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IL CASO STUDIO: FIRENZE COME CASO PARADIGMATICO TRA LE CITTÀ METROPOLITANE

suari del 1951 e del 1961, individuando 32 strutture metropolitane definite come: «sistema di funzioni interrelate, distribuite anche discontinuamente nello spazio» (Cafiero, Busca, 1970, p.5).

Oltre alle ricerche scientifiche risalgono a questo periodo i progetti di programmazione economica na- zionale quale il Progetto ’80. Il documento, elaborato tra il 1969 e il 1971, pone nel dibattito politico la

Il caso studio: Firenze come caso paradigmatico tra le Città Metropolitane

sistemi urbani già esistenti, prevedeva di far sviluppare altri sei sistemi ritenuti di “riequilibrio” e altri quindici sistemi “minori”. I sistemi erano identificati sia con i centri urbani principali sia con le aree di gravitazione sub-regionali; da questo punto di vista la definizione dei confini risultava problematica poiché non teneva conto dei neonati confini regionali (le regioni entrano in vigore nel 1970). Questo aspetto può essere letto come un punto debole del rapporto che non metteva in relazione lo sviluppo economico e territoriale con i nuovi assetti regionali (Dematteis, 2015). Comunque, il documento Pro- getto ’80 rimarrà soltanto un’ipotesi di sviluppo, appunto una proiezione al futuro2.

In seguito, saranno svariati gli studi che indagheranno a livello quantitativo e qualitativo tale fenomeno, sia nel contesto nazionale che europeo3. Tra questi, per delineare un quadro di riferimento, sembra opportuno indicare, seppur in modo sintetico, quelli di maggior rilevanza per l’ambito accademico e i passaggi normativi che hanno condotto all’attuale condizione amministrativa.

I fenomeni di metropolizzazione hanno investito tutto il contesto Europeo determinando rilevanti cam- biamenti per i governi locali. Come evidenziato da Brenner (2003) sono in atto processi di rescaling politico definiti come: «a search for a new institutional fix characterized by the proliferation of political strategies intended to manage the disruptive supranational, national, regional and local consequences of geoeconomic restructuring» (Brenner, 2004, p. 174).

Questi fenomeni sono interpretati come processi di: «[…] riterritorializzazione delle istituzioni statuali e di riscalizzazione delle relazioni politiche sulla base di determinanti di natura socio-economica» (Tor- torella, Allulli, 2014, p. 9). I processi di metropolizzazione hanno determinato implicazione sul sistema di governance e ricadute e sulle pratiche amministrative di governo del territorio tali da aver indotto il legislatore nazionale ad adeguare l’apparato normativo per gestire in modo più funzionale e efficace le dinamiche territoriali.

Una prima proposta di individuazione del livello di governo metropolitano viene avanzata con il di- segno di legge del Consiglio dei ministri dell’8 luglio 1982, all’interno di una più ampia riforma delle autonomie locali4.

Ma per vedere riconosciuta la dimensione metropolitana a livello istituzionale bisogna far riferimento alla legge di riforma dell’ordinamento degli enti locali n. 142/1990. Questa legge rivedeva l’ordinamen- to delle autonomie locali introducendo gli istituti delle Aree metropolitane e delle Città metropolitane. L’articolo 17 definiva così le aree metropolitane:

«Sono considerate aree metropolitane le zone comprendenti i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli e gli altri comuni i cui insediamenti abbiano con essi rapporti di stretta integrazione in ordine alle attività economiche, ai servizi essenziali alla vita sociale, nonché alle relazioni culturali e alle caratteristiche territoriali».

La perimetrazione dell’Area metropolitana non era data per legge, ma doveva essere designata di con- 2 Alcuni intellettuali, come Manfredo Tafuri, hanno criticarono duramente questo documento tacciando- lo di ideologia e scarso valore tecnico; altri studiosi come Dematteis hanno rilevato che il documento è rimasto nel campo delle ipotesi proprio per la sua impostazione, che considerava lo sviluppo territoriale semplice proie- zione dipendente dallo sviluppo economico (Dematteis, 2015).

3 Negli Stati Uniti il fenomeno si è manifestato prima.

4 Questo disegno di legge riconosceva come aree metropolitane le conurbazioni con più di 1.000.000 di abitanti, aggregate intorno ad un comune di 400.000 abitanti; queste aree dovevano essere caratterizzate da centri urbani che avessero rapporti di continuità insediativa e relazioni economiche e sociali. Secondo tale de- finizione venivano riconosciute come aree metropolitane quelle di Roma, Milano, Napoli, Torino e Genova; ma potevano essere considerate nel medesimo ordine di grandezza anche Palermo, Firenze e Bologna.

certo tra regioni, comuni e province: «La regione può procedere alla delimitazione territoriale di ciascu- na area metropolitana, sentiti i comuni e le province interessate, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge».

