FATTORI DI RISCHIO ASSOCIATI ALLA DEPRESSIONE POST-PARTUM
5.3. FATTORI DI RISCHIO POSSIBILI (riportanti ancora da pochi studi):
- Giovane età materna;
- Condizione di multipara-primipara;
- Parto prematuro correlato a travaglio complicato, Terapia Intensiva Neonatale per lungo tempo;
- Precoce dimissione dall’ospedale;
- Lutto non elaborato rispetto a pregressi aborti e morti endouterine;
- Allattamento;
- Rifiuto della genitorialità o ambivalenza rispetto alla gravidanza;
- Povere relazioni con i propri familiari;
- Abuso fisico o sessuale.
a) Giovane età materna
La giovane età della madre appare un possibile fattore di rischio depressivo, in quanto facilmente ma non necessariamente connessa con un minore livello di esperienza o di maturità.
Le ricerche in tal senso non giungono tutte a risultati concordi: in alcuni studi l’età non costituisce un elemento rilevante (Tammentie et al., 2002; Josefsson et al., 2002); secondo altri Autori, invece, è soprattutto la gravidanza in epoca adolescenziale a rappresentare una più probabile vulnerabilità verso difficoltà emotive (Chaudron et al., 2001).
La prevalenza della depressione post-partum durante l’adolescenza è significativamente maggiore, pari al 26% (Stowe & Numeroff, 1995).
b) Condizione di multipara-primipara
Riguardo al numero di gravidanze sostenute dalla donna, i risultati pervenuti fino ad oggi sono decisamente discordanti.
Taluni studi evidenziano una più elevata prevalenza di depressione puerperale nelle donne multipare, probabilmente a ragione del maggior carico di fatica, stress, responsabilità determinato dal dover accudire più figli (Righetti-Veltema et al., 1998; Nielsen Forman et al., 2000; Johnstone et al., 2001; Walker et al., 2002).
Al contrario altre ricerche confermano un aumentato rischio psicopatologico in madri primipare, interpretabile come dovuto ad una inesperienza portatrice di possibile vulnerabilità, ed altre ancora non mostrano alcuna correlazione tra le due variabili (Josefsson et al., 2002; Horowitz et al., 2005).
Una possibile sintesi di tutte queste conclusioni rileva comunque un dato interessante: le donne maggiormente a rischio di depressione post-partum sono quelle multipare o le primipare oltre i trenta anni (Gurel & Gurel, 2000;
Chaudron et al., 2001), sebbene non esista alcuna connessione necessaria e deterministica, ma solo possibile.
c) Parto prematuro
Il parto prematuro può essere un potenziale fattore di rischio per l’insorgenza di una depressione post-partum, prevalentemente quando comporta gravi problemi di salute per il nascituro o per la madre, sofferenza neonatale, pericolo di vita, necessità di ricovero in Terapia Intensiva Neonatale per lungo tempo (Hagan et al., 2004).
L’elemento più destabilizzante di un simile difficile esordio della maternità, oltre alla forte angoscia e preoccupazione per le sorti del piccolo, è costituito dalla brusca separazione madre-bambino avvenuta prima del termine fisiologico (e psicologico), la quale non permette un subitaneo reciproco riconoscimento, rallentando ed osteggiando l’avvio di un profondo legame affettivo (Righetti-Veltema et al., 1998).
Un neonato posto in incubatrice non può seguire immediatamente i genitori nella propria casa, non può godere sin da subito di un calore umano continuativo; la neo-mamma in ansia si vede costretta a posticipare il vero ed autentico inizio della vita insieme al figlio, così come l’aveva a lungo fantasticata,
vivendo quasi come un tradimento il doverlo lasciare in ospedale (Bonassi et al., 1989).
La consapevolezza dell’importanza fondamentale di un precoce contatto visivo, tattile, affettivo della coppia madre-neonato ha nel tempo modificato nettamente le procedure assistenziali legate al ricovero neonatale; oggi, il personale medico ed infermieristico promuove il più possibile la vicinanza, il contatto e la reciproca conoscenza tra la mamma e il piccolo in incubatrice; malgrado ciò, purtroppo, la qualità di tale legame differisce considerevolmente rispetto alla situazione di un normale parto a termine, potendo pertanto costituire, ma solo in potenza, un elemento di forte vulnerabilità psichica.
d) Precoce dimissione dall’ospedale
Nella pratica clinica moderna, i progressi della medicina ostetrica e ginecologica fanno sì che la durata della degenza ospedaliera dopo un parto tenda a diminuire fino ai minimi giorni strettamente necessari per il ristabilirsi della salute materna e per il controllo dell’integrità del nuovo nato; oggigiorno, salvo condizioni che rendano necessario un differente intervento, il ricovero in maternità della coppia madre-neonato si aggira sui tre giorni dopo un parto spontaneo e sui cinque giorni a seguito di un taglio cesareo.
