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Il caso inglese e la risposta dei giovani al differenzialismo

Seconda generazione di migranti e processi di cittadinanza

Province 31-12-2010 Residenti Aumento % 2002-

4.3 Cittadini si nasce o si diventa? Pratiche europee a confronto

4.3.2 Il caso inglese e la risposta dei giovani al differenzialismo

L’Inghilterra, anch’essa al centro dei grandi interessi coloniali del XIX secolo, è stata molto precocemente una terra di immigrazione, sebbene potesse contare su una manodopera autoctona nettamente più numerosa di quella francese. Per quasi un secolo, dal 1850 al 1948 (anno dell’Immigrant Nationalitu Act), l’immigrazione in Gran Bretagna è stata libera: gli immigrati erano apprezzati per la loro disponibilità a svolgere mansioni faticose e sottopagate, quindi il governo non poneva alcun limite né

dai 13 anni e previo il suo consenso. In questo caso il requisito della residenza abituale quinquennale decorre all’età di 8 anni.

106 La naturalizzazione per residenza può anche essere concessa anche a chi ha ultimato almeno due

anni di studi in un istituto di istruzione universitaria, in tal caso il criterio di residenza viene ridotto a due anni.

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per i lavoratori provenienti dall’Europa o dalle colonie. Solo nel secondo dopoguerra, le possibilità di immigrazione si sono andate gradatamente restringendo: il governo cominciò a regolamentare gli ingressi, scoraggiando l’ingresso di migranti provenienti da paesi non europei, con leggi progressivamente restrittive (votate nel 1962, nel 1971 ed infine nel 1981). Tali leggi limitavano il diritto di libera circolazione dei British

Subjects cittadini del Commonwealth, che inizialmente erano potuti entrare in

Inghilterra con facilità e che con la legge del 1981, voluta dalla Tatcher, vengono definitivamente distinti dai cittadini britannici autoctoni (Cfr. Sabatucci, Vidotto: 2006). Proprio i migranti provenienti dal Commonwealth aumentando di numero iniziano a suscitare preoccupazioni al governo ed ai media, in quanto cittadini “non bianchi” che si trovano a competere sul mercato del lavoro con gli inglesi.

L’Inghilterra sin dai tempi della colonizzazione aderisce ad un modello si stato pluralista, accettando un certo grado di differenziazione interna, e non contrastando l’istituzione di una serie di comunità etnico-nazionali, quale effetto dei flussi migratori107.

Secondo alcuni ricercatori, tale modello ha portato a spiegare il rapporto fra immigrati ed autoctoni in termini prima di race relation, e poi di ethnic relations (Cfr. Rich 1986; Keith e Cross 1993). Nella fase di forte immigrazione, fra gli anni Cinquanta e Sessanta, le comunità immigrate non sono mai state esplicitamente invitate ad integrarsi nella cultura britannica, sono state sempre percepite come “diverse”, percezione che per molti anni è stata intesa come inferiorità.Per far fronte ai rischi di conflitto che avevano già segnato la politica coloniale e che si ripetono con le racial

riots degli anni Cinquanta lo Stato inglese ha rafforzato il processo di politicizzazione

delle differenze, contemporaneamente alimentando il vecchio pregiudizio razziale e delle mobilitazioni culturali delle nuove generazioni.

Nella fase di definizione delle ethnic relations, il figli dei flussi migratori più consistenti, diventano numericamente significativi. Se i padri di questi giovani si erano dovuti impegnare in battaglie contro il pregiudizio razziale esplicito, contro la discriminazione lavorativa ed hanno istituito dei sindacati (come ad esempio l’IWA, Indian Worker Association), i ragazzi di seconda generazione sono stati protagonisti dei

107 Le politiche per l’integrazione sono state per lo più indirizzate a contrastare l’emarginazione e la

posizione sub-alterna di queste stesse minoranze rispetto agli autoctoni; all’interno della cornice fissata dallo Stato le varie comunità culturali possono accordarsi come meglio credono per la loro convivenza, mentre lo Stato assume prevalentemente una funzione di paciere e di garante.

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movimenti sociali successivi in cui vengono coniugate le proteste contro il razzismo e le richieste più specifiche del riconoscimento della differenza, culturale e di genere.

Inizialmente questa viene reclamata come ambito relativo ai diritti di cittadinanza e come richiesta di protezione da parte dello Stato, ma in seguito viene sempre più valorizzata come bene in sé, in quanto componente imprescindibile dell’identità e della sua specificità. Negli anni Ottanta e Novanta, il potere di pressione politica delle varie comunità guadagnava terreno producendo un progressivo irrigidimento delle identità culturale che ha mantenuto alto il grado di conflitto sociale, rendendo sempre fragile la politica del dialogo e del reciproco riconoscimento (Cfr. Solomos, Back 1995). Proprio mentre le seconde generazioni lottavano per il riconoscimento delle differenze, queste si moltiplicavano contribuendo a creare un modello di cultura che in contrasto con l’apparente omogeneità delle richieste, tendendo a sottolineare le appartenenze non solo per origine nazionale, ma anche in termini di genere, età, gusti e stili culturali.

Le capacità di ibridazione delle culture giovanili hanno in qualche maniera permesso di rompere la rigidità di questi confini e di creare sempre più legami transnazionali. Anche nelle politiche sociali si comincia a tener conto delle differenze rispettandole ed i centri di aggregazione giovanile diventano sempre più luoghi di promozione di un multiculturalismo quotidiano, che si evince anche dai processi di acquisizione della cittadinanza.

Il principio dello jus soli ha per tradizione largo spazio nell’ordinamento inglese, infatti la cittadinanza britannica può essere ottenuta attraverso la registration da una persona nata sul territorio di cui almeno un genitore sia residente a tempo indeterminato in Gran Bretagna. Se nessuno dei due genitori è cittadino britannico o stabilmente residente, la persona nata sul territorio nazionale può ottenere la cittadinanza quando uno dei due genitori, dopo la nascita del figlio, diventi cittadino o si stabilisca nel Regno Unito, o ancora quando il richiedente vi abbia risieduto per dieci anni successivi alla nascita (Genco, Marchetto, Mazzei 2011: 73).

Il multiculturalismo quotidiano, l’ibridazione e le culture giovanili che i giovani inglesi di seconda generazione producono in abbondanza rappresentano un terreno di elezione per lo studio del tema della differenza: la musica, l’abbigliamento ed i linguaggi vernicolari fungono da veicolo multiculturale aperto alla contaminazione, dimostrando che per i giovani riuscire a mescolarsi significa anche interrogarsi sulla propria identità a partire dal dialogo con l’altro (Cfr. Baumann 1996, 1997).

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