5 Seconde generazioni e percorsi di cittadinanza a Catania
37 M 18 Srilankese Studente Ha già acquisito la
5.2 Analisi delle interviste
5.2.3 Percorsi di cittadinanza
Come già detto in una della aporie costitutive della cittadinanza nella sua concezione moderna e liberale, che pone lo Stato-nazione come base imprescindibile per il riconoscimento formale, è legata al fatto che definisce uno spazio di inclusione garante del riconoscimento formale e sostanziale dei diritti solo escludendo altre persone dai privilegi concessi ai cittadini (Cfr. Zanfrini 2007).
Richiedere la cittadinanza corrisponde all’emancipazione dalle barbarie burocratiche (e non solo) per ottenere e rinnovare il permesso di soggiorno. A tal proposito le parole dei giovani intervistati evidenziano un sistema burocratico che per gli immigrati risulta spesso vessatorio non solo per le disposizioni della legge, ma soprattutto per le modalità in cui ciò avviene. I tempi, i costi e le complicazioni burocratiche risultano troppo elevate al punto di far rinunciare alcuni individui ad intraprendere questo percorso, pur avendone formalmente il diritto.
Alcuni fra gli intervistati hanno rinunciato all’idea di chiedere la cittadinanza, considerandolo un processo troppo complesso, una probatio diabolica che vede ad esempio qualcuno costretto a rinunciare perché magari gli “manca” un mese (i. n.° 5), mese in cui la ragazza frequentava una scuola religiosa parificata ma non si sa per quale motivo non vi è alcun documento che lo attesta, quindi la sua richiesta di acquisizione viene momentaneamente “rigettata” (Percorso di cittadinanza, t. i. n.° 18).
Ancora, c’è chi valuta di diventare cittadino italiano solo per evitare di continuare ad andare in questura, luogo in cui come emerge da varie interviste si sente maltrattato, qualcuno narra che l’andare in questura, o per esperienza diretta o per esperienza di persone a loro vicine, sia un evento caratterizzato dalla precarietà e dall’insicurezza
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associate alle procedure di rinnovo del permesso di soggiorno, che con il passare del tempo sono diventate sempre più lunghe ed umilianti, delle vere e proprie “barbarie” (Percorso di cittadinanza, t. i. n.° 19) altri raccontano di aver assistito a vari eventi discriminatori (Percorso di cittadinanza, t. i. n.° 2, 9, 11).
Le modalità utilizzate per definire chi appartiene e chi è escluso dalla comunità hanno implicazioni dirette su chi può avanzare pretese di titolarità dei diritti e chi no. La concezione restrittiva dell’appartenenza si fonda su un principio etnico il quale prevede che possono essere considerati cittadini solo coloro che discendono da membri che appartengono alla Nazione (Faist, Gerdes e Rieple 2004: 916).
L’appartenenza è connessa allo jus sanguinis: si è membri di una comunità solo per nascita, perché si è inseriti in un flusso culturale, in una storia ed in una tradizione che sgorga dal passato, da scelte e destini ancestrali che vincolano i soggetti in un patto morale di riconoscimento e sostegno reciproco (Colombo, Domaneschi e Marchetti 2009: 19). Una concezione più aperta e fluida di cittadinanza si basa sul principio repubblicano, la cui idea fondamentale è caratterizzata dal considerare la comunità come un luogo di decisioni regolate relative agli affari comuni (Cfr. Habermas 1992).
5.2.3.1 Il “documento”: una questione strumentale
Un aspetto su cui poter indagare nel rapporto fra i giovani di origine straniera e la cittadinanza consiste nell’evidenziare la differenza percepita tra il possedere o meno la cittadinanza del Paese in cui si è cresciuti e nel quale qualcuno vi è anche nato.
Questa dimensione si relaziona con le aspettative e le proiezioni che vengono attribuite al “documento” che rappresenta il riconoscimento dell’appartenenza ad una determinata comunità politica.
L’acquisizione formale della cittadinanza apre il campo ad una serie di “vantaggi”, reali o immaginati, che spesso guidano i giovani stranieri nel loro desiderio di intraprendere la lunga procedura di riconoscimento. A prescindere da ogni dimensione identificativa o partecipativa che è attribuibile alla cittadinanza, realmente essa viene interpretata come una questione formale, “il documento in mano” che consente di risiedere legalmente in Italia e potersi liberamente muovere in Europa.
Come alcuni intervistati ci rivelano non tutti i giovani di seconda generazione che pensano alla cittadinanza lo fanno perché davvero si sentono italiani, ma piuttosto per
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poter ottenere delle agevolazioni e non avere problemi burocratici (Percorso di
cittadinanza t. i. n.° 20- 21).
