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Lo sviluppo dello status ugualitario della cittadinanza, in contrapposizione agli

status fondamentalmente discriminatori delle culture antiche e medievali, favorisce un

doppio processo: quello della “fusione geografica” e quello di “separazione funzionale” (Gargiulo 2008: 26;). Con il primo Marshall intende la concretizzazione dello smaltimento dei privilegi locali, nell’armonizzazione dei diritti e dei doveri all’interno di un determinato spazio territoriale (nazionale) e l’introduzione dello status di cittadini (Cfr. Ferrera 1993). Il secondo processo, invece, riguarda la specificazione singolare degli elementi della cittadinanza e la progressiva autonomazione delle sfere dell’azione sociale, che dà vita alla costruzione di nuove strutture, centrali e periferiche, adibite alla produzione e tutela dei diritti (Toscano 2010: 131).

Lo spazio di analisi che inquadra il processo di cittadinanza è ampio, sia a livello di periodizzazione storica, che a livello di indagine sociale, nonostante Marshall si riferisca prevalentemente al caso inglese, è in qualche maniera applicabile all’intera comunità europea, tenendo però conto di come ogni elemento della cittadinanza ha avuto un proprio percorso di crescita e di riconoscimento nell’ambito dei diversi Stati.

L’affermarsi della cittadinanza si connette allo sviluppo dei rapporti capitalistici e di divisione del lavoro tipici dello Stato moderno, la realizzazione di una struttura di scambi e di produzione a livello nazionale e la conseguente necessità di una forza lavoro mobile formata da un addestramento generico (nettamente diverso dalla specificità delle conoscenze attinenti ai mestieri artigianali, di bottega) in grado di apprendere ed esprimersi in una lingua comune e condivisa sull’intero territorio, producendo inoltre una trasformazione del rapporto fra Stato, società e cittadino48.

Lo Stato diviene progressivamente una sorta di giudice super partis, abbandonando gradualmente il ruolo di rigido controllore della società ed impegnandosi

48 La sovrapposizione fra sfera pubblica e sfera politica, prende a venir meno con l’approfondirsi del

processo di separazione funzionale, avvantaggiandosi degli effetti della fusione geografica (a tal proposito appare utile approfondire: Pasini 2011; Gargiulo 2008).

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nella regolazione delle relazioni sociali fra autonomi ed uguali titolari di specifici diritti e doveri. I cittadini cominciano a trarre beneficio del proprio status autonomo ampliando la propria capacità d’azione al di là della sfera privata ed andando a costituire l’embrione di una sfera pubblica aperta alle interazioni sociali sempre più libera dalle interferenze dai condizionamenti del potere statale. Società e Stato, quindi, iniziano a svilupparsi in ambiti separati ma comunque vicini, la sfera pubblica e quella politica.

All’interno di tale configurazione, i diritti fungono chiaramente da garante affinché lo svolgersi dei rapporti sociali avvenga secondo modalità non conflittuali e legalmente stabilite, favorendo lo scambio e le relazioni fra i vari attori del sistema sociale, quindi fra gli stessi individui e le varie istituzioni. Questa chiave di lettura storico-sociologica dell’interpretazione del significato dei diritti, permette di allontanare tutte le visioni universalistiche e trascendenti delle garanzie del cittadino, concentrando la riflessione teorica sull’analisi della loro origine materiale.

Seguendo tale approccio egli considera i diritti quali elementi strumentali per un’esperienza sociale partecipata, seguendo tale assunto l’individuo ha il diritto ed il dovere sociale di sorreggere la comunità che rende possibile l’esercizio delle facoltà di libero cittadino. Appare opportuno precisare come questo processo di separazione funzionale sembri caratterizzato in senso evolutivo, quasi come se l’Autore colga nel passare dei tempi un dato stratificato e gradualmente plasmato nei suoi contenuti dallo stesso scorrere dei secoli in cui le circostanze umane e le vicende delle istituzioni arricchiscono di nuovi elementi lo status della cittadinanza. È un processo che si amplia nel tempo sino a comprendere in sé il corpus dei diritti civili, politici e sociali e pare che ogni secolo sia connotato da peculiarità che completano lo status di cittadino «i diritti civili al XVIII, quelli politici al XIX e quelli sociali al XX» (Marshall 1950: 4).

