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FATTORI DI RISCHIO PROBABILI (riportati dal 40-60% degli studi pubblicati):

FATTORI DI RISCHIO ASSOCIATI ALLA DEPRESSIONE POST-PARTUM

5.2. FATTORI DI RISCHIO PROBABILI (riportati dal 40-60% degli studi pubblicati):

- Caratteristiche socio-demografiche;

- Severo maternity-blues;

- Caratteristiche di personalità;

- Stile cognitivo negativo;

- Complicanze ostetriche ed esperienze legate alla nascita del bambino;

- Condizioni di salute del neonato, problemi comportamentali;

- Storia familiare di psicopatologia;

- Storia di depressione nel partner.

a) Caratteristiche socio-demografiche

Le caratteristiche socio-demografiche generali, sebbene risultino in talune circostanze significative, non sembrano necessariamente ed obbligatoriamente connesse ad un aumentato rischio per lo sviluppo di problematiche emotive durante il puerperio; numerose ricerche non evidenziano, difatti, alcuna particolare correlazione (Chaudron et al., 2001; D’Alfonso et al., 2002;

Josefsson et al., 2002). Tuttavia, altri studi denotano l’importanza di alcune specifiche condizioni sociali e personali, soprattutto quando unite ad altri più destabilizzanti elementi. Innanzitutto, la giovane età e la condizione di “ragazza-madre”, ovvero di essere state abbandonate dal padre del bambino e lasciate sole nell’affrontare la maternità, costituiscono fattori di rischio molto rilevanti.

Lo stato civile risulta importante, in quanto il legame coniugale sembra protettivo della stabilità e dell’equilibrio psichico femminile rispetto alla convivenza o al nubilato (Walker et al., 2002; Beck, 2002).

Condizioni economiche-finanziarie basse e disagiate, così come problematiche lavorative (quali disoccupazione, licenziamenti, cassa-integrazione) o problematiche abitative (quali traslochi, sfratti, trasferimenti) contribuiscono fortemente a determinare difficoltà quotidiane di sussistenza, preoccupazione, ansia, insoddisfazione, scarse prospettive ed aspettative per il futuro, generando nella neo-mamma e nella sua famiglia vissuti di scoraggiamento e disillusione di natura depressiva (Johnstone et al., 2001; Walker et al., 2002;

Beck, 2002; Sierra-Manzano et al., 2002; Patel et al., 2002; Tammentie et al., 2002).

Il grado di istruzione dato da un diverso titolo di studio sembra talora denotare una lieve correlazione con una maggiore vulnerabilità psichica: scarse risorse culturali si accompagnano parallelamente a minori abilità e capacità nell’affrontare situazioni di vita stressanti e difficoltose (Wang et al., 2003).

Anche sentimenti di insoddisfazione e di frustrazione nei confronti della propria realtà familiare e della propria gratificazione personale (connessi talora con situazioni di mancata realizzazione, di vita esclusivamente casalinga priva di qualsiasi forma di impegno al di fuori della propria casa) possono ostacolare le risorse necessarie ad affrontare gli avvenimenti esistenziali più rilevanti quali la nascita di un figlio (Tammentie et al., 2004).

Infine, l’appartenenza a classi sociali emarginate o a minoranze etniche, religiose, culturali e linguistiche rappresenta un sicuro fattore di grave difficoltà di inserimento, di integrazione e di adattamento all’interno della società, il quale non può che ostacolare le modalità con cui le persone vivono le diverse situazioni del contesto quotidiano. Una condizione minoritaria, una diversa nazionalità, problematiche di immigrazione o di discriminazione razziale accentuano il livello di isolamento e la mancanza di supporto sociale, tendenzialmente anche negli uomini ma soprattutto per le donne (Onozowa et al., 2003; Templeton et al., 2003; Dennis et al., 2004).

b) Severo maternity-blues

L’esperienza di un grave e severo baby-blues nei primi giorni dopo il parto costituisce un potenziale fattore predittivo di depressione puerperale (Lee et al., 2000; Brewer, 2001; Gross et al., 2002; Henshaw et al., 2004).

In particolare, un diffuso vissuto di fatica, stress, scoraggiamento nei primi sette giorni dopo il parto si è dimostrato significativamente correlato all’esordio depressivo circa al ventottesimo giorno post-partum (Grandadam, 2000; Bozoky

& Corwin, 2002).

c) Caratteristiche di personalità

Determinate caratteristiche di personalità possono costituire una predisposizione psicologica notevole per l’insorgenza di patologie depressive dopo eventi così importanti e sconvolgenti quali la nascita di un figlio (Austin &

Lumley, 2003).

