3.2 Le bad bank nella storia recente
3.2.3 Il caso italiano: Società per la Gestione di Attività
Un esempio italiano di successo di bad bank è rappresentato dalla Società per la gestione di Attività (SGA)123, l’ente creato per il salvataggio del Banco di Napoli negli anni ’90 e
ritornato negli ultimi mesi nelle cronache come modello di salvataggio delle banche Etruria, Banche Marche, Cari Chieti, Cari Verona e della sua relazione con il Fondo Atlante124.
La SGA ha registrato nei vent’anni della sua attività performance più che ottime: ammonta a
121 Furono impiegate sia la saled bid sale che la open outcry auction. La prima è una tipologia di asta nel quale
gli interessati propongono simultaneamente le loro offerte senza conoscere quelle degli altri concorrenti e senza aggiustare quanto proposto inizialmente; la seconda è la tradizionale forma di asta, con proposte di offerta pubbliche alle quali è possibile controbattere per aggiudicarsi l’acquisto del bene.
122 Scardovi (2009)
123 La SGA spa è attualmente iscritta nell’Albo unico degli intermediari finanziari previsto dall’art 106 del TUB,
con un capitale sociale versato pari a €600.000.
89 quasi 6 miliardi di euro quanto recuperato dai 37mila asset tossici acquisiti in seguito alla sua costituzione; la percentuale di ristrutturazione raggiunta è di circa il 90%, stima ancora in evoluzione se si considera la presenza di quasi 5mila pratiche ancora inevase. La portata di questi risultati è stata inaspettata: in sede di costituzione furono effettuate previsioni di recupero che non andavano oltre al 50%. Inoltre le riserve di utili nel bilancio 2014 della SGA ammontavano a circa 600 milioni di euro, dei quali più di 400 investiti in titoli di Stato125,
consentendo ai contribuenti di recuperare tutto quello che avevano investito attraverso la Banca d’Italia. Si sottolinea che tali risultati sono sì sorprendenti, ma sono serviti ben venti anni per il loro conseguimento, mentre i casi analizzati in precedenza hanno dimostrato come bad bank estere abbiano terminato la loro attività positivamente impiegando meno della metà del tempo. Analizziamo la storia dell’ente di risoluzione italiano.
Il Banco di Napoli si presentava negli anni ‘90 come la settima banca italiana in termini di bilancio, presente con filiali e società controllate in tutto il mondo: sul suolo nazionale contava 810 sportelli126 e, oltre che nei paesi europei, era presente anche negli Stati Uniti e a
Hong Kong. Il gruppo di cui era parte operava in una pluralità di ambiti oltre all’intermediazione finanziaria e creditizia, ad esempio svolgeva anche attività mobiliare e immobiliare, factoring e gestione di patrimoni e fondi comuni d'investimento. Proprio a quegli anni risale il suo declino127 causato sia dalle ingenti perdite subite dall’economia
meridionale in seguito all’interruzione dell’attività della Cassa del Mezzogiorno128, senza la
quale molte imprese divennero insolventi, sia dalla crisi dei settori edilizio e immobiliare innescata dal fenomeno Tangentopoli129. Negli anni della crisi il maggiore azionista
dell’istituto bancario partenopeo era rappresentato dalla Fondazione Banco di Napoli, di carattere privato ma sotto il controllo pubblico, la quale possedeva circa il 70% dell’istituto;
125 Marchesano (2016) 126Marchesano (2016)
127 Primi accenni della crisi si ebbero a partire dalla fine degli anni ’80: i titoli di risparmio emessi nel 1987 al
prezzo di 20.000 lire scesero nell’anno successivo a 15.000 lire, con forti perdite potenziali per i sottoscrittori. La collocazione iniziale era per un totale di 500 miliardi di lire.
Giannini, la Repubblica, 21 ottobre 1988
128 La Cassa del Mezzogiorno era un ente con personalità giuridica di diritto pubblico responsabile
dell’attuazione di opere straordinarie di pubblico interesse nell’Italia meridionale finalizzate al progresso economico e sociale. Essa prevedeva interventi inerenti l’industria, le infrastrutture, le risorse naturali, l’ambiente, la ricerca scientifica, la commercializzazione di prodotti agricoli e alimentari. Nel piano rientravano anche l’assunzione e l’utilizzazione di prestiti esteri, nonché l’attività creditizia a favore dell’industria attraverso gli istituti speciali ISVEIMER, IRFIS, CIS. La Cassa era sottoposta alla vigilanza del presidente del Consiglio dei ministri e inizialmente aveva scadenza decennale, prorogata successivamente fino agli anni ’80.
Fonte: ENCICLOPEDIA TRECCANI
129 Trattasi delle inchieste giudiziarie conosciute anche come “Mani Pulite” riguardanti un sistema diffuso di
corruzione politica basato sulla pratica di pretendere e incassare tangenti, un fenomeno che ha coinvolto il mondo della pubblica amministrazione, degli ambienti politici e finanziari e di quelli imprenditoriali.
90 le azioni rimanenti erano principalmente in mano al Ministero del Tesoro e solo in parte residua diffuse sul mercato.
Negli anni 1994 e il 1995 il Banco di Napoli registrò ingenti perdite di bilancio: rispettivamente 1147 e 3155 miliardi di lire130, non riuscendo così a rispettare le norme
prudenziali in materia creditizia. I crediti a rischio verso la clientela raggiunsero un valore di 16mila 568 miliardi di lire131 e la Fondazione si vide costretta a passare la proprietà al Tesoro,
il quale predispose l’attuazione di un efficiente piano di salvataggio132. Quest’ultimo
prevedeva la costituzione di un apposito ente, la SGA, al quale cedere le attività deteriorate scorporate dal bilancio del Banco al fine di ricavare più denaro possibile dalla loro ristrutturazione e successiva liquidazione. La SGA per iniziare la sua attività contrasse con la banca madre un debito garantito dalla Banca d’Italia con la seguente modalità: il Banco di Napoli sottoscrisse un prestito di importo pari ai titoli di Stato concessi in garanzia al quale fu applicato un tasso dell’1%, dopodiché girò il finanziamento alla SGA applicando un tasso di mercato che nel 1997 era pari al 9,6%133.
