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Il modello francese e la sfida dei giovani all’universalismo

Seconda generazione di migranti e processi di cittadinanza

Province 31-12-2010 Residenti Aumento % 2002-

4.3 Cittadini si nasce o si diventa? Pratiche europee a confronto

4.3.1 Il modello francese e la sfida dei giovani all’universalismo

La Francia è stata una potenza coloniale che in vari periodi della sua storia non ha avuto in patria una manodopera sufficiente al suo sviluppo economico; il Paese ha avuto quindi bisogno di trarre forza lavoro dall’estero sin dalla seconda metà del’Ottocento, ricorrendo soprattutto ad un’immigrazione proveniente dal bacino mediterraneo.

Il flusso migratorio più massiccio, proveniente soprattutto dal Nord Africa e da altre ex colonie e protettorati francesi, si verificò in maniera consistente negli anni del boom economico del dopoguerra. Nei paesi in cui vi erano delle relazioni stabili i lavoratori venivano reclutati direttamente sul posto da agenzie governative ed ospitati in Francia in apposite strutture pubbliche riservate ai migranti temporanei; con tale tipo di organizzazione il governo intendeva rimarcare la loro esclusiva mansione di manodopera a tempo determinato, mantenendoli isolati rispetto alla vita sociale degli autoctoni. La crescita di questo tipo di manodopera, sfuggì rapidamente al controllo

tardi; in Germania però si trova un tasso di disoccupazione di questi giovani più bassa, perché vengono indirizzati verso scuole professionali che gli permettono un inserimento nel mondo del lavoro più immediato.

Altre ricerche ancora dimostrano che i giovani marocchini, soprattutto le ragazze, hanno maggior successo scolastico rispetto ai giovani turchi e ciò accade in tutta Europa, quindi succede a prescindere dalle politiche scolastiche, in quanto le famiglie sono solitamente orientate ad una buona riuscita dei figli ed hanno una vita comunitaria molto debole, il che sembra incoraggiare i giovani a percorsi di mobilità sociale fortemente individualizzati, anche se la mancanza di un sostegno comunitario si presenta come uno svantaggio nel caso del fallimento di tali percorsi di mobilità (Rebughini 2008: 20).

101 Gli unici studi pioneristici sui migranti ed i loro discendenti sono stati quelli della Scuola di

Chicago degni anni venti e trenta, dove un primo gruppi di sociologi ha studiato non solo gli effetti dei flussi migratori in città, ma anche le storie di vita dei migranti e delle loro famiglie (Cfr. Rauty1995). In particolare le indagini di Thomas e Znaniecki (1920) sull’immigrazione dei contadini polacchi sono considerate la prima vera indagine empirica sulle biografie dei migranti e delle loro famiglie.

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degli operatori: la gran parte dei lavoratori migranti, una volta stabilizzata la loro posizione lavorativa, chiese il ricongiungimento familiare ed accettò gli appartamenti ad affitto contenuto che si stavano costruendo nelle periferie industriali (chiamate HLM). Il governo che non aveva previsto un’immigrazione di tipo stanziale e decide di chiudere nel 1974 le frontiere, in realtà l’immigrazione continuò soprattutto attraverso i ricongiungimenti familiari, ma anche attraverso i nuovi arrivi dall’Asia e dall’Africa, che andarono ad occupare i posti vacanti nell’ambito dei servizi e del piccolo commercio (Cfr. Sabatucci, Vidotto: 2006).

La comparsa della seconda generazione si manifesta così sulla scena francese poco dopo la chiusura delle frontiere, nel momento in cui i figli degli immigrati diventano sempre più numerosi nelle scuole e cominciano a farsi osservare come “gioventù difficile” delle grandi periferie urbane102. Sin dal loro emergere furono chiare le implicazioni sociali scaturite dalle presenze dei figli di quest’ultima ondata migratoria sarebbero state diverse e più incisive sul piano della società, poiché le precedenti seconde generazioni, erano fondamentalmente composte da figli di migranti europei, non avevano quindi posto grandi problemi di assimilazione ed integrazione sociale, e non avevano messo in discussione il sistema universalista di accesso alla cittadinanza; a partire dagli anni ottanta, invece, la massiccia concentrazione di origine straniera nelle HML delle periferie si trasforma in potenziale conflittuale e di contestazione del tutto inaspettato.