Le personalità più deboli e fragili sembrano definite da nervosismo, irritabilità, rabbia, tratti ossessivi, preoccupazione, bassa tolleranza alla frustrazione, debole coscienza di sé (Johnstone et al., 2001); ancora, da ansia, scarsa fiducia in se stesse, insoddisfazione, adattamento negativo al ruolo materno (Huang & Mathers, 2001); da generale tendenza alla passività, al pessimismo, all’eccessiva sensibilità relazionale, all’ipercontrollo o da caratteri decisamente nevrotici-ossessivi (Saisto et al., 2001); da ipersensibilità alle opinioni altrui, timidezza e tendenza al ritiro, mancanza di assertività, di elasticità, di apertura emotiva, di capacità di attivo problem solving (Fisher et al., 2002).

Particolarmente significativo appare il livello personale di autostima, il quale si riflette pesantemente sul senso di inadeguatezza e di insicurezza (Ritter et al., 2000; Beck, 2002; Wang et al., 2003).

La vulnerabilità caratteriologica viene frequentemente incrementata dalla diffusa tendenza di tali donne a non ricercare trattamento specialistico o aiuto e supporto da parte della propria rete sociale, per cui il rischio psicopatologico può aumentare ulteriormente (Murray, Woolgar, et al., 2003).

Alcuni Autori hanno più recentemente indagato l’influenza del proprio stile di attaccamento (formatosi nel corso della primissima infanzia in relazione al proprio oggetto d’amore primario e mantenutosi in età adulta nei rapporti interpersonali attuali più rilevanti) nel determinare il nucleo più profondo della personalità e, pertanto, nel condurre ad una possibile vulnerabilità predisponente a difficoltà emotive (McMahon et al., 2005).

L’attaccamento insicuro sembra correlato ad un maggiore rischio di scompenso depressivo femminile; in particolare, l’attaccamento insicuro-evitante pare indurre allo sviluppo di disturbi depressivi prenatali, mentre l’attaccamento insicuro ansioso-ambivalente può condurre a disturbi depressivi postnatali (Bifulco et al., 2004). Un pattern di attaccamento ansioso-ambivalente permea in modo profondamente negativo le modalità relazionali dell’individuo, portando a percepire negativamente i legami affettivi, vissuti con estrema ansia, preoccupazione, insicurezza; una donna con simili caratteristiche psicologiche, una volta divenuta madre, tenderà a vivere con difficoltà e conflittualità i suoi rapporti col bambino, col partner, con la famiglia, non riuscendo a recepirne adeguatamente il supporto e risultando pertanto particolarmente esposta al dolore morale (Simpson et al., 2003).

d) Stile cognitivo negativo

La presenza di uno stile cognitivo negativo e di cognizioni disfunzionali riguardo se stesse, il proprio bambino, la maternità e la vita in genere possono determinare una particolare vulnerabilità psichica nella psiche femminile suscettibile di svilupparsi in disturbi depressivi dopo il parto, soprattutto se associati ad altri fattori di natura non cognitiva quali mancanza di supporto, temperamento inquieto del neonato e storia psichiatrica passata (Church et al., 2005). Elementi significativi sembrano essere: bassa autostima e considerazione di se stessa, percezione di sé come madre incompetente ed incapace, convinzioni pessimistiche, tendenza ad assumersi sempre ed irragionevolmente la colpa di tutto (Honey et al., 2003); scarse ed inadeguate risorse e strategie di coping per fronteggiare le tensioni e le difficoltà (Faisal-Cury et al., 2004); schemi mentali e modelli operativi interni (working models) riguardo il ruolo di madre di tipo disadattivo, capaci di influenzare il comportamento effettivo di accudimento del bambino (Pridham et al., 2001);

una valutazione negativa della propria immagine corporea (Walker et al., 2002).

Ancora, percezioni negative del proprio bambino giudicato come maggiormente agitato, intrattabile, malato, debole, inaccontentabile rispetto a quanto appare realisticamente, a causa dei personali vissuti soggettivi di disagio ed angoscia che distorcono le caratteristiche oggettive del piccolo (Foreman & Henshaw, 2002); infine, prospettive materne e paterne analogamente sfavorevoli nei confronti del figlio o, decisamente, discrepanze tra la donna e il marito nella considerazione del figlio, frutto di disaccordi e conflittualità coniugali (Luoma et al., 2004).

e) Complicanze ostetriche ed esperienze legate alla nascita

Eventuali complicazioni mediche o situazioni negative connesse con l’evento della nascita del bambino possono risultare forti fattori di rischio psicopatologico in occasione di preesistente vulnerabilità psichica o di scarso supporto del partner, in quanto incrementano notevolmente vissuti di angoscia e preoccupazione, dando avvio ad un’esperienza di maternità più difficoltosa e penosa sul piano somatico ed anche psicologico (Brown & Lumley, 2000;

D’Alfonso et al., 2002; Verdoux et al., 2002).

Particolarmente pesante può essere l’impatto emotivo di gravidanze problematiche, complicanze quali malattie, contrazioni premature, elevato numero di ricoveri in clinica, disturbi psichiatrici durante i nove mesi di gestazione (Josefsson et al., 2002); ancora, l’aver sofferto di forte nausea ed iperemesi nel primo trimestre (D’Alfonso et al., 2002) o di un considerevole livello di ansia generale (Nielsen Forman et al., 2000).