Tuttavia, la sempre più precoce dimissione dall’ospedale sembra associarsi ad un aumentato rischio depressivo nel periodo puerperale (Beck & Knoth, 2003);
il sostegno dato dal personale medico ed ostetrico, il senso di rassicurazione, di benessere e di protezione suscitato dal sentirsi accolti all’interno di una struttura deputata appositamente al prendersi cura della nuova mamma e del suo bambino costituiscono una guida fondamentale, capace di introdurre la donna in un ruolo nuovo e difficile. La deprivazione troppo improvvisa di tale supporto può rendere penoso superare la fatica e l’esaurimento psicofisico del dopo parto, ingenerando vissuti di insicurezza, di inadeguatezza e di depressione (ibidem).
e) Lutto non rielaborato rispetto a precedenti aborti o morti endouterine Esperienze di aborti volontari per porre termine a gravidanze per vari motivi non desiderate, così come di aborti spontanei o morti endouterine causate da difficoltà organiche, possono costituire un potenziale fattore di rischio per
l’insorgere di una depressione, sia in seguito all’interruzione stessa della gestazione, sia in seguito ad una successiva maternità anche molti anni più tardi (Bernazzani, Bifulco, 2003).
In primo luogo, la sintomatologia depressiva dopo un aborto esprime consciamente o inconsciamente lo sconforto, il trauma e l’auto-colpevolizzazione provata dalla donna che ha perso un figlio.
In secondo luogo, la depressione post-partum attuale, in una donna che ha vissuto un aborto nel passato, diventa un’esternazione inconsapevole dell’impossibilità di accogliere il proprio bambino dopo averne perduto un altro in precedenza, magari per il proprio cosciente rifiuto.
La sofferenza materna diventa allora manifestazione dell’estremo dolore per una perdita non ancora rielaborata che non permette alla mente materna di disporsi positivamente ad accettare un nuovo bambino; un lutto irrisolto vissuto in modo autopunitivo determina vissuti interiori di inadeguatezza e di colpevolizzazione con la conseguente incapacità di rappresentarsi come madre sufficientemente all’altezza del suo compito.
La potenziale influenza destabilizzante di una gravidanza negata tende, comunque, ad esercitarsi con forza maggiore in donne già psichicamente vulnerabili, con scarsa autostima e fiducia in se stesse, con limitate risorse nel fronteggiare le situazioni drammatiche e con una storia di episodi depressivi precedenti (Major et al., 2000).
f) Allattamento
Un consistente numero di studi ha rilevato una certa correlazione tra difficoltà di allattamento e disturbi depressivi nella madre (Fisher et al., 2002; Shakespeare et al., 2004). Molte donne sofferenti dei sintomi della depressione post-partum non possono nutrire il loro neonato con un allattamento naturale al seno, dovendo ricorrere a modalità artificiali (Chaudron et al., 2001; Gross et al., 2002), oppure tendono ad interrompere troppo presto tale pratica portando il piccolo ad un precoce ed improvviso svezzamento (Tammentie et al., 2002;
Smallwood Fergerson et al., 2002).
La presenza di una connessione tra nutrizione del bambino ed umore materno non sottende certamente l’esistenza di un nesso causale diretto, ma evidenzia come l’allattamento si inserisca nel complesso dell’accudimento affettivo e nelle
dinamiche relazionali profonde madre-figlio, contribuendo insieme ad altri fattori a determinare la capacità materna di accettazione, di amore e di responsività nei confronti del bambino (Furman et al., 2002).
Non poter allattare al seno il proprio figlio, o svezzarlo troppo precocemente, non conduce sicuramente ad alcuna forma di patologia: la profonda affettività materna può essere manifestata attraverso qualsiasi pratica nutritiva purché accompagnata da calore, vicinanza e protezione; tuttavia, se sommato ad altri elementi quali mancanza di supporto, solitudine, difficoltà relazionali, problematiche di natura medica, economica o lavorativa, tale apparente limite può costituire una ragione di stress aggiuntivo capace di gravare sulla serenità psichica della neo-mamma.
g) Rifiuto della genitorialità o ambivalenza rispetto alla gravidanza
Un possibile elemento predittivo di depressione post-partum sembra essere costituito da una gravidanza non ricercata, non pianificata o soprattutto non desiderata (Dennis et al., 2004). Non solamente un aperto rifiuto ma anche una più sottile ambivalenza risulta essere significativa (Beck, 2002).
Lo scompenso psicopatologico puerperale trova le sue fondamenta su di una difficoltà conscia od inconscia nell’accettare e nel riconoscere il proprio bambino come figlio da amare, incapacità determinata da una mancata separazione-individuazione psichica dal feto ed esacerbata da fattori socio-ambientali avversi; qualora una gestazione sia in partenza palesemente non voluta, o più nascostamente vissuta con ambivalenza, si determina in maniera chiara ed inequivocabile il terreno predisponente al rigetto della maternità stessa e del bambino, rifiuto che può esprimersi in forme diverse, tra cui anche in una manifestazione depressiva.
