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Il punto della situazione

Nel documento Bad bank e asimmetrie informative (pagine 109-126)

Gli argomenti trattati in questo ultimo paragrafo partono dalla descrizione del processo di creazione di una bad bank, per individuare le possibili forme di asimmetrie informative che potrebbero svilupparsi, e terminano con le normative e le proposte comunitarie e italiane. La complessità che caratterizza una situazione di dissesto bancario e la particolarità del business di una bad bank creano tutta una serie di condizioni ideali per lo sviluppo di informazioni asimmetriche; tali situazioni devono essere prevenute o almeno corrette tempestivamente per consentire all’istituto bancario in difficoltà di uscire dalla crisi attraverso la liquidazione delle attività deteriorate e la ripresa delle proprie capacità reddituali. Dati tali presupposti e vista la necessità di interventi efficienti in caso di crisi per evitare la diffusione di default a livello sistemico, la Comunità Europea ha varato la normativa descritta in questo paragrafo, alla quale dovranno sottostare tutti i piani di risanamento sviluppati nei paesi appartenenti alla sua legislazione. La normativa comunitaria omogeneizza sia l’ambito di prevenzione che quello di intervento individuando i controlli e le forme di risoluzione che possono essere applicate. Una disciplina comunitaria era indispensabile: l’Unione Bancaria deriva da una realtà altamente segmentata, composta dalle discipline nazionali dei paesi membri, nella quale coesistevano criteri diversi di valutazione delle attività deteriorate e diverse applicazioni delle politiche di bail-in e bail-out. Ciò conferiva vantaggio competitivo a quei paesi con regolamentazione bancaria meno stringente e allo stesso tempo minava la

107 stabilità del sistema bancario comunitario. Una critica deve essere espressa sul momento di creazione della normativa: data la sua indiscussa utilità essa avrebbe dovuto essere già designata da tempo e non solo dopo le ultime crisi dei mercati finanziari; ci si domanda se i dissesti bancari verificatesi negli ultimi anni avrebbero avuto ugualmente luogo se vi fosse già stata una così specifica normativa comunitaria.

Le direttive europee influenzano i piani di risoluzione applicati alle banche italiane, come è stato osservato nei casi descritti negli ultimi paragrafi. Le condizioni da rispettare per non aversi aiuto di Stato condizionano la progettazione della ristrutturazione degli istituti in crisi coinvolgendo anche risparmiatori e creditori.

Sul suolo italiano è presente un’ingente quantità di crediti deteriorati e le proposte introdotte evidenziano la tendenza di cooperazione tra settore privato e pubblico: ad esempio il fondo Atlante è gestito da una società privata, ma allo stesso tempo beneficia di garanzie statali su particolari tranche di pacchetti cartolarizzati emessi. Una tale collaborazione è fondamentale in un momento caratterizzato dalla necessità di interventi tempestivi e di entità rilevante, rendendo sia le attività cartolarizzate che le stesse banche madri più attraenti agli occhi del mercato. I piani di risoluzione applicati in Italia sono ancora in fase di evoluzione ma le fondamenta normative e operative, sia a livello europeo che nazionale, sembrano essere solide facendo ben sperare per ristrutturazioni efficaci ed efficienti.

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CONCLUSIONI

Nella presente tesi ho cercato di analizzare il vasto tema delle bad bank partendo dallo studio delle asimmetrie informative, osservando alcuni casi attuati negli ultimi decenni e descrivendo le ultime proposte all’interno dell’Unione Bancaria Europea e in particolare in Italia.

Una bad bank nasce in seguito alla rilevazione di una quantità di Non Performing Loans (NPLs) tale da compromettere la funzionalità della banca madre: la soluzione è quella di confluire le poste deteriorate in un apposito ente, la bad bank, il cui core business è rappresentato proprio dalla ristrutturazione di tali attività. L’esclusività degli obiettivi aziendali permette di focalizzare competenze specifiche su tali operazioni aumentando le possibilità di esito positivo.