La bad bank acquisì dal Banco di Napoli gli asset deteriorati al loro valore di libro corretto da una svalutazione pari al 30% del loro valore nominale, per un totale di circa 6,4 miliardi di euro134. Le 37 mila posizioni trasferite erano relative non soltanto a famiglie e imprese, ma
anche a partiti politici ed enti pubblici; si sottolinea inoltre che il portafoglio acquisito dalla bad bank non conteneva solo attività deteriorate ma anche crediti già ristrutturati, titoli di credito verso stati esteri e varie partecipazioni135. La SGA acquisì anche i crediti e gli attivi
dall'ISVEIMER S.p.A.136 (Istituto per lo Sviluppo Economico dell'Italia Meridionale) in
liquidazione
.
130 (1999/288/CE)
131 Cingolani, Il Foglio, 21 dicembre 2015
132 Il piano di ristrutturazione fa riferimento alla legge n. 588/96, "Conversione in legge, con modificazioni, del
decreto-legge 24 settembre 1996, n. 497, recante disposizioni urgenti per il risanamento, la ristrutturazione e la privatizzazione del Banco di Napoli", approvata dalla Banca d’Italia. La normativa, oltre alla possibilità di
aumenti di capitale e l’acquisto da parte del Tesoro delle azioni in circolazione, si prefissava di tenere il Banco indenne dalle possibili conseguenze economiche e finanziarie degli interventi realizzati. Il decreto legge stabilì anche la ricapitalizzazione del Banco di Napoli per un ammontare di 2.000 miliardi di lire accompagnate da anticipazioni di cassa da parte della Banca d’Italia. Tale aiuto fu approvato nel 1998 dalla Commissione europea con alcune condizioni.
133 Così facendo il Banco di Napoli ottenne dei primi benefici a livello di conto economico.
Cingolani, Il Foglio, 21 dicembre 2015
134 Articolo 7, Disposizioni in materia di procedure esecutive e per investitori in banche in liquidazione, Schede
di lettura D.L. 59/2016 – A.S. n. 2362, Senato della Repubblica
135 Tra queste quella nel Banco di Napoli International S.A. Attivi, la cui vendita fu notevolmente proficua. 136 L’attività di tale ente consisteva nell’esercizio del credito a medio termine nell’Italia meridionale. Il Banco di
Napoli partecipava al fondo di dotazione dell’ISVEIMER insieme ad alcune casse di risparmio, banche popolari, altre aziende di credito italiane e il ministero del Tesoro.
91 Obiettivo primario della creazione della bad bank SGA era quello di procedere alla vendita della good bank creata in seguito allo scorporo delle attività deteriorate: il Banco, di proprietà statale, fu ceduto a Ina-Bnl ad un prezzo di circa 30 milioni di euro. La nuova proprietà non riuscì a raggiungere risultati operativi efficienti e dopo circa due anni la banca partenopea fu di nuovo messa in vendita ad un prezzo di 3 miliardi di euro e acquistata da SanPaolo Imi137.
La costituzione della SGA permise di ripulire i bilanci dell’istituto bancario partenopeo dalle attività non performing, sollevando in tal modo gli acquirenti dal rischio collegato al portafoglio di NPLs il quale fu trasferito allo Stato grazie alla garanzia apposta dalla Banca d’Italia al prestito contratto con il Banco.
La SGA restituì integralmente il finanziamento sottoscritto nel 2002, potendo così iniziare ad accantonare gli utili prodotti, dopo la registrazione delle perdite conseguite nei primi sei anni di attività, quest’ultime rappresentate soprattutto da interessi passivi sul prestito138. A partire
da quella data i dati di utile registrati furono rilevanti: 98,1 milioni di euro nel 2008 e 113 milioni nel 2011. Fu registrata una sola perdita nel 2012, dopo la quale SGA ottenne solo profitti arrivando a quasi 30 milioni di euro nel 2015139.
Il successo della SGA è in parte da ricercare nella dinamica positiva che, dalla seconda metà degli anni ’90 fino al 2008, caratterizzò il settore immobiliare, i cui prezzi aumentarono esponenzialmente. L’andamento di quest’ultimi attirò l’attenzione di molti investitori internazionali specializzati in crediti da ristrutturare, i quali intravidero grandi possibilità di profitto prevedendo un andamento al rialzo. Ciò permise a SGA di vendere le attività non performing a prezzi di mercato maggiori rispetto al loro valore nominale, ottenendo importanti ritorni dall’attività di liquidazione.
Le risorse accantonate da SGA sono ingenti e il Governo ha pensato di utilizzarle per far fronte all’attuale crisi che sta interessando il settore bancario. Nel prossimo paragrafo saranno esaminate le ultime soluzioni proposte per il recupero dei NPLs, tra le quali quella appena annunciata.
137 SanPaolo Imi ha acquisito il Banco in due diverse tranche. La prima in seguito al trasferimento del 51% del
Banco di Napoli Holding nel 2000; la seconda attraverso un’Opa obbligatoria per acquisire le quote restanti possedute dal mercato e dagli azionisti terzi.
138 Tali perdite furono annullate dalla Banca d’Italia grazie al decreto Sindona D.M 27/9/1974 139 Marchesano (2016)
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3.3 Le soluzioni per l’attuale crisi bancaria in Europa e in Italia