Riguardo le modalità ostetriche del parto, le situazioni maggiormente traumatiche e potenzialmente predittive di scompenso psichico sembrano essere i parti chirurgici-strumentali, quali il taglio cesareo, soprattutto se praticato d’urgenza a seguito di un travaglio complicato, e il parto operativo vaginale attuato con l’utilizzo di strumenti quali il forcipe o la ventosa (Parker, 2004). Queste due tipologie di parto tendono ad aumentare il rischio di vulnerabilità psichica nella donna di almeno due volte rispetto a partorienti in modo naturale (Koo et al., 2003); la difficoltà connessa alla venuta al mondo del bambino esercita un effetto negativo sull’emotività materna e sulla qualità del primo contatto madre-bambino (Rowe-Murray & Fisher, 2001).

Una correlazione significativa è stata anche riscontrata con la presenza di una ingente quota di ansia e paura per il dolore del parto (Saisto et al., 2001), motivo per cui il ricorso a tecniche di anestesia epidurale o paracervicale sembra agire una sorta di protezione nei confronti di vissuti ansioso-depressivi in partorienti ipersensibili alla sofferenza (Hiltunen, Raudaskoski et al., 2004).

Un’ulteriore condizione connessa con l’evento della nascita del bambino che sembra collegarsi significativamente, con una qualche probabilità, allo stato dell’umore puerperale materno è rappresentata dalla sensazione di solitudine ed abbandono percepita durante il difficile momento del travaglio e del parto; in tal senso, il sostegno e la presenza del partner in sala parto diminuiscono il livello di ansia e di depressione successive (Righetti-Veltema et al., 1998;

Forman et al., 2000). Da rilevare, tuttavia, il fatto che le neo-mamme durante una fase depressiva tendono a valutare più negativamente l’esperienza del parto, come conseguenza del loro umore triste e pessimista (Saisto et al., 2001).

Un ultimo curioso risultato, che comunque richiede decisamente approfondimenti successivi è dato dall’aver riscontrato maggiore rischio di depressione postnatale qualora il parto, e conseguentemente il puerperio,

avvengano durante i mesi più bui e freddi dell’anno, quindi durante il periodo invernale rispetto a quello estivo (Hiltunen, Jokelainen et al., 2004).

f) Condizioni di salute – problemi comportamentali del neonato

Il temperamento di alcuni neonati, caratterizzati da nervosismo, irritabilità, ansia, agitazione, difficoltà nel dormire e facilità al pianto, risulta particolarmente difficile da gestire per la neo-mamma, tendendo a riflettersi in comportamenti problematici e disadattati.

Tali disturbi temperamentali aumentano ed aggravano lo stress e la fatica percepiti, e generano nella donna un forte senso di frustrazione, d’inadeguatezza, d’incapacità di saper calmare, comprendere, esaudire il bambino e decifrarne i messaggi e le necessità; pertanto, possono costituire un probabile elemento di vulnerabilità depressiva (Mc Mahon et al., 2001; Beck, 2002; Thome, 2003).

Decisamente significativi risultano tutti i problemi del sonno del neonato (quali insonnia, difficoltà ad addormentarsi, risvegli ripetuti) ed il pianto frequente, continuo ed inconsolabile (Beck, 1998a; Hiscock & Wake, 2002).

g) Storia familiare di psicopatologia

Una storia familiare di manifestazioni psicopatologiche di varia natura, ma soprattutto di disturbi dell’umore o di disturbi d’ansia, costituisce una predisposizione altamente probabile per lo sviluppo di sindromi depressive in qualsiasi momento nel corso della vita, particolarmente dopo eventi di grande impatto emotivo quali il divenire genitore (Johnstone et al., 2001; Steiner, 2002).

La familiarità per la depressione aumenta di due-tre volte il rischio di sviluppare a propria volta una disturbo analogo (Bogetto & Maina, 2000).

Oltre a possibili ragioni di trasmissione genetica di alcune forme di depressione maggiore, l’ereditarietà di tale tipologia di sofferenza mentale avviene anche e principalmente attraverso forme implicite di influenza e di comunicazione ambientale: un proprio genitore emotivamente depresso tende inconsapevolmente a generare alterazioni nelle modalità relazionali all’interno della famiglia che possono dare facilmente origine ad un nucleo depressivo anche nella personalità dei figli (ibidem).

h) Storia di depressione nel partner

La presenza di manifestazioni depressive attuali o di un’esperienza trascorsa di patologie dell’umore nel partner è stata associata recentemente all’esordio della depressione post-partum nella compagna, in quanto le difficoltà emotive del neo padre possono contribuire ad intensificare le difficoltà di adattamento della donna al nuovo ruolo materno (Mezulius et al., 2004; Solantaus & Salo, 2005; Ramchandani et al., 2005). Tuttavia, le conferme a favore di tale ipotetico fattore di rischio sono ancora insufficienti e contradditorie, necessitando pertanto di ulteriori approfondite indagini.

5.3. FATTORI DI RISCHIO POSSIBILI