Nell’osservazione marshalliana, che è contestualizzata in Inghilterra, il periodo formativo dei diritti è collocabile nell’anno 1688, l’anno della Gloriosa Rivoluzione. La formalizzazione dei diritti dell’habeas corpusnon va però perso nel nulla, ma anzi va ad sostenere il graduale addizionarsi e precisarsi di un corpus di libertà in parte operanti, immettendosi in un percorso che in Inghilterra aveva già originato una forma embrionale di cittadinanza. Questo era lo status dei maschi adulti di tutte le comunità locali, che scaturiva dalla presunzione della libertà personale dovuta all’abolizione della servitù della gleba. Secondo Marshall il progressivo riconoscimento di tali diritti innesca un processo finalizzato a modificare profondamente la considerazione sociale

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degli individui, spostando il centro della questione dalla variegata realtà della condizione sociale degli individui, al principio generale della pari dignità della persona. Divulgando l’idea della effettiva eguaglianza dei soggetti, questa ancora parziale visione della cittadinanza (priva degli elementi politoco-sociali) predispone lo scavalcamento della logica dello status ereditario e quindi della struttura rigida dei ceti e delle appartenenze tradizionali. L’affermarsi dei diritti civili racchiude in sé la logica che demolirà, in futuro, il loro assunto principale, quello secondo cui «il potere di impegnarsi come unità indipendente nella lotta economica» (Ibidem: 28) rende il negare qualsiasi garanzia sociale perfettamente coerente.

L’evolversi dei diritti politici ha il suo inizio in Gran Bretagna con il Reform Act del 1832, quando nei loro tratti essenziali i diritti civili avevano già raggiunto l’assetto attuale. La differenza fondamentale rispetto a questi ultimi è che la formalizzazione dei diritti politici «non consiste nella creazione di nuovi diritti che arricchivano un status di cui già tutti godevano, ma nella connessione di vecchi diritti e nuovi strati della popolazione» (Ibidem: 16), proprio per questo Marshall stesso parla di status di cittadinanza nel XIX secolo, come aumento dei diritti civili universalmente riconosciuti e di diritti politici, potenzialmente fruibili da ogni attore sociale, ma concretamente usufruiti da una ristretta minoranza49. Nello stesso secolo si ponevano le fondamenta per l’affermarsi dei diritti sociali.

È opportuno precisare come all’epoca chiunque facesse ricorso all’assistenza ed a tutti quei servizi connessi alle forme primitive di cittadinanza, rendeva in realtà manifesto il proprio stato di disagio, rinunciando in tal maniera alla propria autonomia in quanto non in grado di badare a sé stesso. É solo nel Novecento che iniziano a muoversi in maniera efficace i frutti di un principio di giustizia sociale iniziato alla fine del secolo precedente, l’esercizio collettivo dei diritti civili e la fruizione dei diritti politici «divennero per i lavoratori uno strumento per elevare il loro status sociale ed economico» (Ibidem: 36)50.

49 È un chiaro esempio il diritto al voto su base censitaria per cui, secondo l’etica capitalista, a nessuno

veniva reso impossibile guadagnare e quindi usufruire della capacità di voto. In realtà erano molto pochi coloro che ne potevano usufruire vista la difficoltà di mobilità ascensionale. È da evidenziare quindi come l’espansione della cittadinanza vada interpretata, sia come somma dei diritti gradatamente aggiunti allo

status di cittadino, sia come ampliarsi della cerchia di persone possono goderne (Cfr. Zolo 1992, 1994). 50 Tale assetto, inizialmente basato su calcoli prettamente mercantili ed assecondato da istituzioni

espressione delle classi dirigenti, secondo cui condizioni migliori di reddito e di istruzioni per le classi svantaggiate significavano aumenti generalizzati dei consumi e della necessaria qualificazione tecnica

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Con tali premesse si apre la terza fase dell’espansione dell’istituto della cittadinanza, quella che concerne i diritti sociali conduttori di un’intrinseca valenza del tutto peculiare (Cfr. Berlin 1989). Infatti i diritti civili e politici si concretizzano in garanzie formalizzabili attraverso procedure burocratiche uniformi e definite da codici, che diventano per il soggetto strumenti finalizzati a salvaguardare la propria autonomia o comunque chiedere al potere giudiziario o amministrativo di salvaguardarle, i diritti sociali, invece, hanno per oggetto prestazioni pubbliche che presentano soprattutto un aspetto di contenuti materiali, quali le previdenze, le infrastrutture ed il personale relativo alla soddisfazione sociale dei requisiti minimi di istruzione e di assistenza socio-sanitaria, condizioni che portano ad un rilevante consumo di risorse pubbliche. La definizione quantitativa e qualitativa51 di tali prestazioni dipende quindi, rispetto a quanto previsto a garanzia dei diritti civili e dei diritti politici, dall’azione sincretica di variabili politiche, sociali ed economiche (Cfr. Bobbio 1990).

