (Mc Donnough, 1993); tecniche di vero e proprio training per aiutare le madri intrusive ad ascoltare e cogliere gli autentici messaggi comunicativi del figlio, e le madri rifiutanti ad accostarsi e prestare attenzione al piccolo (Malphurs et al., 1996). Degno di nota è il lavoro della
“Parent Infant Foundation” di Sydney, finalizzato ad aiutare donne incinte e puerpere sofferenti di disturbi affettivi-depressivi, attraverso visite individuali domiciliari ed incontri di gruppo, durante i quali imparano ad avere cura del bambino e a gestire le difficoltà con il forte sostegno emotivo dato indirettamente da donne con analoghe problematiche (Tracey, 2000).
Due interessanti studi (Onozawa et al., 2001; Glover et al., 2002) hanno cercato di determinare se la tecnica del massaggio infantile potesse giovare alle neo-mamme depresse, migliorando la qualità dell’interazione col neonato.
I risultati, ottenuti su un gruppo di primipare depresse che avevano frequentato per cinque settimane un corso di massaggio infantile, dimostrarono i positivi effetti e benefici di tale pratica, la quale migliorava considerevolmente la relazione col bambino, contribuendo anche a migliorare l’umore generale materno. Attraverso il rilassamento e il contatto intimo, caloroso, comunicativo fondato sulla fisicità, la madre imparava a conoscere meglio il figlio, riconoscendone e comprendendone i messaggi, rispondendo in modo coerente ed opportuno ai suoi bisogni; inoltre incrementava un senso di fiducia e di sicurezza nelle proprie capacità, sviluppando un’attitudine più positiva verso la maternità. Conseguentemente, i bambini diventavano più quieti, tranquilli ed interagenti con la mamma, determinandosi un circolo positivo per il quale una madre affettuosa ed attenta pone le basi per un buon attaccamento ed un bambino quieto e felice aiuta l’umore e la disponibilità materna.