Invece, nell’articolo 18 veniva introdotta l’architettura amministrativa distinguendo tra due livelli: cit- tà metropolitana e comuni. Alla città metropolitana erano riconosciute funzioni di livello provinciale (art.19), nonché:

«funzioni normalmente affidate ai comuni quando hanno precipuo carattere sovracomunale o deb- bono, per ragioni di economicità ed efficienza, essere svolte in forma coordinata nell’area metropo- litana, nell’ambito delle seguenti materie:

a) pianificazione territoriale dell’area metropolitana; b) viabilità, traffico e trasporti;

c) tutela e valorizzazione dei beni culturali e dell’ambiente;

d) difesa del suolo, tutela idrogeologica, tutela e valorizzazione delle risorse idriche, smaltimento dei rifiuti;

e) raccolta e distribuzione delle acque e delle fonti energetiche;

f) servizi per lo sviluppo economico e grande distribuzione commerciale;

g) servizi di area vasta nei settori della sanità, della scuola e della formazione professionale e degli altri servizi urbani di livello metropolitano».

La riforma del 1990 non ha avuto esiti sostanziali ed è stata successivamente abrogata5; tuttavia nel 2001 con la riforma del Titolo V della Costituzione (Legge Costituzionale n. 3/2001) nell’articolo 144 la Città metropolitana viene nuovamente riconosciuta come un ente autonomo costitutivo: «La Repub- blica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento».

Solo con la riforma Delrio, legge 56 del 7 aprile 2014, le Città metropolitane sono divenute operative come enti di area vasta andando a sostituire, a partire dal 1°gennaio 2015, dieci province: Torino, Mila- no, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli, Reggio Calabria e Roma Capitale. A queste si sono poi aggiunte quattro Città metropolitane individuate dalle Regioni a statuto speciale: Palermo, Catania, Messina e Cagliari.

Le finalità istituzionali del nuovo ente, oltre alla pianificazione territoriale generale, comprendono la pianificazione strategica per lo sviluppo economico e sociale, nonché la gestione e promozione integra- ta di servizi e infrastrutture materiali e immateriali. L’introduzione dell’obbligo della pianificazione stra- tegica è sicuramente elemento di maggior innovazione rispetto alle funzioni esplicate dalla provincia. Il piano strategico delle città metropolitane ha durata triennale e dovrebbe essere aggiornato annual- mente, conformandosi quale atto di indirizzo per comuni e unioni dei comuni presenti nel territorio metropolitano. Finalità e strutture organizzative dell’ente sono poi normate dagli Statuti delle singole Città Metropolitane, che delineano inoltre i rapporti tra Comuni e Città metropolitana, nonché i rappor- ti e le modalità di accordo con i comuni esterni al territorio metropolitano. Lo statuto stabilisce, inoltre, forme e strumenti per il coordinamento del governo del territorio, precisando anche zone omogenee

Il caso studio: Firenze come caso paradigmatico tra le Città Metropolitane

locali (non più dalla cittadinanza), quindi non sono indipendenti dai comuni e ne possono rappresen- tare direttamente o indirettamente gli interessi. Dal punto di vista del governo dell’ente sono ricono- sciuti tre organi: il Sindaco metropolitano, il consiglio metropolitano e la Conferenza metropolitana. Il Sindaco metropolitano coincide con quello del comune capoluogo, sebbene negli statuti possa essere prevista l’elezione diretta, e presiede la Conferenza e il Consiglio metropolitani. La Conferenza metro- politana è composta da tutti i sindaci dei comuni metropolitani, da questa dipende l’adozione dello Statuto metropolitano ed ha poteri propositivi e consultivi.

Il Consiglio metropolitano è l’organo che detiene il potere di indirizzo e controllo dell’ente redigendo regolamenti, piani, programmi e bilanci. Quest’organo è composto dal sindaco e dai consiglieri metro- politani, in numero variabile in base alla popolazione della Città metropolitana, ed eletto dai sindaci e dai consiglieri di tutti i comuni metropolitani (per maggior chiarezza può essere parzialmente assimila- to agli organa di giunta).

È opportuno notare che le modalità di elezione di questi rappresentati porta alla luce delle disparità territoriali tangibili, infatti, come sottolineato da Corrado e Durbiano (2018) riferendosi al caso della Città metropolitana torinese: «I criteri e l’approccio adottati nei rapporti tra grandi centri e centri mi- nori, in termini di rappresentanza e di espressione della varietà delle realtà che compongono l’area metropolitana, sono stati decisivi per definire un rapporto emblematico tra città e montagna, in cui le terre alte risultano in netta minoranza. L’elezione a consigliere metropolitano dei Sindaci e dei Consi- glieri comunali in carica prevede che ciascun elettore esprima un voto ponderato sulla base di un indice determinato in relazione alla popolazione complessiva della fascia demografica del Comune di cui è Sindaco o Consigliere» (Corrado, Durbiano, 2018).

Le disparità tra città e montagna possono essere rilette in tutti i sistemi metropolitane come disparità tra piccoli comuni periferici e comuni “maggiori” centrali. Tale disuguaglianza evidenzia come la peri- metrazione delle Città metropolitane risulta un elemento problematico che incide in modo fattivo nella sua struttura operativa.

La definizione dei confini e molteplicità locale: aree interne e piccoli