Negli ultimi decenni l’impiego di bad bank nei casi di crisi bancaria si è rivelato fondamentale, con esiti superiori alle aspettative come per la svedese Securum e l’italiana

Società per la Gestione di Attività. La quantità europea di NPLs, ma ancora di più quella

italiana, è tale da rendere necessari tempestivi interventi di risoluzione. La necessità di agire in tempi rapidi non deve far venire meno l’attenzione prestata durante la creazione e lo svolgimento dell’operato di una bad bank poiché la presenza di eventuali asimmetrie informative potrebbero compromettere l’esito finale. Inoltre la bad bank non deve rappresentare solo una mera risoluzione delle specifiche attività deteriorate, essa deve porsi quale strumento di correzione della crisi bancaria nel suo complesso: è vitale per il sistema bancario risolvere alla radice le cause dei dissesti bancari e, a tal fine, l’operato della bad bank dovrà essere accompagnato da una serie di attività collaterali che riguardano in particolar modo la banca madre. Questa ultima dovrà infatti riprendere la propria operatività per non ledere il funzionamento dell’apparato bancario in cui è collocata. L’intervento di risoluzione potrebbe essere ostacolato da una disomogenea distribuzione delle informazioni tra i soggetti di una relazione economica, con il possibile utilizzo del vantaggio informativo a scapito della controparte. Si dovrà quindi monitorare il verificarsi di asimmetrie informative e prevedere le azioni correttive attuabili.

Le modalità di implementazione di una bad bank sono varie ma tutte hanno lo stesso punto di partenza: la valutazione delle attività deteriorate. Le prime difficoltà nell’uso di tale strumento si presentano già dal momento della creazione, essendo il valore dei NPLs di difficile determinazione. Ciò è causato dalla mancanza di un mercato sviluppato delle attività

109 deteriorate, senza il quale non è possibile ricorrere ai meccanismi di domanda e offerta per l’individuazione del loro prezzo. L’assenza di un mercato causa non solo le difficoltà appena annunciate, ma anche la nascita della prima forma di asimmetria informativa legata alle bad bank: in mancanza di forme alternative, la valutazione dei NPLs sarà effettuata dalla banca madre, la quale possiede un vantaggio informativo nei confronti degli acquirenti e potrebbe sfruttarlo a proprio favore applicando prezzi maggiorati. Questa evenienza rende necessaria l’applicazione di una disciplina il più dettagliata possibile relativa alle modalità di valutazione delle attività deteriorate. In Italia un primo mercato dei NPLs potrebbe svilupparsi con l’attività del fondo Atlante: esso opera come una bad bank di sistema acquisendo i crediti deteriorati dalle varie banche in difficoltà. La creazione di meccanismi di domanda e offerta consentirebbero di spezzare le forme di oligopolio attualmente presenti per tali beni avendosi solo pochi operatori, soprattutto americani, specializzati nell’acquisizione e cartolarizzazione dei NPLs.

Una volta quantificato l’ammontare delle attività deteriorate da “espellere” dal bilancio si procederà alla ricerca dei capitali necessari alla loro ristrutturazione, il cui importo dipenderà direttamente dal valore attribuito alle attività deteriorate. Ecco nella difficoltà nel reperire il capitale iniziale necessario il secondo ostacolo da superare per la creazione di una bad bank. Qualora non sia possibile reperire tutte le risorse necessarie con apporti privati si potrà assistere ad una partecipazione statale nella proprietà della bad bank, rischiando però di esporre i contribuenti al rischio di aumenti del debito pubblico.

La distinzione che si crea tra management e proprietà della bad bank apre la strada ad altre asimmetrie informative, in particolare a forme di azzardo morale: gli amministratori non eseguono le operazioni migliori per la società quando i loro interessi discostano da quelli degli azionisti. Nel caso di una bad bank si potrebbe registrare una mala gestione delle attività deteriorate allo scopo di ottenere benefici privati, rischiando così di danneggiare non solo lo specifico istituto ma anche l’intero sistema bancario: il fallimento di una banca causa il venir meno della fiducia nell’intero settore da parte di risparmiatori e investitori, con conseguenti effetti di panico e possibili corse agli sportelli; inoltre le banche sono depositarie di informazioni che andranno perse una volta cessata la loro attività. Particolari forme di azzardo morale da parte degli amministratori si possono verificare quando nella proprietà sono presenti autorità pubbliche, siano esse uno Stato o un Fondo di risoluzione come previsto dall’ultima normativa europea. In questi casi i manager potrebbero avere una maggiore sensazione di “spalle coperte” ed essere incentivati ad assumere decisioni più rischiose e meno ponderate. Ad esempio potrebbero non essere rispettate le tempistiche utili all’efficiente

110 ristrutturazione dei NPLs, liquidando questi ultimi prima del dovuto e compromettendo la redditività dell’ente di risoluzione. Si consideri inoltre che le bad bank sono enti ad orizzonte temporale determinato, l’obiettivo sociale si esaurisce con la vendita dei pacchetti cartolarizzati. Il breve lasso di tempo non consente ai manager di percepire l’appartenenza alla società con conseguente aumento di comportamenti di azzardo morale. Per evitare ciò risulta fondamentale la creazione di contratti incentivanti per gli amministratori, tali da indirizzare il loro operato verso le condotte più efficienti per le bad bank. Dovrebbe essere la stessa normativa a monitorare per prima le possibili forme di azzardo morale, uniformando il trattamento degli amministratori a livello comunitario.