Disponibilità di risorse economiche, decisioni discrezionali della pubblica amministrazione, equilibri di potere e rivendicazioni politico-sociali, condizionano esplicitamente la sostanza delle politiche di welfare state. Gli alti costi in termini economico-organizzativi dei servizi sociali, vengono giustificati dall’Autore, poiché grazie a tali garanzie si conferisce una spinta costruttiva al concreto sviluppo della cittadinanza, finalizzato al configurarsi sempre più equo della società, quindi dello

status di cittadino (Cfr. Sgritta 1992).

Solo grazie all’affermarsi della dimensione sociale della cittadinanza, diviene possibile conferire un’effettiva accezione universalistica ai diritti civili e politici. È

della manodopera da utilizzare nella produzione, ha contribuito a favorire una progressiva tendenza verso l’uguaglianza (Cfr. Barbalet 1988).

51 Come già affrontato nel precedente capitolo è possibile individuare nell’istituto della cittadinanza

due principali dimensioni, quella quantitativa e quella qualitativa. In ogni epoca si sono realizzate differenti combinazioni di questi due aspetti e solo nei nostri giorni si verifica la sensibilità e la volontà istituzionale della ricerca di una massimizzazione di entrambi. L’aspetto quantitativo è inerente il novero dei soggetti che nell’ambito di una stessa comunità godono dello status di cittadino. Evidentemente questo aspetto rimanda alla diffusione della cittadinanza o della non-cittadinanza tra i vari strati sociali ed i gruppi etno-culturali. Possono difatti configurarsi situazioni in cui esistono fenomeni di esclusione ufficialmente sanzionati che originano gradi diversi di cittadinanza ristretta (basata su differenze di ceto, di censo, di genere, di razza) oppure in cui esiste un unico e compiuto status di cittadinanza esteso a tutti gli abitanti della comunità (cittadinanza universale).

L’aspetto qualitativo è invece inerente l’assetto delle garanzie che costituiscono il cuore della cittadinanza e che quindi connotano il cittadino in quanto titolare di un novero di diritti più o meno esteso. Si tratta delle ormai classiche garanzie di tipo civile, politico e sociale (Cfr. Marshall 1950; Dahrendorf 1989), cui potrebbero oggi aggiungersi quelle di natura culturale o multiculturale (Cfr. Kymlicka 1999; Delanty 2000) ed i cosiddetti nuovi diritti (Cfr. Bobbio 1990; Borgna 2001; Delanty 2001), entrambi di non semplice connotazione e riferibili all’eterogeneità ed alla complessità della società contemporanea.

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proprio attraverso tale affermazione che si concretizzare quell’etica sociale che attenua le diseguaglianze, rendendo effettivo uno status ugualitario che mette in pratica l’essenza del progetto democratico per mezzo dell’inclusione sociale.

In questa breve sintesi storica si è cercato di mettere in evidenza le tre fasi connesse alla titolarità dei diritti, quindi all’affermazione dello status di cittadinanza, che rispecchiano un processo attraverso cui i diritti terminano di essere un esclusivo privilegio di una cerchia ristretta, e divengono un sostegno per ogni individuo della società. I diritti, nella loro fase affermativa, possono in qualche maniera apparire anche contrastanti fra loro, questo può avvenire lungo i periodi di passaggio fra le varie fasi ovvero quando nasce un’asincronia dovuta dalla creazione di nuove garanzie che magari, in un primo momento, sembrano non compatibili con l’istituzione normativa che vanno a sostituire. In verità, se alcuni diritti, nella loro fase affermativa, sembrano servire logiche diverse tutti, alla fine risultano essere connesse fra loro in una vera e propria complementarietà; da tale complementarietà nasce la vera forza dello status di cittadino.

Volendo seguire il fil rouge della riflessione del sociologo inglese l’esercizio di un singolo diritto può affermarsi reale ed efficace solo quando esiste una intera rete di garanzie che si concretizza nelle distinte categorie di diritti civili, politi e sociali, quindi un continuum destinato a culminare nella costituzione di una società in cui ogni individuo adulto sia un membro libero ed eguale della comunità.

Marshall sembra proporre come modello normativo la vicenda storica inglese; sembra presentare il percorso storico caratterizzato dall’elevazione di tutti i membri della popolazione al rango di gentleman e dalla contemporanea trasformazione delle prerogative di tale status come concreta modalità per combinare l’universalismo giusnaturalistico ed il particolarismo comunitario (Santoro 1994: 104).