Un’affettività ambivalente può essere ulteriormente incrementata o direttamente causata da una situazione particolarmente delicata di sentimenti contradditori tra la futura madre e il futuro padre: una gravidanza voluta dalla donna e non voluta dal partner può condurre a conflittualità relazionali e a disaccordi talora insormontabili, passibili di generare una sofferenza tale nella mente femminile da sfociare in problematiche depressive postnatali (Leathers & Kelley, 2000).
h) Relazioni povere con i propri familiari
Il supporto sociale è stato ormai indubitabilmente confermato come uno dei più significativi fattori predittivi di disturbi psichici durante il post-partum.
L’insieme delle persone, delle istituzioni e delle situazioni facenti parte dell’ambiente interpersonale esterno di un individuo costituiscono quella che viene denominata la sua “rete sociale”.
La rete sociale di una gestante o di una puerpera è composta generalmente dal marito (o compagno), dalla madre, dal padre, dai fratelli/sorelle, dai suoceri, dagli amici, dai conoscenti più stretti, dal medico ginecologo, dalle ostetriche, dalla struttura ospedaliera.
L’ambiente sociale è fondamentale nel determinare un senso di sicurezza e di vicinanza affettiva nella neo-mamma; quanto più risulta esteso e coinvolto, tanto maggiore sembra la serenità emotiva della donna e, conseguentemente, del neonato. Buona parte delle ricerche hanno concentrato la loro attenzione sull’importanza della presenza del partner e dell’aiuto specialistico-sanitario;
studi relativamente meno numerosi hanno invece indagato il ruolo di supporto dato dai rapporti all’interno della famiglia allargata.
Relazioni familiari povere, deboli, connotate da distanza, indifferenza, mancanza di coesione o da situazioni di conflittualità e rancori irrisolti sembrano esercitare un effetto compromettente l’equilibrio emotivo della donna, soprattutto qualora non compensate da supporto alternativo da parte del partner o di altre figure considerevoli (Pajulo et al., 2001).
In particolare, nei rapporti di parentela diretta la persona più influente per la partoriente sembra essere la propria madre (Heh et al., 2004).
Come più estesamente riportato anche nel capitolo terzo, esperienze precoci nel corso della propria infanzia ed adolescenza caratterizzate da abbandono, trascuratezza, indifferenza emotiva o vero maltrattamento materno segnano intimamente la personalità della donna e la sua capacità di identificarsi con un modello di riferimento sano e positivo; analogamente negativa è l’influenza di conflitti non risolti perpetuatosi nel presente, tali da mantenere una lontananza fisica ed affettiva tra la donna adulta e la propria madre, proprio quando la prima avrebbe bisogno del supporto e dell’esperienza della seconda (Fisher et al., 2002).
i) Abuso fisico o sessuale
Una storia passata di violenza fisica o di abuso sessuale nel corso dell’infanzia determina uno stato psichico di vulnerabilità e di traumatismo che tende a persistere e a riattivarsi nell’età adulta, portando ad affrontare come traumatici successivi momenti di importante e decisivo cambiamento, quale rappresentato dalla maternità; la nascita di un figlio può, pertanto, suscitare veri e propri sintomi post-traumatici da stress o depressivi (Mezey et al., 2005).
Il trauma di un abuso sessuale infantile, molto probabilmente tra gli eventi più gravi, tremendi e rischiosi dal punto di vista dello scompenso psicopatologico, influenza profondamente l’evoluzione psichica e la salute mentale della vittima la quale, in procinto di vivere la sua maternità, può vedere pesantemente compromessa la propria capacità di instaurare una relazione affettiva positiva col neonato (Buist & Janson, 2001).
Analogamente, anche episodi di violenza domestica durante l’età adulta paiono fattori fortemente predittivi di difficoltà e sofferenze psicologiche puerperali, quali la depressione post-partum; aggressioni fisiche, abusi sessuali, ricatti morali, influenzamenti emotivi da parte del partner creano difatti un clima relazionale traumatico, negativo ed ostacolante la serenità della donna (Bacchus et al., 2004; Hegarty et al., 2004).
Particolarmente grave risulta l’impatto psichico di una violenza sessuale subita nel corso della gravidanza stessa, in quanto l’evento traumatico estremamente recente non ha il tempo di essere rielaborato e superato, manifestando così le sue nefaste conseguenze proprio durante i nove mesi in cui la futura mamma dovrebbe potersi preparare in pace ed armonia ad accogliere il bambino (Gross et al., 2002).
Il difficile tentativo di superare l’angoscia, la paura e spesso il senso di vergogna e di colpa tende a pregiudicare la disposizione affettiva necessaria ad identificarsi nel proprio prossimo ruolo materno.
Tenuto conto della complessità e della multifattorialità dell’eziologia della depressione post-partum, nel prossimo ed ultimo capitolo verrà esposto il lavoro di ricerca effettuato relativamente alla prevalenza e ai possibili fattori di rischio associati alla depressione post-partum, sulla base della vigente letteratura sul tema.
CAPITOLO 6