Gli effetti positivi della bad bank non si esauriscono nella liquidazione dei crediti deteriorati, ma si riflettono anche sulla banca madre. Essa infatti, una volta ceduta la parte deteriorata del suo bilancio, potrà riacquisire capacità operative e reddituali ed eventualmente collocarsi sul mercato in ricerca di possibili acquirenti. In questo ultimo caso è necessario che la normativa in tema di merger and acquisition e quella relativa alle modalità di risoluzione non si ostacolino a vicenda, consentendo un recupero più immediato. A tal fine le autorità devono riuscire ad equilibrare la vigilanza sulle acquisizioni bancarie con l’operazione di vendita dell’istituto bancario sanato, in modo da invogliare gli acquirenti a concretizzare il loro interesse verso la nuova banca. L’attuale disciplina europea prevede un’importante presenza dell’autorità di vigilanza, la quale allontana i possibili acquirenti, in particolare con notevoli richieste di apporti patrimoniali per l’acquisto della nuova banca. Simili controlli sulle acquisizioni bancarie devono essere svolti trattandosi di istituti fondamentali al corretto funzionamento del settore economico-finanziario, ma un occhio di riguardo deve essere prestato nei casi di risoluzione di crisi bancaria per agevolare la ripresa non solo dell’ente in oggetto ma anche dell’intero settore bancario.

La breve carrellata delle ultime proposte italiane in tema di NPLs descritte nell’ultimo capitolo, dimostrano quanto la gravità del problema sia stata percepita dalle autorità comunitarie e nazionali, le quali hanno provveduto a ideare soluzioni risolutive più o meno alternative. Sia le disposizioni europee che quelle nazionali evidenziano quanto sia importante, se non indispensabile, l’intervento pubblico per la risoluzione delle crisi bancarie; ciò è stato dimostrato anche dai vari casi di bad bank che si sono sviluppati nel corso degli anni. Data la necessità di aiuti da parte delle autorità di regolamentazione ci si domanda perché non sia già stato sviluppato un efficiente programma di vigilanza a livello internazionale, tale da prevenire quelle forme di asimmetria informativa causa e conseguenza

111 delle situazioni di crisi. È palese che gli interventi prudenziali e correttivi debbano essere implementati a livello comunitario data l’estrema rapidità di propagazione del panico oltre i confini nazionali.

Il ricorso a bad bank come strumento correttivo si è dimostrato essere efficiente. Come già detto esso deve essere ben regolamentato: una bad bank nasce per rimediare agli effetti negativi delle asimmetrie informative, ma allo stesso tempo rischia di generarne di nuove. Per questo normativa di vigilanza e di risoluzione devono andare di pari passo: le autorità non devono limitarsi alla mera e isolata correzione delle singole situazioni di dissesto, ma individuare le cause del problema e provvedervi. Inutile ristrutturare e liquidare attività deteriorate se non si riesce a creare un sistema tale da evitare il loro sviluppo a livello sistemico, con il quale ridurre i costi sociali legati al fallimento di un istituto bancario. Quindi ben venga la creazione di bad bank, ma solo per quei pochi casi isolati che una precedente attività di vigilanza non è riuscita a impedire.

L’Unione Bancaria Europea sembra aver imboccato la strada giusta, anche se le forme di intervento descritte appaiono dettate più da un frettoloso voler far fronte a difficoltà momentanee piuttosto che dall’effettivo interesse a colmare lacune nella regolamentazione, a causa delle quali si è assistito al crescere delle attività deteriorate nei bilanci bancari. La speranza è che la precaria condizione in cui ci troviamo al momento serva a indirizzare correttamente l’attività normativa nella creazione di una disciplina definitiva, la quale dovrà continuare ad essere aggiornata anche dopo lo scampato pericolo. Lo studio dei diversi approcci alla risoluzione delle crisi deve essere condotto anche in situazioni di stabilità bancaria. È importante apprendere dalle crisi passate, mantenendo però le norme elastiche per meglio adattarsi alle caratteristiche che differenziano un fallimento da un altro e salvaguardare così non solo la stabilità del sistema bancario, ma anche la fiducia che i vari operatori ripongono sullo stesso.

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