Da queste parole è chiaro che la priorità viene data al vivere bene senza dover subire discriminazioni. In tal senso la cittadinanza si presenta quindi come una questione “pratica”, che potenzialmente può permettere di vivere adeguatamente e senza eccessiva discriminazione nel luogo in cui si abita, diventa un documento che fa comodo senza considerare sentimenti nazionali che non sono affatto connessi allo status di cittadino.
Le occasioni per usufruire di queste opportunità si manifestano particolarmente nelle situazioni di mobilità internazionale, particolarmente quando è coinvolto il Paese d’origine dei genitori (Percorso di cittadinanza t. i. n.° 20- 21).
I dati di una ricerca di qualche anno fa mettono in evidenza quali sono i vantaggi che gli stranieri percepiscono come correlati alla cittadinanza. In ordine di priorità, vengono considerati: la libera circolazione in Italia, nell’Unione Europea e negli altri Paesi (40,2%), la fine dei problemi burocratici ed il più facile avvio di pratiche (19,8%), la minor discriminazione nella vita sociale (15,5%), l’acquisizione di diritti politici (11,9%), la possibilità di lavorare per la pubblica amministrazione senza limitazioni (7,7%) (Codini, D’Orico 2007: 106). Per commentare questi dati Codini mostra come essi evidenzino una preoccupante distorsione nel rapporto fra immigrati e cittadinanza:
È vero che i cittadini italiani hanno il diritto costituzionalmente garantito di soggiornare liberamente nel territorio nazionale. Tuttavia, non è questa la vera essenza della cittadinanza, che è invece la titolarità dei diritti politici, ossia della sovranità che è il primo articolo della Costituzione attribuisce al popolo. (Ibidem).
Già Bauman nel 1999 aveva rilevato la presenza di un nuovo processo globale di stratificazione intimamente connesso alla mobilità (1999: 79), secondo cui questa nuova stratificazione sociale prevede meccanismi differenziati come l’abolizione dei visti di ingresso per alcune categorie e contemporaneamente maggiore rigore nei controlli all’immigrazione per altre categorie « alcuni di noi godono della nuova libertà di movimento sans papiers. Altri non possono starsene dove vorrebbero per la stessa ragione» (Ibidem). Questi giovani in qualche modo si sentono cosmopoliti, un pensiero che rimanda alla metafora dell’erranza (Cfr. Clifford 1999), il cui senso è garantito
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dall’identificazione con la capacità e la volontà di spostarsi: la propria stabilità e le proprie radici sono garantite dal viaggiare, dal cammino (Colombo 2005: 105).
Per questi motivi la dimensione del viaggio e della mobilità non possono essere disgiunti dall’analisi della cittadinanza, quindi la mobilità fra Paesi diversi si mostra in alcuni casi come un potente motore nella decisione o nel tentativo di acquisire lo status di italiano. La difficoltà di spostarsi e di viaggiare viene percepita come una notevole limitazione delle proprie libertà, in particolar modo al confronto con i coetanei autoctoni.
Un altro aspetto che ha motivato alcuni giovani di origine straniera a chiedere la cittadinanza è legato al sentimento di tutela da parte di uno Stato che li “ha cresciuti”, qualcuno infatti ci ha raccontato del senso di precarietà e di paura che viveva da minorenne, la paura che ai genitori potesse accadere qualcosa di grave come un incidente e la fobia di non sapere cosa ne sarebbe stato di lui, nelle sue parole si percepisce ancora il timore di poter essere rimpatriato in un luogo del quale non sapeva nulla, se non le cose che aveva appreso dai racconti dei suoi genitori, un luogo nel quale non avrebbe avuto relazioni reali, un luogo in cui non avrebbe potuto comunicare perché non ne conosceva la lingua. Ci racconta infatti il momento in cui ha scelto di diventare italiano come un momento in cui sentiva forte il bisogno di sicurezza, di certezza ed ecco che con orgoglio ci dice che qualsiasi cosa possa accadere ai suoi genitori a dare sicurezza al suo fratellino di 6 anni adesso c’è lui (i. n.° 35).
Le dimensioni della mobilità, del superamento degli sforzi amministrativi e burocratici e la necessità di sentirsi “assicurati” dallo Stato incarnano quelle motivazioni forti per desiderare di ottenere la cittadinanza italiana, magari la doppia congiunta a quella del Paese d’origine. Il senso di appartenenza si presenta del tutto svincolato dal documento in sé, forse la doppia cittadinanza potrebbe non creare problemi identitari, anzi potrebbe essere una carta in più avvalendosi di una nuova membership transnazionale che oltrepassa il dogma della fedeltà ad una sola nazione (Zanfrini 2007: 35).
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