La tradizione politico-culturale francese si basa su due solidi pilastri: l’universalismo e la laicità. Riguardo l’immigrazione questa tradizione ha parecchio insistito sul bisogno di produrre un’integrazione sociale che fosse anche lenta e progressiva assimilazione culturale dei migranti. L’assimilazione, o l’acculturazione dei migranti, viene interpretata come un principio indissociabile dall’universalismo e dai principi di giustizia sociale, questa missione di assimilazione/acculturazione delle nuove generazioni di immigrati passa ovviamente attraverso la scuola, luogo in cui si dovrebbero incrementare le opportunità di inserimento sociale, sia gli inevitabili processi di assimilazione della lingua e cultura francese. La Francia, più che in ogni altro paese europeo, è stata sovraccaricata di responsabilità e considerata come la prima frontiera dei processi di acculturazione e di integrazione sociale, ma non sempre le

102 Il censimento del 1999 ha calcolato a 2,6 milioni i minori di origine straniera, considerando sia

coloro che hanno una nazionalità diversa da quella francese, sia i ragazzi che sono di nazionalità francese ma che vivono con i genitori di nazionalità straniera.

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decisioni governative e le risorse messe a disposizione dell’istituzione scolastica sono state all’altezza del difficile compito; anzi la stessa scuola ha prodotte logiche di esclusione103 (Cfr. Hassini 1997, Payet 1999).

Da tale impostazione, si comprende come la crisi del concetto di assimilazione sia stata vissuta dalla Francia con particolare intensità, come il fallimento di un progetto culturale preteso come universale e travolto dai processi di globalizzazione e transnazionalizzazione, oltre che dall’inasprimento delle rivendicazioni culturali particolaristiche.

Il tema delle seconde generazioni esordisce nel dibattito pubblico in modo negativo, soprattutto in seguito all’allarme mediatico sollevato dalle prime rivolte urbane, émeutes, di cui i giovani figli dei migranti sono protagonisti, e attraverso la scoperta della situazione drammatica delle banlieues, in cui vive la gran parte della popolazione inoccupata, spesso composta proprio da gente di origine straniera. Di fronte alla crisi delle banlieues, il governo francese ha cercato di fornire risposte in termini di politiche urbanistiche e sociali, di cui però per i giovani e specificatamente pensata solo una minima parte.

Nonostante la Francia abbia gestito sin dal’inizio del Novecento l’integrazione dei figli degli immigrati, il dibattito politico e sociologico è emerso con la presenza dei figli dei migranti delle ex colonie soprattutto con l’emergenza delle banlieues, che costringono il Paese a riflettere sulla questione della nazionalità, della cittadinanza e sulla validità dei principi dello Stato laico e repubblicano.

Sino a qualche anno fa, la Francia era caratterizzata da una legge sulla cittadinanza parecchio aperta, costruita sul principio dello jus soli; dopo le problematiche di integrazione poste da alcune fasce di giovani di origine straniera la legge fu modificata in senso restrittivo con il Code de la nationalitè.

Dopo il 1993104 i giovani nati in Francia da genitori stranieri non acquisiscono immediatamente la cittadinanza, ma la ottengono automaticamente105 solo a 18 anni

103 Ad esempio sono state create classi separate per accogliere i figli dei migranti, ma in realtà con il

tempo quelle che dovevano essere sezioni di rattrappage finiscono con il diventare in veri e propri ghetti educativi.

104 L’acquisizione della cittadinanza francese e disciplinata dal codice civile art.17-33, dalla legge 933

del 22 luglio 1993 e dai suoi decreti applicativi (n. 1362 del 30 dicembre 1993 e n. 720 del 20 agosto 1998) e dalla legge 170 del 16 marzo 1998.

105 L’acquisizione automatica può essere anticipata a 16 anni dallo stesso interessato con dichiarazione

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(tranne che vi sia un rifiuto specifico da parte del soggetto interessato) se a quella data ha la propria residenza in Francia; nel caso di coloro arrivati in tenera età essi non acquisiscono la cittadinanza in maniera automatica ma la devono chiedere dopo aver avuto la propria residenza abituale e di studio di almeno 5 anni106 (Genco, Marchetto, Mazzei 2011: 68).

La modificazione della legge sulla nazionalità altro non è che un riflesso del dibattito che da vent’anni attraversa la Francia, scaturite dalle domande che i giovani di origine straniera hanno sollevato, mettendo in discussione non solo le tradizionali politiche di integrazioni, ma anche interrogando la natura dell’identità nazionale francese e delle sue storiche tradizioni universalistiche (Cfr. Wieviorka 1996).

Dagli anni novanta l’intensificarsi delle proteste, delle rivolte locali e delle rivendicazioni per il riconoscimento formale della religione e della cultura d’origine mostrano come la questione della marginalità sia solo il contenitore sociale di un problema con radici molto più profonde. L’attenzione nei riguardi dei giovani di seconda generazione è definita proprio dal fatto che la loro presenza, non più silenziosa come quella dei loro genitori, tende a porre in crisi le regole delle istituzioni francesi: non solo la laicità e l’universalismo, ma anche il pensiero di una società considerata come totalità, che si identifica in uno Stato e che fa riferimento all’individuo in senso astratto, senza riconoscergli alcuna particolarità culturale (Bosiso, Colombo, Leonini, Rebughini 2005: 30).